IL POTERE DELLA MELONI: AD ATREJU VA IN SCENA LA DESTRA ADULTA CHE MESCOLA INSIEME TUTTO E L’INCONTRARIO DI TUTTO
DALLA POLITICA AL LOOK DA LEADER CHE OSPITA IL PERDENTE SUNAK E IL TURBOCAPITALISTA MUSK
Atreju 2023, ovvero: ecco a voi la destra adulta, post-berlusconiana, post-novecentesca, post-identitaria, post-tutto, che tiene insieme il miliardario americano e il neo-franchista spagnolo, l’ex cuoco di Massimo D’Alema e quello della Crazy Pizza a trenta euro, il padre grazie all’utero in affitto e il dibattito contro l’utero in affitto.
Tre suggestioni per capire il balzo che ha compiuto. Uno, la definitiva scomparsa del fashion panterato, quel tipo di presenza femminile che nel ventennio del Cavaliere aveva sempre un posto in prima fila: adesso che il potere è donna, meglio i jeans comodi. Due, il professionismo degli allestimenti che ha sostituito il fai-da-te, luci opulente, mercatino di Natale in legno, la pista di pattinaggio più grande e sicura vista a Roma, altro che covi e grotte di Colle Oppio. Tre, l’abbandono di ogni ossessione per “la linea”: qui si può essere thatcheriani e terzomondisti, col Piano Mattei e con l’America, con la Tesla e contro la Tesla: si può persino applaudire molto Paola Concia dopo averne richiesto solo una settimana fa la rimozione dal Comitato dei garanti per l’educazione alle relazioni nelle scuole.
La destra adulta riceve gli avversari sul palco con la magnanimità di un sovrano. Si capisce che ritiene un atto d’omaggio anche la polemica. Il ruolo di quello che gliele canta, in assenza di Elly Schlein e di Giuseppe Conte e data l’evidente liaison con Matteo Renzi, cerca di prenderselo Carlo Calenda. «L’accordo con l’Albania è una bufala». «Elon Musk è un ricco, viziato plutocrate digitale e quando parla come fosse dio l’orgoglio nazionale suggerirebbe di dargli una pedata nel sedere metaforica». Niente, Adolfo Urso chiama l’applauso, la platea affollatissima aderisce volentieri, e non è camaleontismo come ha scritto in una contestata nota Politico.eu, ma il riflesso automatico di un mondo finalmente soddisfatto: è al potere, è convinto di restarci molto a lungo, può mostrarsi generoso anche se qualcuno lo punzecchia.
La destra post-berlusconiana rimette a posto (cioè nell’angolo) Lega e Forza Italia con una prova di forza che fa impallidire i pratoni di Pontida e le feste di compleanno postume per numeri, popolo, ospiti eccellenti, ma anche con un’accurata regia degli interventi. Una maligna gestione del programma ha confinato gli alleati in posizioni piuttosto ininfluenti. Roberto Calderoli giovedì, nella giornata di apertura e in orario lavorativo, insieme ai presidenti di Regione: un dibattito faticoso persino per i militanti più abituati al cilicio. Stessa storia per i capigruppo Massimiliano Romeo, Riccardo Molinari, Paolo Barelli e Maurizio Gasparri, intruppati con i rappresentanti dei gruppi minori in un panel senza storia. Matteo Salvini e Antonio Tajani parleranno oggi, un quarto d’ora a testa, schiacciati tra l’atteso comizio incendiario di Santiago Abascal e le conclusioni di Giorgia Meloni. Per ottenere un titolo dovrebbero improvvisare uno strip tease.
La destra post-identitaria ha superato la sindrome di Calimero. Abbraccia il premier britannico Rishi Sunak, che poi sarà ricevuto da Meloni a Palazzo Chigi insieme con l’albanese Edi Rama, senza complessi, finalmente alla pari. È un perdente, osserva Renzi, «finirà come Vox e i polacchi». Probabilmente è vero, i sondaggi per i conservatori inglesi sono pessimi, ma chi se ne importa. Ora che il cavallo vincente è in casa e porta la casacca tricolore non si vive più di luce riflessa. Se una volta i grandi ospiti stranieri, Steve Bannon e Viktor Orban tra tutti, servivano soprattutto a dire «la destra prevale in America, la destra prevale in Ungheria, può farcela anche in Italia», adesso lo scopo degli inviti è un altro: mostrare la supremazia assoluta dell’esperimento nostrano e della sua giovane leader.
La destra post-novecentesca è assai meno preoccupata che in passato della fedeltà alla linea. Ha ormai proporzioni democristiane, appena sotto il trenta per cento nei sondaggi, e per conservarle deve allargarsi a ventaglio su uno spettro di idee e interessi enormi. Ad Atreju ha dimostrato che ci può riuscire. Il potere ammortizza ogni contraddizione, risolve ogni potenziale conflitto. Per dirne una Flavio Briatore può permettersi di dare dei ladri ai ristoratori italiani, accusandoli in blocco di fregare i turisti, e niente: non una Conf-qualcosa che gridi alla lesa maestà o chieda ritrattazioni. Per dirne un’altra, Elon Musk può salire sul palco da rockstar insieme con uno dei suoi bambini, due dei quali nati con la gestazione per altri, e invitare gli italiani a moltiplicarsi (presumibilmente con ogni mezzo, affitto d’utero compreso): non risulta una nota indignata di Pro Vita sull’esibizione.
Atreju 2023, insomma, racconta molto della destra post-tutto ma moltissimo anche dell’Italia che accorre, applaude, pattina, intorno al suo nuovo governo e alla sua nuovissima premier senza ripensamenti. Al momento va bene così, e le voci “dall’altra parte” – non durerà, vivono in un mondo diverso, decidano se stare con Budapest o con Bruxelles – sono solo rumore lontano, che non dà neanche fastidio: la festosa playlist della pista di ghiaccio, Battisti e Jingle Bell Rock, si mangia tutto.
(da La Stampa)
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