Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
L’AUDIO: “PORTO CON ME DUE BELLE RAGAZZE VESTITE CON PANTALONI IN PELLE E STIVALI, DUE IN MINIGONNA E DUE LEOPARDATE CON CAMICIE BELLE APERTE”
«Sto facendo questa campagna elettorale in modo molto diverso dal solito. Ho sei donne molto belle che mi sostengono durante i miei incontri con le persone». Questo il contenuto di un audio diffusi dal quotidiano Gallura Oggi, parole pronunciato da un candidato del centrodestra alle prossime elezioni regionali in Sardegna, che sta scatenando polemiche.
«Se ti presenti da solo, sei un cane bastonato che parla – ammette -. Invece con queste sei miei amiche, molto belle… Due sono vestite in pantaloni in pelle e stivali, due in minigonna e due leopardate, con delle camicie belle aperte che fanno un bel vedere», spiega il candidato, diventato virale. Ora quella voce ha un nome e cognome: Pietro Pinna, 56 anni, ex militare in pensione, corre con la Dc per Gianfranco Rotondi nel nord dell’isola.
Lui, contattato dall’Unione Sarda spiega: «Era solo una goliardata per un amico». E conferma: «Sì, quegli audio li ho inviati io a un amico. Ma era uno scherzo».
«Questa mattina, ho appreso dalla stampa dell’esistenza di un imbarazzante e sgradevole audio attribuito a un candidato, inserito in una lista della mia coalizione. Parole inaccettabili, pronunciate da chi si sottopone al giudizio degli elettori per amministrare la Sardegna” dichiara il candidato presidente del centrodestra in Sardegna, Paolo Truzzu.
«Non è goliardia. Non è uno scherzo come dice oggi la destra cercando di minimizzare e non fa ridere – attacca invece la senatrice sarda del Movimento 5 Stelle, Sabrina Licheri – Sei donne usate come esche in una competizione elettorale: sembra incredibile e una boutade invece è il prodotto di una subcultura che non va promossa ma combattuta ogni giorno».
(da agenzie)
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Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
NELL’ULTIMA CLASSIFICA DI GRADIMENTO DEI SINDACI ITALIANI, ERA TERZ’ULTIMO (85ESIMO SU 87). E SALVINI, UMILIATO PER IL SILURAMENTO DEL “SUO” SOLINAS, SOTTO SOTTO GODE… ALESSANDRA TODDE, CANDIDATA DI SCHLEIN+CONTE, È RINGALLUZZITA DAI SONDAGGI RISERVATI
C’è Matteo Salvini tutto solo in un emporio dell’aeroporto di Cagliari – la scorta vigila da lontano – che gira tra gli scaffali con il cellulare e fotografa bottiglie di vino locale. Si vedrà poi se gli scatti serviranno per una delle sue storie social enogastronomiche. Salvini sta tornando a Roma dopo aver girato la Sardegna per tre giorni a sostegno del candidato presidente della destra alla Regione, Paolo Truzzu.
Si vota domenica. L’occasione è buona per chiedergli come è andato il tour. «Benissimo», risponde lui. «Sicuro?». «Beh, ho incontrato molte persone, sono fiducioso». Non è stupito che la partita sembri apertissima nonostante la destra sia unita su un candidato e le opposizioni divise su due? «In politica non c’è mai niente di scontato, e poi in Sardegna non ci sono mai state due vittorie di fila della stessa parte politica, quindi è normale che sia così». Sarebbe andata meglio con Solinas? Salvini sorride: «Arrivederci». Arrivederci.
Christian Solinas è il governatore vicino alla Lega e al Partito sardo d’azione fermato nella ricandidatura da un’inchiesta della magistratura e soprattutto dalla determinazione di Giorgia Meloni a espandere i ducati della Fiamma puntando su Truzzu, che è di Fratelli d’Italia e fa il sindaco di Cagliari.
Un pezzo della destra sarda si sente defraudato. Girano voci di inviti occulti a disertare le urne, si dice che i sardisti suggeriscano il voto disgiunto, una “ics” sulla lista di partito e un’altra su un candidato presidente che non sia Truzzu. A un amico che gli ha manifestato perplessità e timori sull’esito del voto, Salvini ha risposto inviando una foto scattata durante i suoi giri sardi: c’è lui in felpa con la scritta “Ogliastra” che alza il pollice davanti a un forno dove un maialino cuoce sopra alte fiamme.
Una foto sibillina. Gli ottimisti si concentrano sul pollice. I pessimisti sulle fiamme. I dietrologi sul maialino: di chi potrebbe essere metafora il porceddu rosolato?
Meloni sarà a Cagliari domani, insieme agli altri due leader della coalizione di governo, per chiudere la campagna di una elezione nella quale la presidente del Consiglio rischia tanto. Ha voluto lei la bicicletta, ma non è così sicuro che i pedali funzionino.
Certo, il vantaggio di correre contro un’opposizione divisa in due è notevole, ma nell’ultima classifica di gradimento dei sindaci italiani dei principali Comuni, datata luglio 2023, Truzzu è risultato terz’ultimo: ottantacinquesimo su ottantasette.
A Cagliari è difficile incontrare qualcuno che si dica soddisfatto dei suoi anni di governo della città. Tanti cantieri, molti disservizi, commercianti delusi, periferie non pervenute. Solinas, che a sua volta è in coda alla graduatoria dei governatori, ha lasciato ancora più macerie. Malgoverno, fondi europei non spesi o non incassati, arresti, inchieste.
Per i sardi l’unico sguardo sul futuro si materializza al telefono, quando chiamano per prenotare un esame specialistico nella sanità pubblica: i primi appuntamenti disponibili sono a fine 2025. I problemi di sempre – disoccupazione, spopolamento dell’interno, arretratezza digitale, costi di trasporto da e per il continente, la vocazione turistica che si mangia il resto – sono ingigantiti da anni che di certo non saranno ricordati come una primavera sarda.
«Qui Solinas ha usato il clientelismo e, quando la gente ha fame, funziona pure», dice Camilla Soru, consigliera comunale del Pd e candidata al Consiglio regionale. Suo padre Renato, che chiedeva le primarie, pur di ricandidarsi ha stracciato la tessera del Pd e si è messo a capo di un campo più originale che largo: Calenda e gli indipendentisti ultrasinistri di Liberu, Più Europa e Rifondazione comunista, Renzi e le altre liste autonomiste.
Soru è diventato suo malgrado la speranza della destra: più va forte nelle urne l’uomo che fu presidente di Regione dal 2004 al 2009, più calano le chance di Alessandra Todde, ex viceministra 5S, sostenuta anche dal Pd e dal resto del centrosinistra.
Salvini ha addirittura elogiato Soru padre in una delle tappe di questo week end: «La sua è una corsa coraggiosa e dignitosa ». La figlia non crede che il padre possa ripetere i risultati di un tempo: «Nel 2004, quando regalò un sogno vero ai sardi, la sua civica prese l’8 per cento. E allora qui era dio…». Chiediamo a Soru figlia se tornerà a parlare con il padre. Le si bagnano gli occhi, questa faida politica in famiglia non è uno scherzo: «Dipende da come va il voto – dice – spero mio padre non debba assumersi la responsabilità di aver lasciato l’isola nelle mani di chi l’ha distrutta ».
Al comitato di Soru figlia c’è anche il senatore dem Marco Meloni, nativo di Quartu Sant’Elena, già braccio destro di Enrico Letta: «Quella di Renato fu una stagione formidabile ma è lontana e chiusa. Sono pochi i nostri elettori intenzionati a votare per lui. Il problema è far capire l’importanza del voto utile, sento ancora gente che pensa ci sia un secondo turno».
Todde spera nel miracolo, qui Pd e 5S si sono messi insieme senza liti, dopo cinque anni di opposizione comune.
(da la Repubblica)
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Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
IL COMMENTO AL VELENO DELL’OLIGARCA DISSIDENTE, LEONID NEVZLIN: “LE MIE CONDOGLIANZE ALLA FAMIGLIA SECHIN, COSTRETTA A NASCONDERE IL PROPRIO DOLORE”
Ivan Sechin, figlio di Igor, alleato di Putin e ad di Rosneft, è morto a 35 anni per un “coagulo di sangue staccato”, la stessa causa per cui è deceduto – secondo i servizi carcerari russi – Alexei Navalny. L’uomo è morto il 5 febbraio dopo aver lamentato un “soffocamento”, riferisce il canale Telegram VChK-OGPU, secondo quanto riportato da Sky News.
“E’ caduto sul letto e ha perso conoscenza, hanno provato a rianimarlo” ma quando è arrivata l’ambulanza è stato dichiarato morto. Una fonte ha detto al quotidiano che la causa ufficiale della morte è stato un “coagulo di sangue staccato”.
Il quotidiano indipendente russo Mediazona riferisce che il primo a scrivere della morte di Sechin è stato Leonid Nevzlin, ex manager della compagnia russa di petrolio e gas Yukos, che ha descritto la morte come una “strana coincidenza”. Nevzlin è un oligarca russo-israeliano che ha rinunciato alla cittadinanza russa nel 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina. “Le mie condoglianze alla famiglia Sechin, costretta a nascondere il proprio dolore”, ha aggiunto.
Ivan Sechin è il figlio di Igor Sechin, alleato di lunga data di Putin e capo di Rosneft, una delle più grandi compagnie petrolifere russe. È considerato una delle persone più potenti della Russia: ha ricoperto il ruolo di vice primo ministro sotto Putin dal 2008 al 2012 e mantiene forti legami con le agenzie di intelligence del Paese. Sechin – ricorda ancora Sky News – è stato sanzionato dall’Ue nel 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina.
(da agenzie)
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Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
“LA POSIZIONE DELL’UE È STATA OGGETTO DI UNA DICHIARAZIONE A 27. E VUOL DIRE CHE È STATA CONCORDATA ANCHE DALL’ITALIA. NON SERVONO INDAGINI PENALI PER DEFINIRE CHE COSA HA CAUSATO LA SUA MORTE”
L’Unione Europea ha approvato “a 27” una dichiarazione sulla morte di Alexey Navalny in una prigione dell’Artico russo, nella quale si afferma che la “responsabilità ultima” del decesso è del presidente Vladimir Putin, quindi gli esponenti di governo che sostengono che bisogna aspettare la magistratura russa, come ha fatto il leader della Lega Matteo Salvini, farebbero meglio a “leggere” quello che i governi, incluso il proprio, approvano. Così il portavoce agli Affari Esteri della Commissione Europea, Peter Stano, commenta, rispondendo ad una domanda durante il briefing con la stampa a Bruxelles, le dichiarazioni del leader leghista sul decesso in carcere del principale oppositore di Putin.
“Posso solo dire – afferma Stano – che la posizione dell’Ue sulle questioni di politica estera, inclusa la morte o l’assassinio di Alexey Navalny, è oggetto di dichiarazioni a 27. E la dichiarazione a 27 dell’Ue, che è stata concordata anche dall’Italia, dice che l’Ue è indignata per la morte dell’oppositore russo Alexey Navalny, la cui responsabilità ultima ricade sul presidente Putin e sulle autorità russe. Non serve un’indagine penale su che cosa esattamente abbia causato la morte di Navalny. Ricordiamo che ci sono state intimidazioni continue nei confronti di Navalny, mettendolo in prigione, poi mettendolo in isolamento e spostandolo oltre il Circolo polare artico”.
“E non dimentichiamo – continua – che cosa è successo all’inizio: venne avvelenato con un’arma chimica di livello militare, il Novichok, alcuni anni fa, cosa sulla quale fino ad oggi le autorità russe non hanno indagato a dovere. C’era già stato, quindi, un attentato alla sua vita usando un agente nervino. Se guardiamo alla storia, è molto chiaro chi è responsabile di questa morte. I 27 Stati membri sono stati molto chiari su questo: forse la raccomandazione ai membri del governo è solo di leggersi quello che i governi approvano e adottano”, conclude.
(da agenzie)
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Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
“SOLO UNA SCONFITTA MILITARE PUO’ FARE CADERE PUTIN”
“L’unica cosa che può far cadere Putin è la sconfitta militare e per questo dobbiamo aiutare l’Ucraina. Solo così possiamo salvare anche la Russia. Slava Ukraini”. Sentire una cittadina russa gridare lo slogan che dall’inizio del conflitto nell’est Europa sostiene il popolo ucraino fa sempre un certo effetto.
A gridarlo in piazza della Scala a Milano, durante una fiaccolata in ricordo di Aleksej Navalny, è Maria Mikaelyan, ricercatrice in architettura e museologia nata a Mosca, tra le animatrici della Comunità dei Russi Liberi in Italia, organizzazione che a seguito dell’omicidio del dissidente russo ha proposto una petizione per intitolargli la strada dove ha sede il consolato russo.
“Facevo parte del suo movimento e sono venuta in Italia a seguito delle proteste del 2012, quando – ricorda – scendevamo in piazza per la democrazia ma la polizia ci massacrava”. “Mi manca la Russia che non esiste più”, racconta con un filo di emozione mentre si dirige in piazza Mercanti, luogo deputato a memoriale di Navalny dove si accumulano fiori, biglietti e candele. “La società russa non è pronta a scendere in piazza perché – spiega a due passanti incuriositi – nessuno vuole morire come lui. La paura è tanta e per questo, ripeto, dobbiamo aiutare l’Ucraina”. La speranza adesso è riposta nella moglie Yulia Navalnaya: “È una donna forte e coraggiosa, continuerà la sua lotta”.
(da agenzie)
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Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
IMPRENDITORI E POLITICI, MA ANCHE ACCADEMICI AL SERVIZIO DELLA PROPAGANDA RUSSA
Solo dal 2018 al 2022 sono state oltre una ventina le personalità russe, principalmente imprenditori, insigniti con onorificenze del Presidente della Repubblica in Italia. Si tratta dell’onore della Stella d’Italia, che si attribuisce con decreto del Quirinale a personalità straniere che hanno particolari benemerenze nella promozione dei rapporti di amicizia e di collaborazione con l’Italia. Possono essere di cinque tipi: Cavaliere di Gran Croce, Grande Ufficiale, Commendatore, Ufficiale e Cavaliere. Tra questi ci sono alcuni degli oligarchi più vicini a Vladimir Putin, molti dei quali colpiti dalle sanzioni internazionali emesse dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti, dall’Australia e chiaramente dall’Ucraina. Personaggi tutt’altro che marginali nella macchina della propaganda del Cremlino e tutt’altro che defilati rispetto all’invasione russa dell’Ucraina.
I super ricchi nella lista delle onorificenze
Con l’aiuto della giornalista ucraina Zhanna Zukova, rifugiata in Italia, abbiamo provato a tracciare un profilo dei russi vicini a Vladimir Putin insigniti di alte onorificenze in Italia ma colpiti da sanzioni internazionali. Tra i pezzi grossi troviamo Alexander Abramov, insignito con il titolo di Cavaliere della Stella d’Italia nel 2021. E’ il direttore della Lex System ed è anche proprietario del 29% della EVRAZ, e siede anche nel suo consiglio di amministrazione. La Evraz è una società siderurgica britannica che fornisce acciaio alla Russia anche a fini bellici. Abramov è colpito dalle sanzioni in Gran Bretagna, Canada, Nuova Zelanda e Ucraina. Altro pezzo grosso è Anatoly Sedykh, insignito con il titolo di Commendatore della Stella d’Italia nel 2021. E’ il proprietario della OMK, un’azienda che produce metalli, è il principale fornitore di Gazprom, il colosso russo del gas, per la fornitura di tubi. La OMK è colpita dalle sanzioni dagli Stati Uniti per aver facilitato lo sforzo bellico del Cremlino nell’invasione Ucraina. A proposito di Gazprom, azienda colpita dalle sanzioni internazionali di mezzo mondo, tra le alte onorificenze concesse dall’Italia c’è anche quella a Igor Maksimtsev, presente nel board di Gazprom, e insignito del titolo di Commendatore della Stella d’Italia nel 2020.
Con il titolo di Ufficiale dell’ordine della Stella d’Italia, conferitogli nel 2021, troviamo Roman Trotsenko, che in Italia, dove possiede anche una tenuta in Toscana, è proprietario dello scalo aeroportuale di Grosseto. E’ anche proprietario della AEON Group e della Artic Energy, quest’ultima colpita dalle sanzioni Usa. Nonostante la sua vicinanza al Cremlino fino ad ora è riuscito a sfuggire alle sanzioni. Tra gli oligarchi più ricchi considerati “benemeriti” per l’Italia c’è anche Leonid Mikhelson, proprietario dell’azienda di gas Novatek, e colpito dalle sanzioni internazionali di Gran Bretagna, Ucraina, Canada e Australia. In Italia è Grande Ufficiale dell’ordine della Stella d’Italia, ricevuta nel 2020, possiede anche una importante quota della società petrolchimica Sibur, acquistata direttamente dall’ex genero di Putin, Kirill Shamalov. Tra gli oligarchi insigniti in Italia c’è anche chi dopo l’invasione russa in Ucraina è caduto in disgrazia. Si tratta di Oleg Tinkov, che nel 2020 ha ricevuto il titolo di Ufficiale dell’ordine della Stella d’Italia. Proprietario di banche, aziende produttrici di birra e anche finanziatore di una squadra di ciclismo, nella primavera del 2022 ha giudicato “folle” la guerra in Ucraina da parte della Russia. Il risultato è che ha dovuto cedere tutti i suoi asset ad altri oligarchi fedelissimi di Putin. Nonostante questo Tinkov è colpito dalle sanzioni di Gran Bretagna, Australia e Ucraina. Anche lui come Trostsenko ha una residenza in Toscana. La lista degli uomini d’affari ancora titolari di benemerenze della Repubblica Italiana è molto lunga, e vede tra gli altri Sergey Galitski, Cavaliere della Stella d’Italia dal 2021, proprietario della squadra di calcio del Krasnodar, della azienda Magnit e della SN Capital, colpito da sanzioni in Ucraina. O anche Valery Kazikaev, Commendatore della Stella d’Italia dal 2018, a capo della KTH Gorup e colpito dalle sanzioni USA.
“Grandi ufficiali” al servizio della propaganda
Tra le onorificenza concesse a personaggi russi e mai revocate dalla Repubblica Italiana, non troviamo solo ricchi affaristi, ma anche esimi accademici che si sono però prestati alla gigantesca macchina della propaganda di Vladimir Putin. E’ il caso di Alexander Dynkin, insignito nel 2021 del titolo di Ufficiale dell’ordine della Stella d’Italia, economista e membro dei consigli scientifici del Ministro degli Affari Esteri e del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, della Fondazione Russa della Scienza, del Presidium dell’Accademia Russa delle Scienze e della Commissione sotto il Presidente della Federazione Russa sulla strategia di sviluppo del complesso energetico e dei combustibili e sulla sicurezza ambientale. In una sua recente intervista alla Komsomolskaya Pravda ha dichiarato: “La Russia può solo vincere nel conflitto ucraino. Qui la questione dei tempi è molto importante. Le persone a Tbilisi, Baku e Yerevan stanno guardando questa storia. E anche a Minsk”. Aggiungendo che: “Non ho dubbi che il 24 febbraio 2022 l’ordine mondiale unipolare sia finalmente finito. Ed esisteva, relativamente parlando, dal 1991″.
Proprio l’editore della Komsomolskaya Pravda e proprietario del network di comunicazione RBC, Gregory Berezkin, ha ricevuto nel 202o il titolo di Grande Ufficiale dell’ordine della Stella d’Italia. Attivo anche nell’industria petrolifera attraverso ESN Group, è stato colpito dalle sanzioni Usa e Ue all’inizio della guerra. Ma la commissione europea poche settimane fa ha deciso di revocargli le misure restrittive. Una decisione anomala, secondo la BBC, che ha provato ad indagare sulle procedure di revoca delle sanzioni. Oggi la RBC di proprietà di Berezkin, definisce la guerra in Ucraina “un’operazione speciale” tesa a “denazificare l’Ucraina”, esattamente come racconta la propaganda del Cremlino. Ma la propaganda non passa solo sui media, ma anche nelle scuole. Anatoly Torkunov, insignito nel 2020 del titolo di Ufficiale della Stella d’Italia, è tra gli autori del nuovo libro di testo di storia moderna per gli studenti delle scuole superiori russe. Torkunov è rettore dell’Istituto statale per le relazioni internazionali di Mosca, il suo testo destinato ai giovani studenti è stato distribuito prioritariamente nelle regioni ucraine occupate dai russi, e parla di “operazione militare speciale” per descrivere la guerra. Nel mondo della cultura russa si segnala per la sua presa di posizione a sostegno dell’invasione russa dell’Ucraina anche Alexander Rukavishnikov, scultore e Cavaliere della Stella d’Italia dal 2020.
I casi Usmanov e Sechin
Il periodo storico in cui sono state conferite queste onorificenze è concentrato negli anni del governo Conte 1 e del governo Conte 2, dal 2018 al 2022, ed in parte anche con il governo Draghi nel 2022. In particolar modo la maggior parte delle onorificenze sono state attribuire tra il 2019 e il 2022 quando al Ministero degli Esteri c’era Luigi di Maio. La procedura di attribuzione prevede che sia proprio il Ministro degli Esteri a proporre l’attribuzione dell’onorificenza al Presidente della Repubblica. Con lo scoppio della guerra in Ucraina dal Quirinale ci sono stati dei provvedimenti di revoca, ma sicuramente assai esigui rispetto ai profili dei personaggi che ancora oggi risultano insigniti dell’alto titolo. Tra le revoche decise dalla Presidenza della Repubblica si segnalano quella a Aleksey Gordeev, Evghenj Ivanov, Alexander Dyukov, Alexander Shokin e Kirill Dmitriev, quest’ultimo capo del fondo sovrano russo che ha chiuso importanti accordi commerciali con aziende italiane.
Tra gli oligarchi che figurano ancora nelle liste delle onorificenze italiane ci sono due personaggi vicinissimi a Vladimir Putin, Alisher Usmanov e Igor Sechin. Il primo è proprietario del 50% di Metalloinvest, tra i più vicini al numero uno del Cremlino. Usmanov è colpito dalle sanzioni internazionali dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, del Canada, dell’Australia, della Nuova Zelanda e dell’Ucraina. Eppure ancora oggi è Commendatore della Repubblica Italiana, titolo che gli è stato conferito nel 2016. Nel decreto di attribuzione della onorificenza, del 10 ottobre 2016, c’è scritto “Su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri”. L’allora Presidente del Consiglio era Matteo Renzi. Usmanov è uno degli uomini più ricchi della Russia, tra i primi azionisti di Facebook, mantiene anche quote in Xiaomi e USM Holding. E’ stato proprietario del 30% dell’Arsenal (venduto nel 2018) e sponsor dell’Everton in Premier League fino al marzo 2022 quando la squadra inglese ha sospeso gli accordi dopo lo scoppio della guerra. In Italia Usmanov è proprietario di immobili e tenute ad Arzachena in Sardegna, beni che il governo italiano ha congelato nel marzo del 2022, pur rimanendo Commendatore della Repubblica Italiana. Igor Sechin invece è Commendatore della Repubblica Italiana dal 2017, su iniziativa del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ex agente del KGB, vice di Putin quando era al vertice del servizio segreto sovietico, poi politico, infine imprenditore è al vertice della Rosnef società colpita da sanzioni internazionali. E’ stato a capo dello staff di Putin, poi suo vice e successivamente ha avuto un ruolo chiave nell’arresto di uno degli oppositori del leader del Cremlino, Michail Chodorkovskij. Sechin è colpito da sanzioni internazionali dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Il suo soprannome è Darth Fener, ed è considerato uno degli uomini più potenti in Russia.
(da Fanpage)
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Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
UN CASO CHE SI POTEVA RISOLVERE IN 5 MINUTI AMMETTENDO DI AVER SPARATO E’ DIVENTATO UN COLD CASE
La storia dello sparo di capodanno che ha coinvolto il sottosegretario Delmastro, il deputato sospeso da Fdi, caposcorta, genero e figlio, si sarebbe dovuta chiudere prima di aprirsi con l’ammissione del responsabile. E invece i prodi servitori dello stato continuano a lanciarsi ridicole accuse
Una vicenda che avrebbe dovuto essere risolta in poche ore tiene banco da un mese e mezzo. Aggravando di lavoro la magistratura. E oscillando, giorno dopo giorno, sempre di più tra la tragedia e la farsa.
Parliamo del primo caso di cronaca politica del 2024: il caso Pozzolo, meglio conosciuto come “lo sparo di Capodanno”. Un pezzo di storia è noto, l’altro pezzo un po’ meno. Un deputato della Repubblica, esponente del partito di maggioranza relativa – Fratelli d’Italia – si presenta a una festa di Capodanno nella pro loco di Rosazza, nel Biellese. La sindaca del paese è Francesca Delmastro, sorella del sottosegretario alla Giustizia Andrea, colonnello di Fratelli d’Italia.
Anche quest’ultimo – insieme agli agenti di scorta – è presente alla festa. Mentre il sottosegretario alla Giustizia è fuori dalla sala – vai a capire se a pochi metri o a qualche centinaio – la piccola pistola che il deputato Emanuele Pozzolo aveva con sè esplode un colpo. Un colpo accidentale che parte mentre l’arma non era nell’apposita custodia. Il parlamentare – stando alle ricostruzioni – la stava mostrando urbi et orbi. Non si capisce bene perché, forse solo per pavoneggiarsi.
Quando il colpo esplode, viene ferito il genero del caposcorta di Delmastro. Chi ha sparato? Boh. Tutti accusano Pozzolo. Pozzolo professa innocenza. Non parla ma manda pizzini: “So chi ha sparato, ma lo dirò solo ai magistrati”, ha detto nella prima intervista a Repubblica. I magistrati, intanto, indagano. E chissà se qualche volta non ci pensano che una vicenda – triste, brutta, grottesca – avvenuta in un contesto in cui c’erano un parlamentare e un sottosegretario avrebbe dovuto risolversi velocemente con una semplice ammissione di colpa (di chiunque sia il colpevole).
E invece sta succedendo che i patrioti – o ex tali, Pozzolo è stato sospeso da FdI e deferito ai probiviri, che l’hanno ascoltato pochi giorni fa quando è ricomparso alla Camera, proferendo qualche sibillina parola – non si stanno comportando esattamente da difensori della patria. Anzi, verrebbe da dire che a furia di lanciarsi reciproche accuse, di mandare pizzini e di offrire un pessimo spettacolo, stanno un po’ disonorando il loro ruolo. E tutta la Repubblica.
Di quella notte ancora non solo non si sa esattamente chi ha fatto esplodere il colpo, ma non si capisce per quale oscura ragione un parlamentare – peraltro laureato in giurisprudenza – stesse mostrando la sua pistola. È cosa nota che chi possiede un’arma debba attentamente custodirla. Ma perché Pozzolo aveva un’arma con sé? Dalle varie ricostruzioni che sono state faticosamente fatte, si è capito che gli era stava concessa perché si era esposto a favore della resistenza iraniana. E che aveva già altre armi, ma con permesso sportivo. Era titolato a portare sempre con sé quella pistola piccola piccola, simile a un accendino, per difesa personale. “In Italia girano troppe armi”, si dice. E forse è vero. Ma è vero anche che la licenza che aveva Pozzolo è piuttosto rara. Come raccontato qui da HuffPost, solo 12mila persone in Italia l’hanno ottenuta. Pozzolo era tra questi.
Ora, quali e quante sono le stranezze in questa storia? Così tante che è complicato racchiuderle tutte in un articolo. Ci proviamo.
Subito dopo lo sparo, trapela la notizia che il deputato si sarebbe rifiutato di farsi fare lo stub, il test che rileva la polvere da sparo sulle mani e che non avrebbe consegnato i vestiti, opponendo l’immunità parlamentare. Tempo qualche giorno e la procura dichiara che, invece, lo stub era stato fatto. Sempre fonti investigative comunicano che non aveva consegnato i vestiti “perché aveva freddo”. Non si è mai ben capito cosa sia successo in quelle ore, se davvero gli sia balenato in mente di opporre l’immunità parlamentare, se lo ha davvero fatto e poi qualcuno lo ha indotto a cambiare idea, se era da principio una fake news. Fatto sta che, come era ovvio, questo stub risulta positivo. Sui vestiti di Pozzolo c’era polvere da sparo. Del resto, la pistola era sua. Ed era nella sua mano quando il colpo è partito ed è stato ferito il genero dell’agente di scorta di Delmastro. Quest’ultimo, dal canto suo, aveva detto da subito che quando lo sparo è partito non era nel locale, perché stata sistemando gli avanzi di cibo in macchina.
In una fase iniziale si è accavallata più di una versione dei fatti e, per questo, Matteo Renzi per settimane non ha mollato la vicenda. Prima ha fatto un’interrogazione parlamentare – alla quale Nordio ha risposto picche – e poi, durante un evento a Biella, ha chiesto al sottosegretario e alla sorella di fare il test del Dna. Prontamente Delmastro ha fatto sapere di averlo querelato per le “continue diffamazioni” che il leader di Italia Viva gli ha indirizzato. Un atteggiamento, questo, coerente con quello tenuto sin dall’inizio di questa storia. Il sottosegretario, infatti, ha detto in tutte le salse che in quella sala al momento del fattaccio non c’era. E continua a dirlo, nonostante ci sia chi si diverte a girare il dito nella piaga. Negli annales è rimasto quel “Buon anno un c….” con cui ha risposto a Repubblica il giorno di Capodanno, a poche ore dallo sparo.
Ma allora, come sono andate le cose?
All’inizio neanche la vittima – Luca Campana, 31 anni, elettricista – aveva querelato Pozzolo. In un secondo momento ha deciso di farlo. Perché non subito? “Perché lui è un politico e io un operaio” ha risposto. Nel mentre, sono emersi dettagli sulla figura di Pablito Morello, già caposcorta di Delmastro, che alla festa a quanto pare si era portato tutta la famiglia. Qualche giorno dopo i fatti è stato sospeso e Domani ha svelato che in passato era stato indagato per aver pestato un detenuto. Il procedimento si è concluso con un nulla di fatto.
Le indagini sullo sparo sono poi andate avanti e si è scoperto che sulla pistola c’erano impronte digitali di tre persone diverse. La prima (facile) era Pozzolo. Le altre due? Dopo giorni di mistero, ecco svelato l’arcano: la pistola è stata toccata anche da Maverick Morello. Il figlio di Pablito, finora quasi non menzionato dalle cronache, sostiene di averla tolta dalle mani di Pozzolo dopo lo sparo e di averla consegnata al padre. E infatti è dell’ex caposcorta la terza impronta. A La Stampa, Pablito Morello ha raccontato: “Istintivamente l’ho presa in mano per evitare che urtasse il tavolo”. E ancora: “Mi sono assicurato di allontanare Pozzolo dall’arma rimasta sul tavolo, per poi collaborare a soccorrere il ferito che stava inveendo contro il deputato”.
L’arma è poi stata poggiata su una mensola. Vale sempre la pena ricordare che nei locali della pro loco erano presenti dei bambini e che solo il caso ha voluto che il 31enne se la sia cavata con pochi giorni di prognosi. I tasselli del puzzle si vanno uno dopo l’altro ricomponendo. Manca ora l’esito dell’esame balistico, che dovrebbe finalmente dirci come sono andate le cose. Sempre che qualcuno non decida di mettere fine a questa pietosa saga e raccontarle una volta per tutte.
(da agenzie)
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Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE: “UN RECUPERO DA 33 MILIONI DI EURO COME QUELLO DI OGGI, IN CONCRETO, VALE UN OSPEDALE”… TRANQUILLO, CI PENSERANNO I SOVRANISTI A FARE UN CONDONO
Controlli su 80 dentisti, 33 milioni di euro sottratti a tassazione e cinque milioni di euro sequestrati, come presunto profitto di dichiarazione fraudolenta per gli anni dal 2016 al 2020. Sono i numeri dell’operazione che vede indagati 47 odontoiatri, nell’ambito delle indagini della guardia di finanza di Bari che coinvolgono tutte le province di Puglia e Basilicata.
Gli accertamenti, partiti dopo una verifica fiscale della finanza nei confronti di un odontoiatra con studio nella provincia di Bari, hanno consentito di individuare in un ingegnere informatico l’ideatore e il fornitore di un software gestionale con il quale era possibile tenere una contabilità parallela, ostacolando così l’attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria.
L’ingegnere, come emerso, avrebbe anche creato delle chat con i professionisti nelle quali faceva riferimento alla contabilità ‘black’ e invitava i suoi clienti alla prudenza. In alcune di queste chat, come scrivono i finanzieri, «si fa riferimento alla necessità di contabilizzare i pagamenti delle prestazioni sanitarie ‘in chiaro’ o ‘in nero’ a seconda che il cliente richieda o meno la fattura».
Netto il monito del procuratore di Bari, Roberto Rossi. «Invitiamo i cittadini – ha detto nel corso di una conferenza stampa – a chiedere sempre ricevute e fatture. Si pensa che non facendolo si risparmi, ma non è così, perché» i pagamenti a nero «provocano un effetto sul sistema globale. Sono debiti che lasciamo ai nostri figli. Un recupero da 33 milioni di euro come quello di oggi, in concreto, vale un ospedale».
(da agenzie)
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Febbraio 20th, 2024 Riccardo Fucile
“UN CASO CHE LA DICE TUTTA SUL BARATRO CULTURALE CREATO IN ANNI DI IMPUNITÀ DELLA LEGGE”… “DIETRO QUESTE CORSE DOVE I POVERI ANIMALI VENGONO MASSACRATI E DOPATI C’È UN BUSINESS MILIONARIO. QUESTA È MAFIA”
“Anni di sottovalutazione della politica non possono che portare a questo. Una corsa clandestina in pubblica via e con tanto di colpi di pistola che rappresentano, oltre al grave maltrattamento di animali, uno schiaffo in faccia a chi ancora crede nella legalità”. Lo rende noto, con un comunicato, Enrico Rizzi, animalista e influencer per i diritti degli animali, venuto in possesso di un video di una corsa clandestina nel Catanese. Il filmato, ricostruisce Rizzi, è stato “lanciato sui social e rimasto online solo per poco tempo, mostra una strada extraurbana dove si notano in folle corsa due sulky professionali guidati da driver incappucciati o con passamontagna” e “i cavalli sono attorniati da decine di motori spesso con la targa oscurata da dove, più volte, si vede alzare una mano che impugna un’arma, verosimilmente una pistola”.
“In meno di un minuto – dice Rizzi – si avvertono chiaramente esplodere ben cinque colpi, per almeno tre volte coincidenti con i frame che mostrano l’arma in mano. Si tratta di un caso di una gravità inaudita che la dice tutta sul baratro culturale creato in anni di disattenzione e menefreghismo ma anche di impunità della legge”. Sulla vicenda annuncia che presenterà una denuncia ai carabinieri.
“Durante la stessa diretta – sottolinea – è intervenuto il vice presidente della Commissione antimafia, Ismaele La Vardera, che ha annunciato la richiesta di apertura un’indagine sulle corse clandestine”
Sulla vicenda è intervenuto anche il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Francesco Emilio Borrelli che parla di “fenomeno direttamente legato alle cosche mafiose che, con questi eventi rimpinguano le proprie casse, grazie alle scommesse, e acquistano sempre più prestigio” e annuncia la “presentazione di un’interrogazione parlamentare, affinché si avviino procedure drastiche per fermare tale barbarie criminale”.
(da agenzie)
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