SCHLEIN NEL VOTO IN SARDEGNA CI HA MESSO LA FACCIA, A DIFFERENZA DI ALTRI
UNA CAMPAGNA ELETTORALE ALL’ANTICA: PIAZZE, MERCATI E PORTA A PORTA
Nella partita sarda è senz’altro Elly Schein la leader che mette in gioco la posta più alta: è vero che Giuseppe Conte ha espresso la candidata presidente Alessandra Todde, è vero che su di lui pesa la mancata intesa con la terza forza di Renato Soru. Ma è Schlein – la Schlein che veniva raccontata come indecisionista, insicura, temporeggiatrice – il personaggio che ha determinato questa corsa con i suoi atti di forza, quasi sempre a dispetto dei mammasantissima del partito.
La decisione di archiviare le primarie, innanzitutto, vero tabù dell’area progressista. Il gioco d’anticipo sulla candidata Cinque Stelle, indicata mesi fa, mentre il centrodestra ancora litigava sul bis di Christian Solinas. E poi l’attivismo della campagna elettorale “alla vecchia maniera”, piazze, mercati e porta a porta, accettando anche la possibilità della contestazione (che infatti c’è stata).
I suoi nemici interni la raccontavano come la gatta morta dell’armocromia, ma in questo debutto da front-woman è sembrata alquanto vitale, anche perché sa cosa rischia: ognuno dei suoi strappi in caso di sconfitta diventerà un capo d’accusa. Magari non farà la fine di Walter Veltroni, costretto alle dimissioni dopo la debacle di un altro voto sardo: alle Europee arriverà comunque (anche perché il partito preferirà mandare a sbattere lei piuttosto che sacrificare qualcun altro). Ma dovrà arrivarci da penitente, col capo ricoperto di cenere, vincolata al placet delle correnti su ogni mossa e lista. Una triste via crucis.
Sono due i dati che faranno il risultato. Il primo è ovvio, il titolo di Governatore, che per la prima volta dopo cinque sfide regionali monopolizzate dal centrodestra, sembra contendibile. Ma conterà moltissimo anche il risultato di lista del Pd, che cinque anni fa risultava comunque il primo partito dell’Isola con il 13,4 per cento e alle ultime politiche era salito fino al 18,7 per cento.
Se il possibile successo di Todde andrà condiviso con Giuseppe Conte, così come la sua possibile sconfitta, la performance del simbolo sarà tutta sua, di Schlein. Su quella si misurerà il futuro della sua leadership. Sarà quella a decidere tutto: la candidatura personale come capolista alle Europee, il taglio della prossima campagna elettorale, il futuro delle intese con il M5S.
Conte rischia assai meno. In Sardegna ha vissuto un’esperienza inedita, quella di fare campagna in favore del “voto utile” al M5S, come i democristiani di una volta. Il suo vero nemico, più che la destra, è il rassemblement di Renato Soru che potrebbe assorbire una parte significativa del voto progressista.
Lo scambio di folgori è stato il vero spettacolo delle interviste e dei comizi. Todde a Soru: come osi parlare di progressismo tu che nel 2014 invitasti a non votare Michela Murgia. Soru a Todde: sei solo la vicerè mandata da Roma per asservire e tenere buona la Sardegna. Conte a Soru: candidatura incomprensibile, ne risponderai agli elettori. Soru a Conte: sei venuto in Sardegna a fare il simpatico, a suonare la chitarra, a dire banalità sulla bottarga.
Insomma, se i risultati puniranno la candidata governatrice imposta da Giuseppe Conte la linea difensiva del Movimento è già scritta. In prima istanza la colpa sarà attribuita a Renato Soru e al suo ego. In seconda istanza si farà generico riferimento alla sinistra «capace solo di dividersi» e quindi alla leader che non riesce a imbrigliarla: Elly Schlein. E infine si chiuderà la pratica: le Regionali sono state sempre la bestia nera del Movimento, non ne abbiamo mai vinta una, ci rifaremo alle Europee dove non servono alleanze scomode.
Infine, se pure il voto della lista M5S andasse male, Giuseppe Conte, potrà dire «è stato solo un esperimento», per poi incamminarsi verso il voto di giugno senza fastidiosi obblighi di fair play verso il Pd. Tutt’al più sarà la fine del campo largo: non certo la sua.
(da La Stampa)
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