Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
LE PROCEDURE AMMINISTRATIVE COMPLESSIVE COSTANO ALLE IMPRESE ITALIANE 103 MILIARDI L’ANNO… LA CGIA DI MESTRE: “L’ECCESSIVA PROLIFERAZIONE DI LEGGI IN ITALIA È ASCRIVIBILE A DUE FATTORI: LA MANCATA SOPPRESSIONE DI LEGGI CONCORRENTI, UNA VOLTA CHE UNA NUOVA NORMA VIENE APPROVATA DEFINITIVAMENTE; IL SEMPRE PIÙ MASSICCIO RICORSO AI DECRETI LEGGE CHE RICHIEDONO L’APPROVAZIONE DI ULTERIORI DECRETI ATTUATIVI”
In Italia vi sono circa 160 mila norme, di cui poco più di 71 mila approvate a livello nazionale e 89 mila dalle Regioni e dagli Enti locali. Un groviglio legislativo che è 10 volte superiore al numero complessivo – 15.500 – di leggi presenti in Francia (7.000), in Germania (5.500) e nel Regno Unito (3.000). La stima è dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia), secondo cui le procedure amministrative complessive costano alle imprese italiane 103 miliardi l’anno.
Secondo l’associazione, “l’eccessiva proliferazione del numero delle leggi presenti in Italia è in larga parte ascrivibile a due fattori: la mancata soppressione di leggi concorrenti, una volta che una nuova norma viene approvata definitivamente; il sempre più massiccio ricorso ai decreti legge che, per la loro natura, richiedono l’approvazione di ulteriori decreti attuativi.
Questa sovraproduzione normativa ha ingessato il funzionamento della Pubblica Amministrazione con ricadute pesantissime soprattutto per gli imprenditori di piccole dimensioni”. Nell’anno precedente alla pandemia da Covid, afferma la Cgia, l’espletamento delle procedure amministrative ha sottratto al sistema delle imprese italiane 550 ore di lavoro, che equivalgono a un costo complessivo pari a 103 miliardi, di cui 80 sulle spalle delle Pmi e 23 su quelle delle grandi imprese.
Per quanto riguarda l’efficienza della Pa, utilizzando l’indice Institutional Quality Index (Iqi) concepito nel 2014 dall’Università di Napoli Federico II, la realtà territoriale più virtuosa d’Italia è Trento, con indice pari a 1; rispetto a 10 anni prima la provincia trentina ha recuperato due posizioni a livello nazionale. Seguono al secondo posto Trieste e al terzo Treviso. Appena fuori dal podio Gorizia, Firenze, Venezia, Pordenone, Mantova, Vicenza e Parma: nei primi 10 posti, otto province appartengono alla macro area del Nordest. In coda, infine, Catania, Trapani, Caltanissetta, Crotone e Vibo Valentia.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
GIULI AL MAXXI, BUTTAFUOCO ALLA BIENNALE, ORA QUELLA DI ANGELO CRESPI A BRERA (GIÀ UOMO DI DELL’UTRI AL “DOMENICALE”)
Vi ricordate la teoria delle illusioni di Leopardi? L’individuo ha bisogno di credere in qualcosa, anche se sono solo illusioni. Qualcuno si era illuso che il Governo di Centrodestra avrebbe posto fine all’occupazione urbi et orb(a) della Sinistra in Italia, che si perpetuava attraverso la formula, più inossidabile delle pentole inox, dell’amichettismo. Ebbene, se vi inquieta il Mes, se siete in ambasce per la politica internazionale del Governo, sulla Cultura potete stare tranquilli: i direttori dei musei non conoscevano la storia dell’arte e dell’architettura prima, con la sinistra, e non la conoscono nemmeno adesso, con la destra.
Questo è uno dei requisiti per dirigere istituzioni culturali e musei italiani; il secondo è quello dell’amichettismo declinato nella versione dell’appartenenza: sei dei miei, ti piazzo. Anche con le nomine di ieri alla direzione dei musei, il Paese del Gattopardo si conferma il Paese di Gatto Silvestro, quel simpatico gattone che sembra avvicinarsi al suo scopo ma, un po’ per sfortuna, un po’ per goffaggine, proprio non je la fa.
Credo che quasi nessuno dei nominati dal centrodestra in questi mesi alla guida di istituzioni d’arte sia laureato o abbia una abilitazione universitaria in Storia dell’arte o dell’architettura. Partendo da destra, la prima nomina è stata quella di Giuli al Maxxi (giornalista già alla destra del Fronte della Gioventù), poi quella di Buttafuoco alla Biennale (il musulmano autore di “Fogli Consanguinei” pubblicato da Franco Freda per “Aristocrazia Ariana”), ora quella di Angelo Crespi a Brera (già uomo di dell’Utri al “Domenicale”).
Fin qui la riconoscenza per aver indossato il fez. Tuttavia, per ricevere una direzione si può diventare italiani di destra anche ex-post, come il già direttore degli Uffizi Eike Schmidt che si è guadagnato così il museo di Capodimonte o aver quel legame istituzional-matatrelliano come Renata C. Mazzantini che ha curato “Quirinale contemporaneo”.
Nel giro di nomine Lega e Forza Italia appaiono desaparecidos, sebbene con la romana Alessandra Necci (spedita a Modena) ci avviciniamo a un’area liberale, ma di rito sangiulianesco. Si potrebbe dire che Agostino D’Orazio una laurea in Storia dell’Arte l’ha presa, ma Contemporanea con tesi sulla fotografia: l’hanno messo alla Galleria Nazionale dell’Umbria, non so se mi spiego. Simone Verde e pochi altri vantano un serio curriculum nel merito.
Come nei concorsi universitari, questi nomi escono da circa 800 individui che hanno risposto al bando e sono stati selezionati da una commissione sangiulianesca campano-romana che li ha valutati (la Costituzione prevede i concorsi pubblici, per questo sinistra e destra non li possono evitare). Bisognerebbe chiedere a questa commissione come, ad esempio Cecile Hollberg possa risultare con meno titoli dei promossi.
Ovviamente, come in università, in magistratura e in altri concorsi pubblici anche in quelli per direttori dei musei prima si sceglie il candidato e poi si fa un concorso: in università la legge consente di farlo proprio su misura, qui proprio all’olio di ricino. Rispetto ai tempi dei soprintendenti-direttori scelti dal sindacato, a quelli della Melandri scelti per amichettismo di sinistra e a quelli di Franceschini scelti per esterofilia globalista anche in questi tempi del fez non cambia niente: i concorsi sono sempre una inutile farsa.
Ai nuovi direttori, comunque, non è richiesto di sapere come si spolverano i libri antichi, come si conservano le tavole o i fondi oro: devono essere pronti a prestare ogni opera se il Governo chiede per passerelle internazionali (tipo il “Bacco” di Caravaggio alla kermesse sul vino), a realizzare iniziative mmmoderne per “svecchiare” i musei, devono attirare pubblico (cartoon, immersione, chat, Intelligenza artificiale in sostituzione dell’intelligenza normale…) , far scrivere i giornali e l’Istituto Luce di viale Mazzini.
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
SOLO CHE BONINO HA IL DENTE AVVELENATO SIA CON CALENDA (CHE RUPPE L’INTESA CON IL PD APPENA SIGLATA E LA LEADER RADICALE NON È RIUSCITA A RIENTRARE IN PARLAMENTO) CHE CON RENZI, CHE NEL 2014 NON LA VOLLE MINISTRO DEGLI ESTERI
Da qualche settimana, in vista delle Europee di giugno, Emma Bonino era corteggiatissima. La voleva Carlo Calenda e la strattonava dall’altra parte Matteo Renzi, determinati entrambi a fare coppia con la leader di +Europa per superare la soglia del 4%, sotto la quale nell’Europarlamento nessuno entra. Un pressing fastidioso. Così ieri Bonino ha deciso di prendere l’iniziativa e di guidare le danze.
L’ha fatto lanciando una «Proposta politica con la P maiuscola». Non un semplice patto elettorale per salvare le penne. ha invitato «riformatori e progressisti» a fare fronte comune per il rilancio dell’Unione con la realizzazione di un vecchio sogno: l’Europa federale. La mossa, assicura chi lavora con la leader di +Europa, avrebbe la benedizione di Emmanuel Macron desideroso di avere a Strasburgo alleati italiani sotto le insegne di Renew Europe. Obiettivo impossibile se +Europa, Azione e IV andassero divisi alle urne.
La reazione all’appello di Bonino di Renzi e Calenda, i due ex alleati ora arci nemici, è stata con toni diversi. «Condivido la riflessione di Emma. Gli Stati Uniti d’Europa sono la missione di Italia Viva. Noi ci siamo!», ha festeggiato Renzi. E Calenda, più tiepido e prudente: «Oggi Bonino ha scritto un appello che condivido dalla A alla Z. Ma il punto fondamentale è cercare l’accordo sul merito delle cosa». La ragione della cautela di Calenda, che tra i due contendenti è il meno amato da Bonino, è proprio Renzi. «Se lei apre pure a Iv, io non ci sto. Dopo i ripetuti tradimenti di Matteo, tornare alleati è impossibile», ha confidato il capo di Azione.
C’è da dire che Bonino non è per nulla affascinata dalla prospettiva di essere coinvolta nella zuffa tra i due ex alfieri del Terzo Polo. Con Calenda la leader di +Europa ha il dente avvelenato: meno di due anni fa il capo di Azione ha stracciato l’intesa con il Pd appena siglata ed Emma non è riuscita a rientrare in Parlamento. E a Renzi, ammette un esponente di Iv, «non perdona di non averla voluta nel 2014 come ministro degli Esteri». Così Bonino non intende legarsi ad Azione e a Iv. E propone, attraverso Magi, un’alleanza aperta: «Non vogliamo fare la sommatoria di tre partiti, ci rivolgiamo a energie nuove». E nuovi non sono né Calenda, né Renzi. Ma i loro voti servono per approdare a Strasburgo il 9 giugno.
(da Messaggero)
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Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
CROLLANO LEGA E FORZA ITALIA
Tra novembre e dicembre il centrodestra ha visto un forte calo mentre il centrosinistra si è ripreso, anche se tra i due blocchi resta una forte distanza. Sono state quattro settimane pessime per la Lega e per Forza Italia, entrambi con almeno un punto perso nei sondaggi, mentre Fratelli d’Italia ha tamponato le perdite guadagnando qualche decimo. Al contrario, il Pd ha visto un deciso aumento, anche se resta a distanza dal primo posto. Ecco chi è salito e chi è sceso secondo il sondaggio politico elettorale realizzato da Ipsos per il Corriere della Sera.
Fratelli d’Italia avanza ancora ma il resto del centrodestra crolla
Fratelli d’Italia è salito al 29,3% guadagnando 0,8 punti nell’ultimo mese. Un buon dato – l’unico nella maggioranza – che riavvicina il partito di Giorgia Meloni alla soglia del 30% che aveva raggiunto in estate. E questo nonostante l’indice di gradimento del governo sia calato, e anche quello personale nei confronti della presidente del Consiglio: entrambi sono al 44%, mentre erano rispettivamente al 45% e al 46% un mese fa.
La Lega crolla dal 9,2% all’8% dei voti: è il calo più netto da mesi, e riporta il Carroccio di Matteo Salvini (che ieri ha registrato i dieci anni da segretario) a livelli di consenso che non erano così bassi da aprile. Nell’ultima settimana è partita ufficiosamente la campagna per le europee, ma evidentemente la Lega non è riuscita a catturare l’interesse degli elettori. Lo stesso vale per Forza Italia: 6,8%, con un punto netto rispetto a un mese fa. Chiude la coalizione Noi moderati, che passa dall’1,1% all’1%. Complessivamente, il centrodestra perde un punto e mezzo in un mese.
Il Partito democratico sale al 19% guadagnando un punto tondo rispetto a un mese fa. È una decisa risalita, dopo alcuni mesi di calo per il partito di Elly Schlein, che si conferma lo schieramento più forte nell’opposizione. Anche se Meloni e Fratelli d’Italia restano più in alto di dieci punti e al momento sembrano irraggiungibili.
Il Movimento 5 stelle resta piuttosto stabile: sale al 17,2% con un guadagno dello 0,2%, continuando la crescita lenta ma costante degli ultimi sei mesi circa. Settimana positiva per l’Alleanza Verdi-Sinistra: sale al 4% (+0,5%). Va male invece +Europa, dal 2,6% al 2,4%.
Tra i partiti di centro non ci sono sostanziali passi avanti: Azione di Carlo Calenda sale dal 3,1% al 3,2% mentre Italia viva di Matteo Renzi resta al 3,5% senza cambiamenti. Tra gli altri partiti, il sondaggio Ipsos rileva Italexit di Gianluigi Paragone (1,4%, -0,6%), Unione popolare di Luigi De Magistris (1,4% +0,2%) e Democrazia sovrana e popolare (1%, -0,2%).
(da Fanpage)
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Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
IL PADRE DENUNCIA LE CONDIZIONI DI ILARIA SOLIS, DETENUTA A BUDAPEST DAL REGIME DI ORBAN
Il padre di Ilaria Salis, la anarchica di Milano che è stata arrestata a Budapest quasi un anno fa, ha deciso di scrivere alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al presidente del Senato, Ignazio La Russa, e al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per denunciare le condizioni disumane in cui la figlia è costretta a vivere. Secondo una lettere che la donna avrebbe inviato alla figlia sarebbe costretta in una cella con topi e scarafaggi, dove il materasso è infestato di cimici e per un lungo periodo è stata anche “senza carta igienica, sapone e assorbenti “. “Quali rimostranze ufficiali sono state presentate alle autorità ungheresi?”, chiede il padre alle istituzioni italiane.
Ilaria Salis detenuta a Budapest
Ilaria Salis, milanese di 39 anni, appartiene al movimento anarchico ed è accusata di aver aggredito lo scorso 11 febbraio due neonazisti a Budapest, dove ogni anno si riuniscono centinaia di seguaci di Adolf Hitler in quello che viene chiamato, da loro, il Giorno dell’Onore. La manifestazione non è autorizzata, ma il governo presieduto da Viktor Orbán, l’amico di Giorgia Meloni, la tollera. I magistrati ungheresi la accusano anche di far parte di Hammerbande, il movimento tedesco che si propone di “assaltare i militanti fascisti”. Lei, però, ha sempre negato tutte le accuse.
Sta di fatto che da quasi un anno è trattenuta nel carcere di Budapest in attesa che inizi il processo, la cui prima udienza è fissata per il prossimo 29 gennaio. Lei rischia 16 anni di condanna e già su questo i familiari e i legali della donna chiedono un intervento del Governo italiano: “Sedici anni per due episodi di lesioni, guariti in 5 e 8 giorni: quali azioni diplomatiche sono state fatte per riportare le accuse all’effettiva gravità dei fatti?”, chiede il padre a Meloni, La Russa e Nordio.
La lettera del padre a Giorgia Meloni
Il padre Roberto Salis, di 64 anni, ha deciso di scrivere una lettera – pubblicata da La Repubblica – alla premier, al presidente del Senato e al ministro della Giustizia per chiedere un loro intervento non solo sulla mancata proporzionalità fra le accuse e la pena ma anche sulle condizioni in cui la figlia è costretta a vivere all’interno del carcere di Budapest e alla mortificazione che deve subire per partecipare alle udienze del processo.
A ottobre la figlia è infatti riuscita a mandare una lettera ai genitori in cui racconta il suo arresto: “Oltre alle manette, qui ti mettono un cinturone di cuoio con una fibbia a cui legano le manette, anche i piedi sono legati tra loro: due cavigliere chiuse con due lucchetti e unite tra loro da una catena di 25 centimetri. Poi mettono un’ulteriore manetta a un solo polso, a cui è fissato un guinzaglio di cuoio tenuto in mano dall’agente della scorta, si rimane legati così durante tutta l’udienza e l’esame svolto dall’antropologo”.
E in carcere, se possibile, la situazione è ancora peggiore: “Mi sono trovata senza carta igienica, sapone e assorbenti, perché sfortunatamente avevo anche il ciclo, fino al 18 febbraio (il suo arresto risale all’11, Ndr)”. Ma le sue condizioni di vita non sono migliorate neanche nei mesi successivi: “Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica”.
Ilaria Salis è anche costretta a partecipare alle udienze in modo indecoroso: “Sono stata costretta a indossare abiti sporchi e un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia, ho dovuto partecipare all’udienza di convalida così abbigliata”. Il Governo italiano, però, per ora non sembra volersi occupare di questa cittadina. La sprezza del padre è che, dopo la sua lettera, qualcosa possa cambiare.
(da Fanpage)
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Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA HA DIMOSTRATO CHE LE SUE ACCUSE ERANO FALSE… GIULIANI HA I SOLDI PER PAGARE? LUI HA DICHIARATO DI ESSERE FINITO SUL LASTRICO
Rudy Giuliani, avvocato tuttofare di Donald Trump, dovrà pagare un risarcimento di 148 milioni di dollari a due addette ai seggi in Georgia che gli hanno fatto causa, perché accusate ingiustamente di aver falsato le elezioni presidenziali del 2020. Lo ha stabilito una corte federale di Washington Dc. L’ex sindaco di New York, e tra i maggiori sostenitori di accuse di brogli, era imputato nel processo per diffamazione che si era aperto lunedì.
Le due addette ai seggi, Ruby Freeman e Wandrea ArShaye Moss, avevano sostenuto in aula come le accuse di Giuliani avessero distrutto la loro reputazione, finendo per sottoporle a una raffica di insulti e minacce. Nel 2020 l’ex avvocato di Trump aveva diffuso un video ripreso da una telecamera interna di un seggio di Fulton County, in Gerogia, per dimostrare come due donne stessero scansionando schede elettorali in maniera fraudolenta, per attribuire i voti a Joe Biden. Un’indagine avviata dall’amministrazione locale non aveva trovato anomalie. Un rappresentante dell’ufficio del segretario di Stato della Georgia, retto da un repubblicano, aveva definito le accuse “false e inconsistenti”.
La giuria popolare, formata da otto persone, ha raggiunto il verdetto di colpevolezza dopo circa otto ore di camera di consiglio. I legali delle due donne avevano chiesto un risarcimento totale di 47 milioni di dollari, quasi 24 a testa, ma la sentenza del giudice è stata molto più pesante: 73 milioni di dollari andranno per il danno morale e lo shock emotivo provocato alle vittime, a cui si aggiungono 75 milioni per il comportamento scorretto. Non ci sono, al momento, immagini di quale sia stata la reazione emotiva di Giuliani al momento della lettura della sentenza. Restano le parole pronunciate fuori dal tribunale: “Sono certo – ha dichiarato l’ex sindaco di New York – che un tribunale onesto annullerà la decisione”.
Il suo avvocato ha annunciato che farà ricorso in appello, ma la domanda che adesso si fanno tutti è una sola: l’ex procuratore di ferro ha i soldi per pagare il risarcimento? […] anche la corte sarebbe all’oscuro dell’ammontare delle sue ricchezze. Lui ha sempre dichiarato di essere finito sul lastrico, anche per via di un costosissimo divorzio.
L’appartamento a Manhattan, vicino a Central Park, del valore di 6,5 milioni di dollari, è stato messo in vendita in estate e il suo ex avvocato gli ha fatto causa, per il mancato pagamento di onorari per 1,3 milioni.
Trump gli ha fatto arrivare, nei mesi scorsi, 350 mila dollari attraverso un comitato politico affiliato al tycoon, e ha tenuto nel suo resort in New Jersey una cena con ingresso da 100 mila dollari per raccogliere fondi da destinare al vecchio amico. Ma l’evento non sembra essere andato molto bene
(da agenzie)
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Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
LA PRIMA E’ IL PASSATO, LA SECONDA IL PRESENTE
Fa sorridere lo “scandalo” del dirigente Rai che partecipa da militante alla festa di partito Atreju e parla da quello che è (un militante di partito), rendendo esplicito ciò che tutti sanno: la Rai è stata occupata per lungo e per largo da meloniani e salviniani (due sfumature di nero) con una protervia che con il termine “lottizzazione”, democristiano e dunque ipocrita, ha ben poco da spartire.
La lottizzazione è il passato, l’occupazione il presente, e fanno pena i velami formali, i codici aziendali, i rimbrotti a cose fatte e a giochi chiusi.
La Rai non è più, di fatto, un’azienda pubblica — se non per l’assetto istituzionale e gli introiti — è un’azienda governativa, e la differenza è così macroscopica che non c’è nessun bisogno di spiegarla.
Chi dice che “è sempre stato così” mente sapendo di mentire. Non è MAI stato così. Non in questa misura. Non con questa faccia tosta, che autorizza il tizio di turno (in teoria e in pratica un dipendente pubblico) a fare lo sbandieratore di Giorgia Meloni senza nemmeno il dubbio che sarebbe conveniente non essere così espliciti, se si ricopre un ruolo almeno formalmente “pubblico”, ovvero di tutti.
Questi qui sono de coccio, come si dice a Roma. Impermeabili a qualunque dubbio, o scrupolo, o esitazione. Sicuri di incarnare una missione (ribaltare la Repubblica, dunque cancellare non solamente la sinistra, anche l’antifascismo dal quale la Repubblica è nata) e forti di un assoluto disprezzo per “gli altri”.
Gli altri, in quanto disprezzati, dovrebbero teoricamente unirsi, e compattare le opposizioni. Ne avete per caso notizia?
(da La Repubblica)
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Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
MELONI E I SUOI PAIONO VOLER MANDARE VIA TUTTI, PER FORSE PER TIMORE CHE QUALCUNO LI POSSA NUOVAMENTE RICACCIARE FUORI
Una decina di anni fa, nel pieno della Parentopoli che stava squassando la giunta di Gianni Alemanno, un fedelissimo del sindaco ammise a labbra strette l’errore politico che gli ex fascisti stavano commettendo. «Forse diamo l’idea di essere affamati», disse l’allora amministratore delegato dell’Atac giustificando le (854) assunzioni all’Atac di ex terroristi neri, parenti, mogli e amici degli amici.
Un’ingordigia che in pochi mesi portò all’occupazione sistematica di ogni centimetro quadrato dell’amministrazione della capitale, e che di rimbalzo – tra scandali e inchieste – provocò il declino rapido di quell’esperienza politica.
Talmente nefasta che i cittadini di Roma non sono riusciti ancora a dimenticarla: da Ignazio Marino a Virginia Raggi e Roberto Gualtieri votano chiunque, ma non la destra. La triste parabola di Alemanno dovrebbe servire come monito a Giorgia Meloni.
Perché oggi l’abbuffata invereconda degli ex missini vincitori si sta replicando a livello nazionale, con un’arroganza e con stilemi assai simili a quelli dei predecessori romani. Anche l’origine pavloviana dell’avidità sembra la stessa: i Fratelli d’Italia che hanno conquistato Palazzo Chigi reagiscono con l’occupazione selvaggia all’esclusione coatta dai sistemi di potere, da cui sono stati tenuti ai margini per decenni.
Entrati nelle stanze dei bottoni, Meloni e i suoi paiono ora volere mandare via tutti quelli che c’erano dentro, forse per timore che qualcuno li possa nuovamente ricacciare fuori. Meloni nega che le sue decisioni egemoniche nascano da desideri di vendetta o rivalsa, e discetta di normale spoils system basato su “merito” e “capacità individuali”.
Ma in questo primo anno di governo di normale o meritorio nella sottomissione scientifica della Rai, dei dicasteri, dei poteri terzi e delle authority indipendenti c’è stato ben poco. Viale Mazzini è stata brutalizzata dalla lottizzazione con metodi mai visti prima.
Perfino Rai 3, casamatta della sinistra pura ai tempi di Berlusconi, è stata azzannata dai meloniani. I vertici dell’azienda pubblica hanno concepito una programmazione che ha un unico compito: non quello di fare servizio pubblico né quello di ottenere share, ma una propaganda costante che provi a mantenere alto il consenso del governo e della premier.
In questo quadro non sorprende che a un alto dirigente di Viale Mazzini scappi alla festa di FdI Atreju che lui non è solo un uomo azienda, ma parte integrante del partito di maggioranza relativa. L’estrema destra ha piazzato i suoi fedelissimi in ogni angolo dei ministeri, nei musei più importanti del paese (presto ci sarà una tornata di nomine decisive), alla Biennale, nelle società di stato, senza studiare la qualità del curriculum dei cooptati (la tragicomica vicenda del teatro Mercadante di Napoli è emblematica, così come l’ingresso del figlio di La Russa nel cda del Piccolo), ma solo il grado di fedeltà ai capi-partito.
Tema che presto si riproporrà per le nomine di due aziende fondamentali come Fs e Cdp, i cui vertici scadono tra pochi mesi. La fame però porta spesso a scelte miopi, che alla lunga rischiano di minare proprio quel consenso popolare a cui Meloni tiene più di ogni cosa.
Nominare sorella e cognato ai vertici del partito e dell’esecutivo è mossa aggressiva che forse può placare una smania di controllo nel breve, ma nel lungo porta inevitabilmente guai. Politici e giudiziari.
Il caso di Francesco Lollobrigida ne è un emblema, come quello dell’ex avvocato di Meloni, il sottosegretario Delmastro, o dell’amica Daniela Santanchè, promossa ministro nonostante inadeguatezza manifesta e conflitti di interessi macroscopici.
La fame atavica e l’insicurezza politica sviluppano poi sindromi da accerchiamento, che portano a moltiplicare nemici veri o presunti (dai magistrati all’Europa, dagli intellettuali alle lobby Lgbt+ a Mario Draghi), e a escludere dalla sala macchine chi è capace da sempre di muovere le leve.
Un modus operandi che ha due conseguenze. Mettere in posizioni di comando chi non conosce il manuale d’istruzioni e manda a sbattere la macchina, e tenere ai margini il deep state non conformato ma abituato da sempre a cogestire potere insieme a chi di volta in volta vince le elezioni, come avviene in qualsiasi democrazia funzionante. Chi ha troppa fame tende a lasciare agli altri le briciole. Ma è una strategia politica che – escluse le democrature – alla lunga non paga
(da editorialedomani.it)
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Dicembre 16th, 2023 Riccardo Fucile
DOHA A INVESTITO 250.000 EURO PER LA CAMPAGNA ELETTORALE DELLA COMI
In un verbale d’interrogatorio inedito, il compagno di Eva Kaili rivela che Doha ha investito 250mila euro per la campagna elettorale di Comi alle europee del 2019. E che lui le ha personalmente consegnato la metà della cifra in contanti, nascosta in sacchetti di plastica.
«Lara Comi ha ricevuto 125mila euro da parte mia». Il nome dell’europarlamentare di Forza Italia era stato finora accostato al Qatargate solo per alcune dichiarazioni poco chiare di Antonio Panzeri: nessuna accusa di aver preso denaro proveniente da Doha.
Ora emerge però una novità. Davanti agli investigatori, che lo indagano di corruzione e riciclaggio, Francesco Giorgi si è autoaccusato di aver consegnato personalmente a Comi 125mila euro in sacchetti di plastica, nel suo appartamento di Bruxelles, a Rue de la Tulipe. Erano soldi provenienti dal Qatar, ha detto l’assistente parlamentare italiano, e servivano per la campagna elettorale del 2019.
DAL QATAR 1,2 MILIONI PER LE EUROPEE
Finora era stato solo Panzeri a citare Comi. Il 13 febbraio del 2023, dopo essersi “pentito” con la Procura belga ammettendo di aver preso tangenti da Qatar, Marocco e Mauritania, l’aveva menzionata tra i politici scelti per continuare la sua opera a partire dal 2019, cioè da quando lui non sarebbe più stato europarlamentare: «C’è stato un incontro a Doha, a marzo o aprile del 2019 – aveva dichiarato Panzeri agli inquirenti – C’erano il ministro Al Marri, Francesco Giorgi, l’algerino e io, Andrea Cozzolino, Lara Comi. Penso che Eva Kaili fosse presente, ma non sono sicuro al 100%. Ad ogni modo la decisione presa, in termini di denaro per i deputati, includeva anche lei. Al termine, i qatarini hanno deciso di mettere a disposizione per le campagne elettorali dei tre, 250 mila euro per ciascuno. Ed è stato fatto».
L’affare prevedeva anche 250 mila euro per Panzeri e 250mila per Giorgi, per una spesa complessiva di 1.250.000 euro. «I soldi sono stati consegnati cash a casa di Giorgi e da lui distribuiti», aveva dichiarato Panzeri, aggiungendo che Giorgi «ha distribuito questi soldi a tutti, me compreso (250.000 euro). Li ha dati a Eva e ad Andrea». Questo si legge nel verbale, dove Comi non viene citata. Nello stesso interrogatorio Panzeri aveva chiarito un’altra delle conversazioni intercettate. Nella primavera del 2019 Comi, che da lì a poco avrebbe saputo di essere indagata dal Procura di Milano nell’inchiesta “mensa dei poveri”, lo aveva chiamato per recuperare una borsa a casa sua a Bruxelles. Lui l’aveva fatto e dentro aveva trovato 60-70 mila euro in contanti. Ma aveva deciso di buttare tutto nella spazzatura: questo ha dichiarato Panzeri sotto giuramento, specificando che alla fine i 250mila euro del Qatar non sono andati alla Comi.
LA VERSIONE DI GIORGI
La versione di Giorgi, invece, mette al centro della presunta corruzione proprio l’eurodeputata di Forza Italia. La notizia è contenuta nel verbale dell’interrogatorio a cui lo stesso Giorgi è stato sottoposto il 27 aprile scorso: un documento analizzato da Domani e raccontato in “QatarGate”, libro scritto dai giornalisti Joël Matriche e Louis Colart, che uscirà in francese il 24 gennaio. Giorgi chiarisce innanzitutto la quantità di soldi negoziata con il Qatar da lui e Panzeri per fare lobbying in Ue. L’accordo prevedeva un pagamento di 4,5 milioni di euro spalmato in sei anni, dal 2019 al 2024. Il 40% di questa cifra dove andare allo stesso Giorgi, il restante 60% a Panzeri.
Non è chiaro se ci siano stati pagamenti anche prima del 2019, quando Panzeri era europarlamentare e Giorgi il suo assistente. Di sicuro il patto si è interrotto nel gennaio 2022, dopo gli arresti della polizia belga. Nei primi anni di attività gli impegni sono stati però numerosi. Una delle principali operazioni era stata proprio quella di preparare una successione. Per questo fu organizzato l’incontro a Doha con i candidati all’europarlamento. Da qui in poi, però, le versioni di Panzeri e Giorgi divergono. Panzeri si dice sicuro che 250mila euro fossero destinati anche a Kaili, la compagna di Giorgi. Giorgi nega e ribatte autoaccusandosi di aver consegnato 125mila a Comi.
Di fronte alla rivelazione la polizia giudiziaria chiede a Giorgi più informazioni. Lui risponde: «Preferisco fare queste dichiarazioni più tardi». Non sappiamo se l’italiano sia stato interrogato nuovamente. Sulla vicenda Comi, però, ha lasciato molte delle sue idee in un appunto sequestratogli dalla polizia a fine aprile scorso, quando era ai domiciliari: «Contrariamente a quanto ha detto nelle dichiarazioni del 13 febbraio», si legge, «Panzeri è al corrente che Lara Comi ha preso la metà dei 250k per la sua campagna…Lei viene selezionata da Panzeri per il Qatar perché 1) sarà sicuramente eletta 2) ha una relazione con lui 3) fa parte del PPE (Partito Popolare Europe, ndr), così ha la maggioranza nel PE (Parlamento Europeo, ndr) con SD (Socialisti&Democratici, ndr) 4) è italiana». E ancora: «Come da accordi, su richiesta di Antonio lei viene a recuperare i soldi a la Tulipe. 125K la metà, perché non ho la disponibilità al momento e mi chiede di recuperare l’altra metà a Milano».
GIOCO DELLE COPPIE
Giorgi accusa dunque Panzeri di non aver detto tutta la verità su Comi. «Vuole provare a farvi credere che i soldi che ha recuperato a casa sua sono quelli dello scandalo di Milano», scrive nell’appunto. Nel periodo dei presunti soldi ricevuti dal Qatar, Comi stava in effetti per essere travolta dal caso giudiziario Mensa dei Poveri. Il 15 maggio del 2019 i giornali scrivono che è indagata. Da lì a pochissimo ci sono le elezioni europee. Comi non ce la farà: risulterà la prima dei non eletti. Il 14 novembre viene messa agli arresti domiciliari. Nel suo appunto Giorgi scrive: «Dopo qualche tempo si viene a sapere che Lara Comi è stata arrestata in Italia – panico tra me e Panzeri. Lui si occupa di recuperare i soldi a casa sua e porta i soldi a casa mia per utilizzare l’immunità di Eva». Secondo Giorgi, dunque, quei 60-70mila euro presi da Panzeri a casa di Comi e buttati nella spazzatura, in realtà non sono mai stati gettati via. Sono stati portati a casa sua e di Kaili (che in quanto parlamentare godeva di immunità) perché parte delle tangenti qatariote, e fatte sparire nel timore che la Procura di Milano potesse ordinare una perquisizione nella casa di Bruxelles per la vicenda mensa dei poveri.
Comi non ha risposto alle domande che le abbiamo inviato tramite il suo avvocato. Il 23 ottobre di quest’anno, per la vicenda Mensa dei Poveri, è stata condannata in primo grado dal Tribunale di Milano a 4 anni e due mesi per corruzione, false fatturazioni e truffa. È tornata al Parlamento europeo il 7 novembre 2022, subentrando a Silvio Berlusconi.
(da agenzie)
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