Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
BOCCIATO SENZA APPELLO IL PREMIO DI MAGGIORANZA DEL 55 PER CENTO DEI SEGGI IN PARLAMENTO AL PRIMO MINISTRO ELETTO. SOPRATTUTTO IN MANCANZA DI UNA QUOTA MINIMA DI VOTI DA RAGGIUNGERE… ANCHE IN FDI AUMENTANO I DUBBI. LA DUCETTA AVRÀ CAPITO DI AVER FATTO UN PASTICCIO?
La grande frenata. Toccherà agli sherpa della maggioranza decidere, ma il premierato è un progetto che si è già infranto sul feroce giudizio dei tecnici. Dopo gli ex presidenti della Consulta, negli ultimi giorni quaranta costituzionalisti sono stati auditi dalla commissione del Senato che ha in esame il testo: e sia gli esperti convocati dal centrodestra che quelli chiamati dall’opposizione ne hanno messo in luce le incongruenze.
Uno dei punti bocciati quasi da tutti è il premio di maggioranza del 55 per cento dei seggi in Parlamento al primo ministro eletto. Nicolò Zanon, docente di diritto costituzionale a Milano e già vicepresidente della Corte, ritiene più opportuno l’inserimento di un premio in una legge elettorale ordinaria, «senza inopportuni irrigidimenti in Costituzione».
La mancanza di una quota minima di voti da raggiungere, per il premier eletto, è un’altra contestazione diffusa: «È indispensabile fissare una soglia minima sufficientemente elevata e aggiungere un succedaneo sistema di ballottaggio», è la tesi di Fabio Cintioli, professore di diritto amministrativo all’Università degli studi internazionali di Roma.
Sia Zanon che Cintioli sono docenti sentiti in commissione su richiesta del centrodestra. Il problema è avvertito anche dai colleghi chiamati a dare il loro parere su invito dell’opposizione: «Per la prima volta – dice Fulco Lanchester – all’interno di un testo costituzionale si inserisce la previsione confusa e inusitata di un sistema maggioritario con premio del 55 per cento, ma senza la soglia minima prevista dalla sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum».
La questione non è di poco conto, spiega il vicepresidente della commissione Dario Parrini (Pd): «Per come è scritto il ddl, se alla corsa per premier partecipano cinque candidati e uno la vince con il 25 per cento, quello che così viene eletto ottiene in regalo il 55 per cento dei seggi per le liste che lo hanno appoggiato. Un abuso pazzesco».
Che sostanzia l’accusa, rivolta alla riforma, di dar corpo a una deriva autoritaria. «Se la destra rifacesse una norma come il Porcellum, con le liste bloccate, finiremmo nella situazione in cui tre o quattro persone decidono chi guida il Paese e tutti i rappresentanti in Parlamento», aggiunge Parrini.
Altre critiche sono attese, martedì, dai presidenti emeriti di Camera e Senato riuniti a parlare della riforma dall’associazione degli ex parlamentari: Luciano Violante, l’ex comunista più amato dalla destra, non ha dubbi: «Questa norma – scrive su La Stampa – inciderà sulla condizione politica del Capo dello Stato, ne limiterebbe la libertà. E in questo momento storico, con società molto conflittuali, c’è bisogno di un arbitro».
Il riserbo è alto ma in ambienti di FdI si apprende di un ripensamento possibile su alcune norme, a partire proprio dal premio di maggioranza. Non è un mistero, fra l’altro, che dentro il partito di Meloni ci siano esponenti di spicco poco convinti della cosiddetta norma antiribaltone, che preferiscono invece il sistema del “simul simul”, con lo scioglimento del Parlamento nel momento in cui il premier eletto dovesse essere sfiduciato.
Dibattito aperto. Ma la riforma, uno dei cavalli di battaglia di Giorgia Meloni, segna già il passo.
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO PREPARA UNA NORMA PER EVITARE IL CONTROLLO SUCCESSIVO DEGLI ATTI
Il governo Meloni sta preparando una riforma della Corte dei Conti che limiterebbe fortemente i poteri dei giudici contabili. L’obiettivo è quello di ridurre il più possibile le funzioni di controllo successive, cioè quelle che seguono l’approvazione di un atto amministrativo che comporta spese o di un’opera pubblica.
L’idea, allo studio ai vertici di Fratelli d’Italia e condivisa tra ministero della Giustizia e Palazzo Chigi, è quella di eliminare la cosiddetta “paura della firma”, il timore di amministratori e dirigenti pubblici di autorizzare progetti od opere pubbliche col rischio di essere poi perseguiti dalla Corte dei Conti per danno erariale.
Una riforma che servirà soprattutto per limitare i poteri dei giudici contabili dopo il primo provvedimento legato alle opere del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Già a maggio il governo aveva eliminato il cosiddetto “controllo concomitante” della Corte dei Conti sul Pnrr e anche la possibilità di contestare lo scudo erariale fino al 2026. Per evitare la cosiddetta “paura della firma”, quindi, il governo si è mosso in due direzioni: dal punto di vista penale con l’abolizione dell’abuso d’ufficio inserita nel disegno di legge Nordio in discussione al Senato e ora si prepara a una norma di sistema per limitare i poteri dei giudici contabili.
Il provvedimento, che potrebbe essere approvato in uno dei Consigli dei ministri di fine anno o al massimo a inizio 2024, prevederebbe la quasi eliminazione del controllo “successivo” sugli atti firmati da dirigenti pubblici e amministratori locali. In sostanza, i giudici contabili manterrebbero un potere consultivo e preventivo: i sindaci avrebbero la possibilità di inviare alla Corte dei Conti i progetti prima di firmarli e, in caso di assenso o di non risposta entro un certo periodo di tempo, a quel punto i giudici non avrebbero più la possibilità di contestare successivamente il danno erariale se non per i casi di “dolo”. Insomma, gli amministratori non sarebbero più puniti nei casi di colpa o colpa grave.
La richiesta arriverebbe proprio da sindaci e dirigenti dei comuni che nei prossimi mesi dovranno gestire molti soldi e “mettere a terra” le opere pubbliche. Tra questi ci sono anche diversi di partiti di centrosinistra. La premier Meloni a fine ottobre, all’assemblea Anci di Genova, aveva confermato la sua attenzione sulla “paura della firma” dei sindaci a partire dall’abolizione dell’abuso d’ufficio: “Promessa mantenuta”, aveva spiegato la presidente del Consiglio.
Il provvedimento che il governo aveva approvato a maggio per volontà del ministro agli Affari Europei con delega al Pnrr Raffaele Fitto aveva provocato uno scontro con i giudici contabili. La norma eliminava il controllo concomitante e lo scudo erariale sulle opere del Pnrr e l’Associazione Magistrati della Corte dei Conti aveva parlato di “sconcerto e stupore”. Dopo l’approvazione dell’emendamento al decreto Pubblica Amministrazione, il presidente della Corte dei Conti Guido Carlino aveva detto che i controlli sarebbero stati ancora esercitati “come prevede l’articolo 100 della Costituzione”.
La riforma con la limitazione dei poteri della Corte dei Conti è un vecchio pallino della politica ed è stata accelerata con le decine di progetti del Pnrr. Ma in realtà lo stesso progetto era stato presentato nella scorsa legislatura sotto il governo Draghi e lo aveva portato avanti il senatore dem Giancarlo Bressa. Ora Fratelli d’Italia vuole riprovarci: il rischio è di riaprire lo scontro con la magistratura alla vigilia delle Europee.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
AIROMA, PROCURATORE DI AVELLINO, HA L’APPOGGIO DEI LAICI DEL CENTRO-DESTRA E DEI CENTRISTI DI UNICOST – SULLO SFONDO, LO SCONTRO TRA IL VICEPRESIDENTE FABIO PINELLI E LA PRESIDENTE DELLA CASSAZIONE, MARGHERITA CASSANO
C’è un braccio di ferro sotterraneo al Csm che riguarda la nomina delicatissima del segretario generale del Consiglio, che si interfaccia, per ruolo, con il Quirinale. Al momento c’è uno stallo dovuto proprio a una prova di forza a scacchiera: dentro al Comitato di presidenza oltreché in Consiglio. Al Comitato di presidenza i “duellanti” sono il vicepresidente Fabio Pinelli e la presidente della Cassazione, Margherita Cassano.
Allargando a tutto il Consiglio, c’è una inedita competizione tra i laici del centro-destra da una parte e i togati di Magistratura Indipendente dall’altra. In vantaggio i laici di maggioranza che vogliono una toga legata all’influente sottosegretario Alfredo Mantovano. È Domenico Airoma, procuratore di Avellino che gode dell’appoggio anche di consiglieri togati, i centristi di Unicost. Ma stanno pensando di votarlo, data “la stima professionale” anche la sinistra di Md e gli indipendenti.
Per spiegare questo risiko con alleanze “anomale”, dobbiamo, però, partire dal Comitato di presidenza a cui spetta la proposta di nomina al plenum.
Al Fatto risulta che ci siano stati faccia a faccia “vivaci”, senza vincitori e vinti, di qui lo stallo: il Comitato, per motivi di immagine istituzionale non può avanzare più proposte. Cassano, definita da diversi consiglieri “la vicepresidente ombra”, con tanto di mal di pancia di Pinelli, punta a far diventare segretario generale del Csm il sostituto pg della Cassazione, Gianluigi Pratola, di MI come lei.
Pinelli, invece, vorrebbe la nomina del suo fedelissimo consigliere giuridico e ghostwriter, Roberto Mucci, anche lui in Procura generale della Cassazione, l’ufficio guidato dal Pg Luigi Salvato, che al comitato di presidenza, ci dicono, “è rimasto neutrale come la Svizzera”. Mucci ha lavorato alla segreteria tecnica dell’ex ministro della Funzione pubblica Sabino Cassese e al segretariato generale del Quirinale con Giorgio Napolitano presidente. Questa volta MI, la corrente più governativa, sta con Pratola, spinto da Cassano e non fa asse con i laici di centrodestra che puntano su Airoma, nessuna fervida attività correntizia, ma come vicepresidente del centro Rosario Livatino, presieduto da Mantovano. Con il sottosegretario il rapporto è solido. Un’amicizia che pesa.
(da “il Fatto quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
DATI UFFICIALI EUROSTAT: “I LAVORATORI ITALIANI SONO PAGATI MOLTO MENO DI QUELLI FRANCESI E TEDESCHI”
Dopo una settimana in cui in Parlamento è stato definitivamente affossato il salario minimo e, allo stesso tempo, si ragiona sulle gabbie salariali, torna centrale il tema degli stipendi medi e del loro rapporto al costo della vita. Per fare un confronto con gli altri Paesi europei bisogna rivolgersi a Eurostat, che raccoglie i dati sul costo del lavoro e sui salari in tutti i Paesi dell’Unione europea. Secondo gli ultimi numeri disponibili il nostro Paese rimane indietro, per quanto riguarda la retribuzione oraria: i lavoratori italiani sono pagati decisamente meno di quelli francesi o tedeschi.
Andiamo ai numeri. Gli ultimi che Eurostat rende disponibili sono quelli che fotografano la situazione nel 2018: la retribuzione oraria mediana in Italia era pari a 12,6 euro lordi, contro i 17,2 della Germania o i 15,3 della Francia.
“Nel 2018, la retribuzione oraria lorda mediana più alta è stata registrata in Danimarca (27,2 euro), Lussemburgo (19,6 euro) e Svezia (18,2 euro) – spiega Eurostat – Al contrario, la retribuzione oraria lorda mediana più bassa in euro è stata registrata in Ungheria (4,4 euro). ), Romania (3,7 euro) e Bulgaria (2,4 euro)”.
Delle cifre, prosegue il report, che mostrano quanto sia diversa la situazione tra gli Stati europei: “Negli Stati membri dell’UE, la retribuzione oraria lorda mediana nazionale più elevata era 11 volte superiore a quella più bassa se espressa in euro; una volta adeguata ai livelli dei prezzi (convertendo in standard di potere d’acquisto (SPA)) la media più alta era quattro volte superiore alla media più bassa, con Danimarca e Bulgaria che rappresentavano ancora una volta gli estremi alle due estremità dell’intervallo”, si legge ancora.
Eurostat analizza anche l’incidenza dei salari bassi sul totale delle retribuzioni. “Per lavoratori a basso salario si intendono i dipendenti che guadagnano due terzi o meno della retribuzione oraria lorda mediana nazionale. Nel 2018, nell’UE, il 15,3% dei lavoratori dipendenti erano a basso salario, rispetto al 16,4% nel 2014”, fa sapere il report. Sottolineando, anche questa volta, che sono percentuali destinate a variare di molto tra i Paesi: “Nel 2018 le percentuali più elevate sono state osservate in Lettonia (23,5%), Lituania (22,3%) ed Estonia (22,0%). Al contrario, meno del 10% dei dipendenti erano a basso salario in Danimarca (8,7%), Francia (8,6%), Italia (8,5%), Finlandia (5,0%), Portogallo (4,0%) e Svezia (3,6%)”.
(da Fanpage)
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Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
“MIRA A COLPIRE DISSENZIENTI, POVERI, MIGRANTI E PERSINO LE DETENUTE MADRI”
“Il disegno di legge in materia di sicurezza pubblica contiene una serie di norme tecnicamente da stato autoritario”. La tocca piano il pm di Napoli Fabrizio Vanorio, dieci anni in Direzione distrettuale antimafia, già inquirente di inchieste e processi sul clan dei Casalesi e sui loro referenti politici, su Silvio Berlusconi e su Massimo D’Alema, ora in servizio alla sezione pubblica amministrazione dell’ufficio guidato da Nicola Gratteri. Vanorio queste cose le ha dette in un seminario all’Università di Napoli davanti ai docenti dell’Ateneo e ai vertici della classe forense napoletana. E le ribadisce in questa intervista.
Dottor Vanorio, cosa non le piace della bozza di ddl in discussione?
Farei prima a dire cosa mi piace.
Parliamo del resto invece.
Con franchezza: l’impianto complessivo dell’articolato che è circolato, che è stato pubblicato sulla rivista ‘Ristretti Orizzonti’ dopo un comunicato della presidenza del Consiglio, e che quindi possiamo ritenere ufficiale, fa emergere un quadro estremamente preoccupante.
Perché?
Il ddl vuole punire queste categorie di persone ritenute evidentemente ‘pericolosissime’: i ladri come tipi d’autore, da criminalizzare a vita; i dissenzienti, perché torna in vigore la normativa Scelba sul blocco stradale; i poveri; i migranti. Persino le detenute madri di bambini sotto i tre anni.
Faccia qualche esempio.
Emblematica è la norma contro lo sfruttamento dei minori. Due genitori poveri, spesso extracomunitari ma ce ne sono anche italiani, che insieme rimediano in nero 1000-1200 euro e non ce la fanno, e mandano il loro figlio 15enne a fare elemosina o a vendere fazzoletti agli incroci, in Italia farebbero scattare un reato punito addirittura fino a nove anni di carcere. La corruzione propria ne prevede dieci. Per questo governo due genitori poveri srilankesi e il grande imprenditore che paga una enorme tangente per strappare un appalto miliardario sono uguali.
Lei prima accennava anche alla punizione del dissenso.
Si alzano le pene per la resistenza a pubblico ufficiale. Reato serio, per carità. Ma già ora si prevedono pene serie. Farle arrivare a sette anni è ai limiti del reato di rapina, dell’induzione indebita, la concussione più lieve. E la triplicazione delle pene per i ‘pericolosissimi’ giovani armati di bombolette spray, che imbrattano i muri. Possono arrivare sino a tre anni. Poi c’è la norma più vergognosa di tutte, un obbrobrio giuridico.
Quale?
È quella contro i migranti, studiata per reprimere gli atti di resistenza passiva dei migranti. Le faccio questo racconto: arrivi in Italia per scappare dalla guerra, dalla miseria, sei solo povero, non hai torto un capello a nessuno. Vieni rinchiuso in un Cpt, che magari non ha acqua calda o i bagni a norma o fa troppo caldo o troppo freddo o il cibo è scadente. Protesti, fai rumore, gridi, batti le pentole e qualcuno si associa. Ecco, contro gli organizzatori di questa ‘resistenza passiva’ di tipo gandhiano si prevedono sino a sei anni di reclusione. Possono scattare le intercettazioni, gli arresti: non si è mai vista in un paese civile l’incriminazione della resistenza pacifica. Al secondo posto tra le norme autoritarie c’è il ritorno della normativa Scelba sul blocco stradale. Un capolavoro.
Perché è così duro?
Si reprime il dissenso puro e semplice della gente per bene. Chi va in piazza oggi? Chi è vittima di tagli, dello stop al reddito di cittadinanza, di licenziamenti collettivi. Persone oneste che soffrono. Che se organizzano una protesta o uno sciopero e comunicano in anticipo i luoghi, vengono ignorati dai mass media, che non possono seguire tutto. E allora che fanno? Bloccano una autostrada, per avere attenzione.
Fanno bene?
No, non fanno bene. Però dico che sinora il blocco prevedeva una sanzione amministrativa pesante da 1000 a 4000 euro, quindi le sanzioni già c’erano. Ora fanno tornare Scelba al comma 1-bis, inseriscono anche le proteste sulle strade ferrate, e si arriva a una pena sino a due anni. Si sporca la fedina penale di cittadini che non sono criminali, ai quali si creeranno problemi ulteriori sul lavoro, che forse non troveranno più, non potranno fare concorsi pubblici. E magari prima o poi trovi un giudice troppo rigoroso che non ti dà la sospensione della pena e vai in carcere. Senza considerare l’intasamento degli uffici dei pm per seguire questi fascicoli. Saremo costretti a sfornare centinaia di decreti penali inutili, destinati alle scontate opposizioni degli avvocati d’ufficio. Non mi pare il caso di usare i carabinieri e la polizia per inseguire i mendicanti e i disoccupati che protestano, distraendoli dai reati gravi.
Qual è la sintesi del tutto, secondo lei?
Il disegno di fondo, che un certo tipo di destra ha sempre avuto, è quello di arrestare il povero e il dissidente. Prevedendo innalzamenti di pene e l’eliminazione delle attenuanti per reati già puniti seriamente, come la resistenza a pubblico ufficiale, che è un reato commesso non dai colletti bianchi o dai politici, ma da giovani, poveri, ubriachi e tossicodipendenti. Eppure prima c’erano sanzioni amministrative serie, che creavano risorse pubbliche, invece adesso vi saranno ulteriori processi e ulteriore sovraffollamento in carcere. Tutto questo in un paese dove i penitenziari sono oltre i limiti di capienza, dove si sta in dieci extracomunitari in una cella a Poggioreale. E come spieghiamo ai cittadini che questo governo con la mano destra vuole mettere in carcere i poveri e con la mano sinistra vuole abrogare l’abuso d’ufficio, proteggendo il docente universitario che trucca un concorso, il sindaco che affida illegalmente un appalto a un amico, il magistrato che avvantaggia illegittimamente una parte processuale?
Lei al seminario ha parlato di “norme liberticide, tecnicamente fasciste”.
La democrazia ovviamente è solida e non è in pericolo. Ma queste norme sono tecnicamente fasciste perché fanno rivivere in parte quelle del codice Rocco. Se questo disegno di legge passasse, si tornerebbe a un diritto penale autoritario simile a quello degli anni di Mussolini, o per fare un esempio più moderno, a quello dell’Ungheria di Orban. Ed infine inasprire le pene contro gli straccioni e i mendicanti ricorda ‘la ley de vagos y maleantes’ inasprita in Spagna da Francisco Franco.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DELL’EX MARESCIALLO LEGGIERO, OGGI MOLTO VICINO A VANNACCI
C’è un gustoso siparietto stasera a Report con l’ex maresciallo Domenico Leggiero, in prima linea sull’uranio impoverito e oggi molto vicino a Roberto Vannacci come anche al “ribelle” della destra Gianni Alemanno. Racconta di essere andato dal ministro Crosetto a parlargli del generale che voleva fare politica, molto prima che uscisse il libro Il mondo al contrario per cui Vannacci è ora sotto inchiesta disciplinare. E di avergli proposto la candidatura dell’ufficiale dei parà: “Mi permisi di andare a parlare con Crosetto illustrandogli i contenuti dell’esposto che fece Vannacci (sull’uranio, ndr) e parlandogli anche di questa idea del libro che stava facendo per ottenere qualche soldo per fare la campagna elettorale, e perché no? in Fratelli d’Italia che poteva essere un riferimento e la casa naturale di Vannacci”.
Crosetto, secondo Leggiero, non chiuse la porta: “Le parole furono ‘una candidatura non si nega a nessuno, ma un personaggio di questa levatura può essere molto importante per il partito’”, avrebbe detto il ministro.
Lo stesso ministro che ora dà via libera all’inchiesta disciplinare contro Vannacci, ma soprattutto ha fatto in modo di non farlo avvicinare a FdI, costringendolo a puntare sulla Lega come risulta stia avvenendo, o su Alemanno.
Anzi Report riferisce anche le voci, di cui il Fatto ha già scritto, di un accordo in discussione tra Vannacci e Salvini con tanto di penale di “2-300 mila euro” a carico della Lega o del suo leader in caso di mancata candidatura del generale come capolista alle Europee 2024, accordo peraltro smentito dall’ufficiale scrittore.
Crosetto non ha lo stesso ricordo di questo incontro del 23 gennaio scorso, in cui Leggiero accompagnava un noto ex militare ed ex parlamentare. “Se avessimo parlato di Vannacci prima che uscisse libro e se io avessi risposto se è bravo vedremo, non ci sarebbe nulla di male – dice il ministro –. Ma non ne abbiamo parlato. Abbiamo parlato solo di alloggi”, cioè degli immobili della Difesa. Vannacci, a quel tempo, per Crosetto non era ancora quello delle “farneticazioni”, per dirla con la parola che il ministro dedicò alle tesi del generale sui gay, gli stranieri, le femministe e le altre “minoranze” che non piacciono alla destra, anche di governo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
BASTA UNA SETTIMANA PER RICONTAGIARSI: LA PROTEZIONE DATA DALL’INFEZIONE E I VACCINI CI PROTEGGONO DALLA MALATTIA E NON DAL VIRUS
Sono quasi quattro anni che conviviamo con il virus Sars-CoV-2, eppure continuano a esserci domande importanti, anzi fondamentali, a cui ancora si fa fatica a rispondere con precisione.
Ad esempio, non abbiamo ancora capito esattamente per quanto tempo si può essere contagiosi. O dopo quando tempo si può essere nuovamente infettati dal virus e, quindi, sviluppare una nuova infezione Covid-19. “Rispondere a queste domande è ancora oggi molto complicato, perché vanno considerate molte variabili in gioco”, spiega Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità di statistica molecolare e di Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma.
“Nel caso delle reinfezioni possiamo dire che, in termini di contagio, il virus lo si può riprendere già dopo una settimana dalla precedente infezione. Solo che – continua – nella maggior parte dei casi, dopo solo sette giorni, il sistema immunitario dovrebbe essere in grado di contrastare il virus senza grandi difficoltà e quindi bloccare subito l’infezione. In questo caso non si manifesterebbero neanche i sintomi, perché non si dà al virus l’opportunità di infettare l’organismo in modo diffuso”.
Lo scudo contro la malattia
Come il vaccino, infatti, l’infezione naturale non è uno scudo contro il virus, ma contro la malattia. “Tuttavia, l’infezione naturale offre certamente una maggiore protezione in quanto con essa il sistema immunitario ha avuto l’opportunità di incontrare il virus nella sua interezza e non solo la proteina Spike (la chiave che il virus utilizza per entrare nelle cellule, ndr) come invece avviene con la vaccinazione”, specifica Ciccozzi.
“In generale un’infezione naturale – evidenzia Ciccozzi – può offrire protezione dalla malattia sintomatica per almeno cinque o sette mesi. Molto dipende dal numero di anticorpi prodotti dalla precedente infezione che, a loro volta, possono variare a seconda del sistema immunitario di una persona. Ad esempio, in una persona giovane e sana, con un sistema immunitario forte, ci si può aspettare una protezione più duratura. Mentre da una persona anziana e/o con comorbidità il sistema immunitario è più debole e, quindi, ci si può aspettare una protezione meno lunga dall’infezione”.
“Le probabilità di essere reinfettati dipendono anche dal tipo di variante o sottovariante che si incontra. Attualmente sono diverse le sottovarianti diffuse: ci si può dunque anche infettare due volte, a distanza di poco tempo l’una dall’altra, semplicemente perché i virus sono parzialmente diversi fra loro e il secondo può sfuggire all’immunità acquisita con il primo”.
“Se dovessimo fare una stima generale possiamo dire che la contagiosità dura dai quattro ai 10 giorni circa. Ma più è forte la carica virale, cioè la quantità di virus inalato e inglobato, più a lungo – prosegue – si può essere contagiosi. Più i sintomi sono intensi minore è il tempo in cui si può trasmette il virus ad altre persone: a differenza di una febbre alta, ad esempio, una febbriciattola che dura più tempo può allungare il periodo di contagiosità”.
(da La Repubblica)
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Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
GAZA, LA TESTIMONIANZA DELLA DOTTORESSA DI MEDICI SENZA FRONTIERE
Medici Senza Frontiere (MSF) ha rilasciato la testimonianza della dottoressa Ruba, operatrice a Gaza. «Non credo che qualsiasi cosa io dica possa cambiare la situazione. Il mio unico messaggio – spiega in un audio – è che i palestinesi hanno il diritto di essere trattati come esseri umani, hanno il diritto di vivere. Ogni giorno, ogni notte temo per la vita dei miei figli e per la mia. Mi dispiace dirlo, ma dopo 60 giorni di guerra sto perdendo la speranza e dico che quelli che sono morti nei primi giorni sono stati molto fortunati».
«Non sono stati testimoni di due mesi, di giorni e notti, terrificanti. Vedo la mia gente soffrire e non posso fare nulla. Questo mondo non è giusto. Siamo sfollati a sud della valle, che dovrebbe essere un’area sicura, ma ogni notte, ogni giorno, ci sono attacchi aerei. Prendono di mira tutti. Nessuno è al sicuro. Vediamo molti tipi di ferite, dalle ustioni alle ferite aperte. Vediamo anche fratture. Inoltre, ci sono molti bambini con amputazioni», racconta il medico.
La situazione a Sud tra zero farmaci e il rischio di epidemie
«Abbiamo solo forniture mediche di base, come paracetamolo o ibuprofene e altro materiale per medicazioni, ma purtroppo non abbiamo accesso alla nostra clinica. L’esercito israeliano ha tagliato la strada», spiega Ruba. «Abbiamo curato – ha aggiunto la dottoressa Msf – una bambina di sei anni gravemente ferita. Aveva una ferita aperta, le abbiamo applicato un fissatore esterno. Piangeva e gridava. Implorava di avere degli antidolorifici o sedativi, perché era stanca per il dolore e per l’impossibilità di muovere il braccio. Nella maggior parte dei rifugi per sfollati le persone cominciano ad avere malattie della pelle, sintomi gastrointestinali, e in un rifugio vicino a dove mi trovo, c’è un focolaio di epatite A». Ruba conclude spiegando che sia l’acqua che il cibo non sono puliti: «La gente mangia tutto quello che trova, perché qui si muore di fame».
(da Open)
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Dicembre 10th, 2023 Riccardo Fucile
NON CONVINCONO LE ULTIME POLITICHE ECONOMICHE
Donald Trump supera Joe Biden nelle proiezioni sulle elezioni presidenziali del prossimo anno.
A svelarlo è un sondaggio del Wall Street Journal. Biden è al suo minimo storico di apprezzamento, solo il 37 per cento. Il 61 per cento degli intervistati lo considera un candidato sfavorevole.
L’ex presidente Usa invece sale di sei punti percentuali, 37 contro il 31 per cento precedente, mentre l’ex democratico ora indipendente Robert Kennedy, da solo, totalizzerebbe l’8 per cento.
Elemento curioso del sondaggio è che solo il 23 per cento degli elettori ritiene che l’attuale inquilino della Casa Bianca abbia migliorato le vite degli americani, mentre il 53 per cento sostiene di esserne stato danneggiato. La Bidenomics, ovvero la politica economica promossa in questi anni dal Presidente convince solo il 30 per cento degli intervistati. Biden è dietro a Trump di 4 punti percentuali, 43 per cento contro il 47 per cento.
(da agenzie)
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