Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
GLI STUDENTI: “PIANTEDOSI DIMETTITI”… LA COLONNA SONORA E’ “CASA MIA” DI GHABLI… CHIESTE LE DIMISSIONI DEL MINISTRO DEGLI INTERNI
Bandiere della pace si alternano a quelle della Palestina mentre alle casse risuona il brano «Casa mia» presentato da Ghali al Festival di Sanremo. Davanti al Teatro dell’Opera, a pochi passi dal Viminale, a Roma, è iniziata la manifestazione «contro le manganellate» indetta dalla Rete degli studenti medi del Lazio per protestare contro i fatti di Pisa, Firenze e Catania. Palazzo superprotetto, con decine di agenti schierati e almeno 6 blindati, ma tutti a debita distanza dai manifestanti.
«Dimissioni, dimissioni, dimissioni…» urlano i manifestanti, che più volte hanno intonato «Bella Ciao». E dopo quasi un’ora di sit-in gli animi si scaldano e in tanti iniziano a chiedere di muoversi verso il Viminale: «Corteo! Corteo! Corteo!» chiedono in coro.
«Siamo qui per esprimere solidarietà per gli studenti aggrediti, ma soprattutto per dire che è un diritto essere liberi di essere in disaccordo con lo Stato», dice Miriam Giummo, responsabile dell’organizzazione Sinistra Universitaria, presente in piazza insieme alle altre sigle di collettivi studenteschi.
Oltre 2 mila i ragazzi presenti al sit-in, universitari e liceali, insieme «contro le manganellate» e per chiedere le dimissioni del ministro degli Interni Matteo Piantedosi: «Dimettiti!», si legge sui tanti cartelli dei manifestanti in risposta alle cariche della polizia sui ragazzi che nei giorni scorsi hanno marciato nei cortei pro Palestina di Pisa, Firenze e Catania.
Ad appoggiare con la loro presenza la presa di posizione degli studenti sono arrivati Giuseppe Conte, presidente del M5s, che avverte: «Al ministro dell’Interno abbiamo chiesto un’informativa urgente ma non vorrei scaricare sul singolo quella che è una responsabilità collettiva del governo, questo clima repressivo. E le dichiarazioni di esponenti di maggioranza lo confermano». C’è anche Nicola Zingaretti, deputato Pd ex governatore della Regione Lazio, che dice: «Noi e le forze dell’ordine, in ruoli diversi, abbiamo lo stesso compito: difendere la Costituzione, la libertà e la democrazia. Per questo denunciamo chi sbaglia, chi viola quei valori e chiediamo di chi è la responsabilità perché deve rispondere non a un partito ma alla Costituzione. Noi attendiamo in tempi brevissimi di capire cosa è successo. A chi dice che la colpa è della sinistra io rispondo che l’amarezza sta nel fatto che i miei colleghi del centrodestra non sono qui a difendere i valori costituzionali che prevedono libertà e democrazia».
Appello degli studenti: «Tutti in piazza»
«Non tolleriamo un Governo che utilizza metodi violenti e di repressione nei confronti di chi manifesta pacificamente. Se chi vuole mandare messaggi di pace viene manganellato e se non si può manifestare, non è democrazia – scrive l’Udu Roma sui suoi profili social -. Saremo in piazza contro questo Governo, vogliamo le dimissioni di Piantedosi, perché gli studenti non possono essere manganellati, perché chi mette in pericolo, chi reprime, chi manganella, non può essere al Governo. Facciamo appello a tutti gli studenti, ai lavoratori, a tutti. Scendete in piazza insieme a noi!»
Le adesioni, dal Pd al M5s
Ad annunciare l’adesione alla protesta diversi esponenti di Pd, Avs, M5s, Anpi, Arci Roma e Cgil Roma e Lazio. Dal segretario Pd di Roma Enzo Foschi, che ha commentato «le immagini della vergogna» con «studenti e studentesse manganellati in maniera feroce» e ha rilanciato sui propri canali social il volantino della manifestazione in piazza Gigli aggiungendo «noi ci saremo». A Francesco Silvestri, capogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera, che scrive: «Il silenzio sulle cariche ai manifestanti da parte della presidente Meloni rappresenta un segnale terribile, irricevibile, così come l’operato del ministro Piantedosi, le cui dimissioni dovrebbero essere scontate. Chi ha dato l’ordine di colpire dei quindicenni inermi, non solo non ha le qualità necessarie per svolgere il proprio lavoro, ma disonora anche tutte quelle forze dell’ordine che lo svolgono diligentemente». E anche l’Anpi, con il suo presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo, ha dichiarato che «Piantedosi deve rispondere» per i fatti di Pisa.
Gli attori condividono il post di Mattarella
E mentre le opposizioni si agganciano alle parole del presidente per sollecitare la premier Giorgia Meloni a uscire dal silenzio e il ministro Piantedosi a dimettersi, è partita l’ondata di condivisioni social del messaggio diffuso dal Quirinale. Da Claudia Gerini a Gabirele Muccino, da Anna Foglietta a Luca Zingaretti, è lunga la lista di attori e registi che nelle ultime ore hanno postato il richiamo categorico di Mattarella a Piantedosi. Tra i tanti anche Michela Giraud, Carlotta Ferlazzo Natoli, Catena Fiorello, Patrizia Pellegrini, Vittoria Puccini.
(da Il Corriere della Sera)
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Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
IL QUESTORE AMMETTE “PROBLEMI DI GESTIONE DELLA PIAZZA DAL PUNTO DI VISTA ORGANIZZATIVO E OPERATIVO”, IL PREFETTO: “NESSUNA INDICAZIONE DI REPRIMERE, TUTTE LE RESPONSABILITA’ PENALI VERRANNO ACCERTATE”… NESSUNO HA LA DIGNITA’ DI CHIEDERE IL TRASFERIMENTO
Il prefetto di Pisa Maria Luisa D’Alessandro «ha detto che non è stata data nessuna indicazione particolare per reprimere con la forza e i manganelli le manifestazioni in generale e nello specifico quelle pro Palestina», mentre il Questore della città toscana «ha ammesso un problema di gestione della piazza, dal punto di vista organizzativo e operativo, a suo avviso causato dal fatto che non erano chiari gli obiettivi del corteo».
E’ quanto riferito in una nota congiunta da Cgil, Cisl e Uil di Pisa in merito a un incontro avuto ieri pomeriggio in prefettura con prefetto, questore e comandanti provinciali delle forze dell’ordine nel quale i sindacati hanno «chiesto chiarimenti in merito ai gravissimi fatti accaduti venerdì, durante» il corteo pro Palestina degli studenti poi caricati dalle forze dell’ordine.
Il Prefetto, si spiega sempre nella nota dei sindacali, «ha inoltre precisato che tutte le responsabilità, anche penali, saranno accertate nel più breve tempo possibile da parte delle autorità competenti che hanno acquisito tutta la documentazione necessaria»
(da agenzie)
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Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
HA ANCHE INCONTRATO I FAMILIARI DELLE VITTIME… LA INFAME ASSENZA DI ESPONENTI DEL GOVERNO
Stringe la mano ai familiari delle vittime di Cutro, la segretaria del Pd Elly Schlein. E’ il gesto che nessuno del governo ha avuto il coraggio di fare a un anno di distanza dalla tragedia che ha provocato 94 morti accertati di cui 35 minori e una decina di dispersi.
Elly Schlein, invece, arriva all’ora di pranzo a Cutro e alle 15 a Crotone per partecipare al corteo di familiari e sopravvissuti che attraversa il centro di Crotone sotto una pioggia battente e accompagnato da un assordante silenzio del governo.
Chiedono ‘Giustizia e verità’ perché «Giorgia Meloni non ha fatto niente di quello che aveva promesso», spiega uno dei sopravvissuti. «Avrebbero dovuto darci i ricongiungimenti familiari», le dice un altro quando Elly Schlein si avvicina. La leader del Pd ascolta le loro richieste e promette: «Lottiamo perché sia fatta giustizia».
Prima di andare al corteo si è fermata sulla spiaggia di Cutro per deporre una corona di fiori e incontrare i pescatori che per primi un anno fa si trovarono di fronte alla distesa di corpi che riempiva il mare.
«Per noi è importante essere qui oggi e avere aderito alla manifestazione della Rete 26 febbraio che chiedono ancora giustizia per le vittime di Cutro. Abbiamo trovato una comunità che si sente ancora abbandonata. ‘Noi chiediamo verità e giustizia per i morti e i familiari delle vittime – aggiunge la leader del Pd- gli impegni non sono stati rispettati sia sui permessi che sui ricongiungimenti. Noi siamo qui per fare al ministro dell’interno la stessa domanda che abbiamo fatto un anno fa: come è stato possibile che 94 persone morissero annegate? Come è stato possibile che non siano usciti i mezzi adeguati della guardia costiera con una imbarcazione che si sapeva che fosse in Difficoltà. E’ doloroso essere qui dopo un anno a fare le stesse domande».
«Per noi è importante essere vicini ai familiari delle vittime di Steccato – aggiunge Schlein – Ancora oggi abbiamo visto le lacrime dei pescatori che si sono trovati una scena apocalittica con corpi di bambini che potevano essere i nostri figli, questa comunità va supportata. La verità e ancora attesa, specie per i familiari e le vittime che attendono risposte».
(da agenzie)
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Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
PEGGIO DI LUI SOLO IL DICASTERO DE LAVORO DI CALDERONE E IL TURISMO DELLA SANTANCHÈ…E PENSARE CHE IL LEADER DELLA LEGA AVEVA PROMESSO DI SBLOCCARE I CANTIERI ITALIANI E DI “SPENDERE TUTTO”
Solo il 3,3% del totale. È la performance messa a segno dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti di Matteo Salvini, a pari merito con quello della Salute (Orazio Schillaci) e dietro quello del Lavoro (Marina Elvira Calderone) e del Turismo (Daniela Santanchè) fermi intorno all’1%: nel 2023, primo anno pieno di governo Meloni, le loro amministrazioni sono quelle che hanno speso di meno rispetto alla dotazione finanziaria cui hanno diritto a valere sui fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il dato emerge dalle tabelle della quarta relazione sull’attuazione del Piano, che l’esecutivo invierà nei prossimi giorni alle Camere. Difficile per il leader della Lega, in difficoltà nei sondaggi, presentarsi come “uomo del fare” a fronte di soli 1,3 miliardi di spesa sostenuta a fronte di quasi 40 assegnati al suo dicastero, di gran lunga il primo per risorse da impiegare entro il 2026.
L’imbarazzo è inevitabile per chi si è intestato la missione di resuscitare la grande opera per eccellenza, il Ponte sullo Stretto. Tanto più che quei risultati fanno a pugni con le passate dichiarazioni del vicepremier sulla necessità di “spendere tutto“, per non dire di quando – 22 aprile 2023 – si è spinto a dichiarare: “Se mi dessero un miliardo in più contro la dispersione idrica, farei partire i cantieri domani mattina”. Ora la relazione firmata da Giorgia Meloni e Raffaele Fitto attesta che gli “Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico”, di sua competenza, sono fermi a 99 milioni su 2 miliardi assegnati.
Certo, ci sono le attenuanti: l’aumento dei costi delle materie prime, che ha ritardato l’assegnazione degli appalti, e dalle responsabilità dei soggetti attuatori Anas e Rfi, Ma nel biennio 2021-2022, con problemi simili, lo stesso ministero aveva macinato 4,7 miliardi di spesa. E il rallentamento ha pesato nel determinare i pesanti ritardi registrati dal governo di destra nell’uso dei fondi già ricevuti dalla Ue: al 31 dicembre 2023 ammontavano a quasi 102 miliardi, solo 45,6 sono stati spesi di cui 24,4 nel biennio precedente, quando – fino a ottobre 2022 – a Chigi c’era Mario Draghi.
Gli altri grandi “ritardatari” sono Calderone, sono soli 59 milioni spesi nel 2023 su 7,2 miliardi a disposizione (0,8%) che tra l’altro saliranno a 8,4 dopo la revisione del piano, Santanché con 24 milioni su 2,4 miliardi disponibili (1%), e Schillaci con 511 milioni spesi nel 2023 su 15,6 miliardi di dotazione: poco più del 3%.
Male anche il ministero della cultura di Gennaro Sangiuliano che ha speso 148 milioni su 4,2 miliardi e quello degli Esteri di Antonio Tajani con 64 milioni usati l’anno scorso su una dotazione di 1,2 miliardi. Indietro, poi, tutti i dipartimenti della presidenza del Consigli
Corrono, in controtendenza, il ministero delle Imprese e del made in Italy di Adolfo Urso, con 7,2 miliardi spesi nel 2023 (13,7 sommando anche il 2021-2022) su 19,6 che saliranno a 28,8 post revisione, e quello dell’Ambiente di Gilberto Pichetto Fratin, con 5,2 miliardi usati nel 2023 (14 complessivi) su 34,6. Ma i due titolari non hanno alcun merito: ad avvantaggiarli è stato il meccanismo di erogazione dei crediti di imposta che corre in automatico, senza che l’amministrazione debba mettere in campo particolari sforzi.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
IL DOCENTE DELLA CATTOLICA: “EUROPA, SVEGLIATI”
Non nasconde l’emozione, il professor Vittorio Emanuele Parsi, tra i più rinomati docenti italiani di relazioni internazionali, al ritorno in tv dopo oltre due mesi di assenza forzata per via del malore che lo colpì lo scorso 27 dicembre mentre si trovava a Cortina.
«Emozionato come fosse la prima volta», scrive sui social il prof della Cattolica di Milano poco prima di tornare nello studio di Monica Maggioni, a In Mezz’Ora. La stessa conduttrice Rai, d’altra parte, è almeno altrettanto emozionato, al momento di ridare il benvenuto a Parsi. «Felicissimi di riaverti qui».
Soccorso d’urgenza dopo il malore, il politologo ha visto la morte in faccia – come ha raccontato in una commovente intervista al Corriere della Sera – per quella che si è rivelata essere una dissezione dell’aorta. Ma si è ripreso, poco alla volta, sino a tornare ad assumere tutte le sue funzioni: di docente, scrittore, commentatore. Oltre a quelle legate alla sua privata, ovviamente. E così, dopo aver partecipato alla manifestazione nazionale contro il regime di Vladimir Putin per l’uccisione di Alexei Navalny, tiene fede al suo impegno di infondere tutti i suoi rinnovati sforzi per “svegliare l’Europa” (e gli europei) di fronte alle minacce geopolitiche che incombono.
Davide contro Golia
L’occasione è il secondo anniversario dell’inizio della guerra su larga scala contro l’Ucraina, che Maggioni ripercorre in un lungo viaggio. «Cambierà il mondo, anzi l’ha già cambiato», osserva Parsi. Secondo cui non è un caso che proprio ora sia stata decretata la fine del principale oppositore politico di Putin: «La guerra esterna procede di pari passo alla repressione interna alla Russia. La morte di Navalny non a caso due anni dopo quasi esatti l’avvio della guerra restituisce l’immagine di un regime convinto di poter fare ciò che vuole, ma che vive anche in uno stato di paranoia securitaria, che vede pericoli nella “Nato che abbaia al confine”, come ebbe a dire con parole sfortunate qualcuno (Papa Francesco, ndr), ma anche in delle persone che depongono un fiore».
Parsi, che è anche un ufficiale di Marina, riconosce che sul terreno la situazione si è fatta al momento difficile per l’Ucraina. Ma proprio per questo sostiene sia indispensabile raccogliere gli appelli che arrivano pressanti da Kiev e continuare a fornire armi a quel Paese, anzi se possibile aumentare i rifornimenti.
«Proprio perché sul piano degli effettivi non c’è confronto possibile: i russi dispongono di un numero di reclute potenziali infinitamente superiore ai soldati ucraini, al fronte da due anni quasi senza ricambi, va assicurato che la situazione sia compensata da una superiorità di Kiev sul piano degli armamenti». Dalla resistenza dell’Ucraina all’oppressore, ribadisce insomma Parsi, passa insomma anche la tenuta attuale e futura dell’Europa.
Quando finirà dunque la “sporca guerra” lanciata da Putin? «È chiaro che la sua chiusura passerà come per ogni altro conflitto da un negoziato. Ma dobbiamo tenere presente non solo che l’Ucraina non può rinunciare al suo territorio, ma anche che le serviranno garanzie perché non diventi una nuova Bielorussia, cioè perché sia evitato il ritorno sotto tallone di Putin, il cui regime è oggi peggio del peggiore stalinismo».
(da Open)
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Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
LE FAMIGLIE DEI RAGAZZINI FERITI PENSANO A UNA CAUSA COLLETTIVA
Inizieranno ufficialmente domani, lunedì 26 febbraio, gli accertamenti preliminari della procura riguardo alle cariche della polizia partite venerdì ai danni degli studenti in corteo a Pisa in solidarietà al popolo palestinese.
Il fascicolo d’indagine è stato aperto al momento contro ignoti e senza ipotesi di reato, al fine di fare chiarezza sui disordini di piazza in cui diversi ragazzi e ragazze – anche minorenni – sono rimasti feriti. Su indicazione della procura, i carabinieri hanno già raccolto i primi riscontri su quanto accaduto e la questura ha depositato un’informativa autonoma, accompagnata dai filmati della polizia scientifica.
In questi giorni, finiranno sotto la lente degli investigatori anche i video circolati sui social e quelli registrati e acquisiti dai docenti del liceo dove si sono verificati gli scontri.
Sarà, inoltre, analizzata la catena di comando dell’operazione di mantenimento dell’ordine pubblico per chiarire chi può aver dato l’ordine di caricare e per quale motivo.
Nel frattempo, l’avvocato Andrea Callaioli si dice pronto a raccogliere le denunce dei genitori dei ragazzi minorenni rimasti feriti per avviare un’azione legale comune e collettiva, chiedendo spiegazioni sul comportamento violento degli agenti in piazza.
Cosa stanno facendo le istituzioni
Quanto accaduto ha scosso società civile, opinione pubblica e interrogato la politica. Dai cittadini ai rappresentanti dei partiti fino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha condannato quanto successo definendo in un monito al governo le manganellate «un fallimento».
Ieri 24 febbraio si è riunito il vertice in prefettura con sindacati, prefetto, questore, sindaco e comandanti provinciali delle altre forze dell’ordine ed è emersa chiara la visione condivisa di condurre delle indagini approfondite e rapide così da far tornare un clima disteso in città il prima possibile.
Anche il primo cittadino Michele Conti ha rassicurato che nella seduta del consiglio comunale di domani sarà avviata «una seria discussione sulla vicenda», e che l’amministrazione ha deciso di trasformare l’incontro già programmato con la Consulta dei Giovani in un momento di riflessione e proposta, invitando gli studenti delle scuole superiori cittadine.
Inoltre, alle 12 di domani il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi riceverà i sindacati che hanno sollecitato un incontro urgente dopo l’esito problematico delle manifestazioni in piazza. «Pensiamo che quello che è successo a Pisa e in altre città sia grave, non sia assolutamente accettabile e il diritto a manifestare debba essere garantito a tutti», chiosa il segretario della Cgil, Maurizio Landini.
L’appello e la mobilitazione degli studenti
Mentre le istituzioni fanno la loro parte, gli studenti di tutta Italia hanno intenzione di fare altrettanto. «Basta manganellate sugli studenti», è la scritta calata questa mattina dal ponte di Rialto a Venezia dalle associazioni studentesche del luogo per condannare fermamente la violenza perpetrata ai loro coetanei. «Non possiamo limitarci a sostenere che si tratti di una questione interna alla Polizia; alla base vi sono anche direttive politiche che mirano a reprimere le voci dissonanti», denuncia Marco Nimis della Rete degli Studenti Medi puntando il dito contro quello che – a suo avviso – è un metodo consolidato dal governo Meloni. Nel tardo pomeriggio di domani – alle 18:30 – vi sarà una mobilitazione al teatro dell’Opera di Roma, a pochi passi dal Viminale, per denunciare quando accaduto. «Contro le vostre manganellate, scendiamo in piazza!», sarà il grido che accompagnerà gli studenti in protesta. «Non possiamo permetterci uno stato che risponde a messaggi di pace con la violenza, che manganella ragazzi e ragazze, compresi minorenni. Per questo lanciamo un appello, a studenti e studentesse, a lavoratori e lavoratrici, a tutti e tutte. Mobilitatevi con noi, perché soltanto insieme potremo dimostrare che non ci possono fermare», fanno appello le associazioni promotrici.
(da agenzie)
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Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
REPRIMERE LE VOCI CHE DISSENTONO ULTERIORE TAPPA VERSO IL REGIME
Ci sono state due reazioni alle manganellate degli studenti di Pisa: le parole di Sergio Mattarella e il silenzio di Giorgia Meloni. La riforma costituzionale proposta dal governo alzerà il volume del silenzio e abbasserà quello delle parole. Ed è anche da qui che passano le derive autoritarie.
Ci sono state due reazioni degne di nota alle manganellate agli studenti di Pisa che manifestavano per il cessate a fuoco a Gaza. C’è stata la reazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, secondo cui i manganelli sui ragazzi sono un fallimento. E c’è stato il silenzio della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Se fossimo in una repubblica presidenziale come quella americana, o semipresidenziale come quella francese, ci sarebbe stato solo il silenzio.
Dobbiamo partire da qua, per riflettere non tanto su quanto è accaduto, quanto piuttosto su quanto potrebbe accadere. Perché se c’è un punto centrale nella riforma costituzionale proposta da Giorgia Meloni, sta proprio nella riduzione dei poteri del Capo dello Stato. Che non potrà più indicare il premier dopo le consultazioni, mentre dovrà solo limitarsi a conferirgli l’incarico. Che, in caso di crisi, potrà affidare il nuovo incarico solo al premier dimissionario o a un altro esponente della medesima maggioranza. E che non avrà più la facoltà di nominare senatori a vita a sua discrezione.
Sembrano piccole cose, o comunque cose che nulla c’entrano con la possibilità che il presidente della Repubblica possa esternare le sue opinioni. Ma c’entrano, in realtà. Perché se ridimensioni un potere dello Stato, un altro finirà per acquisirne di più. In altre parole, se riduci il potere di Sergio Mattarella, aumenti il potere di Giorgia Meloni. O, per tornare a oggi, è come se abbassi il volume delle parole di Sergio Mattarella e alzi il volume del silenzio di Giorgia Meloni
È questo il senso profondo di tutte le riforme costituzionali che vogliono aumentare il potere di chi governa: ridurre il potere di qualunque contrappeso, sia esso quello del presidente della Repubblica, o del parlamento, o della magistratura. Che a farlo sia un governo di destra, che in questi mesi ha sovente mostrato il suo volto autoritario con chi dissente col suo operato, dai giovani che chiedono più sforzi contro il cambiamento climatico a quelli che chiedono la pace tra Israele e Palestina, rappresenta un’aggravante al problema, che dovrebbe far riflettere, soprattutto chi minimizza l’impatto potenziale di questa riforma sull’assetto costituzionale del nostro Paese.
E, già che ci siamo, sulle intenzioni di questo governo.
(da Fanpage)
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Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
IL PORTAVOCE DELLA MARINA, DMYTRO PLETENCHUK: “QUANDO LA RUSSIA HA INIZIATO L’INVASIONE SU LARGA SCALA, AVEVA 13 NAVI DA SBARCO NEL MAR NERO. SOLO CINQUE ORA SONO RIPARABILI”
Gli ucraini hanno ben poco da festeggiare in questo secondo anniversario dell’invasione russa ma c’è un fronte che sta dando soddisfazioni a Kiev. Ed è quello del Mar Nero. A metà febbraio, l’intelligence della difesa ucraina ha annunciato di aver attaccato e distrutto una grande nave da sbarco della flotta russa del Mar Nero, la Caesar Kunikov , con droni marittimi al largo delle coste della Crimea.
L’affondamento della Kunikov è solo l’ennesimo colpo di una Marina che sta usando l’innovazione tecnologica a suo vantaggio. «In due anni abbiamo distrutto o messo fuori uso più di 20 navi russe nella regione, un terzo della flotta totale russa del Mar Nero permettendo così al Paese di non bloccare l’esportazione del grano. Un vantaggio per noi e per il mondo intero», spiega al Corriere Dmytro Pletenchuk, portavoce della Marina ucraina.
Cosa sta accadendo nel Mar Nero?
«I russi sono costretti a rimanere per lo più nella parte orientale, presso la base di Novorossijsk, e chiedono anche alla base di Sochi di disperdere le navi. L’uso di portamissili da crociera in grado di attaccare il territorio ucraino sta diventando sempre più difficile perché ora tutta la logistica della flotta deve fare capo a Sebastopoli».
Lei stesso dopo l’affondamento della Kunikov ha confermato l’utilizzo di droni marini…
«Sì. Sia l’attacco della Kunikov che quello precedente sono stati compiuti grazie all’impiego dei Magura (Maritime Autonomous Guard Unmanned Robotic Apparatus, ndr ), che prendono il nome dalla dea del mare».
Secondo la Cnn, il Magura è lungo circa 5 metri e ha un’autonomia di circa 450 miglia nautiche, ha un carico di 320 chili, sufficiente a causare gravi danni alla maggior parte delle navi. È anche manovrabile e quindi in grado di eludere i cannoni difensivi delle navi…
«L’evoluzione del Magura è costante. Anche il sabotaggio e gli attacchi missilistici contro i radar russi e altre installazioni in Crimea hanno contribuito a indebolire la capacità dei russi di controllo nel Mar Nero. Lo stesso vale per le operazioni speciali contro gli impianti di trivellazione occupati dai russi e l’espulsione dall’Isola dei Serpenti nel 2022. Diciamo che la situazione è in costante evoluzione».
Quando è iniziato l’impiego di questo tipo di arma?
«Una delle principali navi da sbarco della flotta del Mar Nero, la Olenogorsky Gornyak , è stata danneggiata da un drone marittimo nel suo porto di Novorossiysk in agosto, pochi giorni dopo il collasso della Black Sea Grain Initiative (l’accordo sul grano, ndr )».
Zelensky stesso ha citato pubblicamente il Gruppo 13 che progetta e realizza il Magura 5. È finanziato da un’iniziativa privata?
«Ovviamente non sono autorizzato a fornire dettagli. Ma quando la Russia ha iniziato l’invasione su larga scala, aveva 13 navi da sbarco nel Mar Nero. Solo cinque sono ora riparabili».
(da agenzie)
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Febbraio 25th, 2024 Riccardo Fucile
“I SUOI DELITTI SONO MESSAGGI DI POTERE MAFIOSO”
Putin si muove come un padrino di mafia, i suoi delitti sono messaggi di potere mafioso. Considerazioni di uno che ben conosce i metodi di Putin. Dopo lo scoppio della guerra, Ilya Yashin, dissidente politico, decise di rimanere a Mosca. Si è sempre opposto apertamente sia all’invasione che al governo di Putin. Alla fine, Yashin è stato arrestato e nel dicembre 2022 è stato condannato a otto anni di carcere per aver diffuso “falsi” sull’esercito russo. Il motivo, uno streaming in cui l’oppositore parlava della strage di civili a Bucha. Ora il dissidente politico sta scontando la pena nella colonia penale n.3, nel villaggio di Shakhty-3, nella regione di Smolensk. È stato lì che Yashin ha saputo della morte di Alexei Navalny. In una lettera all’inviata speciale di “Meduza”, Svetlana Reuters, Yashin ha spiegato perché, a suo avviso, le autorità russe hanno deciso di uccidere Navalny.
Ecco la lettera:
Il momento scelto per uccidere Navalny è stato il più sfortunato. Tra appena un mese, in Russia si terranno le elezioni presidenziali e si può presumere che il Cremlino sia interessato a una campagna elettorale calma e tranquilla. Allora perché ora? Forse il nostro errore principale è quello di fraintendere sempre le motivazioni di Putin. Noi cerchiamo di guardare questa o quella situazione con i nostri occhi, mentre il suo punto di vista è fondamentalmente diverso.
Sono convinto che l’omicidio di Navalny sia stato pianificato e portato a termine in vista delle elezioni. Nella comprensione di Putin, mi sembra che la morte in carcere di un leader dell’opposizione debba diventare l’evento principale di questa campagna elettorale, il suo simbolo.
Che cos’è la lotta politica ordinaria, quella per un politico europeo? Si tratta di una procedura pubblica competitiva, durante la quale ci si mostra più convincenti dei propri avversari e si ottiene la maggioranza dei voti. In questo modo, si legittima l’ottenimento di una posizione, insieme al potere che ne deriva.
Ma Putin non è un politico europeo. Ha un modo di pensare radicalmente diverso, che si è manifestato vividamente durante i lunghi anni della sua permanenza al Cremlino. A rigor di termini, questo non è affatto il pensiero di un politico o di uno statista, è il pensiero di un padrino della mafia.
Guardiamo a ciò che sta accadendo non attraverso gli occhi del presidente del paese, ma attraverso gli occhi del leader del gruppo che ha preso il controllo di questo paese. Quindi, è arrivato il momento in cui devi affermare la tua autorità. Devi farlo in modo tale che nessuno dubiti della tua forza, in modo che nessuno pensi nemmeno di sfidare il tuo status. Avete intenzione di affermare il vostro potere alle elezioni? No, per te si tratta di una procedura formale che può essere svolta in compagnia di “candidati” anonimi. Il vero potere della mafia si afferma con la dimostrazione della violenza e della crudeltà. Vale a dire, con l’esecuzione esemplare di un avversario che ha osato sfidarlo. L’omicidio di Navalny va considerato in questo contesto: Putin afferma il suo potere a vita, distruggendo in modo dimostrativo la persona che simboleggia l’alternativa. Questo è un chiaro segnale all’establishment e all’intera società: accettatelo, ho ucciso la speranza, non c’è più.
Ma voglio dire che la speranza è viva. È viva finché c’è almeno una persona viva che ha conservato la speranza di un cambiamento nel suo cuore.
Sì, guardando il trionfo di un bandito che si crogiola nel potere illimitato e nell’impunità, è difficile non cadere nella disperazione. È anche difficile superare la paura e continuare a resistere. Ma deve essere fatto. Altrimenti, noi stessi ci trasformeremo in morti viventi.
(da agenzie)
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