Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
SALVINI AL MURO: SE LA LEGA VA SOTTO L’8%, POTREBBE TOGLIERE L’APPOGGIO AL GOVERNO, IN CASO DI CRISI SI VOTA SUBITO, A SETTEMBRE/OTTOBRE…NON È DETTO CHE IL CAPITONE RIMANGA AL SUO POSTO: LA BASE ELETTORALE DEL CARROCCIO NE HA PIENE LE PALLE DELLA POLITICA AFFOLLATA DI LE PEN E NAZISTOIDI
Il vento sta cambiando? Dopo un anno e mezzo, la luna di miele della Melona si ammoscia? Secondo le rilevazioni di Supermedia YouTrend/Agi, il centrodestra perde colpi, mentre è in ripresa il centrosinistra. Fratelli d’Italia perde mezzo punto in due settimane (dal 1 al 14 febbraio), e fa segnare il suo dato più basso (28,1%) dall’insediamento del governo. Stesso discorso per la Lega ora all’8,3% (-0,2) che segna a sua volta una flessione. Guadagna invece il Pd che sale a sua volta di mezzo punto raggiungendo il 19,7.
Ma il dato choc arriva dalla Sardegna. Ieri Dagospia ha raccolto e messo in rete indiscrezioni su un sondaggio sulle regionali, prime elezioni del 2024, che circola riservatissimo. Stando ai numeri, Alessandra Todde, candidata unitaria del centrosinistra (Schlein+Conte), raggiunge il 45% mentre Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, fortemente imposto dalla Ducetta nel culo di Salvini, che voleva ricandidare Solinas, si deve accontentare del 42,5%. Sempre a sinistra (del buon senso) Renato Soru, con la sua ‘Coalizione sarda’, intasca l’11,2%.
Se domenica prossima, tali rilevazioni diventassero voti, il centrodestra perderebbe la regione Sardegna e per Giorgia Meloni sarebbe la prima bruciante sconfitta. Mentre per il fatidico “campolargo” suonerebbe l’ora di finirla con il maso-tafazzismo e il sogno di una alleanza Pd-M5S potrebbe diventare realtà nazionale.
Ora l’eventualità di una vittoria della Todde con il centrosinistra unito che strappa la regione Sardegna al centrodestra non sarebbe la fine della Regina della Garbatella. Ma di sicuro si trasformerebbe in una pessima premonizione in vista delle europee di giugno. Forti del 27%, la brama di stravincere ha inebriato le sinapsi dei Fratellini d’Italia che, ineducati alla cultura del potere, non conoscono la saggezza dell’antica Roma.
I vari Cicerone, Catullo, Seneca mettevano sempre in guardia i vari Cesari di sottrarsi al piacere di schiacciare e umiliare i nemici sconfitti. Per loro, “Stravincere è l’inizio della fine”. (Infatti, conquistata la Palestina, i romani non si sedevano sul trono, lo facevano occupare dal palestinese Erode, mentre di lato il console Pilato pensava a intascare tasse e prodotti).
Invece, dopo tanti anni passati nelle grotte di Colle Oppio e sui marciapiedi di via della Scrosa, Melona e camerati sono affamatissimi: una presa assoluta del potere in ogni ordine di posti. Conquistata la Lombardia, puntano all’annessione del Veneto di Zaia con il nostalgico del ventennio Luca De Carlo; sulle nomine in scadenza in aprile, dai Servizi Segreti alle Ferrovie, dalla Cdp alla Rai, i nostri eroi di governo litigano e si sfanculano, ogni giorno che Dio manda in terra.
E il malconcio Salvini, finito in un cul de sac cucito dalla vorace e coatta premier, ora si trova davanti a sé tre scenari, uno più brutto dell’altro, in vista di un dopo 9 giugno che potrebbe intitolarsi “Dopo di me, il pediluvio!”.
Scenario 1 – La Lega prende meno voti di Forza Italia e scoppia la ribellione nel Carroccio. Non solo da parte dei governatori deprivati dalla bieca Ducetta del terzo mandato (Zaia, Fedriga e Fontana): ora che i fratellini d’Italia hanno occupato tutti i posti, e si sono presi pure lo strapuntino, l’incazzatura dilaga ormai in superficie tra esponenti apicali come Garavaglia, Calderoli, perfino di Durigon, ben riassunta nella frase: “Salvini ci sta portando a sbattere”.
Nel profondo nord della Lega, ad esempio, pochi capiscono la fissa del Ponte: “Ma che i voti Salvini li prende a Messina e Reggio Calabria?”. E poi si chiedono interdetti: “Cche c’entra con la Lega questo Denis Verdini, a parte la figlia-fidanzata Francesca?’’.
A questo punto, calzato l’elmetto, Salvini camuffato da Rambo decide di resistere col coltello tra i denti e va alla battaglia finale con gli oppositori che lo vogliono dimissionare. (L’aria che tira è lo striscione apparso ieri sulla Milano-Meda: “DA VERDI A VERDINI / ORA BASTA / CONGRESSI SUBITO”)
Scenario 2 – Presa la batosta di finire sotto l’8% (alle politiche del 2022 incassò il magro risultato dell’8,8%), magari viene umiliato anche da Forza Italia, per mantenere in vita la leadership, Matteo Salvini entra in modalità Papeete: fatti fuori un paio di mojito, raduna i suoi fedeli parlamentari (messi in lista tutti da lui, e se non lo seguono diventa sudditanza nei confronti di FdI) e quindi toglie l’appoggio al detestato governo di Giorgia Meloni.
Scenario 3 – La Lega supera Forza Italia e raggiunge il 10 per cento. Un risultato che i sondaggisti ritengono quasi impossibile. Per Capitano furioso è invece possibile calando sul tavolo l’asso Vannacci. Nei prossimi giorni l’ardito della Folgore ritorna in pista con un nuovo libro ma sembra che riciccerà le solite farneticazioni su omosessuali e trans. Il rischio che corre il Generalissimo, se non occupa tutti i giorni giornali e talk, è quello di diventare una macchietta, del tipo “Marziano a Roma” di Flaiano: risucchiato dal cono d’ombra, dimenticato dalle telecamere, inseguito dalla pernacchia: “Arieccolo!”, “Mo’ ricomincia!”, fino al finale triste e solitario: “Vannacci chi?”.
Se un Salvini sconfitto decidesse di togliere il disturbo alla “Io so’ Giorgia e voi non siete un cazzo”, che succederà? Nel caso di una crisi di governo, quello che è certo è che per Sergio Mattarella è impensabile un esecutivo tecnico alla Monti-Draghi: si andrà a votare, e di corsa pure: settembre o ottobre. Melona freme di capitalizzare il consenso, sogna il plebiscito alle urne, la corona di salvatore della patria, prima che il paese si trovi davanti alla recessione economica, da una parte.
Dall’altra, mica è detto che Salvini rimanga alla guida del partito fondato da Umberto Bossi: la base elettorale del Carroccio ha un Dna conservatore, di centro, moderato e pragmatista, e ne ha piene le palle della politica destrorsa del Capitone, affollata di Marine Le Pen e nazistoidi tedeschi di Afd. Gratta gratta, i Fedriga, i Zaia, i Fontana, i Giorgetti sono leghisti ben compatibili con la Fiamma Magica, e infatti vanno d’accordo con la Sora Giorgia. E’ Salvini che si è estremizzato.
Ha editorialeggiato Stefano Folli su “Repubblica”: “Se la Lega fosse affidata un domani a Fedriga o a Zaia, nell’ottica di Palazzo Chigi si avrebbe un partito leale, contento di presidiare alcune roccaforti nordiste e lungi dal nutrire ambizioni nazionali. Il tema della leadership nel destra-centro sarebbe chiuso forse per sempre. Si ha quindi la conferma che Giorgia Meloni ragiona oggi come se fossimo già in un sistema non solo bipolare, ma quasi bipartitico”.
(da Dagoreport)
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Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
ALL’EVENTO PROMOSSO DA CALENDA IN RICORDO DI ALEXEJ CONTESTATA LA DELEGAZIONE LEGHISTA… SCHLEIN: “IL REGIME RUSSO E’ IL SOLO RESPONSABILE”
Fiaccole accese e una gigantografia di Navalny in piazza del Campidoglio a Roma. L’evento, lanciato da Carlo Calenda e dedicato all’attivista tra i più tenaci oppositori di Putin morto in carcere in Siberia, è iniziato con fischi e al grido di “vergogna vergogna” indirizzato a Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega in Senato.
E ancora “parlaci di Savoini, dove sono i 49 milioni? Vattene a Mosca, leghista”. Incalzato sulla responsabilità di Putin nella morte del dissidente russo, Romeo ha replicato: “Qualche sospetto lo abbiamo, ma nessuna certezza”.
A quel punto in piazza si sono levate le voci e gli insulti di tanti cittadini: “Vergogna, ipocriti, amici di Putin”.
Alla fiaccolata bipartisan partecipano i rappresentanti di tutti i partiti in Parlamento. Per ultima ha aderito la Lega. “Sono contento che tutte le forze politiche siano oggi qua, non è una cosa comune per l’Italia ed è un segnale importante di solidarietà per chi muore per la libertà. Sono dissidenti russi e sono anche gli ucraini, io sarò in Ucraina il 24, per l’anniversario dell’invasione – le parole del leader di Azione Carlo Calenda – Combattono per la libertà che ha un valore universale non è un valore limitato al paese per cui si combatte”.
C’è anche Elly Schlein. “Siamo qui a questa fiaccolata contro un regime che non tollera il dissenso e che uccide la libertà. In solidarietà a tutti quei cittadini russi che stanno, anche in questi giorni, protestando pacificamente, manifestando il loro dissenso e per questo vengono arrestati. I democratici, come noi, non possono tollerare in nessun paese una compressione costante dei diritti fondamentali e democratici – ha commentato la segretaria del Pd – E quindi è importante essere qui dopo l’uccisione politica di Navalny di cui c’è un solo responsabile: il regime russo di Putin”.
(da agenzie)
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Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
IL NUMERO E’ IN AUMENTO RISPETTO AGLI ANNI PRECEDENTI, SOPRATTUTTO AL NORD, DOVE CI SONO CIRCA 1,2 MILIONI DI LAVORATI IN NERO
Contratti finti di poche ore – se va bene – e salari fuori busta, zero tutele, flessibilità totale e minacce costanti di essere “licenziati”. Così lavorano tre milioni di persone in Italia che secondo gli ultimi dati Istat risultano irregolari. L’Istituto nazionale di statistica calcola nel 2021 un aumento delle maestranze in nero di 73 mila unità rispetto al 2020 (+2,5%), e un’incidenza sull’attività sommersa pari a 69 miliardi di euro, il 3,7% del Pil.
Il lavoro nero è diffuso in tutti i settori: nei servizi alle persone tocca il 42%, segue l’agricoltura con quasi il 17%, poi l’edilizia, il commercio, il turismo e la ristorazione in cui si stima un’illegalità fiscale e contributiva attorno al 13%. La stragrande maggioranza degli sfruttati sono stranieri, che oltre a non avere un contratto non hanno neppure i documenti.
I NUMERI DAL NORD AL SUD
Più di 700 mila sono gli irregolari impiegati nel lavoro domestico, tra i 2 e i 300 mila gli invisibili che operano rispettivamente nell’agricoltura, nel commercio, nelle costruzioni, nel settore alloggi, ristorazione e nelle attività artistiche. Circa centomila gli addetti in nero nei trasporti e magazzinaggio. Secondo la Cgia di Mestre in termini assoluti è il Nord l’area del Paese con il maggior numero di lavoratori in nero, pari a 1, 2 milioni, seguita dal Mezzogiorno con poco più di un milione, mentre al Centro se ne contano 780 mila. Tuttavia la classifica cambia se si considera l’incidenza del lavoro irregolare sul totale dell’occupazione: in questo caso l’area con il tasso di “nero” maggiore è il Sud, con Calabria e Campania in testa.
IL PNRR
Il ministero del Lavoro ha realizzato un piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso che si prefigge di contrastare l’illegalità nel prossimo triennio; le azioni messe in campo continuano però ad alimentare lo scetticismo dei sindacati. La segretaria nazionale della Fai-Cisl Raffaella Buonaguro, ad esempio, ricorda la lotta al caporalato e alla politica dei ghetti: «Vogliamo sapere che fine hanno fatto i 200 milioni di euro del Pnrr stanziati per gli alloggi dei lavoratori agricoli, inoltre serve una revisione strutturale della Bossi-Fini, della politica dei flussi e delle modalità del click-day, perché molte aziende segnalano la mancanza di manodopera ma poi nei ghetti incontriamo ogni giorno braccianti che lavorano in nero anche da vent’anni in Italia, e spesso hanno fogli di via, permessi scaduti, richieste di regolarizzazione appese da anni alla burocrazia».
Poi c’è il problema dei controlli, perché l’Ispettorato è sotto organico: «I redditi agricoli non crescono se non si applicano i contratti e non si promuove la concorrenza leale».
IL SISTEMA
Nella ristorazione è ormai diventato un sistema: basta leggere i comunicati giornalieri della Guardia di finanza: dalla Lombardia alla Sicilia passando per il Lazio, oltre il 70% delle ispezioni in pizzerie, locali, bar, ristoranti portano alla luce l’utilizzo di personale in nero o senza permesso di soggiorno. La tecnica dei datori di lavoro “furbetti” si è affinata negli anni: raramente le fiamme gialle pizzicano un lavoratore completamente in nero, gli invisibili sono quasi sempre gli extracomunitari senza documenti. Per gli altri – camerieri, barman, cuochi – il “sistema” prevede un part time regolare, da 10-15 ore a settimana. Solo che quel lavoratore di ore ne lavora 50 o 60, e il pagamento aggiuntivo è fuori busta. Un modo per provare a eludere i controlli. Funziona? I dipendenti scappano e sono diventati introvabili
(da La Stampa)
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Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
ENTRÒ NEL PARTITO A 16 ANNI (“COLPA DEI PROFESSORI, TUTTI COMUNISTI”), È BALZATO AGLI ONORI DELLA CRONACA PER LE FRASI SU MATTARELLA “GENUFLESSO DAVANTI ALLE CANCELLERIE DI MEZZA EUROPA”, SU ILARIA SALIS (“OGNI PAESE PUNISCE COME VUOLE”) E PER LA RELAZIONE CON ANNA FALCHI – “È EVIDENTE CHE SONO ETEROSESSUALE” (QUESTI STANNO IN FISSA, EH)
Da via Solferino , stavolta, chiedono un ritrattino di Andrea Crippa: vorremmo insomma spiegare bene chi è e chi non è questo vicesegretario della Lega, un monzese di 37 anni considerato il più autorevole interprete del Salvini pensiero, quello che parla quando
L’altro giorno, purtroppo, è stato invece subito chiaro: perché quando arriva la notizia che Aleksei Navalny, il maggior oppositore di Vladimir Putin, già avvelenato dai servizi russi e poi per mesi costretto a torture fisiche e psicologiche, è morto durante l’ora d’aria (a meno 50 gradi) nel cortile del carcere di Kharp, colonia penale del regime con nome in codice IK-3, ma nota anche come «Lupo polare», perché siamo nel Nord della Siberia, vicino al Polo, ecco che Crippa invita ad andarci piano.
«È prematuro e inopportuno — dice — additare colpevoli». Mentre le cancellerie del mondo democratico sospettano con orrore di Putin, il criminale che si appresta alla solita farsa di nuove elezioni, Crippa non ci sta e ammonisce: «Bisogna aspettare si faccia chiarezza!» — anche perché magari poi si scopre che Navalny aveva il vizio di non mettere la sciarpa, e si sa che è un attimo e ti becchi una polmonite.
Per lunghi, tragici minuti, la sconcertante linea della Lega è quella di Crippa. Zaia e Giorgetti, Fedriga e Molinari: tutti e quattro leggono il lancio di agenzia contenente le sue parole con stupore e amarezza.
Però l’agenzia più interessante è un’altra. La trova il nostro Davide, archivista del Corriere Sentite.
È un’ Ansa del 17 novembre 2018. «L’ala giovanile della Lega ha firmato un accordo di collaborazione con la Giovane Guardia di Russia Unita, il partito di Putin. Lo riporta la Tass citando rappresentanti del Carroccio. A Mosca — fa sapere l’agenzia russa — si è recata una delegazione di giovani leghisti con a capo il parlamentare Andrea Crippa».
Non dovete stupirvi. Sono i giorni nebbiosi (eufemismo) del misterioso Gianluca Savoini e degli incontri all’hotel Metropol di Mosca, Salvini arriva davanti al Cremlino sfoggiando l’ormai mitica t-shirt con l’immagine di Putin e ripetendo frasi tipo: «Qui mi sento a casa», «Preferisco Putin all’Europa», «Putin è speranza», «Con Putin in Italia staremmo meglio». Crippa ascolta. E impara.
Crippa è entrato nel partito a 16 anni: «Un po’ per colpa dei professori, tutti comunisti», un po’ folgorato da Umberto Bossi (che, in queste settimane, come ha raccontato Francesco Verderami sul Corriere , soffre a vedere la sua Lega, «diventata di estrema destra»). Crippa comunque si laurea in Scienze politiche alla Cattolica di Milano e, dopo una breve esperienza da consigliere comunale a Lissone, diventa assistente parlamentare di Salvini a Strasburgo. Diciamola meglio: è il suo portaborse.
Insieme condividono lo stesso appartamento di 40 metri quadrati e va bene che Crippa è quasi sempre solo, perché il suo Matteo nel Parlamento europeo si rivela un formidabile assenteista (a più di 7 mila euro netti al mese), però qualche cenetta alla fine ci scappa. Fuori fa freddo, una chiacchiera tira l’altra. È la miccia. Salvini individua in Crippa il suo potenziale erede. Inizia a plasmarlo e la carriera dell’anonimo ragazzotto brianzolo diventa inarrestabile: nel 2015 assume la guida dei Giovani padani, tre anni dopo sbarca a Montecitorio grazie a un seggio blindato e, dodici mesi più tardi, è promosso vicesegretario. Dotazione principale: la libertà di parola. Che, però, è solo apparente.
La Lega, come si sa, è un partito rigido: decide Salvini, parla Salvini. Quindi, se non parla lui, bisogna sentirsi Crippa. Il tipo ha già assorbito molto dal capo. Alterna posture politicamente aggressive ad altre, di botto, francescane. Ma il più delle volte il suo incarico è di andare giù duro.
Sul capo della Stato: «Mattarella? È genuflesso davanti alle cancellerie di mezza Europa». Sul caso Salis: «Spiace, ma ogni Paese punisce come vuole». Con la Germania apre una crisi diplomatica: «Ottant’anni fa usava l’esercito, oggi usa i migranti». Quindi s’occupa di Roberto Vannacci, il generale della Folgore che pubblica quel libro pieno di robaccia dal gusto fascistoide, ondeggiando tra razzismo, negazionismo e omofobia («Cari omosessuali, normali non siete: fatevene una ragione»).
Crippa legge. E lo arruola (per conto di Salvini): «Comandante, le porte della Lega sono aperte». Però anche Crippa sa essere tenero. E infatti s’innamora. Di Anna Falchi. Poi, con eleganza, sobrietà e riservatezza, va a Radio Libertà, e da l’annuncio: «Confermo la frequentazione…». E precisa: «È evidente che sono eterosessuale» (questi stanno in fissa, eh).
(da Corriere della Sera)
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Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
NONNO NON HA MAI NASCOSTO LA SUA NOSTALGIA PER IL FASCISMO, CON FOTO E VIDEO… NEL 2022 È STATO SOSPESO DAL CONSIGLIO REGIONE CAMPANO PER LA CONDANNA A 2 ANNI PER RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE
Il dirigente nazionale di Fratelli d’Italia, Marco Nonno, è il nuovo coordinatore cittadino del partito a Napoli. A fine spoglio su 1010 votanti Nonno ha raggiunto 604 preferenze. «Abbiamo il dovere di condurre Fratelli d’Italia e tutta la destra napoletana a raggiungere quei risultati che la destra ha sempre avuto in questa città e che per vari motivi in questi anni aveva perso. Faremo una squadra che comprenderà tutti, partendo da Luigi Rispoli – ha detto Nonno – ma anche Diego Militerni che da avversario è sempre stato corretto e non c’è mai stato nessun tipo di acredine».
Da impresentabile a leader cittadino del partito di Giorgia Meloni. Marco Nonno è stato eletto coordinatore cittadino di Fratelli d’Italia. L’uomo delle preferenze, delle tessere di partito ma anche della condanna che gli è costata la sospensione dal Consiglio regionale.
Quella di Nonno, appassionato di paracadutismo, è una carriera politica sul filo del rasoio fatta di alti e bassi, tra ricordi nostalgici, tra croci celtiche (occhio, però, chi lo chiama fascista viene querelato) e saluti romani (“ma per scherzo”, si schermisce).
Arrestato e finito sotto processo per la violenta rivolta contro la discarica a Pianura del gennaio 2008, in appello, nel 2022, viene assolto dall’accusa di devastazione, ma condannato solo a 2 anni per resistenza.
Condanna ben più lieve di quella che gli era stata inflitta in primo grado: 8 anni e mezzo di reclusione, ma che comunque in base alla legge Severino gli costa il posto in consiglio regionale dove era sbarcato a suon di preferenze.
Perché una cosa è certa: Nonno i voti li ha sempre avuti prima nella lunga carriera politica inizia a 15 anni da segretario del Fronte della Gioventù (l’organizzazione giovanile del Msi). Poi incarichi di dirigente fino al 1996 quando viene eletto per la prima volta nel Consiglio Circoscrizionale di Pianura: è il più votato di Alleanza nazionale. Elezione che bissa nel 2001.
Nel 2006 approda al Consiglio Comunale di Napoli con 2.500 preferenze. E nel 2011 risulta il consigliere comunale più votato tanto che presiede la seduta di insediamento di Consiglio comunale, la cui maggioranza a sostegno dell’allora sindaco Luigi de Magistris si dichiara la “più a sinistra d’Italia”.
Tra gli episodi imbarazzanti si ricorda anche la rissa in FdI per le liste alle comunali nella sede del partito, in via Calata San Marco, tra Nonno e l’ex consigliere Pietro Diodato, suo avversario diretto nel territorio di Pianura, fortino elettorale di entrambi.
Nel 2020 Nonno viene eletto al consiglio regionale. A cui segue la sospensione in base alla Severino. La condanna gli è costo anche una mancata candidatura alle politiche. Ora la rivincita: coordinatore con 604 voti sullo sfidante Diego Militerni che ne totalizza 388.
Imbarazzi riposti in un cassetto, almeno per il momento. “Ringrazio tutti i 604 tesserati e militanti che hanno riposto la loro fiducia in me, da nuovo Segretario Cittadino sarò già al lavoro questa settimana cercando di includere le varie anime del Partito” la dichiarazione del neo coordinatore.
(da La Repubblica)
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Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
LE PERSONE VANNO IDENTIFICATE QUANDO C’E’ UN MOTIVO, NON PERCHE’ PARTECIPANO IN DIECI A DEPORRE DEI FIORI IN UN CONTESTO DOVE NON ESISTONO PROBLEMI DI ORDINE PUBBLICO
Secondo la ricostruzione che si è appresa oggi in Questura, la commemorazione sarebbe stata regolarmente “preavvisata” sabato pomeriggio da una email del promotore, che avrebbe segnalato la presenza di poche persone.
La nota sarebbe stata, come da prassi, diffusa alle pattuglie: ma quando domenica, gli agenti sono transitati in corso Como dove si è svolta la manifestazione, hanno visto un numero maggiore di partecipanti e si sono fermati a controllare (ovvero 10 persone)
Hanno chiesto del promotore, di cui avevano nome e cognome, ma a detta dei poliziotti non era presente e per questo motivo è stata presa la decisione di identificare i circa venti partecipanti.
“L’identificazione delle persone è un’operazione che si fa normalmente nei dispositivi di sicurezza del territorio. Mi è stato riferito che il personale che aveva operato non avesse piena consapevolezza”, ha riferito il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi in risposta alle polemiche.
Annaviva: “Ammutoliti. Perché identificarci?”
Nel frattempo Annaviva, l’associazione che si occupa di mantenere in vita la memoria di Anna Politkovskaja ha deciso di tornare nei giardini Politkovskaja alle 17 di oggi.
“In effetti come abbiamo fatto a non pensarci, i fiori sotto una targa per commemorare un defunto sono sempre un atto sovversivo e di grande disturbo dell’ordine pubblico. Si tratterà forse di allergia? Alle 17 ci troviamo di nuovo lì, a portare un fiore a Navalny ai Giardini Politkovskaja”.
“Ha ragione il Ministro dell’Interno a dire che l’identificazione delle persone rientri nelle facoltà della Polizia – si legge in conclusione al post – e infatti tutti i presenti hanno dato i documenti (fotografati uno a uno) e fornito l’indirizzo di casa come richiesto. La domanda è perché?”.
Marina Davydova, dell’associazione ha raccontato quanto accaduto: “Non abbiamo fatto nulla di male. Siamo rimasti stupefatti, noi e anche gli italiani che si sono sentiti come in Russia e i russi si sono spaventati tantissimo: sono persone scappate dal regime”.
“Ci siamo riuniti per commemorare Navalny, non era una manifestazione. Volevamo solo lasciare una foto o un fiore. Una decina di persone in silenzio. Quando siamo arrivati – ha aggiunto Davydova – c’era già personale in borghese che ci stava aspettando”.
(da agenzie)
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Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
SOLTANTO NEL NORD-EST TIENE IL CONSENSO, AL MERIDIONE APPENA IL 30% DEGLI INTERVISTATI SI DICE FAVOREVOLE
Il Senato ha approvato il disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, a firma del ministro Roberto Calderoli. Si tratta di una riforma complessa, con un percorso anch’esso complicato, che ha già sollevato attenzione e polemiche. Rappresentate, in modo esplicito ed efficace, dalla protesta organizzata dai sindaci del Mezzogiorno, che hanno manifestato a Roma, guidati dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca.
Il recente sondaggio condotto da Demos rileva come il consenso verso questa legge sia minoritario, in Italia, anche se non di molto. Ma in sensibile calo. Lo scorso dicembre, infatti, era approvata dal 50% degli italiani.
Ora il clima d’opinione è cambiato. E la quota di cittadini che si dice favorevole all’autonomia differenziata è scesa al 44%. Probabilmente per le tensioni che ne hanno accompagnato “l’approvazione”. E la “dis-approvazione”, da parte delle opposizioni. Divenuta scontro, più che confronto. Così, le perplessità, al proposito, si sono allargate.
Trasformandosi in distacco, nelle aree – sociali e geografiche – che hanno compreso meglio come e quanto ne verrebbero danneggiate. D’altra parte, si tratta di una riforma di cui non è facile illustrare e comprendere le diverse articolazioni. E le diverse implicazioni, per le regioni. Ma le reazioni, al proposito, sono cresciute. In modo esplicito ed evidente. Espresse, dal presidente De Luca, senza mezzi termini. Come ha sempre fatto.
Il “distacco” fra Nord e Sud si sta traducendo in “frattura”. Nel Nord Est, in particolare, il consenso verso la riforma non mostra flessioni, ma diviene doppio, rispetto alle Regioni del Sud, delle Isole e del Centro Sud. Dove si osserva un vero crollo. Anche nel Nord Ovest il favore dei cittadini scende, in misura significativa, pur mantenendosi elevato.
Si delinea, così, la mappa di un’Italia divisa. Che comprende diverse Italie. Con sentimenti di reciproca e crescente incomprensione. Ben rappresentati sul piano politico.
La Lega, in particolare, dimostra una solida base di consensi per l’autonomia. Come avviene nel Nord. La sua storica piattaforma elettorale. Affiancata dai FdI di Giorgia Meloni, che, d’altra parte, ne hanno intercettato una parte notevole del voto proprio nella zona “padana”, storicamente interpretata dalla Lega. Nel centrodestra, peraltro, anche fra gli elettori di Forza Italia il sostegno alla riforma risulta maggioritario, per quanto più limitato, rispetto agli alleati.
L’approvazione per l’autonomia differenziata, invece, si riduce notevolmente nella base del M5S. Che è particolarmente ampia nel Mezzogiorno. Dove questa riforma appare, a molti cittadini, una compensazione (inadeguata) al Reddito di Cittadinanza. Un progetto elaborato e fatto approvare dal M5S, che ne ha fatto una bandiera. Dall’inizio del 2024, il Reddito di Cittadinanza è stato, però, sostituito dall’Assegno di Inclusione. In misura non equivalente e con una platea di destinatari più limitata.
Secondo la Banca d’Italia, infatti, questa revisione farà risparmiare allo Stato circa 1,7 miliardi di euro. E, di conseguenza, ridurrà, nella stessa misura, i settori sociali e le zone che ne avevano beneficiato. Dunque, soprattutto le regioni del Sud.
Il consenso, infine, cala ulteriormente nella base del Pd. Che appare il partito più scettico verso la riforma. Visto che solo uno su quattro, fra i suoi elettori, si dichiara a favore dell’autonomia differenziata. Perché, come ha dichiarato il sindaco di Bologna, Stefano Bonaccini, il disegno del governo “acuisce le differenze nel Paese”. Alle logiche del territorio, quindi, si associano e si sommano quelle politiche. Che, tuttavia, sembrano prevalere. Visto che il massimo livello di adesione caratterizza gli elettori della Lega e dei FdI.
Mentre, fra quanti votano per il Pd e il M5S cala, anzi: “crolla”, al di sotto della metà. Su questo argomento, la distanza fra maggioranza e opposizione, dunque, appare molto più ampia rispetto a quella che separa il Nord dal Sud.
(da agenzie)
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Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
“NESSUNA DEMOCRAZIA AL MONDO ADOTTA UN MECCANISMO COME QUELLO PROPOSTO DAL GOVERNO CON IL PREMIERATO. LA STORIA, INOLTRE, CI INSEGNA CHE CHI TOGLIE LA LIBERTÀ AI PARLAMENTARI PRIMA O POI LA TOGLIE AL PAESE”…. LE SIMILITUDINI CON ORBAN
«Perché l’ipotesi del premierato non funziona» La grave e generale crisi dei partiti alimenta una sorta di indifferenza o addirittura di stanca adesione al disegno di legge sul premierato presentato dal governo. Il pluridecennale disprezzo di ogni pratica parlamentare in gran parte comprensibile visto il sistema politico sempre più personalizzato e privo di ogni riferimento culturale, legittima il giudizio di una crescente debolezza della nostra democrazia parlamentare.
Quest’ultima, infatti, regge alle sfide crescenti solo se il parlamento è innervato da partiti che abbiano una base culturale e quindi una visione di lungo periodo e che contrastino ogni deriva personalistica.
Detto questo, però, la soluzione non può essere l’elezione diretta del premier addirittura accompagnato da un premio di maggioranza tanto da togliere ogni libertà al parlamento cadendo così dalla padella nella brace. Non a caso nessuna democrazia al mondo adotta un meccanismo come quello proposto dal governo con il premierato così come nessuna democrazia parlamentare europea adotta il sistema maggioritario visto che le opzioni politiche sono sempre più di due contrariamente al sistema inglese.
La storia, inoltre, ci insegna che chi toglie la libertà ai parlamentari prima o poi la toglie al Paese e il disegno di legge governativo ne fa strame di quelle libertà. In oltre due secoli la cultura politica e l’esperienza storica hanno dimostrato che l’alternativa ad una democrazia parlamentare è una democrazia presidenziale accompagnata da una elezione di un parlamento libero che funge da secondo sovrano democratico in grado di dare forma e sostanza al potere della rappresentanza ed essere, nel contempo, un equilibrato contropotere per evitare ogni tentazione o deriva autoritaria. Il mondo di oggi è disordinato e pieno di conflitti solo perché la politica nel suo ruolo di guida è stata sostituita nelle democrazie occidentali dalla grande ricchezza finanziaria di pochi e dalle loro convenienze mentre nel resto del pianeta governano gli autocrati che limitano libertà e diritti delle popolazioni.
L’antidoto per entrambi i modelli è o il cancellierato tedesco o un sistema presidenziale con un parlamento libero come in Francia e negli Stati Uniti. Ogni altra scelta sarebbe rovinosa come lo fu nel novecento quando parlamenti democratici dettero pieni poteri a Mussolini e ad Hitler e recentemente il parlamento ungherese ha fatto altrettanto con Orbán. La posta in gioco, dunque, sono le libertà e i diritti di tutti e ogni distrazione è inammissibile.
Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Gargani, Maurizio Eufemi, Calogero Mannino, Clemente Mastella, Giorgio Merlo, Angelo Sanza.
(da Corriere della Sera)
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Febbraio 19th, 2024 Riccardo Fucile
LO PSICODRAMMA E LA SOLITUDINE DI SALVINI: POTREBBE FINIRE SORPASSATO ADDIRITTURA DA ANTONIO TAJANI
L’ultima volta che ne ha discusso a Palazzo Chigi con lo staff, ha tentennato. E ha chiesto: devo decidere subito? No, le hanno risposto, c’è tempo. Giorgia Meloni ha scelto di archiviare per un paio di mesi il problema. Deciderà se candidarsi come capolista alle Europee ad aprile. Dopo aver letto i sondaggi di Fratelli d’Italia, ma soprattutto quelli di Lega e Forza Italia. Perché il dilemma è sempre lo stesso: gli effetti di un trionfo sarebbero direttamente proporzionali al caos generato dalla disfatta degli alleati.
La presidente del Consiglio ha dubbi. Non sa ancora cosa le convenga di più, per il proprio futuro e per quello del governo. Non decidendo, lascia il partito in una posizione un po’ più scomoda: il meccanismo dell’alternanza tra uomo e donna in cima alle liste, infatti, renderebbe fondamentale conoscere le intenzioni della premier. Fratelli d’Italia, comunque, imposterà il lavoro ipotizzando due schemi di gioco e due bozze di listoni: con e senza di lei. Poi, ad aprile, Meloni scioglierà la riserva.
Ma perché Meloni tentenna? Tutto si può ridurre a una bilancia: quella che serve a pesare gli effetti della decisione. Primo dubbio: scendere sotto il 26% delle ultime politiche la indebolirebbe. I sondaggi lasciano credere il contrario, ma conviene rischiare? Secondo quesito: un trionfo — sospinto anche dalla sua candidatura — creerebbe scompensi nella maggioranza? E se sì, come tutto lascia supporre, qual è la soglia? Numeri alla mano, si può semplificare così: i problemi peggiori arriverebbero se la somma di Forza Italia e Lega dovesse valere la metà di Fratelli d’Italia. Un’eventualità possibile, se FdI toccasse quota 30%.
Ecco, attorno a questo schema si consuma l’altra partita della destra italiana. Coinvolge Antonio Tajani e Matteo Salvini. Entrambi mossi da un obiettivo prioritario: sopravvivere alle Europee. E dalla sua premessa: sorpassare l’alleato. Detta meglio: chi sorpassa l’altro, sopravvive.
Vale soprattutto per il leghista. Sondaggi alla mano, si gioca tutto in un fazzoletto di consenso che pesa il 2%: dal 6,5 all’8,5%. In questa forchetta dovrebbero attestarsi i due partiti […]. Chi arriva primo, si salva. Per l’altro, soprattutto dovesse trattarsi dell’uomo che cadde al Papeete, inizierà il processo interno.
Salvini non è mai stato così isolato, dentro e fuori da via Bellerio, tanto da spingere i suoi a ipotizzare un congresso lampo prima delle Europee per blindarsi.
Al Sud lotta con percentuali bassissime. Per compensare è pronto ad affidarsi a due uomini: il generale Roberto Vannacci e il ras di preferenze Aldo Patriciello, strappato proprio a Tajani. Ma anche al Nord il segretario soffre nelle storiche roccaforti: Veneto e Lombardia. Spinge disperatamente per candidare uno tra Max Fedriga e Luca Zaia, che è però sul piede di guerra per il terzo mandato.
Salvini è solo anche rispetto alla compagine di governo. L’intesa con Giancarlo Giorgetti è logora. Due i passaggi che hanno sbrindellato il rapporto. Il Mes, innanzitutto. E poi l’Irpef agricola. Quando la scorsa settimana la maggioranza si era ritrovata a Palazzo Chigi, Giorgetti ha provato a spiegare che qualcosa si sarebbe potuta fare, ma non troppo.
In videocollegamento, a quel punto, interviene Salvini. Un po’ ironico, un po’ criptico: «Mi rivolgo al ministro con il pullover rosso bordeaux…». Gelo in sala, a indossare una tenuta casual è proprio il titolare del Tesoro. Più in generale, il responsabile di via XX settembre è sempre più vicino a Meloni, con cui va d’amore e d’accordo.
Solo non è invece Tajani, visto che ha raggiunto un’apparente tregua interna. Sa però che deve almeno avvicinarsi ai numeri delle scorse politiche. E anche provare a tallonare o addirittura superare la Lega. La strategia che ha scelto nelle ultime settimane è: dire il contrario dell’alleato leghista.
Per farlo, cerca ogni 0,1% che può aiutarlo nell’impresa. Spinge per candidare i governatori azzurri del Sud alle Europee, a partire da Roberto Occhiuto e Renato Schifani. Al Nord, dove la Lega arranca, si è affidato a Letizia Moratti.
(da La Repubblica)
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