Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
“OGNI PASSO CHE MI SPINGE PIU’ IN PROFONDITA’ E’ UN PASSO CHE NON COMPIEREI MAI”
A un anno dal suo arresto, Ilaria Salis racconta in un diario questi 12 mesi in cella. Appunti, ricordi, lacrime, speranze che Repubblica è in grado di pubblicare. In attesa di quel momento in cui tornerà a “riveder le stelle”.
DOPO UN ANNO SIAMO ANCORA QUI
È una tiepida mattina di inizio febbraio: l’aria quasi primaverile e il cielo terso. In giornate come questa scendere a passeggiare all’aria può essere esercizio molto salutare. Mentre si cammina in su in giù la testa a volte inizia viaggiare, lontano, fuori dalle gabbie, si rischia di prendere il volo e di provare sensazioni che sanno di libertà. Inebriata da quest’ossigeno, mentre il mio animo fluttua sospeso a mezz’aria, mi concentro cercando di ricordare e trattenere sensazioni per me ormai lontane: il profumo dell’erba, il tocco lieve di una carezza. Tornata nella cella, prendo in mano un pacco di scartoffie. Sono appunti, ricordi sparsi, lettere che non ho mai potuto spedire risalente a circa un anno fa, ossia i giorni in cui è iniziata la mia discesa in questo mondo infero. Dopo un anno provo a leggere, scrivere, scomporre e ricucire questi materiali.
11 febbraio 2023. Teve Utca.
Quando il furgone si ferma nel parcheggio della Questura, la sera inizia ad avvolgere i palazzi. “Antifa? Duce! Mussolini!” – questa è l’accoglienza che ricevo nell’atrio e sono anche le ultime parole che riesco a comprendere prima di essere travolta dalla Babele ugro-finnica. Nell’ufficio nessuno sembra preoccuparsi del fatto che sono ancora ammanettata stretta dietro la schiena, ma in compenso continuano a ripetere una sola parola: “Anya? Anya?” e mi fissano come se si aspettassero da me una risposta. Chi potrebbe immaginare che in ungherese “anya” significa “mamma” e che il nome della madre in Ungheria è un elemento fondamentale per identificare le persone al pari della data di nascita?
Poi i ricordi si fanno concitati. Tre giorni di fermo e spostamenti ripetuti: Cegléd e poi di nuovo Budapest. Il tribunale e mi mandano in galera. Davvero, ga-le-ra.
14 febbraio 2023. Nagy Ignac utca.
La città, i palazzi, il fiume, il cielo…tra poco tutto questo sparirà e si materializzerà davanti ai nostri occhi un altro mondo infero e dimenticato. Il fragore della carraia che si apre lentamente
“Per me si va nella città dolente” e noi entriamo a piedi. Sostiamo a lungo nell’androne: le guardie della scorta devono depositare le armi e le interpreti i telefonini. Mi invade un vuoto prepotente e il tempo inizia a dilatarsi. I colori tetri e stinti, la penombra, l’aria viziata, latrati dei carcerieri, i rituali di ingresso: tutto questo spettacolo rimarrà impresso con tinte sinistre dentro di me. Guardo gli occhi, il volto di chi si trova a varcare l’infausta soglia al mio fianco: sono lo specchio della mia inquietudine, del mio smarrimento, delle mie paure.
Si compie il rituale di depositare gli oggetti personali e i polsi sono finalmente liberi dal freddo delle manette. Attraverso un cortile dove si trova un folto gruppo di prigionieri uomini, in fila mentre aspettano di salire su un autobus: i loro sguardi sono persi e vuoti e i loro corpi sembrano ondeggiare come fragili foglie al vento. Ogni passo, che mi spinge più in profondità in questo tartaro, è un passo che non vorrei compiere mai. L’infermeria è in una penombra quasi spettrale. Mi danno un materasso arrotolato e legato con un lenzuolo (scoprirò in seguito che questa è la forma che il materasso dovrà assumere durante i numerosi cambiamenti di cella). Sostiamo ancora a lungo in un corridoio, mentre per ciascuno si compiono gli ultimi rituali negli uffici. L’urlo assordante di una sirena segna il cambio di turno. Gli uffici chiudono e per interminabili minuti sostiamo ancora immobili, sull’attenti, in corridoio. Anche qui, come già la mattina in tribunale, si aggirano guardie con i volti coperti dal passamontagna. In seguito scoprirò che qui esiste un corpo speciale della Penitenziaria, che indossa un’uniforme paramilitare e un passamontagna nero.
Infine rimango da sola in quel corridoio e aspetto di essere collocata in una cella. Invece mi portano in un cortile e mi mettono di nuovo le manette. Un furgone fa manovra e dicono che devono trasferirmi in un altro carcere a una decina di minuti da lì. È buio pesto, sono sfinita e confusa e mi sembra tutto assurdo. Sembri quel che sembri, non ho molte alternative e mi tocca stare su quel dannato furgone.
Metà febbraio 2023. Gyorskocsi utca.
Col buio non si vede quasi nulla da quel dannato furgone, ma dopo un breve tragitto in città ci fermiamo e si sente il rumore di una carraia che si apre. Tiro un sospiro di sollievo: sono arrivata. Qualche mese più tardi scoprirò che la prigione in cui mi trovo è lo stesso edificio del tribunale e che da lì mi hanno portata in un’altra prigione oltre il fiume solo per compiere i rituali d’ingresso, per poi riportarmi indietro. Perdo il conto dei piani di scale, mentre salgo trascino stancamente il materasso arrotolato: non mi è chiaro a quale girone infernale sono stata destinata. Infine si apre davanti a me la porta di una cella.
Per giorni non capisco assolutamente niente di ciò che mi succede intorno. Sono talmente sfinita che mi addormento in continuazione e quando cerco di metter qualcosa sotto i denti vomito tutto all’istante. Sogno tanto e sono sogni davvero coinvolgenti: mi sono sempre libera e in giro per monti, mari e città. Ogni volta al risveglio, nella branda, mi guardo intorno e mi ritrovo mestamente a fare i conti con la realtà: purtroppo era solo un sogno! Capita anche che, al risveglio da uno dei miei meravigliosi sogni, ci sia alla porta una donna che tiene in mano un martello con un lungo manico. Rimango interdetta quando mi sovviene un racconto ascoltato molti anni fa da un amico: nelle carceri si conserva l’antica usanza di battere le sbarre una volta al giorno per verificare che siano intatte. Ci metto un po’ a capire che devo uscire dalla cella per lasciare che si compia il rituale delle sbarre. Le regole e gli usi carcerari sono tutto fuorché naturali e intuitivi. Ne capisco meno di niente e non mi preoccupo più di tanto: è già abbastanza complicato riuscire a sopravvivere.
Quando aprono la porta della cella perché devo andare da qualche parte, io esco e con estrema naturalezza inizio a gironzolare per il corridoio. Ci metto parecchi giorni a capire e interiorizzare che devo fermarmi di fianco alla porta della cella rivolta verso il muro e farmi perquisire. Il tempo scorre in modo molto strano: le giornate non passano più, ma i giorni si susseguono veloci. Non ho mai idea di che ore siano e anche i giorni sono tutti uguali, per cui si rischia di confondersi. Non avendo una matita, nei primissimi giorni faccio un piccolo strappo su foglio di carta tutte le mattine. Mi guardo in quello che probabilmente dovrebbe avere una funzione di specchio, ma, più che riflettere le immagini, in realtà le deforma, e mi dico: “Coraggio, Ila! Sempre a testa alta e con il sorriso. E quando uscirai di qui sarai più forte di prima”.
Nei mesi seguenti mi impegnerò a fondo a onorare questa promessa e a crescere giorno dopo giorno, preparandomi per il momento in cui finalmente tornerò “a riveder le stelle”.
(da La Repubblica)
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Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
LA REPLICA DEL CAPOGRUPPO DI FDI ALLA CAMERA: “FURFARO, RITRATTERAI LE CALUNNIE IN TRIBUNALE”… E IL PARLAMENTARE PD RIBATTE: “MI VUOLE PORTARE IN TRIBUNALE? SARA’ UN PIACERE, COSI’ DIMOSTRIAMO CHE CAMPI DI POLITICA DA 43 ANNI E NON SEI MAI SALITO SU UN TRATTORE”
“Caro Foti, sono 43 anni – 43 anni – che campi di politica, sei a spese dei contribuenti nelle istituzioni da quando avevi 20 anni, non hai mai fatto altro che questo e l’unica cosa per cui sei famoso – dopo 43 anni di politica e dolce far niente – è l’essere indagato per corruzione. Ma taci per favore, che io alla tua età, mentre tu campavi sulle spalle degli italiani, mi alzavo la mattina alle 4 per lavorare nei vivai per pagarmi gli studi universitari. Sei e siete degli ipocriti, sempre pronti a fare le vittime per nascondere che l’unica cosa che conta per voi sono il potere e i privilegi. Per voi e i vostri amici di famiglia”.
Così su X il deputato del Pd, Marco Furfaro replica al capogruppo di Fdi alla Camera, Tommaso Foti, che ha detto “consiglierei al Pd di salire sui trattori almeno qualcuno di loro dimostrerebbe di aver lavorato almeno un’ora nella sua vita”.
“Caro FURFARO le tue calunnie le dovrai ritrattare in tribunale”. Così il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, Tommaso FOTI, risponde al deputato del Partito Democratico, Marco FURFARO.
“Caro Foti, mi vuoi portare in tribunale? Benissimo. Cosi’ dimostriamo facilmente che non lavori nei campi e fai politica da 43 anni (eletto nel 1980 come consigliere comunale a Piacenza, come scritto sul Ttuo sito). E che – sempre dal tuo sito – sei stato consigliere provinciale, vicesindaco, nonche’ sei volte (sei) in Parlamento. Che sei indagato, dovresti saperlo meglio di me. Ma sono garantista e spero vivamente che uscirai innocente dall’accusa di corruzione che ti vede coinvolto. Querelami pure, sara’ un piacere uscire dalla propaganda e riportarti nella realta’”. Lo scrive il deputato ed esponente della segreteria Pd, Marco Furfaro, sui social network.
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
“NON SOLO, HANNO TOLTO L’ESENZIONE IRPEF E GLI SGRAVI FISCALI PER GLI UNDER 40 IN AGRICOLTURA”… “I CAMBIAMENTI CLIMATICI HANNO CAUSATO DANNI ENORMI ALLA FILIERA AGRICOLA, ALTRO CHE LAMENTARSI DELLE NORME SULLA TRANSIZIONE ECOLOGICA”
Il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, parlamentare dell`Alleanza Verdi Sinistra, ha commentato la questione della protesta degli agricoltori, accusando il governo Meloni di prendere in giro i manifestanti e di raccontare bugie sulle responsabilità.
“Questa maggioranza mescola le carte per confondere, ed è un po` ridicola in questo. Stiamo parlando di una destra, ora al governo, che ha votato la Pac. Noi, la sinistra, gli ambientalisti hanno votato contro questa riforma che non dava appunto risposte ai piccoli agricoltori, mentre la destra chi continuava a tutelare? Quelle multinazionali della grande distribuzione e quelle dei fertilizzanti e delle sementi che strangolano il lavoro agricolo”.
“Gli agricoltori hanno bisogno di reddito, è questo il problema vero. E poi, questa è la maggioranza che ha tolto l`esenzione Irpef nell`ultima manovra di bilancio, che ha tolto gli sgravi fiscali per gli under 40 in agricoltura, è la maggioranza di destra che in Italia e in Europa ha prodotto quelle norme contro cui oggi protestano”.
“La destra faccia pace con se stessa, e innanzitutto dica la verità. Tutto si può fare tranne che prendere in giro gli agricoltori e continuare a dire che la colpa è della transizione ecologica. Anche perché i cambiamenti climatici a cominciare dai fenomeni estremi e dalla siccità sono ciò che stanno provocando – conclude Fratoianni – miliardi di danni al territorio e alla filiera agricola. Allora bisogna sostenere con determinazione la transizione ecologica e non farla pagare agli agricoltori che non devono essere imbrogliati”.
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
HA CHIESTO ANCHE AD ANTONIO TAJANI DI ATTIVARSI PER “FAVORIRE” LA NOMINA DI FORTUNATO ORTOMBINA, ATTUALMENTE SOVRINTENDENTE DELLA FENICE DI VENEZIA
Nelle stanze di governo raccontano che Maria Elisabetta Alberti Casellati stia smuovendo mari e monti. Ma non solo per occuparsi del disegno di legge sul premierato
Uno dei principali obiettivi della ministra di Forza Italia è quella di portare il figlio Alvise Casellati a dirigere nel tempio dell’opera italiana, cioè la Scala di Milano. Il sovrintendente Dominique Meyer scade nel 2025 e con la nuova legge che impone il limite d’età a 70 anni non potrà essere rinnovato e il suo successore deve essere indicato un anno prima, nel 2024.
Così Casellati vorrebbe che a prendere il suo posto fosse Fortunato Ortombina che dal 2017 è sovrintendente del teatro La Fenice di Venezia dove negli ultimi mesi proprio Alvise Casellati ha diretto diverse opere, l’ultima volta il 18 febbraio scorso.
La ministra ha buoni rapporti con il sovrintendente della Fenice e sta spingendo per una promozione in grande stile che favorirebbe anche il figlio Alvise.
Nei giorni scorsi, come ha raccontato Repubblica, quest’ultimo avrebbe incontrato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano per uno scambio di idee sulla questione. Ma la ministra Casellati vuole che a muoversi sia il suo stesso partito, cioè Forza Italia.
Secondo quanto raccontano due testimoni, due settimane fa fuori dall’aula del Senato, la ministra delle Riforme Casellati avrebbe avvicinato il vicepremier e capo delegazione di Forza Italia al governo, Antonio Tajani, e gli avrebbe chiesto di attivarsi in prima persona per favorire la nomina di Ortombina alla Scala e quindi di far dirigere il figlio Alvise nel tempio della lirica milanese.
Non esattamente una nomina di cui si dovrebbe occupare il ministro degli Esteri. A scegliere il sovrintendente della Scala è il consiglio di amministrazione che è presieduto dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala, insieme al ministero della Cultura. I tempi sono piuttosto stretti: la rosa di nomi dovrà arrivare entro un paio di settimane e la nomina entro primavera, dice una fonte a conoscenza della questione.
Con la richiesta al vicepremier la ministra delle Riforme ha fatto diventare la nomina di Ortombina alla Scala una questione politica all’interno del governo e su cui Forza Italia deve puntare i piedi. Nell’esecutivo, infatti, ci sarebbero diverse resistenze non sul nome di Ortombina ma nei confronti della ministra il cui attivismo per il figlio non viene ben accolto da Palazzo Chigi. Anche perché la richiesta a Tajani arriva dopo un lungo pressing da parte di Casellati sul ministro Sangiuliano che viene definito, tra il serio e il faceto, come “stremato”.
(da Fatto Quotidiano)
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Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
IN SICILIA E’ ORMAI CRISI POLITICA, 13 SONO STATI I FRANCHI TIRATORI.. .L’OPPOSIZIONE CHIEDE LE DIMISSIONI DI SCHIFANI
Tredici franchi tiratori nel centrodestra mandano in soffitta la riforma delle Province in Sicilia, uno dei punti centrali del programma della giunta regionale guidata dal forzista Renato Schifani.
All’esecutivo non è rimasto che prendere atto della clamorosa sconfitta in aula e battere in ritirata sulla legge.
La riforma delle Province era uno dei punti del programma elettorale del presidente della Regione Renato Schifani.
Subito dopo la votazione con cui l’Assemblea ha bocciato il disegno di legge, il governatore ha abbandonato l’aula parlamentare facendo rientro a Palazzo d’Orleans, sede della Presidenza della Regione.
Nella stanza del governo del Parlamento regionale si sono riuniti il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, il vice presidente della Regione con delega ai rapporti con l’Assemblea Luca Sammartino e il coordinatore siciliano di Forza Italia Marcello Caruso.
A chiedere il voto segreto sono stati tredici parlamentari (ne servivano sette per regolamento), dodici dell’opposizione più Gianfranco Miccichè.
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
IL SOVRANISTA CAMUFFATO ORA DA CONSERVATORE DICEVA: “DOVREBBE ESSERCI UNA GRANDE FRANCIA”… NEL CASO DI ANNESSIONE LA MELONI POTREBBE CAMBIARE NOME AL PARTITO IN “FRATELLI DI FRANCIA”
“L’Italia del Nord sarebbe dovuta essere francese. Penso che non c’è differenza tra Milano e Nizza. Penso che dovrebbe esserci una grande Francia”.
Ecco Eric Zemmour in una esibizione tv a “Face à l’info” di tre anni fa. Esattamente il 5 luglio del 2021.
Il leader dell’estrema destra francese, nuovo acquisto del partito europeo Ecr di cui Giorgia Meloni è presidente, aveva idee di annessione.
Un “chicca” scovata a Bruxelles dal gruppo di 5Stelle. E che sta già diventando virale.
Per capire meglio chi è Zemmour e il suo partito Reconquete!, che si contende con il Rassemblement lo scettro delle proposte più xenofobe, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ma mancavano le mire espansionistiche.
Una dichiarazione che fa (quasi) impallidire le uscite di Marine Le Pen che sta in Europa con Matteo Salvini. I grillini conducono l’attacco: “Ora Fratelli d’Italia può diventare Fratelli di Francia: è un attimo”.
E aggiungono: “Marine Le Pen può sembrare moderata. Giorgia Meloni sostiene l’autonomia differenziata di Calderoli che spacca l’Italia e si allea in Europa con chi sogna di annetterne una parte per costruire la Grande Francia. Siamo con Zemmour davanti a oscuri personaggi che vagheggiano pericolose teoria di ingegneria politica e istituzionale”.
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
“CI HANNO NEGATO IL SOSTEGNO PER OTTENERE GLI ARRESTI IN ITALIA. RIVEDREMO MIA FIGLIA LE MANETTE AI POLSI E LE CATENE AI PIEDI MOLTE ALTRE VOLTE ANCORA. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA È L’ULTIMA ARMA CHE CI RIMANE”
Signor Salis, è un momento buono per parlare?
«Non ho più momenti buoni, purtroppo».
Qual è l’aggettivo più giusto per definire il suo stato d’animo?
«Furibondo. Sono così».
Nell’incontro con il governo, ha visto differenze fra la posizione del ministro della Giustizia Nordio e quello degli Esteri Tajani?
«Nessuna differenza. È stato un incontro sconfortante con entrambi. Ci hanno lasciati completamente soli. Mia figlia Ilaria rischia di stare ancora molto tempo in quella galera di Budapest. Rivedremo le manette ai suoi polsi e le catene ai piedi molte altre volte ancora».
Lei e l’avvocato Eugenio Losco cosa eravate andati a chiedere a Roma?
«Due documenti per sostenere la nostra richiesta di arresti domiciliari in Italia. Quei fogli di accompagnamento, firmati dai ministri, sarebbero serviti come garanzia per il governo ungherese. Ma li hanno negati entrambi».
Con quale motivazione?
«Ci hanno detto che la nostra era una richiesta irrituale. Una domanda che rischiava di creare dei precedenti. E poi hanno detto che sarebbe stata, anche, un’excusatio non petita».
In alternativa avete chiesto gli arresti domiciliari in Ambasciata?
«Sì. Ma ci è stato risposto che non si può fare. Noi abbiamo ribattuto: “Perché con i marò è stato possibile farlo?”. E loro: “Perché non si trattava di cittadini, ma di funzionari dello Stato”. Insomma: niente. Niente di niente. Ci hanno detto che dobbiamo trovare noi il modo. Ripeto: siamo soli».
In un’intervista alla Stampa, il guardasigilli Nordio aveva dichiarato di essere rimasto molto colpito dalle immagini di Ilaria Salis incatenata. Ne avete parlato?
«No, non ha detto neanche una parola su questo».
Lei pensa che se sua figlia non fosse una militante antifascista, il comportamento del governo sarebbe diverso? Voglio dire: lei pensa che le idee politiche di sua figlia influiscano sull’aiuto che state ricevendo?
«Voglio sperare di no. Anzi, un governo che ha posizione politiche opposte, se volesse mostrarsi particolarmente saggio, tutelerebbe Ilaria. Farebbero un bel gesto nel prendersi cura di qualcuno che la pensa diversamente da loro».
Rischia vent’anni. La prima accusa è di aver preso parte ad “attacchi organizzati” contro estremisti di destra riuniti a Budapest per una manifestazione nazista. «Tentate lesioni personali con pericolo di vita». Ma la prognosi è stata di pochi giorni. C’è un video che, secondo la procura ungherese, sarebbe la prova dell’aggressione. È sua figlia che picchia?
«Quel video è sui social da mesi, tutti lo hanno visto. Mia figlia dice di non essere lei e io non la riconosco, perché Ilaria corre diversamente. Io so chi è quel figurante che compare».
L’altra accusa è di far parte di un’organizzazione criminale con base in Germania, la «Hammer band», cioè la banda del martello, che aggrega antagonisti di sinistra da tutta Europa per colpire esponenti di estrema destra. Cosa risponde?
«È una strumentalizzazione. Perché alla fine di tutta questa messa in scena, quello che resta è solo un tentativo di fare un favore alla Germania e incriminare una delle tre persone che erano in taxi con mia figlia il giorno dell’arresto».
Di chi sta parlando?
«È un cittadino tedesco, che nelle carte compariva come uno dei capi di quell’organizzazione. E qui va ricordato un fatto importante: chi ha commesso reati analoghi in Germania, analoghi a quelli per cui è accusata mia figlia, ha ricevuto pene di due o tre anni al massimo».
Ritorniamo a quella persona. Chi è?
«È un ragazzo tedesco. Era ricercato. Nel tentativo di ottenere una confessione, hanno torturato inutilmente Ilaria. Ma lui in carcere ha subito violenze peggiori di quelle toccate a mia figlia, perché i penitenziari maschili sono molto più duri. Però una confessione estorta va sempre presa come tale. Io, onestamente, dopo due giorni al suo posto avrei confessato anche l’omicidio di John Kennedy».
State pensando di rivolgere un appello al presidente della Repubblica?
«Stiamo riflettendo. Il piano A – ottenere aiuto dal governo italiano – è saltato. Adesso stiamo studiando dei piani alternativi. Il presidente della Repubblica è l’ultima arma che ci rimane».
(da agenzie)
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Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
INTERVISTA A PATRIZIO GONNELLA, PRESIDENTE DI ANTIGONE
Nelle carceri italiane sono detenute 60.367 persone, mentre i posti disponibili sulla carta sarebbero al massimo 51.347, secondo dati del ministero della Giustizia. Ci sono circa 9mila persone di troppo, cosa che porta a un forte peggioramento delle condizioni di vita per chi ci vive. Dall’inizio dell’anno sono già 15 i suicidi avvenuti in carcere, quasi uno ogni due giorni.
La presidente del Consiglio Meloni ha detto che la soluzione per il sovraffollamento è “aumentare la capienza delle carceri”.
Una proposta che secondo Patrizio Gonnella, giurista e presidente dell’associazione per i diritti delle persone detenute Antigone, è inutile e superata, e riflette una “cultura della repressione di massa” che il governo di destra esprime in vari modi. A Fanpage.it Gonnella ha spiegato perché la linea dell’esecutivo non può funzionare.
Il sovraffollamento delle carceri italiane influisce sulle condizioni di chi è detenuto?
Ovviamente c’è un rapporto diretto tra l’affollamento e la qualità della vita. In termini di spazi ridotti e di opportunità che vanno divise per le persone presenti, ad esempio. Ma anche in termini di rapporti professionali, perché non è che se aumentano i detenuti si aumenta il numero di educatori, assistenti sociali, psicologi, mediatori, direttori o poliziotti. In più, in questa fase storica sembra che la politica voglia fare un passo indietro anche sull’organizzazione della vita interna: sempre più chiusura degli spazi, che produce malessere e assenza di speranza.
Nei primi 35 giorni dell’anno ci sono stati 15 suicidi in carcere. Anche su questo hanno un effetto le condizioni di vita interne?
Se dall’interno del carcere si percepisce una condizione degradata di vita da un lato, e dall’altro l’assenza di un progetto – tanto che sembra davvero prendere forma quella brutta espressione, “buttare la chiave” – è chiaro che questo contribuisce all’aumento dei suicidi. È un dato drammatico che dovrebbe interrogare l’amministrazione penitenziaria, e immagino lo farà. Ovviamente ogni suicidio è una storia a sé, ma ci sono degli elementi generali comuni. È come se la disperazione delle persone non fosse intercettata, come se le persone fossero nuovamente dei numeri.
Ha scritto qualche mese fa sul manifesto che con questo governo “cella e carcere vengono fatti coincidere pericolosamente”, ed è “un regalo ai sindacati autonomi di polizia penitenziaria”. Ci può spiegare perché?
La pena prevista è il carcere, che non significa stare chiusi in cella 24 ore su 24, ma fare vita all’interno di quello spazio chiuso. Stare fuori dalla cella il più possibile. Queste sono le indicazioni che arrivano dagli organismi internazionali. Usare la cella semplicemente come luogo di pernottamento, e poi avere gli spazi comuni: scuola, lavoro, socialità. Rendere il carcere uno spazio di vita vissuta, cosa che ha anche una straordinaria capacità di prevenire la violenza, sia verso gli altri che verso se stessi. C’è invece una parte del sindacalismo penitenziario, quello autonomo, che interpreta il proprio ruolo in modo molto poco moderno. Lo interpreta come i garanti della cella chiusa.
Ed è una parte che ha trovato l’appoggio del governo?
Ha trovato molto appoggio in campagna elettorale, e quindi la linea del governo è un po’ anche l’esito di quelle promesse, secondo me. È una visione miope. Anche mettendosi nei panni dei poliziotti. Se io fossi un poliziotto preferirei un carcere dove le persone sono più contente, fanno sport e attività, stanno fra di loro, ovviamente con tutte le cautele per il rispetto della non violenza e della legalità. Così si ridurrebbe la conflittualità. E invece oggi si va nella direzione opposta: addirittura si arriva a pensare di mettere un nuovo reato, quello di rivolta penitenziaria. E uno dei casi in cui si configurerebbe sarebbe la resistenza passiva. Quindi bisogna solo obbedire.
Cosa c’è alla base del sovraffollamento?
I fattori sono molteplici, ma uno riguarda la concezione del diritto penale. La nostra idea è che il diritto penale intervenga solo laddove necessario, non dappertutto. Invece nell’ultimo anno ci sono stati circa quindici interventi legislativi diretti o a prevedere nuovi reati, o ad aumentare le pene per reati già previsti. In più, si limita l’accesso ai benefici penitenziari. È una cultura della repressione di massa. Così stiamo tornando ai numeri del 2013, anno in cui l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani perché quel tasso di affollamento non garantiva i diritti.
È questo il “populismo penale” di cui le opposizioni accusano il governo, e che anche il ministro della Giustizia Nordio quando era magistrato?
Sì, il ministro Nordio non ha espresso una sola opinione che sia coerente con i suoi principi di liberalismo. Per ora la direzione del governo è tutta un’altra: repressione, proibizione, chiusura, disciplina. Lo si vede nel carcere, come contro chi protesta (penso agli agricoltori, trattati molto meglio di studenti e ambientalisti).
Sul sovraffollamento Meloni ha detto che il problema “non si risolve togliendo reati, ma aumentando la capienza delle carceri”.
Sono cose che abbiamo sentito moltissime volte in passato…
Sono sbagliate?
Da un lato bisogna parlare in astratto, sul piano filosofico: non è che si può punire tutto ciò che non si piace. A volte si punisce penalmente, altre volte si sanziona in altro modo, altre volte ancora ce lo teniamo. Va punito ciò che danneggia i beni fondamentali. Penso alla questione delle droghe: c’è tanta ideologia proibizionista, ma bisognerebbe cercare altri strumenti.
E nel concreto?
Di costruire nuove carceri o aumentarne la capienza si parla da anni. Lo stesso ministro Nordio fu presidente della commissione di riforma del codice penale [nel 2001-2005, ndr], abbiamo avuto piani di edilizia penitenziaria da vent’anni a questa parte. Si è riusciti a costruire poco, perché farlo costa e costa anche il personale per mantenerlo. In più, ci sono state molte storie di corruzione nel nostro sistema. E comunque, ribadisco, costruirle non è una soluzione a lungo termine.
Sul caso di Ilaria Salis, Giorgia Meloni ha detto che “accade in diversi Stati, anche occidentali, che i detenuti vengano portati così in tribunale”. È vero?
Prima di tutto, un principio elementare: non è che se lo fanno gli altri Paesi, allora va bene. Anzi, dovrebbe interrogarci sulla necessità di costruire standard comuni nell’area dell’Unione europea. Tutti gli Stati devono elevare gli standard. E soprattutto, nessuno deve rivendicare la disumanità.
In che senso?
Quello che abbiamo visto in Ungheria non solo un fatto in sé, che pure è gravissimo. Il problema è che è un fatto ostentato, su cui non ci si vergogna. A volte le cose si fanno, però poi in pubblico si dice “ma no, era un caso eccezionale, non è la nostra cultura”. Qui invece è stato ostentato. Questa ostentazione spero che non venga mai attuata nel nostro Paese.
Invece il presidente del Senato La Russa ha dichiarato: “In Italia ho visto un sistema non molto dissimile, almeno per gli uomini, un po’ meno per le donne, cioè di guinzaglio e di manette”. Ha ragione?
Capita che ci siano persone ammanettate durante la traduzione, ma fortunatamente non si vedono da anni persone ammanettate mani e piedi davanti a un giudice. Anche nel nostro Paese ci sono violazioni dei diritti umani, come ho già spiegato, ma in questo specifico ambito non direi. Al limite durante l’udienza la persona può stare in una gabbia di vetro, ma è libera da strumenti di coercizione.
(da Fanpage)
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Febbraio 7th, 2024 Riccardo Fucile
L’AUTORITÀ GARANTE DELLA PRIVACY DAL 2021 È INCARICATA DI MONITORARE I CONTENUTI ONLINE, PECCATO CHE SI LIMITA A COMUNICARE I CODICI DEI LINK SOSPETTI SENZA CONTROLLARE CHE VIDEO E FOTO SIANO EFFETTIVAMENTE CANCELLATI
Immaginate una riunione dell’Autorità Garante della privacy in cui, tra una decisione sull’applicazione del Gpdr e un parere su un emendamento in Parlamento, il presidente e il collegio dell’Autorità sono chiamati a esprimersi sulla natura di un video porno. Visionato da un maxi-schermo posizionato nella stanza in cui ci si riunisce. Sembra uno scherzo, ma è quel che accade realmente all’organismo presieduto da Pasquale Stanzione.
Dal dicembre 2021, infatti, tra le competenze attribuite al Garante c’è anche quella di provare a bloccare la diffusione di materiali che rientrano nella categoria del “revenge porn”, ovvero foto e video che vengono messi in rete con l’intento di ledere l’immagine per esempio di un ex partner.
L’allora governo Draghi nell’ottobre 2021 decise di affidare all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali quest’ulteriore compito rispetto alle decine che già svolge. Come? All’articolo 144-bis del Codice della Privacy si stabilisce che chiunque abbia il sospetto di diffusione di un certo materiale possa condividerlo con l’Autorità attraverso un apposito form.
La quale ha l’obbligo di comunicare in via preventiva alle varie piattaforme, dai social fino ai siti che diffondono materiale pornografico, il blocco alla pubblicazione di determinate foto e video. Un modus operandi che il Garante aveva già predisposto autonomamente con alcuni soggetti come Meta (proprietario di Facebook e Instagram).
Solo che il lavoro del Garante in pratica finisce qui, con la comunicazione alle piattaforme. E’ la ragione per cui a fronte di migliaia di segnalazioni raccolte nel corso di questi più di due anni, da Telegram fino a TikTok, non ci sia stato alcun riscontro effettivo dai player che si dovrebbero incaricare del blocco dei contenuti. Player che nel caso dei siti porno non hanno nemmeno dei referenti italiani
In realtà, la scarsa efficacia del lavoro del Garante risiede pure in un’incompatibilità tecnica: perché alle piattaforme l’Autorità si limita a comunicare il codice hash. Che però basta venga inviato su qualsiasi piattaforma di messaggistica per mutare. In sostanza, una volta ricevuto sul proprio dispositivo se lo si carica online le piattaforme non sono in grado di riconoscerlo.
Fatto sta che a quest’attività di sorveglianza è stata demandata un’intera unità del Garante, composta da 4 funzionari e un dirigente. Chiamata a rispondere, come detto prima, entro 48 ore dalla segnalazione. Ragion per cui quest’ufficio resta operativo anche nel week-end. E per il quale è stata costruita un’imponente rete informatica in grado di prevenire eventuali data breach, vista la natura sensibile dei contenuti che vengono raccolti.
Una fonte interna al Garante racconta come il lavoro di quest’ufficio sia stato vittima di veri e propri mitomani ed esibizionisti che, venuti a conoscenza del fatto che vi lavoravano tre donne, inviano loro contenuti espliciti per il semplice gusto di farsi vedere.
Mentre sulle questioni più spinose, ovvero decidere se sia opportuno inviare una segnalazione a PornHub e gli altri, intervengono direttamente il presidente e l’intero collegio, dopo aver visionato insieme i contenuti.
Nonostante ciò, l’Autorità garante continua a credere nell’utilità del lavoro che porta avanti. Non solo ha stretto un accordo con i Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni) regionali. Ma ha anche avviato un’intensa campagna di comunicazione con dei video dal titolo “Finalmente un po’ di privacy”.
(da agenzie)
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