Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
VERGOGNOSO SOSTENERE CHE “LA FAMIGLIA HA PERSO UN ANNO”, QUANDO E’ STATO IL GOVERNO ITALIANO A FOTTERSENE PER UN ANNO… E I DOMICILIARI SONO STATI CHIESTI TRE VOLTE E SONO SEMPRE STATI RESPINTI, ALMENO SI INFORMI
“La famiglia ha perso un anno”. Sono parole forti quelle che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio usa nei confronti della famiglia (e della difesa di Ilaria Salis). Parole che non ci si aspetta dal titolare di un ministero che – sebbene con diverse declinazioni – un ruolo per tutelare i diritti dell’antifascista detenuta a Budapest e magari per riportarla in Italia dovrebbe averlo.
Ma in cosa consiste questo temporeggiare della famiglia, secondo Nordio? Nel fatto che non abbiano chiesto prima i domiciliari in Ungheria e che si siano decisi a provarci – iniziando a cercare una casa per Ilaria per dare alla magistratura ungherese un domicilio – solo ieri sera, qualche giorno dopo che il governo, con il ministro Antonio Tajani, ha fatto sfumare anche l’ipotesi dei domiciliari in ambasciata.
L’affermazione del ministro pare molto scivolosa. E in parte è anche falsa. Per un motivo molto semplice.
Gli arresti domiciliari, in questo lungo anno di detenzione, sono stati chiesti dalla difesa di Salis non una, ma tre volte. E per tre volte sono stati rifiutati, perché la magistratura ungherese riteneva ci fosse pericolo di fuga.
È vero, è stato chiesto che li scontasse in Italia e non in Ungheria. Ma nessuno può sostenere che se la difesa avesse chiesto di farglieli scontare a Budapest la magistratura ungherese avrebbe detto di sì.
Inoltre, la difesa, quando ha chiesto che Ilaria passasse i domiciliari in Italia, lo ha fatto prendendo a riferimento degli accordi quadro dell’Unione europea che lo consentivano. Uno di questi, del 2009, è stato anche citato più volte dal ministro. Ce n’è un secondo, più recente, che invece risale al 2019 e che è più controverso. Ma esiste nero su bianco, e se un avvocato reputa di farvi un riferimento non gli si può certo imputare di aver perso tempo.
“Il ministro non è informato di fatti. Preferisco avere un atteggiamento diverso, chiedo di controllare bene i fatti e di controllare certe dichiarazioni, che su mia moglie sono state molto devastanti. Mi aspetto un atteggiamento dalle istituzioni conseguente al loro lavoro. Se ci mettiamo a fare polemica sulla famiglia…”, ha dichiarato Roberto Salis a Metropolis, commentando le parole di Nordio.
Non vuole andare allo scontro l’avvocato della famiglia, Emanuele Losco. Il legale, però, ci fa notare che Salis non ha “alcun legame con l’Ungheria, nessun contatto a Budapest”. Chiedere che il giudice ungherese le consentisse di passare i domiciliari in Italia era, dunque, per il legale, una scelta naturale. Non per il ministro, evidentemente. Che dopo aver illuso la famiglia dell’appoggio di via Arenula (le aveva promesso della documentazione per rassicurare l’Ungheria dell’assenza di pericolo di fuga) si è tirato indietro. E ora dimentica l’inerzia del governo e scarica la colpa sui cari di Ilaria. Che vogliono solo riportarla a casa.
Le parole di Nordio sono state criticate anche da vari esponenti dell’opposizione nel corso della fiaccolata organizzata a Largo Argentina, a Roma. Prima che il breve corteo si avviasse verso il Pantheon, al grido di “Ilaria libera”, Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana, ha dichiarato: “Le parole di oggi del ministro Nordio sul caso Salis sono sconcertanti, deprimenti, offensive, umilianti nei confronti del Paese che rappresenta, nei confronti della famiglia Salis e nei confronti di chi pensa che in un Paese normale le istituzioni si mobilitano per garantire dignità e diritti per i propri cittadini”. Per il parlamentare 5 stelle Riccardo Ricciardi: “Qui c’è una donna che ha avuto il trattamento che tutti abbiamo visto, è l’Italia e l’ambasciata che hanno perso un anno. I discorsi che in tanti a destra fanno lasciano passare l’idea che se l’è andata a cercare, questo si percepisce”. Ivan Scalfarotto, di Italia Viva, ha invece osservato: “Non è che la famiglia di Ilaria Salis ha perso un anno, è la Farnesina che ha dormito”.
Presente alla fiaccolata anche la segretaria del PD, Elly Schlein: “Non si può tollerare la violazione costante dei diritti e della dignità di una cittadina italiana che il mondo intero ha visto in catene e portata al guinzaglio al processo. Siamo qui per continuare a sostenere questa battaglia”, ha dichiarato. “Ilaria libera”, continuano a intonare le persone – giovani e meno giovani, tante bandiere dell’Anpi, nessuna dei partiti – che partecipano alla fiaccolata. Il rischio e che, invece, Ilaria resti in carcere ancora.
(da Huffingtonpost)
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Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
GLI ORFANI DI STALIN PENSANO DI SILENZIARE LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI CHE LI SCHIFA
“Un’assurdità”. Così Ubaldo Pagano, deputato del Partito democratico, liquida le dichiarazioni rilasciate dal senatore della Lega e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alessandro Morelli che, in una intervista rilasciata a Libero, parlando di Sanremo e delle polemiche sulle dichiarazioni dei cantanti, a partire dai casi legati a Dargen D’Amico e Ghali, dice: “Gli artisti dovrebbero salire sul palco, fare la loro bella esibizione e andarsene”. Morelli arriva a proporre: “Per le prossime edizioni sarebbe utile pensare a una sorta di Daspo per chi utilizza quel palco per fini diversi da quelli della musica. Non solo per Sanremo per tutti i palcoscenici Rai”.
Dura la replica dell’esponente dem: “Quanto dice Morelli è di una gravità inaudita perché è la completa negazione dei diritti e delle libertà sancite nella nostra Costituzione. Ma sono anche esternazioni ridicole, considerato l’uso totalizzante delle reti Rai che proprio il suo governo fa quotidianamente”.
E nella commissione di vigilanza Rai un’altra deputata Pd, Ouidad Bakkali, commenta: “Per il sottosegretario Morelli i cantanti sono come i menestrelli di corte: possono cantare ma non hanno il diritto di esprimere opinioni. E se osano parlare devono essere cacciati dall’Ariston”.
Ipotesi che anche Avs definisce “farneticanti”: “Peccato che il ruolo del Servizio pubblico sia proprio quello di informare i cittadini, e non di fare la cassa di risonanza del governo di turno, e quello degli artisti è di far riflettere con le loro opere e le loro parole”, commentano Angelo Bonelli e Peppe De Cristofaro.
“Dopo l’editto bulgaro il daspo per gli artisti: tra poco fuori dalle cariche pubbliche chi non si iscrive a FdI”, chiosa un altro deputato Avs, Marco Grimaldi.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
A PORTARE AVANTI LA PROTESTA A OLTRANZA SONO L’EX “FORCONE” DANILO CALVANI E L’EX BERTINOTTIANO GIANNI FABBRIS. E AD APPOGGIARLI ANCHE FORZA NUOVA, CHE LANCIA UN APPELLO A PUTIN: “SALVI L’AGRICOLTURA ITALIANA”
Quasi 100 trattori provenienti da tutta la Campania sono arrivati in via Marina, a Napoli, occupando tutta la corsia di marcia, scortati dalle forze dell’ordine. I trattori si fermeranno davanti alla mensa dei poveri in via Marina dove ogni giorno vengono distribuiti i pasti ai bisognosi della città e della provincia. Gli agricoltori doneranno prodotti della terra raccolti stamattina in Campania. Il corteo poi proseguirà verso piazza Municipio e il lungomare.
Applausi dai napoletani, curiosità tra i turisti. I trattori hanno ‘invaso’ il lungomare di Napoli in una giornata di sole primaverile. Il corteo, con la presenza di oltre cento mezzi, dopo aver attraversato la città ha raggiunto la zona dei grandi alberghi dove si è per il momento fermato. Molti i cittadini che si avvicinano ed ai quali gli agricoltori illustrano le ragioni della manifestazione e le motivazioni a difesa della categoria ma anche dei consumatori.
Se ne sono andati quelli di Riscatto agricolo, dopo gli arrosticini consumati insieme al ministro Francesco Lollobrigida, ma in via Nomentana ora ci sono i trattori dei Maf, Movimenti agricoltori federati di 12 regioni, con il loro portavoce Roberto Rosati, allevatore di bovini nel Teramano, iscritto alla Coldiretti ma delusissimo dai sindacati («Non sono mai passati a chiederci perché siamo qua»).
Insomma, sbaracca la protesta? Macché. Non c’è rimasto solo Danilo Calvani, l’ex Forcone, sulle barricate della lotta agricola. Calvani, leader dei Cra (Comitati riuniti agricoli) scommette tutto sulla prova di forza di domani al Circo Massimo (dalle 15): ha annunciato 20 mila persone in piazza per invocare le dimissioni del ministro dell’Agricoltura, che nei giorni scorsi ha convocato tutti meno lui.
Per raggiungere quella cifra, il capo-popolo di Pontinia ha aperto le porte a chiunque, ricevendo però quasi tutti no. Non ci sarà a dargli manforte l’ex capo romano di Forza Nuova, Giuliano Castellino, sorvegliato speciale, a cui la Questura ieri ha negato il permesso: «La repressione può fermare un corpo, ma non il dissenso», dice lui, che manderà comunque i suoi di Ancora Italia, con le bandiere tricolori, a recitare al Circo Massimo insieme ai contadini la preghiera alla Madonna dei debitori («In questo campo arato dalle fatiche, ci sentiamo smarriti, ascolta il grido di dolore…»).
E non ci saranno con Calvani nemmeno quelli di Altragricoltura e del Popolo produttivo, che invece manifesteranno domani al Campidoglio (ore 13) al grido di «Te lo do io il made in Italy», con i sindaci di Vittoria, Casal di Principe e altri comuni rurali.
Chi sono? Allevatori di bufale casertane, i Cospa (comitati spontanei abruzzesi), braccianti e forestali del sindacato Sifus. Eppoi ambulanti, pescatori, balneari.
Il presidente di Altragricoltura (3.500 iscritti) è Gianni Fabbris, ex bertinottiano, erede delle lotte contadine degli anni ‘70 e del G8 di Genova contro la globalizzazione.
Popolo produttivo invece sta più a destra, con le partite Iva di Angelo Di Stefano e i contadini dell’Aspal di Stefano Giammatteo, che coltiva kiwi a Cisterna, non lontano dunque da Calvani, ma che con l’ex Forcone non vuole avere a che fare («Noi non siamo estremisti, vogliamo il dialogo con il Parlamento e il governo e vorremmo essere ricevuti insieme ad Altragricoltura domani da Lollobrigida»)
Sempre per domani, Roberto Fiore, il leader dei neofascisti di Forza Nuova, annuncia invece un appuntamento all’ambasciata russa: «Putin salvi l’agricoltura italiana. Queste proteste devono essere l’inizio di una rivoluzione rurale», dice. E neppure i Maf di Rosati saranno al Circo Massimo: i loro quattro trattori-simbolo, piazzati a San Giovanni, Cinecittà, Ostiense e al Colosseo Quadrato dell’Eur, domani per segnare la distanza da Calvani rientreranno in via Nomentana, per poi riapparire al sit-in di sabato (dalle 10) alla Bocca della Verità.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
DETTA COSÌ, SEMBRA CHE FACCIA RIFERIMENTO ALL’INTERO PERIODO DEL SUO GOVERNO, MA NON È AFFATTO COSÌ … IL FACT CHECKING DI “PAGELLA POLITICA”
Il 12 febbraio, in un’intervista con il TG5 su Canale 5, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha difeso le recenti politiche economiche del suo governo citando una statistica in particolare. Secondo […] l’Ocse, ha detto Meloni, in Italia il reddito disponibile delle famiglie è aumentato «sei volte di più» della media degli altri Paesi. Abbiamo verificato che cosa dicono davvero i numeri: la dichiarazione della presidente del Consiglio è fuorviante.
Nella sua intervista in tv, con tutta probabilità Meloni ha fatto riferimento ai dati pubblicati dall’Ocse lo scorso 8 febbraio sul cosiddetto “reddito lordo disponibile delle famiglie pro capite in termini reali” (in inglese real household income per capita).
Quest’ultimo è il reddito totale percepito dalle singole famiglie, al netto delle imposte sul reddito e sul patrimonio, e al netto dei contributi sociali. Come spiega l’Ocse nel suo database, questo indicatore tiene conto dell’andamento dell’inflazione: «Se il reddito aumenta più dei prezzi al consumo, il reddito reale aumenta. Se il reddito aumenta meno dei prezzi al consumo, il reddito reale diminuisce»
Secondo Ocse, nel terzo trimestre del 2023 in Italia il reddito delle famiglie è cresciuto dell’1,4 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Questo aumento «è stato trainato principalmente dalla crescita delle retribuzioni dei dipendenti e dei redditi da lavoro autonomo», ha sottolineato l’Ocse.
Nello stesso periodo di tempo, in media il reddito delle famiglie nei Paesi del G7 e quello negli altri Paesi Ocse monitorati è sceso in entrambi i casi dello 0,2 per cento. Da qui viene la dichiarazione di Meloni secondo cui il dato italiano «è aumentato sei volte di più di quanto sia aumentato nella media delle altre nazioni». La Francia ha registrato un calo dello 0,1 per cento, la Germania dello 0,6 per cento e la Spagna del 2,1 per cento.
Nella sua intervista però la presidente del Consiglio non ha specificato a quale periodo facessero riferimento i nuovi dati dell’Ocse. Questa omissione è importante per almeno due motivi.
In primo luogo, ascoltando la Meloni, si potrebbe pensare che la presidente del Consiglio abbia fatto riferimento all’intero periodo in cui è al governo, ossia da ottobre 2022 a oggi, e ai provvedimenti presi in favore dell’economia. Come abbiamo visto, in realtà i dati Ocse arrivano solo alla fine di settembre 2023.
Tra gli altri, non possono avere avuto un impatto sui numeri i provvedimenti presi con la nuova legge di Bilancio, come il rifinanziamento del taglio del cuneo fiscale, o l’abolizione del reddito di cittadinanza entrato in vigore il 1° gennaio 2024.
In secondo luogo va sottolineato che sul reddito lordo disponibile delle famiglie pro capite in termini reali Ocse fornisce un indice che permette di calcolare dal 2007 in poi, di trimestre in trimestre, come è cambiato questo indicatore nel tempo. Detto in parole semplici, posto a 100 il reddito delle famiglie nel primo trimestre del 2007, Ocse calcola ogni tre mesi se questo valore è cresciuto o diminuito.
Alla fine del terzo trimestre 2022, prima che si insediasse il governo Meloni, l’indice del reddito delle famiglie valeva 93,43, ossia era più basso del valore del 2007 [2]. Tra luglio e settembre 2023 (dati più aggiornati) valeva 93,18: dunque, nonostante l’aumento tra il secondo e il terzo trimestre dell’anno scorso, nel primo anno del governo Meloni il reddito delle famiglie è complessivamente calato (-0,3 per cento), non aumentato come ha lasciato intendere la presidente del Consiglio. Nel primo trimestre del 2023 c’è stato un aumento del 3 per cento rispetto al trimestre precedente, mentre nel secondo trimestre del 2023 c’è stato un calo dello 0,4 per cento.
In Spagna e in Francia, nonostante il calo nel terzo trimestre del 2023, il reddito disponibile rimaneva più alto rispetto a un anno prima, mentre in Germania più basso. In tutti e tre i Paesi […] il reddito delle famiglie era più alto di quello del 2007.
Al TG5 Giorgia Meloni ha detto che, secondo l’Ocse, in Italia «il reddito disponibile delle famiglie è aumentato in Italia sei volte di più di quanto sia aumentato nella media delle altre nazioni». Abbiamo verificato e la dichiarazione della presidente del Consiglio è fuorviante.
Secondo Ocse, nel terzo trimestre del 2023 il reddito disponibile delle famiglie in Italia, tenendo conto dell’inflazione, è aumentato dell’1,4 per cento rispetto al trimestre precedente, mentre in media tra i Paesi del G7 e dell’Ocse è calato.
Meloni non dice però a quale periodo fa riferimento l’aumento del reddito che ha citato. Tra gli altri, sono esclusi i potenziali effetti della legge di Bilancio per il 2024, approvata a dicembre 2023.
Tra il terzo trimestre del 2022, ossia poco prima dell’insediamento del governo Meloni, e il terzo trimestre del 2023 il reddito disponibile delle famiglie in Italia è calato (-0,3 per cento).
(da Pagellapolitica)
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Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
UNA SITUAZIONE ESPLOSIVA IN VISTA DELL’ASSEMBLEA DI APRILE QUANDO L’AD SERGIO CHIEDERÀ L’APPROVAZIONE DEL BILANCIO. UNA VOLTA FIRMATO E CONTROFIRMATO, LA PALLA PASSA AL MINISTRO GIORGETTI, IN QUANTO LA RAI È UNA SOCIETÀ PER AZIONI PARTECIPATA AL 99,56% DAL MEF E ALLO 0,44% DALLA SIAE ,,, QUEL CAVALIER TENTENNA DI GIORGETTI DARÀ SUBITO IL VIA PER L’ELEZIONE DI UN NUOVO CONSIGLIO IL QUALE NOMINERÀ AD E PRESIDENTE, COME VUOLE GIORGIA MELONI?
Tornando da Sanremo, i capoccioni di Mamma Rai hanno calzato elmetto e preso il bazooka: devono affrontare la battaglia definitiva: Giampaolo Rossi versus Roberto Sergio.
La staffetta tra il pretoriano della Meloni, Giampaolo Rossi, e il rappresentante del partito azienda, il democristiano in libera uscita, Roberto Sergio, per cui si sarebbero dovuti scambiare i ruoli a giugno, dopo le europee, è finito accartocciato nel cestino.
Ricordiamo che Rossi fu parcheggiato sulla poltrona di direttore generale (che non esisteva) perché, avendo alle spalle già un mandato nel Cda Rai, un secondo e definitivo incarico avrebbe avuto la durata di appena un anno, il tempo lasciato vuoto dalle grottesche dimissioni di Carlo Fuortes.
Una volta poggiato il sederino sulla poltrona più importante di viale Mazzini, l’ex fidanzato della berluscona Deborah Bergamini finalmente sarà libero di guidare l’occupazione definitiva della Rai da parte dei voraci Fratellini d’Italia, rimasti a bocca asciutta per decenni dalla torta della Rai, spazzando via quello che resta della famigerata egemonia culturale della tele-sinistra veltroniana (uscito anche Augias, la Rai3 di Angelo Guglielmi la ritroviamo con Andrea Salerno in onda su La7).
La politica romana, si sa, è mobile qual piuma al vento e il prode Sergio non nasconde più, irrobustito dal trionfo di ascolti e pubblicità (e polemiche) sanremesi, di puntare dritto alla riconferma di Ad. E infatti il giornali meloniani non sono stati per niente teneri con la sagra canzonettara: “Libero” di Mario Sechi, una volta ascoltato Amadeus intonare in sala stampa “Bella Ciao”, ha subito titolato “Festival dell’Unità”.
Una recente intervista di Sergio rilasciata al “Italia Oggi” è stata letta da molti addetti ai livori come una auto-candidatura per la riconferma: Sergio, con il tono di chi squaderna il futuro piano industriale di Viale Mazzini, ha parlato della volontà di reintrodurre le direzioni di rete e di abbandonare quelle di genere, annunciato investimenti nelle fiction e dichiarato per l’ennesima volta guerra alle produzioni esterne.
Da buon navigato democristiano, in modalità Pierfurby Casini, Sergio ha da sempre messo in pratica una politica inclusiva: buoni rapporti con tutto l’arco parlamentare, ben inserito nei gangli del partito azienda e del sindacato, alleanza stretta con l’altro grande democristiano, molto ascoltato dalla Meloni, Bruno Vespa.
Con l’altro gran confidente e consigliori della Ducetta, Gian Marco Chiocci i rapporti sono a corrente alternata, ondivaghi, anche per il pessimo feeling che il direttore del Tg1 ha con Rossi. Con Sergio poi c’è il multi-tasking delle manovrismo Rai, l’inossidabile Mario Orfeo.
Ultimamente Sergio si ritrova al suo fianco, oltre a Forza Italia, anche la malconcia Lega di Salvini che, a picco nei sondaggi, sorpassata pure da Forza Italia, conduce la campagna elettorale per le europee avversando in tutto e per tutto ciò che propone e dispone la sua alleata (si fa per dire) Meloni.
Da parte sua, Conte non smentisce il suo camaleontismo: da una parte, con Barbara Floridia, presidente M5s della Commissione Vigilanza Rai, intasca da Rossi una filiera di poltrone dirigenziali, dall’altra tira la volata per la riconferma di Sergio.
Nel comunicato con cui ha difeso Sergio, Conte da’ una botta al cerchio e una alla botte. Difende il dirigente: “Credo che ci sia un clima, adesso, di attacchi personali anche forse di minacce nei confronti dell’amministratore delegato della Rai. Questo mi sembra che sia trascendere il confronto di critica legittima”.
E poi lo critica: “Sicuramente quel comunicato letto in diretta non andava bene nella misura in cui sposava unilateralmente solo le ragioni di Israele ma va anche detto che noi non possiamo accettare questa azione militare cosi’ cruenta nei confronti di civili palestinesi inermi”.
Il riferimento è all’abilità di Roberto Sergio di sdoppiarsi, come un Giano Bifronte, andata in scena domenica scorsa quando ha fatto leggere un comunicato ufficiale Rai pro-Israele e anti-Ghali alla povera Mara Venier. Un “colpo di mano”, “avrebbe dovuto consultare il Cda”, secondo la piddina Bria e la presidente in uscita Marinella Soldi.
La mossa di Sergio voleva essere astuta ma è stata tardiva: la solidarietà “al popolo di Israele e alla comunità ebraica” è arrivata nel momento in cui tutto l’Occidente, dagli Stati uniti all’Europa, sta prendedo le distanze dall’azione del governo israeliano, criticando aspramente Netanyahu.
E’ stata una mossa, quella di Sergio, “più realista del re”. Infatti Giorgia Meloni, vista la fluidità della politica internazionale (ora si fiuta meno indulgenza con Israele, soprattutto da parte di Biden), ha dialogato con Elly Schlein per trovare un accordo sulla mozione del Pd con cui si chiede il “cessate il fuoco” a Gaza.
Scrive oggi Antonella Baccaro sul “Corriere”: ‘’Secondo Sergio, l‘impasse che si è determinata a “Domenica In” sarebbe addebitabile al direttore responsabile del day-time (Angelo Mellone), assente a Sanremo in un momento in cui, secondo lui, sarebbe stato necessario fornire alla conduttrice le chiavi di lettura di quanto stava accadendo”
Anche Rossi, diversamente da ciò che si scrive, non è espressione solo della Fiamma Tragica: dopo la sonora porta in faccia nell’operazione Pino Insegno alla conduzione de “L’Eredità” su Rai1, perduta l’alleanza con Orfeo, ha trovato un sorprendente asse con il Pd di Boccia, preoccupatissimo solo del futuro televisivo della consorte Nunzia De Girolamo.
Una situazione quanto mai fluida in vista dell’assemblea di aprile quando l’amministratore delegato Roberto Sergio chiederà l’approvazione del bilancio. Una volta firmato e controfirmato, la palla passa al ministro Giancarlo Giorgetti, in quanto la Rai è una società per azioni partecipata al 99,56% dal ministero dell’economia e delle finanze (Mef) e allo 0,44% dalla Società italiana degli autori ed editori (Siae).
E qui viene il bellum: quel cavalier tentenna di Giorgetti darà subito il via per l’elezione di un nuovo consiglio il quale nominerà amministratore delegato e presidente, come vuole la Melona? Oppure darà retta al suo capitano leghista rinviando la presa di potere da parte dei fazzisti posticipando il nuovo Cda a dopo le europee?
(da Dagoreport)
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Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
MURELLI HA SCONTATO 18 ANNI PER CONCORSO IN OMICIDIO PER L’UCCISIONE DEL POLIZIOTTO ANTONIO MARINO NEL 1973…I TRE ERANO OSPITI DELL’AMBASCIATA PER LA COMMEMORAZIONE DI DARIA DUGINA, MA I LORO INTRECCI CON IL MONDO PUTINIANO HANNO RADICI LONTANE
Se fosse un film si potrebbe intitolare “Ordine Nuovo alla cortedello zar”. Invece è tutto vero. È una storia di neofascisti italiani filorussi e di diplomatici azzimati, di ex terroristi neri e di feluche. Sullo sfondo, oltre alla propaganda del Cremlino sulla guerra contro l’Ucraina, simboli nazisti e una serie di incontri.
Partiamo dalla fine. Roma, 8 febbraio 2024: nei saloni dell’Ambasciata della Federazione Russa in via Gaeta c’è un ricevimento. Si festeggia la Giornata dei diplomatici russi, festività inserita nel 2002 nel calendario politico della Russia e che cade ufficialmente il 10 febbraio.
Tra gli invitati ricevuti dall’ambasciatore in Italia, Alexey Paramonov, ci sono – si legge in un comunicato – «rappresentanti del corpo diplomatico dei Paesi amichevoli accreditati a Roma, personalità pubbliche ed esponenti del mondo culturale italiano, giornalisti e amici connazionali». Chissà sotto quale di queste voci sono da ascrivere tre ospiti italiani: Maurizio Murelli, Rainaldo Graziani e sua moglie Ines Pedretti. La loro partecipazione è raccontata in un lungo post su Facebook da Murelli.
Murelli è un ex terrorista nero vicino alle posizioni di Franco Freda. Il 12 aprile 1973 a Milano fornisce la bomba a mano con cui durante una manifestazione neofascista viene ucciso l’agente di polizia Antonio Marino: il famigerato “giovedì nero” di Milano. Condannato a 18 anni per concorso in omicidio, Murelli si ricicla come editore: esordisce con la rivista Quex animata dal terrorista pluriomicida Mario Tuti; poi fonda Aga Editrice e la rivista Orion.
Dagli anni ’80 è un punto di riferimento dell’estrema destra italiana. Insieme a Mario Borghezio e a Gianluca Savoini, Murelli è stato definito uno degli uomini chiave dell’infiltrazione politica di matrice neonazifascista nella Lega salviniana vicina al Cremlino.
Amico storico di Murelli è Rainaldo Graziani. Figlio di Clemente, cofondatore di Ordine Nuovo insieme a Pino Rauti. Nel 2017 Graziani jr rifonda l’organizzazione neofascista del padre attraverso l’associazione REuropa i cui domini – centrostudiordinenuovo. org e ordinenuovo.org – sono di proprietà della Cooperativa sociale Arnia presieduta da Ines Pedretti. Sua moglie.
I tre, stando al racconto di Murelli, sono ospiti dell’ambasciata russa per commemorare Daria Dugina: la figlia del filosofo che “sussurra a Putin”, uccisa il 20 agosto 2022 da una bomba piazzata sotto la sua auto.
Passo indietro. Anzi due. 20 agosto 2023. Il primo anniversario della morte di Dugina è celebrato con una giornata che riunisce un centinaio di fascio-putiniani d’Italia: Graziani e Murelli in primis. Dove? Alla “Corte dei Brut”, la cascina di Gavirate di proprietà di Graziani dove da anni trova spazio la destra neofascista.
Tutto si tiene, in fondo; perché quando nel 2018 in un incontro a Roma Graziani annuncia la riapertura del “centro studi Ordine Nuovo” c’è anche Darya Dugina. Chi partecipa alla riunione riceve un opuscolo con l’ascia bipenne, simbolo di Ordine Nuovo (sigla sciolta nel 1973 dal ministero dell’Interno).
Pochi giorni dopo Aleksandr Dugin è ospite alla Corte dei Brut: dopo pranzo alla star russa viene donata la lanterna di Yule (“ Julleuchter ”), simbolo rituale delle SS che Heinrich Himmler regalava ai suoi uomini.
Passa un anno. È sempre il trio Graziani, Murelli e Pedretti che nell’estate 2019 organizza il tour italiano di Dugin: undici conferenze in dieci giorni. Polemiche. Come a dicembre 2019, quando in un post shock Graziani ringrazia i militanti di Ordine Nuovo nel giorno dell’anniversario della strage di Piazza Fontana firmata proprio Ordine Nuovo («ci hanno insegnato onore e fedeltà»).
Ritratto dei tre amici italiani di Putin. Dettaglio: al ricevimento dell’8 febbraio – si legge in una velina russa – «è stata inaugurata la rinnovata esposizione museale dell’ambasciata dedicata alla storia delle relazioni diplomatiche, commerciali e culturali tra Russia e Italia».
(da La Repubblica)
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Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
COME AL SOLITO VENGONO PREMIATI QUEI SOGGETTI CHE, CIRCOLANDO SENZA RISPETTARE LE LEGGI, HANNO CONTAMINATO ALTRI ITALIANI
Sul calar delle tenebre arriva un nuovo regalo del Carroccio ai no vax. È stata prorogata di sei mesi, fino al 31 dicembre, la sospensione delle multe per chi ha violato l’obbligo di vaccinazione per il Covid.
Il nuovo slittamento è previsto da un emendamento al decreto Milleproroghe presentato da Alberto Bagnai (Lega) e approvato dalle commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera, in un clima di accese tensioni. Le opposizioni hanno chiesto la votazione nominale e per il caos in aula è stata anche brevemente sospesa la seduta.
“Ore 23. Combattiamo una battaglia contro l’emendamento 4.2 Bagnai (un nome una garanzia) che rinvia per l’ennesima volta le multe per chi se n’è fregato della scienza e non si è vaccinato durante il Covid – ha scritto in un tweet il deputato di Iv Luigi Marattin -. Tra l’imbarazzo anche di una parte della maggioranza, quella che non ha venduto tutta l’anima al cialtronismo e al populismo”.
Alla fine, l’emendamento è passato per 8 voti. L’esito del voto è arrivato intorno alla mezzanotte.
Non ha partecipato al voto il capogruppo di FI in commissione Affari costituzionali Paolo Emilio Russo.
Per Marco Grimaldi, vice presidente del gruppo di alleanza Verdi e Sinistra alla Camera: “1,7 milioni di persone hanno già ricevuto la comunicazione dall’Agenzia delle entrate per l’avvio del procedimento della sanzione, che vale 100 euro a testa. Questo significa che lo Stato ha già messo in conto di incassare più di 150 milioni di euro. La destra ripaga i voti no vax con una proroga che è un doppio schiaffo. A chi si è vaccinato e pure a chi non lo ha fatto e ha pagato una multa. Le urla e le minacce di Fratelli d’Italia durante i lavori di commissione sono una indecenza che si aggiunge alla gravità di questa norma”.
Il M5s ha poi abbandonato i lavori delle commissioni, che procedono nella seduta notturna a oltranza per esaminare gli emendamenti al decreto Milleproroghe. “Non saremo complici. Non hanno approvato nulla degli emendamenti presentati dal Movimento – spiega Alfonso Colucci, capogruppo in commissione Affari costituzionali -. Ne avevamo presentati di importanti, come quello per ripristinare le agevolazioni per i mutui per under 36 e famiglie disagiate, quello sui disturbi alimentari, o quello per rivedere la tassa sugli extraprofitti delle banche con devoluzione a iniziative sociali. Ci prospettavano di votare velocemente 15 o 17 emendamenti riformulati fra cui non comparivano proposte del M5s, e così abbiamo deciso di non continuare con questa inutile votazione”.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO LA SUA USCITA DA TV-TEL AVIV, PIANTEDOSI GLI ASSEGNA LA SCORTA DOPO LE CRITICHE PIOVUTE DALLE OPPOSIZIONI
Il Viminale ha messo sotto tutela l’ad della Rai, Roberto Sergio, dopo “le minacce ricevute” per le sue posizioni su Israele. All’amministratore delegato di viale Mazzini è stata quindi assegnata la scorta.
La tensione è salita dopo le polemiche sul comunicato della Rai letto da Mara Venier a Domenica In, sulla posizione dell’ad Roberto Sergio sulla guerra in Medio Oriente, il giorno dopo la finale di Sanremo con l’appello di Ghali dal palco ‘Stop genocidio’. Ma anche dopo gli scontri con la polizia avvenuti durante le manifestazioni davanti alle sedi Rai di Napoli e Torino.
Il provvedimento è stato preso dal ministero dell’Interno “dopo le minacce ricevute da Sergio e dalla sua famiglia” per la presa di posizione in difesa di Israele racchiusa nel comunicato letto a Domenica In per cui le opposizioni indignate hanno anche chiesto le sue dimissioni.
Non si capisce il genere di minacce che avrebbe ricevuto: se fossero quelle solite dei leoni da tastiera mezza Italia avrebbe diritto alla scorta.
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2024 Riccardo Fucile
E CHI LO DICE ALLA SORA GIORGIA CHE LA TASSA ERA STATA VOLUTA DAL COGNATO LOLLOBRIGIDA E CHE SOLO DUE GIORNI FA IL SUO FIDATO CIRIANI AFFERMAVA: “È DIFFICILE FARE DI PIÙ, LA LEGA CAPIRÀ”? ORA CHE FANNO I SUOI MINISTRI? SI DIMETTERANNO?… LO SCHIAFFO DEI TRATTORI, CHE NON FERMANO LA PROTESTA NONOSTANTE LE CONCESSIONI DEL GOVERNO
Meloni e Salvini esultano per il ripristino delle agevolazioni sull’Irpef agricola, ma le opposizioni parlano di “partita di giro”, mentre i trattori continuano a marciare verso Roma.
Arrivano dai fondi stanziati per la riforma fiscale le risorse per l’emendamento al decreto “Milleproroghe” depositato ieri dal governo, che conferma l’esenzione totale per l’Irpef sui terreni agricoli fino a 10 mila euro, e la riduzione del 50 per cento fino a 15 mila. Il costo della misura, che vale due anni, è di 220,1 milioni nel 2025 e 130,3 milioni per il 2026.
Una misura che «garantisce un intervento progressivo che esenta maggiormente gli agricoltori che si trovano più in difficoltà ed esclude dal beneficio coloro che oggettivamente non ne hanno bisogno», rivendica la premier Giorgia Meloni.
Altrettanto soddisfatto Matteo Salvini: il vicepremier leghista parla di «una vittoria per agricoltori, allevatori e produttori».
Ma le opposizione non condividono l’entusiasmo di Meloni e dei suoi ministri che, ricorda un gruppo di deputati del Pd, «prima tolgono i soldi, poi ce li rimettono ». E se il Pd parla di «gioco delle tre carte», Azione di «partita di giro »: «Il governo trova le risorse per gli agricoltori rimangiandosi la promessa di tagliare le tasse agli italiani ».
Sia il Pd che il M5S hanno depositato sub emendamenti per estendere l’esenzione a tutti.
Poco entusiasmo anche da parte degli agricoltori che sono scesi nelle strade sui trattori, e che non fanno nessun passo indietro rispetto al fitto programma di proteste di questi giorni.
Anche oggi diverse manifestazioni, dalla Sicilia alla Toscana. A Palermo il leader di “Sud chiama Nord” Cateno De Luca annuncia l’arrivo di venti pullman, e la partecipazione di 100 sindaci a fianco dei trattori.
E per domani a Roma si preannunciano decine di migliaia di agricoltori, a rappresentare le diverse anime della protesta. Non solo i Comitati Agricoli Riuniti di Danilo Calvani al Circo Massimo, ma anche Altragricoltura e Popolo Produttivo in piazza del Campidoglio.
A sorpresa, non interrompe le proteste neanche Riscatto Agricolo: l’accordo siglato lunedì al Masaf infatti non ha soddisfatto una parte consistente del movimento, che non accetta di mettersi al tavolo con Lollobrigida se prima il governo non accetta alcune delle principali richieste degli agricoltori, a cominciare dalla difesa dei prezzi pagati ai produttori dalla grande distribuzione.
Roberto Rosati, ex leader di Riscatto Agricolo, annuncia la fondazione dei Maf (Movimenti agricoli federati); si dissociano anche altri due portavoce del movimento, Salvatore Fais e Andrea Papa.
«Con l’emendamento sull’Irpef il governo ha risolto ben poco — afferma Calvani — è come aver dato qualche caramella ad alcune migliaia di persone affamate. Per noi la richiesta più importante rimane quella dell’annullamento dei patti di libero scambio, che fanno concorrenza sleale ai nostri prodotti e abbassano i prezzi di mercato».
(da agenzie)
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