Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
DOMANI GLI ATTI IN PROCURA… SCHLEIN, CONTE E FRATOIANNI CHIEDONO CHE PIANTEDOSI RIFERISCA: DOVREBBE DIMETTERSI, ALTRO CHE RIFERIRE
La risposta dei cittadini di Pisa, dopo le manganellate della polizia contro gli studenti scesi in piazza per chiedere un cessate il fuoco a Gaza, è unanime.
Oltre cinquemila persone si sono radunate in piazza dei Cavalieri, dove stamane le cariche degli agenti hanno impedito il passaggio al corte pro-Palestina, per esprimere pacificamente solidarietà ai manifestanti.
Sulla scalinata monumentale della Scuola Normale che si affaccia sulla piazza sono stati affissi striscioni con le scritte «Basta violenza della polizia» e «No alla violenza delle istituzioni», insieme a manifesti per chiedere di «Fermare il genocidio» e per una «Palestina libera».
Scanditi anche slogan «vergogna vergogna» e «caricateci ora» rivolti alle forze dell’ordine coinvolti negli scontri. La manifestazione si è svolta pacificamente ed è stata originata da due distinti presidi convocati alla stessa ora sotto il Comune e sotto la prefettura, dalle forze della sinistra radicale, dai partiti del centrosinistra insieme ai sindacati e alle varie associazioni.
Nel frattempo, fonti della questura pisana fanno sapere che la Digos depositerà domani – sabato 24 febbraio – in questura documenti e filmati relativi alle cariche della polizia. Si tratta del materiale raccolto nell’immediatezza dei fatti, spiegano ancora le fonti, dal personale presente in piazza e che documenta quanto accaduto. Il materiale servirà all’autorità giudiziaria per avviare un’indagine approfondita. L’obiettivo, stando a quanto filtra da ambienti investigativi, è anche quello di fornire risposte certe e in tempi rapidi per chiarire episodi che hanno suscitato fortissime polemiche in città.
Le opposizioni: «Piantedosi chiarisca in aula»
Il caso, finito sotto i riflettori della politica dopo la diffusione dei filmati ritraenti le cariche della polizia, ha spinto le forze politiche a chiedere di fermare la violenza.
«Basta manganellate sugli studenti», ha detto Elly Schlein. Sulla stessa linea anche il leader del M5S, Giuseppe Conte: «Quelle di oggi sono immagini preoccupanti, non degne del nostro Paese».
Per le opposizioni, che hanno lanciato l’appello al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, affinché riferisca il prima possibile in aula, gli episodi di oggi sono «inaccettabili».
Nicola Fratoianni ha annuncia «una interrogazione urgente, l’ennesima, a Piantedosi» e proposto «ai colleghi e alle colleghe degli altri gruppi parlamentari di immaginare una scorta democratica alle manifestazioni». Ma la condanna è arrivata anche da parte del rettore dell’Università di Pisa che si è detto «profondamente preoccupato e sconcertato» e dal sindaco della città toscana, Michele Conti, che guida una maggioranza di centrodestra: «Pisa è un luogo di confronto, mai in alcun modo si può usare la violenza».
(da Open)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
LA FONDAZIONE NAVALNY: “SE VOLETE ONORARE LA MEMORIA DI ALEKSEJ, COLPITE GLI AMICI DI PUTIN, SEQUESTRATE I LORO ASSET”
Follow the money. Inseguire i soldi. Il team di Fbk, la Fondazione anti-corruzione creata da Aleksej Navalny, l’oppositore russo morto in carcere il 16 febbraio, lo chiede da anni inascoltata. «Navalny è il prigioniero personale di Vladimir Putin, l’unico a poter decidere un suo eventuale rilascio. Che cosa potrebbe convincerlo? Inseguire i suoi soldi», ci disse il suo braccio destro Leonid Volkov nel dicembre 2021 a Strasburgo
Allora Volkov e Fbk avevano stilato una lista di 35 oligarchi vicini a Putin da prendere di mira. Nell’aprile 2022, due mesi dopo l’offensiva russa in Ucraina, l’elenco era arrivato a comprendere oltre 7mila nomi: «La spina dorsale del sistema Putin, con i suoi manager di medio livello, i suoi amici, i detentori dei suoi asset».
Un mese dopo il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione perché venissero sanzionati, ma «da allora non è successo niente», ha detto ieri Volkov in un’audizione da remoto alla Commissione Esteri del Parlamento Europeo. «Se volete onorare la memoria di Aleksej, colpite gli amici di Putin, sequestrate i loro asset», ha insistito.
Nei sei anni dell’ultimo mandato, Putin avrebbe guadagnato 67,5 milioni di rubli (circa 678mila euro al cambio attuale), stando alla dichiarazione dei redditi che lo stesso leader del Cremlino ha presentato un mese fa alla Commissione elettorale candidandosi alle presidenziali del 17 marzo. Tra i suoi beni figurano un appartamento di 77 metri quadri e un garage di 18 metri quadri a San Pietroburgo, tre auto e il rimorchio Skif prodotto nel 1987
Secondo diverse inchieste, però, la reale fortuna di Putin sarebbe intestata a vari prestanome che talora ignorano persino il patrimonio delle società a cui sono stati messi a capo.
La loro ricchezza totale ammontava a 24 miliardi di dollari nel 2017, secondo un’inchiesta dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp). Ma la Bbc, citando un rapporto segreto della Cia, ha parlato di 40 miliardi di dollari, mentre inchieste russe sono arrivavate a ipotizzare un giro d’affari intorno ai 200 miliardi.
I “portafogli di Putin”
Li chiamo nominalshchikov, prestanome”, o koshelki Putina, “portafogli di Putin”. Sono parenti lontani di Putin, come Mikhail Shelomov, figlio della cugina Ljubov Shelomova.
Lavora in una compagnia di spedizioni. Stipendio medio annuo: 8.500 dollari. Eppure avrebbe partecipazioni in diverse società multimilionarie collegate ai ricchi amici di Putin e beni per centinaia di milioni di dollari.
Stessa storia per gli amici d’infanzia Pjotr Kolbin e Sergej Rodulgin. Kolbin, ex macellaio, fa una vita modesta, ma sarebbe stato comproprietario di una società, Gunvar, che, in passato, ha commerciato circa un terzo del petrolio russo e che fa capo a un altro ricco miliardario amico di Putin.
Il violoncellista Roldugin, padrino della figlia, dice di non essere un uomo d’affari, ma avrebbe maneggiato circa due miliardi di dollari, secondo i Panama Files, in azioni di aziende di oligarchi.
Il “sistema Putin”
Perché i nuovi amici di Putin sono così generosi con i suoi vecchi amici d’infanzia? Secondo Bill Browder, l’ex finanziere promotore del Magnitsky Act americano, funziona così. I miliardari russi, che lui chiama «amministratori», «hanno moltissimo da perdere se ostacolano Putin». E per mantenere la loro ricchezza «sono stati costretti a consegnarne una parte a Putin». O meglio, ai suoi prestanome.
Secondo Browder, ogni oligarca in Russia è stato costretto a dare a Putin il 50% della sua ricchezza. «La metà di 15 miliardi è meglio del 100% di niente», ha spiegato a Occrp. Un sistema confermato anche da Mikhail Khodorkovskij, l’ex magnate del petrolio esiliato a Londra dopo 10 anni di carcere. «Tutto quello che appartiene al territorio russo, Putin lo considera suo», commentò anni fa Sergej Pugaciov, soprannominato il “banchiere di Putin”, anch’egli esiliato a Londra. «Tutto. Gazprom, Rosneft, aziende private». Perciò, ribadisce Volkov, «prendete di mira gli amici di Putin, sequestrate le loro proprietà!».
(da la Repubblica)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
LE CAMPAGNE VOLTE A MINARE IL SOSTEGNO EUROPEO ALL’UCRAINA SONO AUMENTATE E SONO PIU’ DIROMPENTI… IL CASO DELL’ESFILTRAZIONE DI ARTEM USS DAI DOMICILIARI A MILANO
È insolito che i capi dello spionaggio deridano apertamente i loro rivali. Ma il mese scorso Bill Burns, direttore della CIA, non ha potuto fare a meno di osservare che la guerra in Ucraina è stata una manna per la sua agenzia. “La corrente di disaffezione [tra i russi] sta creando un’opportunità di reclutamento unica nella generazione per la CIA”, ha scritto su Foreign Affairs. “Non lasceremo che vada sprecata”.
L’osservazione potrebbe aver toccato un nervo scoperto nei “servizi speciali” della Russia, come il Paese descrive le sue agenzie di intelligence. Le spie russe sbagliarono i preparativi per la guerra e furono poi espulse in massa dall’Europa. Ma le prove raccolte dal Royal United Services Institute (“Rusi”), un think-tank di Londra, e pubblicate oggi in esclusiva dall’Economist, mostrano che stanno imparando dai loro errori, adattando i loro strumenti e intraprendendo una nuova fase di guerra politica contro l’Occidente.
Gli ultimi anni sono stati tormentati per le spie russe. Nel 2020 gli agenti dell’Fsb, il servizio di sicurezza russo, hanno sbagliato l’avvelenamento di Alexei Navalny, l’attivista dell’opposizione recentemente scomparso. Egli li ha derisi per aver spalmato il Novichok sulla sua biancheria intima. Poi l’Fsb ha dato al Cremlino una visione rosea di come sarebbe andata la guerra, esagerando le debolezze interne dell’Ucraina. Non è riuscito a impedire alle agenzie occidentali di rubare e pubblicizzare i piani della Russia per invadere l’Ucraina.
E non ha voluto o potuto fermare un breve ammutinamento di Yevgeny Prigozhin, il leader del gruppo mercenario Wagner, l’anno scorso. L’Svr, l’agenzia di intelligence estera russa, ha visto la sua presenza in Europa sventrata, con circa 600 ufficiali espulsi dalle ambasciate in tutto il continente. Almeno otto “clandestini” – agenti dell’intelligence che operano senza copertura diplomatica, spesso spacciandosi per non russi – sono stati smascherati.
Lo studio di Rusi, scritto da Jack Watling e Nick Reynolds, due analisti dell’organizzazione, e da Oleksandr Danylyuk, ex consigliere del ministro della Difesa ucraino e del capo dell’intelligence estera, si basa su documenti “ottenuti dai servizi speciali russi” e su interviste con “organismi ufficiali rilevanti” – presumibilmente agenzie di intelligence – in Ucraina e in Europa. Alla fine del 2022, si legge nello studio, la Russia si rese conto di aver bisogno di rapporti più onesti da parte delle sue agenzie. Ha messo Sergei Kiriyenko, vice capo dello staff del Cremlino, a capo dei “comitati di influenza speciale”. Questi coordinano le operazioni contro l’Occidente e ne misurano gli effetti.
Questo cambiamento di personale sembra aver prodotto campagne di propaganda più coerenti. In Moldavia, ad esempio, l’anno scorso un’azione di disinformazione, un tempo frammentaria, contro la candidatura del Paese all’adesione all’Unione Europea è diventata più coerente e mirata. Ha legato la candidatura all’adesione alla presidente in prima persona, incolpandola al contempo dei problemi economici della Moldavia.
Anche le campagne volte a minare il sostegno europeo all’Ucraina sono aumentate. A gennaio gli esperti tedeschi hanno pubblicato i dettagli dei bot che diffondevano centinaia di migliaia di post in lingua tedesca al giorno da una rete di 50.000 account nel corso di un solo mese su X (“Twitter”). Il 12 febbraio la Francia ha rivelato una vasta rete di siti russi che diffondevano disinformazione in Francia, Germania e Polonia.
Nel frattempo anche il Gru, l’agenzia di intelligence militare russa, ha rivalutato i suoi strumenti. Negli ultimi anni la sua Unità 29155 – che nel 2018 ha tentato di assassinare Sergei Skripal, un ex ufficiale del Gru, a Salisbury, in Gran Bretagna – ha visto molti dei suoi effettivi, attività e strutture esposti da Bellingcat. Il gruppo investigativo si basa su informazioni disponibili pubblicamente e su database russi trapelati per le sue denunce.
Il Gru ha concluso che il suo personale lasciava troppe briciole digitali, in particolare portando i propri telefoni cellulari da e verso siti sensibili associati all’intelligence russa. Si è anche reso conto che l’espulsione di agenti dell’intelligence russa in Europa aveva reso più difficile organizzare operazioni e controllare gli agenti all’estero – un motivo per cui l’invasione dell’Ucraina è andata male.
Il risultato è stato una riforma radicale, iniziata nel 2020 ma accelerata dopo l’inizio della guerra. Il generale Andrei Averyanov, capo dell’Unità 29155, nonostante la sua litania di errori, è stato promosso a vice capo del Gru e ha istituito un nuovo “Servizio per le attività speciali”. Il personale dell’Unità 29155 – un tempo esemplificato da Alexander Mishkin e Anatoly Chepiga, i malcapitati avvelenatori di Skripal, che insistevano di essersi recati a Salisbury per vedere la famosa guglia della cattedrale – non porta più con sé i telefoni personali o di lavoro nella struttura, utilizzando invece i telefoni fissi. L’addestramento avviene in una serie di case sicure piuttosto che in loco. Mentre una volta metà del personale proveniva dalle Spetsnaz, le forze speciali russe, la maggior parte delle nuove reclute non ha più esperienza militare, rendendo più difficile per i servizi di sicurezza occidentali identificarle attraverso vecchie fotografie o database trapelati.
Un ramo separato del Servizio per le attività speciali, l’Unità 54654, è stato progettato per costruire una rete di clandestini che operano con quella che la Russia chiama “piena legalizzazione”, ovvero la capacità di passare il controllo anche sotto l’attento esame di un’agenzia di spionaggio straniera. Recluta i contractor attraverso società di facciata, tenendo i loro nomi e i loro dettagli fuori dai registri governativi, e inserisce i suoi agenti in ministeri non legati alla difesa o in aziende private. Il Gru ha anche preso di mira gli studenti stranieri che studiano nelle università russe, pagando stipendi a studenti provenienti dai Balcani, dall’Africa e da altre parti del mondo in via di sviluppo.
Per un altro esempio di come le spie russe abbiano trasformato il disastro in opportunità, si consideri il caso del Gruppo Wagner, una serie di società di facciata supervisionate da Prigozhin. Inizialmente, Wagner fungeva da braccio d’influenza russo negabile, fornendo forza e potenza di fuoco agli autocrati locali in Siria, Libia e altri Paesi africani. Nel giugno 2023 Prigozhin, irritato dalla cattiva gestione della guerra da parte del ministro della Difesa e del capo dell’esercito russo, marciò su Mosca. L’ammutinamento fu fermato; due mesi dopo Prigozhin fu ucciso quando il suo aereo esplose a mezz’aria.
I servizi speciali russi si spartirono rapidamente la tentacolare impresa militare-criminale di Prigozhin. L’Fsb avrebbe mantenuto le attività nazionali e l’Svr i bracci mediatici, come le fattorie di troll che hanno interferito nelle elezioni presidenziali americane del 2016. Il Gru ha ottenuto la parte militare estera, suddivisa in un Corpo di volontari per l’Ucraina e un Corpo di spedizione, gestito dal generale Averyanov, per il resto del mondo. Quest’ultimo ha mancato l’obiettivo di reclutare 20.000 soldati entro la fine dell’anno scorso, dice Rusi, anche se la sua forza è “in costante aumento”. Ci sono stati degli intoppi: Il figlio di Prigozhin, che misteriosamente rimane vivo e in libertà, ha offerto truppe Wagner alla Rosgvardia, la guardia nazionale russa, scatenando una guerra di offerte tra la Guardia e il Gru, secondo gli autori
Il risultato netto di questo consolidamento è la rivitalizzazione della minaccia russa in Africa. Poco dopo la morte di Prigozhin, il generale Averyanov ha visitato diverse capitali africane per offrire quello che rusi descrive come un “pacchetto di sopravvivenza del regime”. In teoria, le proposte prevedono che il Gru fornisca alle élite locali forza militare e propaganda contro i rivali locali.
In Mali, osservano, la stazione radio Lengo Songo, creata dal Gru, è una delle più popolari del Paese. In cambio la Russia otterrebbe concessioni economiche, come miniere di litio e raffinerie d’oro, e quindi un’influenza sui nemici, forse anche la possibilità di escludere la Francia dalle miniere di uranio in Niger (la Francia ha bisogno di uranio per le sue centrali nucleari). Prigozhin è morto, ma la sua influenza malevola continua a vivere.
L’intelligence russa, benché ammaccata, è tornata saldamente in piedi dopo le recenti umiliazioni. Nelle ultime settimane Insider, un sito web investigativo con sede a Riga, ha pubblicato una serie di storie che documentano lo spionaggio e l’influenza russa in Europa. Tra questi, i dettagli su come un ufficiale della Gru a Bruxelles continui a fornire attrezzature europee ai produttori di armi russi, e la rivelazione che un assistente di punta del Bundestag e un membro lettone del Parlamento europeo erano entrambi agenti russi, il secondo forse da più di 20 anni.
“Non è così grave per loro come pensiamo”, dice Andrei Soldatov, un giornalista investigativo, che ritiene che i servizi russi siano “tornati con una vendetta” e sempre più ingegnosi. Vladimir Putin, presidente della Russia e un tempo (mediocre) ufficiale del Kgb, sta “cercando di ripristinare la gloria del formidabile servizio segreto di Stalin”, spiega Soldatov. Soldatov ricorda il caso dell’aprile 2023, quando Artem Uss, un uomo d’affari russo arrestato a Milano perché sospettato di contrabbandare tecnologia militare americana in Russia, è stato riportato in Russia con l’aiuto di una banda criminale serba, un intermediario comune per i servizi russi.
In passato, dice Soldatov, l’Fsb, l’Svr e il Gru avevano una divisione dei compiti più chiara. Ora non più. Tutte e tre le agenzie sono state particolarmente attive nel reclutamento tra la marea di esuli che hanno lasciato la Russia dopo la guerra. È facile nascondere agenti in un gruppo numeroso ed è semplice minacciare coloro che hanno una famiglia ancora in Russia. La Germania è particolarmente preoccupante, dato che i molti russi che vi si sono trasferiti potrebbero costituire un bacino di reclutamento per gli organismi spionistici russi. L’ondata di nuovi arrivi è dovuta in parte al fatto che i Paesi baltici sono diventati più ostili agli emigranti russi.
Inoltre, l’attività cibernetica russa va di bene in meglio. A dicembre l’America e la Gran Bretagna hanno lanciato un allarme pubblico su “Star Blizzard”, un gruppo di hacker d’élite dell’Fsb che da anni prende di mira i Paesi della Nato. Il mese successivo Microsoft ha dichiarato che “Cosy Bear”, un gruppo legato all’Svr, era penetrato nelle caselle di posta elettronica di alcuni dei più importanti dirigenti dell’azienda. Ciò si è aggiunto a un sofisticato attacco informatico di Gru contro la rete elettrica dell’Ucraina, che ha causato un’interruzione di corrente apparentemente coordinata con attacchi missilistici russi nella stessa città.
Il rinnovamento dell’apparato di intelligence russo arriva in un momento cruciale della competizione est-ovest. Un rapporto annuale dei servizi segreti norvegesi, pubblicato il 12 febbraio, ha avvertito che in Ucraina la Russia “sta prendendo l’iniziativa e sta avendo il sopravvento militarmente”. Il rapporto equivalente dell’Estonia, pubblicato un giorno dopo, affermava che il Cremlino stava “anticipando un possibile conflitto con la Nato entro il prossimo decennio”.
La priorità per le spie russe è prepararsi a quel conflitto non solo rubando segreti, ma allargando le crepe all’interno della Nato, minando il sostegno all’Ucraina in America e in Europa ed erodendo l’influenza occidentale nel sud globale. Al contrario, i sabotaggi russi contro le forniture destinate all’Ucraina in Europa sono stati molto limitati. Uno dei motivi è la paura del Cremlino di un’escalation. Un altro è che i russi non possono fare tutto e dappertutto in una volta sola.
Nel frattempo, le spie continueranno a combattere contro i loro pari. Nel loro rapporto, i servizi segreti stranieri dell’Estonia hanno pubblicato le identità dei russi che lavorano per conto dei servizi segreti del Paese. “Per coloro che preferiscono non trovare i loro nomi e le loro immagini accanto a quelli degli ufficiali dell’Fsb o di altri servizi segreti russi nelle nostre pubblicazioni, con potenziali ripercussioni sulle loro associazioni con l’Occidente, estendiamo l’invito a mettersi in contatto”, hanno osservato i servizi segreti estoni. “Siamo fiduciosi che si possano negoziare accordi reciprocamente vantaggiosi!”.
((da The Economist)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
L’ANSIA PER UNA POSSIBILE SCONFITTA ALLE REGIONALI IN SARDEGNA E IL TIMORE CHE I MEDIA LA RACCONTINO GIÀ IN DECLINO, FANNO SCOPA CON LA PREOCCUPAZIONE DI NON CONTARE UN CAZZO DOPO IL VOTO DEL 9 GIUGNO IN EUROPA, QUANDO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA POTREBBERO NON ESSERE DETERMINANTI PER LA RIELEZIONE DI URSULA VON DER LEYEN
L’ipotesi che le regionali in Sardegna, primo evento elettorale del 2024, a un anno e mezzo dalla conquista di Palazzo Chigi, si trasformino nella prima sconfitta del governo Ducioni, sta mettendo in subbuglio i fragili otoliti di “Io so’ Giorgia e voi non siete un cazzo”.
Tutta colpa di questo disgraziato sito che domenica ha raccolto spifferi e voci su alcuni sondaggi riservatissimi a 7 giorni dal voto che danno Alessandra Todde, candidata di Schlein+Conte, in lieve vantaggio rispetto al meloniano Paolo “Trux” Truzzu.
Tutto può succedere, visto anche l’alto tasso di astensione (50%) e la rabbia crescente di Salvini che ha subito la decapitazione del suo candidato Christian Solinas, da parte tenera Meloni.
Quizzone: gli elettori del Partito Sardo d’Azione, di cui Solinas è l’espressione apicale, domenica e lunedì voteranno il fratellino d’Italia Truzzu? Ah, saperlo…
Nel comizio finale sul palco di Cagliari, la fragilità della tenuta psicofisica della 47enne Giorgia è venuta in superficie quando ha inalberato quell’espressione di chi non ha ancora preso a schiaffi qualcuno, ben conosciuta a Roma come “Che cazzo ciai da guarda’?”. “La grande paura sarda”, ha ben titolato ieri “Il Foglio” l’articolo di Simone Canettieri che ha squadernato una Melona coatta che sarebbe stata perfetta per affiancare la verdoniana Jessica di “Viaggi di nozze”.
Alcune coattate lanciate dal palco di Cagliari. “L’antifascismo. Ammazza che programma”. Avanti: “Il governo sta per cadere, dicono i giornali e la sinistra. Poi si svegliano la mattina tutti sudati!”. Ancora: “Todde è l’esperimento del campo largo? Ma che è? Un campo di calcio?”. Finale: “La sinistra e le lobby puntavano sullo spread perché volevano l’inciucione”. Ecco: più che Dante e Tolkien, i fondatori del pensiero di destra sono Alvaro Pierino Vitali, Bombolo e Tomas Milian imparruccato da Monnezza.
“La grande paura sarda”, a pochi mesi dal terribile voto europeo, sta agitando i fragili otoliti della Ducetta. È probabilmente per questo stato neurologico di insicurezza che la premier della Garbatella viene scortata costantemente dalle due “badanti di Palazzo Chigi”, alias il baldo Giovanbattista Fazzolari e la vispa Patrizia Scurti – la Meloni è l’unica leader al mondo che si presenta ai vertici internazionale caffiancata dalla segretaria Scurti.
Del resto, se domenica prossima tali rilevazioni diventassero voti e il centrodestra perdesse la regione Sardegna, di certo l’alleato (si fa per dire) Salvini stapperebbe una cassa di champagne per la felicità di vedere una Melona sconfitta, con il ghigno a mezz’asta e con il mattarello tra le gambe, dopo aver ingoiato in questo anno e mezzo di governo rospi più grossi di un porceddu.
Mentre una eventuale vittoria della Todde per il fatidico “campolargo” sarebbe lo squillo di tromba per finirla una volta per tutte con il maso-tafazzismo egolatrico, e il sogno di una alleanza Pd-M5S potrebbe diventare realtà nazionale.
Perdere con il fortemente voluto e imposto candidato Truzzu, non sarebbe la fine per “L’uomo dell’anno” (copy Mario Sechi). Ma la Ducetta teme molto il modo in cui i media potrebbero raccontare la disfatta della sua leadership. Da sempre sensibile agli umori della “ggente”, la Sora Giorgia non vuole offrire il fianco a una narrazione sconfittista, che la dipinga in difficoltà o che ipotizzi una parabola discendente, alla Renzi e Conte.
Se poi il suo sguardo si sposta in avanti di qualche mese, non vede le spiagge delle Maldive ma montagne da scalare. A partire dalla questione europea
È infatti svanito il piano di destrutturare la tradizionale alleanza tra popolari, liberali e socialisti al parlamento europeo, sostituendo i socialisti con un nuovo perimetro di destra, con al centro l’eurogruppo dei Conservatori, di cui la Meloni è presidente.
I sondaggi parlano chiaro: Ursula von der Leyen, ricandidata dal Ppe, avrebbe già i voti per essere riconfermata alla guida della commissione. Una maggioranza che potrebbe serenamente fare a meno dei voti della Ducetta.
La prospettiva dell’irrilevanza politica a Bruxelles incupisce la premier, che ha già mostrato di tenere molto a una immagine riflessiva e pacata in politica internazionale, ben contrapposta all’approccio molossoide che ha in Italia, ispirato dal “samurai” Fazzolari.
A dimostrazione della sua doppia faccia da “camaleonte” (come l’ha definita il sito Politico), pare che in occasione del passaggio di consegne della guida del G7 dal Giappone, la Meloni si sia messa in contatto con Justin Trudeau, lasciandolo a bocca aperta: il leader canadese, che s’aspettava un pitbull sovranista, si è trovato dall’altra parte del telefono un peluche pacato e disponibile.
Per non restare fuori dalla partita che conta, cioè avere un potere negoziale in Europa, il consigliere principe della premier, Bruno Vespa la incoraggia a sostenere la rielezione della cofana bionda tedesca, comunque vada il voto.
“Bru-neo”, a dire il vero, fin dall’arrivo della regina della Garbatella a Palazzo Chigi, ha caldeggiato un filo diretto tra il Governo italiano e la Commissione. Di qui i continui contatti, gli incontri, i viaggi di Giorgia e Ursula
E ora, il giornalista della Porta accanto invita Giorgia Meloni a evitare giochetti o ripicche: meglio dare subito un appoggio incondizionato a Ursula, indipendentemente dai rapporti di forza, pur di avere una chance di portare a casa un commissario di peso per l’Italia nel prossimo esecutivo Ue.
Quizzone. Come verrebbe accolta la mano tesa della Melona a Ursula da parte dei suoi euroalleati nel gruppo dei Conservatori?
Il francese Zemmour, da poco entrato in Ecr con il suo partito, Reconquete!, sta riconsiderando la sua strategia ultrà. Dopo aver notato gli ottimi risultati che sta ottenendo Marine Le Pen in versione neo-moderata, anche l’ex giornalista, caro a Bolloré, potrebbe pian piano avvicinarsi al centro e dare il suo nulla osta a Ursula.
Anche quel figlio di Putin dell’ungherese Viktor Orban, che potrebbe entrare in Ecr dopo il voto di giugno, non rappresenta un’incognita, visto che è già stato addomesticato dagli europoteri in occasione del voto sugli aiuti all’Ucraina. Il satrapo di Budapest aveva provato a minacciare il veto, e da Bruxelles gli hanno risposto, in estrema sintesi: o ti adegui, o ti scassiamo l’economia tagliando i fondi.
Spostando lo sguardo ancora più in la, i sudori freddi di Giorgia Meloni aumentano al pensiero che dovrà mettere mano alla legge di Bilancio 2025 che sarà una Via Crucis di lacrime e sangue, dato le dure norme previste dal nuovo Patto di stabilità, che obbligano a ridurre il nostro mostruoso debito pubblico. Amorale della fava: dopo il 9 giugno, il pediluvio…
(da editorialedomani.it)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
DUE CRONISTI FUORI DAL CORO RACCONTANO I MISTERI CHE CIRCONDANO LA CATTURA DEL GRANDE LATITANTE E SMONTA LA RETORICA DI STATO
Il bello e il buono di questo libro, Una vita tranquilla di Di Girolamo e Trocchia, è, innanzitutto, che c’è. Che è stato pensato e scritto. E che racconta con naturalezza misteri come quello di un uomo che ha potuto serenamente nascondersi per trent’anni qui in Italia, nel cortile di casa sua. È un libro che non ha la superbia di spiegare, che non ha la pavidità intellettuale o il poco dignitoso conformismo che accompagnano e avvolgono le vicende di mafia di questi ultimi anni. È un libro che non fa inchini.
NIENTE INCHINI
Fra queste pagine troverete fatti, qualche dubbio, cronache asciutte. Non ci sono verità, non ci sono scoop, non ci sono “inedite” ricostruzioni né ”clamorose“ rivelazioni nelle pieghe di una vita tranquilla, un resoconto sulla vita e sulla morte e sui miracoli di Matteo Messina Denaro. Nessuno spettacolo pirotecnico e nessun gioco di prestigio. E per me, tutta questa normalità, è già tanto. È lo scarto che mi aspettavo da due giornalisti come Giacomo Di Girolamo e Nello Trocchia (il primo collabora e il secondo è redattore di Domani, ndr), che conosco da tempo e che apprezzo per la loro libertà di pensiero. Sono fuori dal coro, come prima o poi fuori dal coro – ne sono sicuro – si rivelerà il fantasma di Matteo per agitare i sonni di qualcuno.
Per presentare il libro potrei cominciare da un inizio, il 1993, le bombe dopo le bombe. Ma preferisco iniziare dalla fine, il giorno della sua cattura. Se dovessi trovare una sola parola per descriverla non avrei indecisioni sull’aggettivo da scegliere: perfetta. Sì, una cattura perfetta. Pulita, insapore e inodore, disinfettata come una sala operatoria, dissanguata da ogni materialità, eterea. Non si era mai vista prima la cattura così comoda di un grande latitante di mafia, senza un rumore, un gesto arrischiato, un grido. Una scena che non aveva nulla fuori posto.
Non so esattamente come siano andate le cose prima, non conosco il retropalco delle indagini (anche perché chi potrebbe offrirci un minimo di informazione, e in qualche modo dovrebbe, se ne guarda bene dal farlo) che hanno portato all’arresto del boss di Castelvetrano. Ma istintivamente, e con alle spalle quasi mezzo secolo di significative esperienze intorno ai maneggi degli apparati, sono propenso più a condividere le incertezze di Di Girolamo e di Trocchia che ad accettare tout court le versioni del procuratore capo della repubblica di Palermo Maurizio De Lucia e dei comandanti del Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri. E lo dico con grande rispetto, il rispetto che meritano un procuratore della Repubblica e alti ufficiali dell’Arma. Ma a ciascuno il suo.
Tra parentesi, un affettuoso consiglio al procuratore De Lucia: parli meno del suo pamphlet sulla cattura di Matteo Messina Denaro e parli di più con i giornalisti.
LA NARRAZIONE CHE DERAGLIA
Questo di Di Girolamo e di Trocchia è un libro che mancava, che si allontana dalla melassa di una stagione infelice e goffa dell’antimafia, da un catechismo giudiziario che celebra in vittoria la presa di un uomo che per tre decenni si è beffato di tutti noi, a cominciare proprio da chi oggi si gonfia il petto per esibire medaglie. Questo è un libro che – semplicemente – non si accontenta di una narrazione quanto meno incompleta, e va fuori binario, deraglia, portando dentro di sé un candore che stride con il vangelo che ci è stato propinato con contorno di Viagra e calamite del Padrino attaccate al frigorifero della cucina del boss, insomma è giornalismo puro che si contrappone a mattinali e veline, è un libro vero persino nei suoi limiti, che poi sono gli inevitabili limiti di conoscenza di due cronisti.
È sincero perché ha il coraggio di smarcarsi, di fare domande. E che altro potrebbe e dovrebbe fare un giornalista, se non cercare, rovistare, capire e scoprire? Soprattutto in un caso come quello di Matteo Messina Denaro, mafioso protetto con particolare cura così a lungo e ai più alti livelli. C’è stata molta propaganda e molta retorica nell’esposizione sul suo arresto, un’enfasi a tratti fastidiosa.
C’è un capitolo in questo saggio che, tecnicamente, mi è piaciuto più degli altri.
È quello sui “sospettabili”, è l’essenza – almeno a mio parere – dei conti che non tornano in quella che Leonardo Sciascia avrebbe chiamato “una storia semplice”. Scrivono gli autori a proposito dei fiancheggiatori del boss: «Nei giornali si sono sprecate espressioni come “personaggi insospettabili”. Ma in realtà si tratta di tutt’altro. Erano tutti personaggi sospettabili, sospettabilissimi. Per genealogia. Per precedenti. Per vicinanza al boss e alla sua famiglia. Per i trascorsi».
Eppure nessuno – proprio nessuno – li aveva pedinati o intercettati. Magari sembrava troppo facile, commentano Di Girolamo e Trocchia. Magari sì e magari no. Magari i “sospettabili” sono la chiave del mistero che procuratori e ufficiali dei carabinieri non vogliono far passare come mistero. Chissà. Di regola, nelle operazioni antimafia, da quando mondo è mondo prima si prendono i fiancheggiatori e poi il capo, in questo caso prima hanno preso il capo e poi i “sospettabilissimi” fiancheggiatori mai controllati prima.
Di regola il grande latitante non fa selfie con i medici che l’hanno operato, non scambia messaggini con le pazienti dell’ospedale nel tentativo di rimorchiarle. Di regola.
Mi sarebbe piaciuto saperne di più sulla telecamera presunta (c’era o non c’era?) nella stanza dove è stato trovato il famigerato pizzino che ha indirizzato i carabinieri sulle tracce di Matteo Messina Denaro, mi sarebbe piaciuto, ma alla fine del libro ho appreso che la circostanza sarebbe falsa anche se qualcuno – e dentro gli apparati – continua cocciutamente a sostenere il contrario.
DOMANDE SENZA RISPOSTA
Mi sarebbe piaciuto saperne di più sul ruolo che avrebbe avuto in questa intricata faccenda Rosalia, la sorella del boss.
Mi sarebbe piaciuto saperne di più su Campobello di Mazara, su come decine se non centinaia di investigatori che hanno bivaccato in quel paese non si siano mai accorti della presenza di Matteo salvo poi appiccicare l’etichetta di omertosi agli abitanti, i vicini di covo del boss.
Leggo nelle ultime righe del libro che alcune di queste domande sono state poste ai procuratori e agli ufficiali del Ros, leggo anche che sarebbero state qualificate come “domande del tutto prive di fondamento”. Non è una gran bella risposta.
E, con uno sforzo, aggiungo che non ci sarebbe alla fin fine nulla di male per così tanto riserbo se non fosse che una sessantina di milioni di italiani, cioè tutti meno gli addetti ai lavori impegnati nella cattura di Messina Denaro, è ancora oggi fortemente convinta che il boss si sia consegnato. È andata così? Andando in giro per la Sicilia, e capitato nel dicembre scorso a Castelvetrano, ho avuto la ventura di imbattermi in un signore, un uomo quasi sull’ottantina circondato dal rispetto di alcuni compaesani che lo accompagnavano – insomma uno che la sapeva lunga – che alla solita domanda (“Si è consegnato?”) mi ha detto: «Nelle linee generali sì». Non conosceva naturalmente i dettagli, ma conosceva, come si dice, l’ambiente.
Le circostanze – modalità della cattura, malattia all’ultimo stadio, l’ambiguo annuncio del gelataio Salvatore Baiardo in diretta tivù qualche settimana prima, la coincidenza delle porte del carcere che si sono aperte per l’ex sottosegretario all’Interno Antonino D’Alì – porterebbero tutte a quella conclusione: si è consegnato. Ma contro ogni evidenza mi piace dare credito alle parole del procuratore capo della repubblica di Palermo e ai carabinieri che hanno intrappolato Matteo Messina Denaro.
Anche perché i tempi dell’indagine sui favoreggiatori del boss non sono ancora scaduti, trovati i “sospettabilissimi” adesso dovrebbe toccare agli altri, alle protezioni verticali, ai personaggi che hanno garantito all’ultimo re dei Corleonesi una vita tranquilla dal 1993 al 2023. Con quel tesoro, mille pizzini recuperati – così ci hanno assicurato gli investigatori – consegnateci qualcuno che non sia un vivandiere o una piccola vedetta. Provate a spiegarci trent’anni di tenebre.
(da editorialedomani.it)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
UNA CAMPAGNA ELETTORALE ALL’ANTICA: PIAZZE, MERCATI E PORTA A PORTA
Nella partita sarda è senz’altro Elly Schein la leader che mette in gioco la posta più alta: è vero che Giuseppe Conte ha espresso la candidata presidente Alessandra Todde, è vero che su di lui pesa la mancata intesa con la terza forza di Renato Soru. Ma è Schlein – la Schlein che veniva raccontata come indecisionista, insicura, temporeggiatrice – il personaggio che ha determinato questa corsa con i suoi atti di forza, quasi sempre a dispetto dei mammasantissima del partito.
La decisione di archiviare le primarie, innanzitutto, vero tabù dell’area progressista. Il gioco d’anticipo sulla candidata Cinque Stelle, indicata mesi fa, mentre il centrodestra ancora litigava sul bis di Christian Solinas. E poi l’attivismo della campagna elettorale “alla vecchia maniera”, piazze, mercati e porta a porta, accettando anche la possibilità della contestazione (che infatti c’è stata).
I suoi nemici interni la raccontavano come la gatta morta dell’armocromia, ma in questo debutto da front-woman è sembrata alquanto vitale, anche perché sa cosa rischia: ognuno dei suoi strappi in caso di sconfitta diventerà un capo d’accusa. Magari non farà la fine di Walter Veltroni, costretto alle dimissioni dopo la debacle di un altro voto sardo: alle Europee arriverà comunque (anche perché il partito preferirà mandare a sbattere lei piuttosto che sacrificare qualcun altro). Ma dovrà arrivarci da penitente, col capo ricoperto di cenere, vincolata al placet delle correnti su ogni mossa e lista. Una triste via crucis.
Sono due i dati che faranno il risultato. Il primo è ovvio, il titolo di Governatore, che per la prima volta dopo cinque sfide regionali monopolizzate dal centrodestra, sembra contendibile. Ma conterà moltissimo anche il risultato di lista del Pd, che cinque anni fa risultava comunque il primo partito dell’Isola con il 13,4 per cento e alle ultime politiche era salito fino al 18,7 per cento.
Se il possibile successo di Todde andrà condiviso con Giuseppe Conte, così come la sua possibile sconfitta, la performance del simbolo sarà tutta sua, di Schlein. Su quella si misurerà il futuro della sua leadership. Sarà quella a decidere tutto: la candidatura personale come capolista alle Europee, il taglio della prossima campagna elettorale, il futuro delle intese con il M5S.
Conte rischia assai meno. In Sardegna ha vissuto un’esperienza inedita, quella di fare campagna in favore del “voto utile” al M5S, come i democristiani di una volta. Il suo vero nemico, più che la destra, è il rassemblement di Renato Soru che potrebbe assorbire una parte significativa del voto progressista.
Lo scambio di folgori è stato il vero spettacolo delle interviste e dei comizi. Todde a Soru: come osi parlare di progressismo tu che nel 2014 invitasti a non votare Michela Murgia. Soru a Todde: sei solo la vicerè mandata da Roma per asservire e tenere buona la Sardegna. Conte a Soru: candidatura incomprensibile, ne risponderai agli elettori. Soru a Conte: sei venuto in Sardegna a fare il simpatico, a suonare la chitarra, a dire banalità sulla bottarga.
Insomma, se i risultati puniranno la candidata governatrice imposta da Giuseppe Conte la linea difensiva del Movimento è già scritta. In prima istanza la colpa sarà attribuita a Renato Soru e al suo ego. In seconda istanza si farà generico riferimento alla sinistra «capace solo di dividersi» e quindi alla leader che non riesce a imbrigliarla: Elly Schlein. E infine si chiuderà la pratica: le Regionali sono state sempre la bestia nera del Movimento, non ne abbiamo mai vinta una, ci rifaremo alle Europee dove non servono alleanze scomode.
Infine, se pure il voto della lista M5S andasse male, Giuseppe Conte, potrà dire «è stato solo un esperimento», per poi incamminarsi verso il voto di giugno senza fastidiosi obblighi di fair play verso il Pd. Tutt’al più sarà la fine del campo largo: non certo la sua.
(da La Stampa)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
GIOVEDI SERA’ HA FATTO DOPPIETTA DA VESPA
Polemica dalle opposizioni per l’ospitata di Giorgia Meloni a Raiuno in prossimità delle elezioni regionali in Sardegna. La premier ospite di Bruno Vespa ben due volte, prima a Cinque minuti e poi a Porta a porta.
Per grillini e dem una nuova prova che la Rai sta diventando Telemeloni: «Domenica si vota in Sardegna e Bruno Vespa stende il tappeto rosso a Giorgia Meloni invitandola a ben due trasmissioni in una sola serata. Evidentemente non poteva aspettare qualche giorno in più e intervistarla lunedì. Un bel favore alla premier, non c’è che dire» dicono gli esponenti del M5s in commissione Vigilanza. Sulla stessa lunghezza d’onda il Pd, che parla di «scorpacciata degli spazi Rai», arrivando a chiedersi se «tutto è normale?»
L’assemblea del Tg1 intanto si schiera compatta contro la decisione di spostare la rubrica Economia del Tg1 all’edizione del mattino da quella dell’ora di pranzo. Le motivazioni addotte dalla Rai, si legge in un comunicato dell’assemblea dei giornalisti, sarebbero «relative al calo dei dati d’ascolto». A seguire il Tg1 c’è nei giorni feriali il programma La volta buona, condotto da Caterina Balivo.
La ragione dello spostamento, filtra dall’azienda, sarebbe quello di agevolare il programma pomeridiano di Raiuno. I giornalisti non sono d’accordo: «L’informazione del servizio pubblico in nessuno spazio può essere soggetta ai dati del marketing. L’assemblea chiede un ulteriore confronto e approfondimento sulle ragioni del cambio e sul rapporto costi-benefici di tale proposta».
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
UN BELL’ESEMPIO DI CHI AMBISCE A UN RUOLO DI RAPPRESENTANTE DELLE ISTITUZIONI… BECCATI CON SMATPHONE TRUCCATI E BRACCIALETTI CON LE RISPOSTE
Erano 150 i candidati al concorso di agente di polizia penitenziaria nel 2016 tra Roma e Napoli. Per copiare avevano preparato diversi braccialetti con dentro le risposte ai quiz, un microauricolare connesso con un suggeritore esterno, una t-shirt con lettere, numeri e formule.
Il progetto è andato in fumo e ora sono 150 a essere stati rinviati a giudizio. Il pubblico ministero Fabrizio Tucci ha chiuso l’indagine per truffa: i suggeritori sono stati già condannati in Campania. Erano in possesso di materiale segreto: i quiz con tanto di risposte per i candidati. E così, spiega l’edizione romana di Repubblica, l’indagine ha consentito di svelare le tecniche dei copioni.
Tra queste un braccialetto con i colori alternati delle perline per ricordare l’esatta sequenza di risposte. Un aspirante agente è stato trovato in possesso di un apparato per la comunicazione esterna nascosto nel padiglione auricolare con tecnologia Bluetooth.
Altri avevano semplicemente fotocopiato le risposte e cercavano di guardarle di nascosto durante la prova. E c’è chi ha usato la cover dello smartphone con i simboli e i colori delle risposte disposti in sette serie con 80 simboli in tutto. Per ricordare l’esatta sequenza delle risposte ai quiz. Ciò nonostante, alla fine una decina di loro è persino riuscita a farsi bocciare. Ma ora inizierà il processo.
(da agenzie)
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Febbraio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
LA RIVELAZIONE DELL’INTELLIGENCE FRANCESE: “OPERA DEL QUINTO SERVIZIO DEL FSB RUSSO”
Operazione di destabilizzazione da parte dell’intelligence russa. Dietro i graffiti raffiguranti le stelle di David rinvenuti nei quartieri di Parigi lo scorso ottobre, dopo l’attacco di Hamas in Israele, ci sarebbe la Russia di Vladimir Putin.
L’inchiesta aperta nel 2023 dalle autorità francesi per «danneggiamento di beni privati, con l’aggravante di discriminazioni legate all’origine, alla razza, all’etnia o alla religione» ha confermato – scrive Le Monde – le ipotesi avanzate a inizio novembre dopo l’arresto di due cittadini moldavi che avrebbero imbrattato i muri della Capitale francese su ordine di un soggetto, presumibilmente, legato alla Russia.
Secondo una nota della Direzione generale dei servizi di sicurezza interna (Dgsi) della Francia, rivelata dal quotidiano, la cosiddetta operazione «stelle di David» è stata direttamente pilotata dal «quinto servizio del Fsb» russo, incaricato delle operazioni internazionali dei servizi segreti di Mosca.
Una campagna di disinformazione condotta nel quadro di una più vasta operazione di ingerenze russe in diversi Paesi dell’Ue tra cui la Moldavia.
(da agenzie)
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