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LA POLITICA E’ SOLO LA CONTINUAZIONE DEL BUSINESS CON ALTRI MEZZI: MATTEO RENZI È IL SENATORE PIU’ RICCO CON UN REDDITO DI 3,2 MILIONI DI EURO (SOMMANDO LE ULTIME CINQUE DICHIARAZIONI DEI REDDITI COMPLESSIVAMENTE HA DICHIARATO 7,5 MILIONI)

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

AD ARRICCHIRLO, CONVEGNI, SEMINARI, INTERVENTI E CONFERENZE IN GIRO PER IL MONDO: DALL’ARABIA SAUDITA DI MOHAMMAD BIN SALMAN (CONSIDERATO DAGLI USA IL MANDANTE DELL’ASSASSINO DEL GIORNALISTA KHASHOGGI) ALLE UNIVERSITÀ AMERICANE, PASSANDO PER LOBBY E GRUPPI IMPRENDITORIALI CHE LO VOGLIONO SENTIRE SUI TEMI PIÙ SVARIATI

La crescita vertiginosa del suo reddito è stata in questi anni inversamente proporzionale alle fortune politiche. Quando Matteo Renzi nel 2017 da segretario del Partito democratico sventolava a favore di telecamere il suo conto in banca con appena 15 mila euro, non era nemmeno parlamentare e aveva un reddito annuo di 28 mila euro: meno di un insegnante. […] Poi in Parlamento ci si è seduto lui e oggi è il più ricco di Palazzo Madama con un reddito pari a 3,2 milioni: sommando le ultime cinque dichiarazioni dei redditi complessivamente ha dichiarato 7,5 milioni.
Non male per un senatore “semplice”, inteso che non ha mai guidato aziende o lavorato in studi professionali. Matteo Renzi da quando siede sugli scranni del Senato ha spiccato il volo con la sua partita Iva. Facendo soprattutto convegni, seminari, interventi e conferenze in giro per il mondo: dall’Arabia Saudita di Mohammad bin Salman (considerato dagli Usa il mandante dell’assassino del giornalista Khashoggi) alle università americane, passando per lobby e gruppi imprenditoriali che lo vogliono sentire, a porte chiuse molte volte, sui temi più svariati: l’intelligenza artificiale, la globalizzazione, l’ambiente, l’economia, l’Europa, l’Occidente e il «nuovo rinascimento » che lui vede in Medio Oriente, lì dove ci sono molti soldi come l’Arabia Saudita appunto.
Rispetto alla dichiarazione dei redditi del 2022 (su compensi 2021) ha fatto un bel salto: passando da 2,5 milioni, a 3,2 milioni. Dal suo entourage spiegano che alla fine dello scorso anno ha partecipato a molti convegni e conferenze in America. Ma non solo. Negli ultimi mesi del 2022 Renzi, ha fatto un tour che ha toccato tre continenti: andando a tenere conferenze e incontri a Tokyo, Atene, Miami, Riad, le Bahamas, Zurigo, Londra, Bangkok, Cipro, tra le altre città, e anche alla Standford University.
I compensi si aggirerebbero intorno ai 50 mila euro per un suo intervento, si dice, ma senza conferme da parte dell’interessato che sottolinea spesso, a chi gli chiede lumi in materia, come anche negli altri Paesi dei parlamentari vengano retribuiti per conferenze e con parcelle maggiori. Di certo c’è che con la sua partita Iva e lo stipendio da senatore nel 2019 ha dichiarato 796 mila euro (rispetto ai 28 mila euro dell’anno precedente): qui il salto è giustificato anche dai diritti per il documentario su Firenze, andato in onda su Nove, pagati dalla società del manager tv e suo grande amico Lucio Presta: soldi che serviranno a Renzi per ripagare a sua volta la madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli che gli aveva fatto un prestito utilizzato dal senatore per comprare una villa sulle colline attorno piazzale Michelangelo a Firenze del valore di circa 1,3 milioni.
Nel 2020 Renzi dichiara un reddito imponibile di un milione di euro, nel 2021 scende a 488 mila euro, nel 2022 sale a 2,5 milioni (un milione di euro arriva solo da enti dell’Arabia Saudita secondo una sos di Bankitalia) fino ai giorni nostri con 3,2 milioni nell’ultima dichiarazione. Renzi da pochi mesi ha aperto la Ma.Re adv srl, a sua volta partecipata al 100 per cento dalla Ma.Re holding srl di cui ha una quota anche il figlio.
Questa società offrirà anche altri servizi alle imprese: come «organizzazione e riorganizzazione dell’indebitamento, attività di marketing e gestione di approvvigionamenti di beni da fonte esterna». Mentre il partito che guida non si schioda dal 2-3 per cento.
(da la Repubblica)

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“IL NOSTRO SCOPO È DIVIDERE LE RELAZIONI TRA STATI UNITI ED EUROPA”: LE CHAT TRA DANIEL WOO, 007 DI PECHINO, E IL POLITICO BELGA FRANK CREYELMAN, SEPARATISTA FIAMMINGO DI ESTREMA DESTRA CHE PER OLTRE TRE ANNI È STATO A LIBRO PAGA DELLA SPIA CINESE

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

IL CASO È ESPLOSO DOPO L’INCHIESTA DI “SPIEGEL”, “LE MONDE” E “FINANCIAL TIMES”, CHE HANNO SCOPERCHIATO I TENTATIVI DEL “DRAGONE” INFLUENZARE A PROPRIO FAVORE LE DISCUSSIONI IN EUROPA… IL BELGA POTREBBE NON ESSERE L’UNICO

La notizia in Belgio ha fatto scalpore: Frank Creyelman, ex parlamentare del partito fiammingo populista di destra Vlaams Belang, per oltre tre anni è stato a libro paga di Daniel Woo, un ufficiale dell’agenzia di spionaggio del Ministero della Sicurezza di Stato cinese, per influenzare a favore di Pechino le discussioni in Europa
A far esplodere il caso è stata un’inchiesta condotta da Der Spiegel , Le Monde e Financial Times. La relazione tra il funzionario cinese e il politico belga è documentata in messaggi di testo dal 2019 alla fine del 2022 che i tre media hanno ottenuto da una fonte di sicurezza occidentale. In un messaggio Woo scrive a Creyelman che «il nostro scopo è dividere le relazioni tra Stati Uniti ed Europa». Il Financial Times riporta che « mentre il cancelliere tedesco Olaf Scholz stava per visitare la Cina alla fine del 2022, Woo chiese a Creyelman di convincere due membri di destra del Parlamento europeo a dire pubblicamente che gli Stati Uniti e il Regno Unito stavano minando la sicurezza energetica europea». Creyelman è stato espulso dal Vlaams Belang «con effetto immediato».
Viene anche riferito che «l’ufficiale cinese ha fatto riferimento ai tentativi passati di prendere di mira Martin Selmayr, ex segretario generale della Commissione europea, che un tempo era tra i funzionari più potenti di Bruxelles». Non ci sono prove — prosegue il quotidiano — che la Cina abbia avuto successo nel tentativo e Selmayr, che ora guida la rappresentanza della Commissione Ue in Austria, «ha negato con veemenza di essere a conoscenza della situazione».
(da agenzie)

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MASSIMO CACCIARI RICORDA TONI NEGRI: “IL SUO PENSIERO E’ PRASSI: QUANTO PIÙ È RADICALE, QUANTO PIÙ ESIGE DI PROCEDERE AL FONDO DELLA COSA, TANTO PIÙ È OBBLIGATO A MANIFESTARE IL PROPRIO PUNTO DI VISTA, LA PROPRIA PARZIALITÀ”

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

“NON ESISTE OBBIETTIVITÀ ASTRATTA NEL MULTIVERSO DELL’AGIRE UMANO: VIVENDO AL SUO INTERNO SEI CHIAMATO A DECIDERE DA CHE PARTE STARE”

È morto un filosofo di rilievo internazionale, uno dei pochissimi italiani contemporanei a esserlo, amico e collaboratore dei Deleuze, dei Matheron, dei Guattari, autore di opere che hanno segnato la discussione politica come Empire, pubblicato con Hardt dalla Cambridge University Press nel 2000 e tradotto in tutte le lingue (in Italia per Bur con il titolo Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione). Augurabile che tutti coloro che vorranno parlare della scomparsa di Toni Negri lo sappiano e lo ricordino, augurabile che gli interventi sulla sua fine non si riducano alla miserabile misura delle cronache nostrane.
Se si dovrà, come anche si dovrà, parlare della sua storia politica, che ciò avvenga all’altezza delle tragedie dell’epoca che ha, e abbiamo, attraversato tra anni Sessanta e Ottanta, senza tirare ancora in ballo le follie giuridico-storiografiche di chi lo indicò come ispiratore, se non addirittura “grande vecchio”, del terrorismo brigatista. Follie che gli costarono anni di galera e di esilio – e ad altri anche peggio.
Certo, il pensiero di Toni Negri è prassi. Ma nel senso profondo che il pensiero quanto più è radicale, quanto più esige di procedere al fondo della cosa, tanto più è obbligato a manifestare il proprio punto di vista, la propria parzialità. Non esiste obbiettività astratta, impossibile là dove il proprio oggetto siano le forme di vita, il multiverso dell’agire umano, delle sue intenzioni, dei suoi desideri. Vivendo al loro interno per conoscerle tu sei chiamato a deciderti – a decidere da che parte stare
Era l’atteggiamento fondamentale, e che appartiene per me all’autentica filosofia, proprio di Negri. Il pensiero, se è, è critico nella sua essenza. E cioè sta per natura dalla parte del “potere costituente” (Il potere costituente, Carnago, 1992), del potere che eccede ogni status quo, ogni determinazione statuale-istituzionale. Il concetto di democrazia vive soltanto se connesso a questa dimensione del potere, se mantiene viva, aperta la dialettica tra il sistema “costituito” e il movimento creativo e imprevedibile che incalza dalla moltitudine.
Moltitudine viene qui chiamato il proteiforme soggetto, il demos globale che l’Impero espropria di ogni “bene comune”, imprigiona nelle “leggi” dello scambio e del mercato, ma che tuttavia manifesta, per Negri, reali potenzialità rivoluzionarie, non solo capacità di mobilitazione (di “sommossa” avrebbe detto Marx). Soggetto del “potere costituente” era la classe operaia, che si organizza “eccedendo” il suo essere fora-lavoro, per l’operaismo degli anni Sessanta. Stagione chiusa con la grande trasformazione organizzativa, tecnologica, politica del capitalismo globale, dopo la fine della Guerra fredda.
Il pensiero rivoluzionario è destinato a divenire puramente escatologico, oppure è ancora in grado di informare di sé un potere costituente reale? Impossibile, risponde Negri, che possa finire. E qui si rivela il suo essere filosofo – impossibile perché appartiene alla nostra natura volere, volere inesauribilmente soddisfare il conatus che ci agita sempre (malgrado tutti i tentativi di metterlo a tacere): essere attivi, agire incondizionati, o condizionati soltanto dal nostro amore per l’altro, lavorare nel senso del creare, considerando la natura e i prodotti del nostro lavoro come beni comuni.
Il filosofo di questa idea radicale di democrazia è Spinoza – ma non solo lo Spinoza sovversivo del libro del 1981 (Anomalia selvaggia, Feltrinelli), anche quello della Parte V dell’Ethica, dell’amore intellettuale di Dio, dell’eternità, che Negri affronta in saggi successivi. Così scrive in una delle sue pagine più intense, del 1993: «L’idea di democrazia e quella di eternità si toccano, si misurano l’un l’altra».
Sì, ne sono certo, è qui il punto in cui si deciderà (o già è tutto deciso?) se globalizzazione può significare soltanto la religione dell’indefinito progresso da scopo a scopo, l’Impero delle grandi potenze economico-finanziarie fagocitante in sé ogni altra sovranità, oppure se invece dal suo stesso interno possono determinarsi contraddizioni tali da produrre nuovi soggetti e nuove prassi rivoluzionarie all’altezza della “rivoluzione” in atto nei rapporti sociali e di produzione.
Se questi nuovi soggetti emergeranno, il loro pensiero non potrà che muoversi in quel solco: concepire la democrazia come quel potere sempre costituente che vuol dar ragione dell’affermazione del valore eterno del nostro esserci.
Massimo Cacciari
per “la Stampa”

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COME USCIAMO DAL PANTANO DI GAZA? BIDEN SPINGE AFFINCHÉ ISRAELE SI CONCENTRI SULLA CACCIA AI CAPI DI HAMAS FERMANDO LE BOMBE SUI CIVILI

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

PER GESTIRE LA STRISCIA NEL POST-HAMAS, SI PUNTA A RIFORMARE L’ANP, CREANDO UNA SUCCESSIONE AD ABU MAZEN, E A RILANCIARE L’IPOTESI DEI DUE STATI

Riapertura del negoziato per la liberazione degli ostaggi; passaggio a una nuova fase dell’offensiva, concentrata su operazioni chirurgiche contro Hamas e la sua leadership; riforma dell’Autorità palestinese; individuazione di un meccanismo per garantire sicurezza e governo di Gaza quando non sarà più in mano ai terroristi; e utilizzo di tutti questi elementi come base per il ritorno al tavolo delle trattative finalizzate alla soluzione dei due Stati.
Sono gli elementi chiave della missione che Jake Sullivan ha condotto in questi giorni in Medio Oriente, secondo quanto hanno rivelato lo stesso consigliere per la sicurezza nazionale Sullivan è partito dall’Arabia Saudita, dove si è coordinato col principe Mohammed bin Salman. Poi il consigliere di Biden è andato nello Stato ebraico per incontrare il premier Netanyahu, il presidente Herzog, il ministro della Difesa Gallant e il capo del Mossad Barnea. ha sollecitato il passaggio a una nuova fase dell’offensiva, che smetta i bombardamenti a tappeto e si concentri sulla caccia ai leader di Hamas.
Biden lo ha confermato in pubblico, dicendo che non bisogna fermare la lotta ai terroristi, ma prestare più attenzione ai civili . Washington si aspetta che il passaggio avvenga presto, nel giro di un paio di settimane. Sullivan ha incontrato Barnea per riprendere il filo della liberazione dei circa 130 ostaggi rimasti nelle mani dei terroristi. L’accordo precedente era saltato perché Hamas si era rifiutato di rilasciare tutte le donne, sostenendo che alcune erano soldatesse dell’Idf. Secondo il sito Axios , lo scorso fine settimana le autorità del Qatar, che avevano gestito il negoziato, hanno contattato gli israeliani per sentire se erano interessati a riaprirlo.
Il gabinetto di Netanyahu aveva rifiutato, ma le reazioni negative lo hanno spinto a cambiare posizione. Così venerdì sera Barnea ha incontrato a Oslo il premier qatarino al Thani, per riprendere la trattativa sulla base del rilascio di tutte le donne e dei “casi umanitari”, in cambio di una tregua. Il vero obiettivo però è il rilascio degli uomini e dei soldati, considerati da Hamas le “prede” più importanti, in cambio di un cessate il fuoco più lungo. Il capo della Cia Burns e il collega egiziano Abbas Kamel sono coinvolti. Il negoziato è ricominciato e potrebbe mettere le basi per una soluzione duratura.
A questo scopo Sullivan è andato a Ramallah per discutere due cose: sicurezza e governo di Gaza dopo l’eliminazione di Hamas, e ripresa del cammino verso i due stati. Tutto passa attraverso la riforma dell’Autorità palestinese contro la corruzione e per l’efficienza, che dovrebbe comprendere la nomina di un vice di Abbas per preparare la transizione. Il governo potrebbe essere gestito con l’aiuto di Lega Araba, Paesi vicini o anche l’Onu.
Se questa strada si riaprisse, magari sul modello Unmik del Kosovo suggerito dal ministro degli Esteri italiano Tajani, il nome che inizia a girare al Palazzo di Vetro come possibile capo missione è quello del principe giordano Zeid Ra’ad Al Hussein, ex commissario per i diritti umani, che potrebbe risultare accettabile a tutti. Qualunque soluzione si individuasse per governare Gaza, riportando l’Anp al centro del gioco, diventerebbe poi l’embrione su cui ragionare per la soluzione dei due Stati.
(da La Repubblica)

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UN BELL’APPLAUSO AI MILIARDI

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

LA DESTRA MELONIANA AL SERVIZIO DELLE SPECULAZIONI DEL GRANDE CAPITALE FINANZIARIO

La parola “padrone” è stata rimpiazzata da molti eufemismi (forse il più corrente è “azionista di maggioranza”), quasi a dire che il concetto è arcaico. Fa pensare ai capitalisti in cilindro e marsina nelle vignette socialiste dei primi del Novecento.
O al capitalismo paternalista del boom italiano, con il re delle lavatrici che, con forte accento lombardo, dice agli operai “siete tutti miei ragassi”, a patto che non rompano troppo le balle con le rivendicazioni sindacali: basta rivolgersi direttamente al padrone-papà, e tutti i problemi si risolvono. Roba vecchia, insomma. Di un paio di generazioni fa, almeno.
Poi però, a rinverdire la figura del padrone a tutto tondo, è arrivato Elon Musk, che sotto la patina incantatrice della tecnologia reinterpreta, con vigore quasi ossessivo, la figura padronale classica: decido tutto io, niente sindacati in azienda, il licenziamento come pratica ordinaria, tutti al servizio dell’azienda e l’azienda al servizio solo di se stessa (il capitale come solo vero motore del mondo, così come lo raccontava Karl Marx).
È da considerarsi un atto chiarificatore il suo arrivo in pompa magna alla festa di Fratelli d’Italia. La destra sta con i padroni, da che mondo è mondo, e nessuno meglio di Musk, oggi, incarna quella figura.
Musk è l’uomo più ricco del mondo. Può permettersi di stabilire da solo ciò che un tempo stabilivano gli Stati (la conquista dello spazio, per esempio).
L’annosa disputa su “cos’è la destra, cos’è la sinistra” trova, grazie alla sua presenza a Roma, una risposta chiarificatrice: la destra è quella che invita e applaude l’uomo più ricco del mondo. Alla faccia del populismo, l’applauso va ai miliardi.
(da La Repubblica)

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NOI, SORVEGLIATI SPECIALI SOTTO CONTROLLO DI STATO

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

IL MANTRA POLVEROSO DI UNA SOCIETA’ DI DISEGUALI A CUI QUASI TUTTI ACCETTANO DI CONFORMARSI

Nel 1976 Michel Foucault pubblicò “Sorvegliare e punire”, un saggio che descrive la società in cui la prigione è solo una tessera del più ampio mosaico di un sistema sotto controllo. Una comunità in cui luoghi di lavoro o di svago, le scuole, le caserme, ogni istituzione sono sottoposte a una sorveglianza pervasiva. Tutto è vigilato, anche se in maniera diseguale: il controllore vede e sa. Sempre. Il controllato, invece, ignora quando lo spiano. Ma sa bene che c’è chi lo spia. Nella società del controllo il disagio è inevitabile per chi non segue il modello prefabbricato, predisegnato, preordinato. Chi segue le regole, sta bene. Chi non lo fa, soffrirà. Chi si normalizza e si muove nei giusti binari, sarà premiato. Chi non lo fa, sarà punito. Lo strumento per realizzare questa società binaria e controllata è, per l’appunto, l’identificazione. I documenti. La schedatura. Le informazioni. I dossier.
Esattamente quello che è successo a Marco Vizzardelli, l’estroso e ingenuo melomane che ha pensato di vociare dal loggione della Scala “W l’Italia antifascista”, lo scorso 7 dicembre, Sant’Ambrogio. Quel giorno codino in cui l’Italia codina assiste al rito codino di una rappresentazione di reciproco riconoscimento sociale delle élites. Il giorno della prima della stagione operistica del Teatro alla Scala di Milano esprime, da sempre e non solo con il governo delle destre, quel modello sociale binario: integrati/sovversivi. Uno schema culturale al quale non sfugge neppure l’ignaro loggionista: «Ho urlato perché in Italia sento un profumo di fascismo. Non volevo ascoltare l’Inno con un presidente del Senato che ha in casa il busto di Mussolini». Sic.
E così anche Vizzardelli ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità. Come in un romanzo di Kafka, ma in versione Lidl, lo raggiungono gli agenti della Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali, la Digos. Già il nome dovrebbe suscitare terrore e, per l’appunto, lo identificano. Gli chiedono i documenti e, quel che è peggio, lui li consegna. Anzi, li fotografa col suo telefonino (quello della polizia non funziona) e li invia, chinando di buon grado il capo alla propria normalizzazione. Intanto il culturame grida allo scandalo, al clima pesante del Paese, al fascismo che ritorna strisciante. A Vizzardelli è dedicata qualche apparizione nel santuario televisivo, un paio di editoriali benpensanti. I martiri da salotto esibiscono a favore di telecamera i loro documenti: si autoidentificano per un po’ di pelosa e veloce solidarietà all’urlatore loggionista. Ancora per qualche giorno seguiranno un altro po’ di strumentalizzazioni bigotte e poi, c’è da giurarci, ci si dimenticherà di questo perché qualcuno fermerà un altro treno in corsa, o perché qualcuno ha messo una stella rossa a sormontare l’albero di Natale della Capitale o perché qualcun altro ha messo liquido verde nei navigli. Invece quella richiesta di “identificazione” è grave. Gravissima. Perché denuncia un clima, è vero. Ma non un clima recente. Un clima che ha oramai troppi anni e al quale sembriamo assuefatti.
Quello in cui è obbligatorio avere con sé i documenti, anche se si passeggia per strada, anche se si mangia una pizza, anche se si dice un’ovvietà retorica in un teatro impomatato. Un mondo in cui dobbiamo continuamente essere visionati dalle telecamere, seguiti, verificati, controllati, tarati, giudicati. Normalizzati. Un modello sociale in cui chi si ribella al prototipo binario “bene/male” offerto dallo Stato, vivrà infelice. Ma è lo Stato stesso che si offre di correggere i sovversivi. Il più forte dispone, il più debole obbedisce. Chi grida in un teatro frasi un po’ banali ma vagamente allusive, va identificato, anche se bonariamente. Gentilmente sorvegliato. Messo sotto controllo perché potrebbe essere un deviante dal sistema. Ma non è una novità di questo governo di centro-destra, o di destra, o di destra destra. È il mantra polveroso di una società di diseguali al quale si conformano da troppo tempo tutti. O quasi.
(da TPI)

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IL POTERE DELLA MELONI: AD ATREJU VA IN SCENA LA DESTRA ADULTA CHE MESCOLA INSIEME TUTTO E L’INCONTRARIO DI TUTTO

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

DALLA POLITICA AL LOOK DA LEADER CHE OSPITA IL PERDENTE SUNAK E IL TURBOCAPITALISTA MUSK

Atreju 2023, ovvero: ecco a voi la destra adulta, post-berlusconiana, post-novecentesca, post-identitaria, post-tutto, che tiene insieme il miliardario americano e il neo-franchista spagnolo, l’ex cuoco di Massimo D’Alema e quello della Crazy Pizza a trenta euro, il padre grazie all’utero in affitto e il dibattito contro l’utero in affitto.
Tre suggestioni per capire il balzo che ha compiuto. Uno, la definitiva scomparsa del fashion panterato, quel tipo di presenza femminile che nel ventennio del Cavaliere aveva sempre un posto in prima fila: adesso che il potere è donna, meglio i jeans comodi. Due, il professionismo degli allestimenti che ha sostituito il fai-da-te, luci opulente, mercatino di Natale in legno, la pista di pattinaggio più grande e sicura vista a Roma, altro che covi e grotte di Colle Oppio. Tre, l’abbandono di ogni ossessione per “la linea”: qui si può essere thatcheriani e terzomondisti, col Piano Mattei e con l’America, con la Tesla e contro la Tesla: si può persino applaudire molto Paola Concia dopo averne richiesto solo una settimana fa la rimozione dal Comitato dei garanti per l’educazione alle relazioni nelle scuole.
La destra adulta riceve gli avversari sul palco con la magnanimità di un sovrano. Si capisce che ritiene un atto d’omaggio anche la polemica. Il ruolo di quello che gliele canta, in assenza di Elly Schlein e di Giuseppe Conte e data l’evidente liaison con Matteo Renzi, cerca di prenderselo Carlo Calenda. «L’accordo con l’Albania è una bufala». «Elon Musk è un ricco, viziato plutocrate digitale e quando parla come fosse dio l’orgoglio nazionale suggerirebbe di dargli una pedata nel sedere metaforica». Niente, Adolfo Urso chiama l’applauso, la platea affollatissima aderisce volentieri, e non è camaleontismo come ha scritto in una contestata nota Politico.eu, ma il riflesso automatico di un mondo finalmente soddisfatto: è al potere, è convinto di restarci molto a lungo, può mostrarsi generoso anche se qualcuno lo punzecchia.
La destra post-berlusconiana rimette a posto (cioè nell’angolo) Lega e Forza Italia con una prova di forza che fa impallidire i pratoni di Pontida e le feste di compleanno postume per numeri, popolo, ospiti eccellenti, ma anche con un’accurata regia degli interventi. Una maligna gestione del programma ha confinato gli alleati in posizioni piuttosto ininfluenti. Roberto Calderoli giovedì, nella giornata di apertura e in orario lavorativo, insieme ai presidenti di Regione: un dibattito faticoso persino per i militanti più abituati al cilicio. Stessa storia per i capigruppo Massimiliano Romeo, Riccardo Molinari, Paolo Barelli e Maurizio Gasparri, intruppati con i rappresentanti dei gruppi minori in un panel senza storia. Matteo Salvini e Antonio Tajani parleranno oggi, un quarto d’ora a testa, schiacciati tra l’atteso comizio incendiario di Santiago Abascal e le conclusioni di Giorgia Meloni. Per ottenere un titolo dovrebbero improvvisare uno strip tease.
La destra post-identitaria ha superato la sindrome di Calimero. Abbraccia il premier britannico Rishi Sunak, che poi sarà ricevuto da Meloni a Palazzo Chigi insieme con l’albanese Edi Rama, senza complessi, finalmente alla pari. È un perdente, osserva Renzi, «finirà come Vox e i polacchi». Probabilmente è vero, i sondaggi per i conservatori inglesi sono pessimi, ma chi se ne importa. Ora che il cavallo vincente è in casa e porta la casacca tricolore non si vive più di luce riflessa. Se una volta i grandi ospiti stranieri, Steve Bannon e Viktor Orban tra tutti, servivano soprattutto a dire «la destra prevale in America, la destra prevale in Ungheria, può farcela anche in Italia», adesso lo scopo degli inviti è un altro: mostrare la supremazia assoluta dell’esperimento nostrano e della sua giovane leader.
La destra post-novecentesca è assai meno preoccupata che in passato della fedeltà alla linea. Ha ormai proporzioni democristiane, appena sotto il trenta per cento nei sondaggi, e per conservarle deve allargarsi a ventaglio su uno spettro di idee e interessi enormi. Ad Atreju ha dimostrato che ci può riuscire. Il potere ammortizza ogni contraddizione, risolve ogni potenziale conflitto. Per dirne una Flavio Briatore può permettersi di dare dei ladri ai ristoratori italiani, accusandoli in blocco di fregare i turisti, e niente: non una Conf-qualcosa che gridi alla lesa maestà o chieda ritrattazioni. Per dirne un’altra, Elon Musk può salire sul palco da rockstar insieme con uno dei suoi bambini, due dei quali nati con la gestazione per altri, e invitare gli italiani a moltiplicarsi (presumibilmente con ogni mezzo, affitto d’utero compreso): non risulta una nota indignata di Pro Vita sull’esibizione.
Atreju 2023, insomma, racconta molto della destra post-tutto ma moltissimo anche dell’Italia che accorre, applaude, pattina, intorno al suo nuovo governo e alla sua nuovissima premier senza ripensamenti. Al momento va bene così, e le voci “dall’altra parte” – non durerà, vivono in un mondo diverso, decidano se stare con Budapest o con Bruxelles – sono solo rumore lontano, che non dà neanche fastidio: la festosa playlist della pista di ghiaccio, Battisti e Jingle Bell Rock, si mangia tutto.
(da La Stampa)

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TERRENI E PALAZZI STORICI: I CONFLITTI DI INTERESSE DEL SINDACO BRUGNARO

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

STASERA A REPORT L’INCHIESTA SUL SINDACO DI VENEZIA CHE HA VENDUTO IMMOBILI PUBBLICI A UN MAGNATE CINESE VIOLANDO LE PROCEDURE

Sponsor delle sue squadre che vincono appalti del Comune che guida. La trattativa per la vendita di suoi terreni a un imprenditore cinese che poi ha fatto acquisti di palazzi pubblici a Venezia, con una girandola di consulenze intorno a politici e componenti della sua giunta. I “presunti” conflitti di interesse del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro sono al centro di una nuova inchiesta di Report che andrà in onda oggi alle 21 su Rai Tre.
Una delle vicende affrontate riguarda le sponsorizzazioni, a partire da quelle che sostengono la sua squadra di basket, la “Reyer”. “Il Polo nautico San Giuliano, un appalto da 10 milioni di euro – racconta ai giornalisti Walter Molino e Andrea Tornago il consigliere comunale Marco Gasparinetti – è stato affidato a un’azienda che è sponsor della Reyer: doveva costarci 6 milioni e a furia di determine dirigenziali il costo è passato a 10 milioni. Il nuovo polo nautico è stato inaugurato pochi mesi fa dal sindaco Brugnaro. I lavori sono stati eseguiti a regola d’arte dalla Setten di Treviso, fino alla scorsa stagione top sponsor della Reyer”.
Ma il pilastro dell’inchiesta di Report riguarda la vicenda dei terreni Pili: una grande area alle porte di Venezia che andrebbe bonificata perché il sottosuolo è contaminato dai fosfogessi di Porto Marghera. Brugnaro nel 2005 compra all’asta i terreni, di proprietà dello Stato, a un prezzo stracciato: 12 euro al metro quadro. E vorrebbe farci il nuovo hub della mobilità della città: il problema è che occorrono 160 milioni per le bonifiche, che Brugnaro spera facciano ministero dell’Ambiente e Comune, tanto da avviare un contenzioso al Tar. Quando poi diventa sindaco assicura che non se ne occuperà: “Volevo evitare comunque che andassero a speculatori romani o milanesi”. Report invece ha ottenuto la testimonianza di un imprenditore che racconta una versione diversa. E mostrerà una foto di Brugnaro sindaco con Ching Chiat Kwong, magnate cinese specializzato in grandi operazioni immobiliari. A fare da tramite l’imprenditore Claudio Vanin, testimone di incontri per la vendita del terreno con il sindaco-imprenditore chiamato in causa nella doppia veste: “Secondo quanto racconta Vanin Brugnaro e mister Kwong dopo l’incontro al Casinò si sarebbero rivisti a casa di Brugnaro a progettazione finita, nei primi mesi del 2018”, dice Report.
L’affare dei Pili non va in porto, ma secondo il testimone ci sono altre partite che invece sono andate a buon fine. “Fin dal primo incontro del 2016 Brugnaro avrebbe chiesto a Kwong di comprare due palazzi storici del Comune di Venezia – dice Report – i due palazzi erano di proprietà del Comune di Venezia, e per venderli era necessaria una procedura pubblica. Il 15 luglio 2016 viene pubblicato l’avviso di vendita di Palazzo Don”à. Con una email di cui Report è entrato in possesso, un uomo di fiducia del magnate cinese assicura lo stesso Kwong: “Non ci saranno problemi ad aggiudicarla a te. Ho incontrato il braccio destro del sindaco e me l’ha confermato”. Alla fine l’unica offerta per Palazzo Donà è quella di Mister Kwong, che poi lo darà in affitto per 15 anni a Francesco Calzavara, anche se quest’ultimo non aveva presentato l’offerta migliore per gestirlo. Un imprenditore che tra le altre cose è anche assessore al bilancio e al patrimonio della Regione Veneto.
Kwong compra anche il palazzo Poerio Papadopoli, un edificio del ‘500 di proprietà del Comune. Una perizia del 2009 ne fissa il valore a 14 milioni di euro. Renato Boraso, allora assessore alla gestione del Patrimonio, presenta in giunta una nuova valutazione ma al ribasso di palazzo Papadopoli, che poi verrà comprato da Kwong. E tramite società di uomini legati all’imprenditore cinese, ma con base a Venezia, a Boraso sarebbe arrivata una consulenza: secondo l’imprenditore Claudio Vanin per servizi mai resi.
(da La Repubblica)

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DEL VECCHIO JR SI TUFFA NELLA RISTORAZIONE: APERTI TRE LOCALI A MILANO IN UN ANNO E ALTRI SONO IN ARRIVO

Dicembre 17th, 2023 Riccardo Fucile

IL QUARTOGENITO DEL FONDATORE DI LUXOTTICA PUNTA A FATTURARE 16 MILIONI L’ANNO… IN ITALIA ESISTE ANCORA QUALCHE IMPRENDITORE VERO, NON SOLO “PRENDITORI” DI SUSSIDI

Prima è toccato a Vesta, poi a Casa Fiori Chiari, ora alla Trattoria del Ciumbia. In poco più di un anno, quattordici mesi per l’esattezza, la Triple Sea Food ha aperto tre ristoranti in via dei Fiori Chiari, a Brera, nel cuore del centro storico di Milano. Dietro l’operazione commerciale c’è l’investitore di maggioranza della società, Leonardo Maria del Vecchio, quarto figlio dell’ex patron di Luxottica scomparso lo scorso anno.
Il giovane imprenditore classe 1995 ricopre già il ruolo di Chief Strategy Officer per l’azienda di famiglia ed è amministratore delegato di Salmoiraghi e Viganò. Il mondo degli occhiali però non gli basta. E così lo scorso anno Del Vecchio Jr. è entrato nella Triple Sea Food, di cui controlla il 78% tramite la sua holding Lmdv Capital.
Obiettivo: 16 milioni di fatturato all’anno
Dal suo ingresso in società, la Triple Sea Food ha premuto il piede sull’acceleratore. A settembre 2022, apre il ristorante di pesce Vesta. Ad aprile 2023 arriva il bis, con l’inaugurazione (a pochi metri di distanza) di Casa Fiori Chiari. E ora, giusto in tempo per le vacanze di Natale, la Triple Sea Food apre le porte del suo terzo locale nel quartiere Brera, con la milanesissima Trattoria del Ciumbia. L’obiettivo, fanno sapere dalla società, è far lavorare i tre ristoranti a pieno regime per arrivare a un giro di affari complessivo di 16 milioni all’anno. «Il fatturato dei primi due ristoranti supera il milione di euro al mese, in proporzione uno dei più alti del settore in Italia – spiega Marco Talarico, ceo di Lmdv Capital –. Casa Fiori Chiari raggiungerà il break-even prima ancora che sia passato un anno dall’inaugurazione, il Vesta entro due anni».
L’idea di espandersi anche in altre città
L’operazione della Triple Sea Food nasce da un’idea ben precisa: rendere Brera, uno dei quartieri più lussuosi di Milano, un distretto dell’alta ristorazione. I tre locali si trovano tutti nel raggio di 150 metri e sono collegati da un unico laboratorio che funge sia da centrale di acquisto che da struttura specializzata per pasticceria e pulizia del pesce fresco. «Un’altra scommessa è stato far capire che tre ristoranti affiancati di alto livello non si sarebbero fatti concorrenza, ma avrebbero allargato il mercato creando un distretto capace di attirare il nostro target e fissarsi nell’immaginario, un po’ come hanno fatto altri settori in città, a partire dalla moda», spiega Davide Ciancio, ceo di Triple Sea Food.
Con l’apertura della Trattoria del Ciumbia di questi giorni, i piani della società per il quartiere Brera sono al completo. L’avventura di Del Vecchio Jr nel mondo della ristorazione, però, potrebbe essere solo all’inizio. La società ha annunciato l’apertura di altri due ristoranti in altrettante città italiane ancora da svelare. A quel punto, confida il giovane imprenditore, l’idea è di allargarsi ad alcune località turistiche e, perché no, anche all’estero.
La famiglia Del Vecchio e la ristorazione
In realtà, Leonardo Maria non è l’unico della famiglia Del Vecchio ad aver investito nel settore della ristorazione e del food. Sua madre Nicoletta Zampillo, seconda moglie del fondatore di Luxottica, controlla infatti il 10% nella Kuiri Lab, una start-up che si occupa di kitchen sharing, cucine che si possono affittare per preparare pasti da consegnare a domicilio. La società è già attiva a Milano in tre location – in via Melchiorre Gioia, via California, via Plinio – e l’obiettivo è aprirne 60 in tutta Italia nel giro di un paio d’anni. A investire nella Kuiri Lab è anche Rocco Basilico, anche lui figlio di Nicoletta Zampillo ma da un precedente matrimonio, che ha comprato lo scorso anno il 5% della start-up. Se si guarda alla ristorazione vera e propria, Leonardo Maria è l’unico della famiglia Del Vecchio ad aver investito nel settore. E chissà cosa ne avrebbe pensato Papà Leonardo, morto poche settimane prima dell’apertura del primo ristorante a Milano. «Avrei voluto fargli una sorpresa – rivela il quartogenito del fondatore di Luxottica – facendogli trovare in tavola il suo piatto preferito: la pasta con le vongole».
(da Open)

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