Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
DESALVINIZZARE LA LEGA PER ORA E’ IMPOSSIBILE, L’UNICA ALTERNATIVA E’ LA COPPIA ZAIA-FEDRIGA, NON A CASO SALVINI VUOLE IL TERZO MANDATO PER ZAIA, COSI’ RESTA ALTRI 5 ANNI A GOVERNARE IL VENETO… COMUNQUE NOI FACCIAMO IL TIFO PERCHE’ SALVINI RIMANGA: SOLO LUI PUO’ DISTRUGGERE LA LEGA RIPORTANDOLA AL 4%
La sconfitta del centrodestra in Sardegna dà un’amara soddisfazione alla Lega: il candidato che ha fatto fiasco è stato imposto da Giorgia Meloni contro l’ex governatore Christian Solinas, sponsorizzato da Matteo Salvini. Il segretario del Carroccio ora ha un’arma in più per ricandidare Luca Zaia in Veneto. Soltanto così neutralizzerebbe il solo rivale interno (anche se solo teorico), mettendo in sicurezza la propria leadership a rischio dopo il flop annunciato delle europee. De-salvinizzare la Lega? Fantascienza. Ecco perché
Sardegna ingrata, per la Lega. Ma con un retrogusto di amara soddisfazione. Perché se da un lato la sconfitta del centrodestra è imputabile anzitutto alla scelta della Meloni di puntare sulla persona sbagliata, quel Paolo Truzzu finito umiliato nella sua stessa Cagliari, dall’altro proprio questo fatto dà ora il destro a Matteo Salvini per porre con maggior forza la questione delle candidature alle regionali che verranno, quelle che davvero gli interessano. Ovvero una: Luca Zaia in Veneto. Il recente siluro parlamentare di Fratelli d’Italia contro il terzo mandato per i presidenti di Regione non basterà a contenere l’appetito di rivincita di un Carroccio che può a buon diritto rinfacciare al principale alleato di mettere a rischio l’intera coalizione, se ancora si impunterà su personaggi privi di appeal elettorale pur di marcare la superiorità sul socio minore leghista. La prima conseguenza del voto sardo, quindi, sarà un ritorno alla carica per cercare di blindare la rielezione del governatore veneto nel 2025. Per due motivi: il primo, ovvio, è mantenere sotto le insegne della Lega una roccaforte strategica com’è il Veneto, tradizionale serbatoio di consensi. Doppiamente prezioso in questi tempi magri, per un partito che soffre la sudditanza a livello nazionale verso quello della Meloni (secondo gli ultimi sondaggi, lo scarto fra i due resta altissimo: 27% a 8%).
Il secondo motivo è più celato, ma non meno forte: in teoria, Zaia rappresenta per Salvini l’unica personalità spendibile come alternativo alla sua leadership. Con quell’enorme seguito personale di cui gode sul territorio e il gradimento (anche trasversale) di cui beneficia in tutto il Paese, è il solo nome davvero insidioso, per il declinante Capitano. Tanto più che, confinato com’è oggi il bacino leghista al solo Nord delle origini, chi rumoreggia all’interno lamentandosi della brutta china su cui sta scivolando il partito non può che guardare a un leghista vecchia maniera come Zaia, per cambiare rotta. Inchiodarlo per altri cinque anni a Venezia (anche, eventualmente, come sindaco, succedendo a Luigi Brugnaro) sarebbe un’assicurazione sulla vita, per Salvini. Questo sulla carta, perché c’è da mettere in conto un altro fatto, sottovalutato da chi conosce poco Zaia: il doge, per carattere e indirizzo di fondo, ha sempre scrupolosamente seguito la regola di evitare qualsiasi scontro dentro il partito. Ora, la sola eventualità che potrebbe realmente rendere fattibile la sua ascesa al posto di Salvini sarebbe che quest’ultimo si dimettesse da segretario all’indomani delle europee di giugno. È opinione unanime che dalle urne per Strasburgo (in cui si voterà con sistema proporzionale: tot crocette, tot percentuali, senza strane alchimie) la Lega uscirà con le ossa quanto meno fragili e ammaccate. Se non proprio rotte, dovesse essere superata da Forza Italia (che la marca stretta, a quanto pare, attestandosi al 7%). In caso di tonfo, il vicepremier e ministro dei Trasporti si troverebbe oggettivamente a dover rendere conto di un biennio al governo che, dal punto di vista leghista, si è rivelato un flop. A parte il nuovo codice della strada, non si registrano risultati degni di nota da ascrivere al Carroccio: la riforma Calderoli sull’autonomia regionale è avviata, ma con i soliti tempi biblici; il Ponte sullo Stretto è allo stadio di promessa, sia pur condita da studi di fattibilità per dargli una parvenza operativa; il disegno di legge sulla sicurezza è in cammino, e forse qualche effetto-annuncio lo strapperà prima delle urne europee, ma in zona cesarini; gli ultimi accordi in Europa sull’immigrazione hanno confermato per l’ennesima volta il trattato di Dublino che penalizza i Paesi di primo approdo come l’Italia, e sbraitare contro l’Ue non sarà sufficiente come alibi, per un governo che più a destra di così si muore. A Salvini rimangono le cartucce, buone per la propaganda d’occasione, di esternazioni dal sapore di vago controcanto sulla Russia, o le sempreverdi sparate a salve sulla droga. Troppo poco, per un elettorato che vorrebbe più fatti concreti, quelli di sempre: meno tasse, meno burocrazia, meno Stato. Un elettorato pragmatico, magari un po’ stufo dello stile salviniano, inutilmente macho, che è logico si faccia attrarre dalla calamita del partito più forte, Fratelli d’Italia, e persino da quello più debole, Forza Italia.
Salvini non è però tipo da mollare la cadrega. L’apparato del Carroccio, soprattutto a colpi di commissariamenti, è stato plasmato in questi anni a sua immagine e somiglianza, secondo la tradizione leninista in vigore fin dai tempi di Bossi. Una vera e propria dissidenza interna, perciò, è da escludere. Se la tornata europea andrà troppo male, sarà costretto quindi a inventarsi un nuovo corso, che non potrà che andare in una direzione: alzare il livello di conflitto nella maggioranza. In altre parole, tentare di riprendersi i voti “rubati” da meloniani e forzisti. Un gioco pericoloso per la tenuta del governo, che a quel punto correrebbe il pericolo di cadere anzitempo, imboccando il tunnel delle elezioni politiche anticipate. Salvini, insomma, dovrà fare quel che hanno sempre fatto i piccoli partiti in ricorsa qualora a rischio sopravvivenza: rompere, tornando ad avere le mani totalmente libere. Un Papeete II la vendetta. Il che, a sua volta, implicherebbe differenziarsi di più. Molto di più. Nell’unico senso possibile, non a caso già adottato: più a destra possibile (di qui la candidatura del generale Roberto Vannacci). Con Fratelli d’Italia giocoforza istituzionalizzata, e una Forza Italia rassicurante ovvero senza Berlusconi, lo spazio disponibile resta proprio quello più congeniale a Salvini: la protesta, la Bestia 2.0, l’estremismo verbale, la caciara, la deriva a destra. Tutto, pur di non ammettere che la decadenza leghista è colpa sua, e solo sua. De-salvinizzare la Lega, infatti, è impossibile, se nessuno si fa avanti per sottrargli lo scettro del comando. E se qualcuno pensa a Zaia, può star fresco. Alla fine della fiera, se manca la classe dirigente alternativa (com’è mancata in Sardegna, dove il governatore Christian Solinas, l’uomo che Salvini avrebbe voluto ricandidare, non aveva certo brillato), le rivoluzioni non si possono fare.
(da mowmag.com)
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Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
“ABBIAMO VINTO NONOSTANTE SORU CHE HA USATO PAROLE TERRIBILI VERSO UN PARTITO CHE GLI HA DATO TANTO. CALENDA? NON NE HA AZZECCATA UNA. E NON È LA PRIMA VOLTA, BASTI RICORDARE LA SUA SCIAGURATISSIMA SCELTA DI ABBANDONARE LA COALIZIONE, NEL SETTEMBRE 2022 PER REGALARE LA VITTORIA AL CENTRODESTRA
Per una Meloni – Giorgia – che perde, un Meloni – Marco – che vince. Se e’ stata la premier a imporre il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu uscito sconfitto dalle regionali sarde, è stato Marco Meloni a sponsorizzare la candidatura di Alessandra Todde. Il senatore 53enne, già coordinatore del Pd con la segreteria di Enrico Letta, è il vero artefice del campo largo modello Sardegna. Il 27 ottobre del 2023 presentò a Cagliari il bilancio del suo primo anno di legislatura. All’evento invitò anche Todde.
“Non ho il potere di fare investiture, ma credo che sarebbe un’ottima candidata alla presidenza della Regione”, disse in quella occasione. Ottenne in cambio i mugugni di molti compagni di partito. “Non vinceremo mai con una candidata grillina”, era la sintesi. “Sì è vero, non è elegante dirlo, ma ho creduto fin dall’inizio che la candidatura di Todde fosse competitiva. Queste elezioni dimostrano che quando abbiamo un buon candidato e realizziamo un’alleanza su cose concrete, con un approccio pragmatico, possiamo aggregare. E lo abbiamo fatto nonostante che Soru potesse crearci difficoltà”.
E’ una vittoria del campo largo. L’alleanza coi M5s è imprescrindibile?
“Io non attribuisco al campo largo una valenza di sistema.
Lei parla di una coalizione ampia. Ma Calenda è andato con Soru.
“Calenda non ne ha azzeccata una. E non è la prima volta, basti ricordare la sua sciaguratissima scelta di abbandonare la coalizione, nel settembre 2022 per regalare la vittoria al centrodestra”.
All’epoca il leader di Azione abbandonò il Pd al suo destino perché, diceva, si era alleato con Sinistra Italiana.
“E ora noi l’abbiamo visto a braccetto con forze come Rifondazione comunista e Liberu, un movimento la cui leader l’8 ottobre rilanciava le foto dei deltaplani di Hamas. Hanno imbarcato un caravanserraglio, ed hanno fatto una cosa del tutto incomprensibile”.
Renato Soru ne esce male.
“Ha scelto di non stare più nel centrosinistra e ha usato parole terribili verso un partito che gli ha dato tanto. Il suo risultato parla chiaro. A me interessa che i suoi elettori sappiano che il centrosinistra è la loro casa. Ora guardiamo avanti”.
(da Huffingtonpost)
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Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
IL PRELATO ATTACCA I RAGAZZI MANGANELLATI A PISA E CHI SOLIDARIZZA CON LORO… A QUANDO UNA DICHIARAZIONE SULLE MIGLIAIA DI RAGAZZINI VITTIME DI ABUSI DEL CLERO?
Bianca Berlinguer «mi piacerebbe fosse aggredita e che le forze dell’ordine si girassero dall’altra parte», scrive in un post poi rimosso su Facebook il vescovo emerito di Chioggia, don Adriano Tessarolo. Nel post di tre giorni fa, il prelato commentava gli scontri di Pisa dello scorso 23 febbraio, dove la polizia ha caricato con i manganelli gli studenti durante un corteo pro Palestina. Nell’ultima puntata di «È sempre Cartabianca» su Rete4, la conduttrice aveva espresso solidarietà agli studenti. Così come aveva fatto anche l’arcivescovo di Pisa, Giovanni Paolo Benotto, che aveva espresso «profonda preoccupazione per gli scontri avvenuti nel centro della città che hanno causato il ferimento di alcuni studenti, anche minorenni».
Don Tessarolo da parte sua punta il dito contro gli studenti: «I giovani devono stare alle regole: i poliziotti fanno il loro dovere e chi presenta con violenza va fermato con la forza». La posizione invece espressa da Berlinguer, per Tessarolo avrebbe dimostrato invece che la giornalista è «la solita furbastra, la “Bianca” si vede chi è», alludendo alle sue posizioni politiche.
I precedenti
Già in passato don Tessarolo era stato protagonista di polemiche nate dai suoi commenti controversi sui social. Nel 2018 se la prese con la copertina di Famiglia Cristiana che titolava «Vade retro Salvini».
L’anno dopo si è scontrato con l’allora ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che si era detto favorevole alla rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche. Tessarolo rilanciò proponendo la rimozione anche della foto di Sergio Mattarella.
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
“COSTRETTA A TORNARE NELLA MIA CITTA’, COME FAI A SOPRAVVIVERE A MILANO CON 800 EURO AL MESE”… IL GOVERNO DA CHE PARTE STA? DALLA PARTE DEI GIOVANI ITALIANI O DEGLI ITALIANI SFRUTTATORI?
Sara (nome di fantasia) lavorava come interior designer per uno studio di architettura a Milano. Sia in questa esperienza che nelle altre precedenti si è trovata di fronte a un vero e proprio sfruttamento lavorativo. Nonostante un contratto a partita Iva, era obbligata ad andare in ufficio tutti giorni. Ha lavorato fino a 12 ore al giorno e spesso per uno stipendio che non superava gli 800 euro: “Sono tornata nella mia città di origine. Sono stata costretta a farlo perché vivere a Milano con quello stipendio è imbarazzante”.
Vivere a Milano è diventato sempre più complicato. L’affitto di una stanza o un appartamento potrebbe pesare gravemente sullo stipendio di un lavoratore soprattutto se questo è pari o di poco inferiore al proprio reddito. Per questo motivo molte persone sono state costrette a scappare dal capoluogo meneghino e, in alcuni casi, a tornare nelle proprie città. Non sempre la responsabilità è di coloro che speculano sui contratti di locazione. In moltissimi casi ci si trova di fronte a datori di lavoro che sfruttano i propri dipendenti offrendo condizioni lavorative pietose. Sara (nome di fantasia) ha raccontato a Fanpage.it quanto è stato costretta a subire.
“Dopo aver ricevuto varie offerte di lavoro in cui mi offrivano al massimo una retribuzione di 1.200 euro con partita iva, ho iniziato a lavorare in uno studio di architettura a Milano come interior designer. I primi due mesi, ho ricevuto uno stipendio sotto i mille euro. Quando questo è aumentato, ho iniziato a registrare i primi ritardi nei pagamenti o addirittura la mancata retribuzione. Inoltre, nonostante avessi un contratto a partita Iva, sono stata costretta a recarmi tutti i giorni in studio e seguire un orario come se avessi un contratto da dipendente. Non avevo alcuna libertà professionale”, ha spiegato.
“Quando ho chiesto spiegazioni sui ritardi e i mancati pagamenti, mi è stato risposto che non c’era liquidità per sovvenzionarmi. Mi è stato quindi presentato un foglio in cui mi veniva detto che da quel momento avrei ricevuto uno stipendio di 650 euro. Con questa cifra non si copre nemmeno un part-time, figuriamoci un full-time. È stato vergognoso: anche perché stavo aspettando lo stipendio dal mese precedente che non era ancora arrivato. Per questo motivo, a inizio 2024 ho deciso di chiudere la collaborazione”, ha precisato.
Prima di arrivare a questa scelta, Sara ha provato più volte a far valere i propri diritti. Per esempio relativamente ai propri turni di lavoro e agli straordinari: “Quando ho fatto notare che, essendo a partita iva, non sarei dovuto andare in studio ogni giorno, mi hanno risposto che non gli interessava. Anche quando ho provato ad amministrare il mio tempo, le cose non sono variate. Un giorno ho lavorato 12 ore. In quello successivo ho fatto notare questa cosa e ho dimostrato di aver lavorato più di otto ore. Nonostante questo, mi è stato detto che non era un loro problema. Questa condizione non mi permetteva di avere altre collaborazioni con altri studi”.
Il suo non è mai stato un caso isolato: “Altri miei colleghi, non erano stati pagati. Tutti avevano una partita Iva e, come me, erano costretti ad andare lì. Io poi ho agito per tempo e mi è stato pagato tutto quello che mi spettava”.
Lo studio per il quale collaborava è rinomato e ha diversi clienti che investono in hotel, appartamenti o costruzione di quartieri nuovi: “Hanno un ampio margine di guadagno, che però non investono all’interno della società. Continuano ad aprire posizioni e assumere persone. Sono stati assunti anche soggetti che non erano iscritti all’Ordine degli Architetti, ma che esercitavano comunque la professione. Nonostante siano state inviate segnalazioni agli Organi competenti e siano state perpetrate cause con avvocati, le condizioni sono sempre le stesse. A loro favore, gioca molto il fatto che vengano assunte soprattutto persone straniere”.
Non è l’unica esperienza negativa in questo settore. In gran parte delle realtà che operano in questo ambiente e a Milano sussistono condizioni di sfruttamento e sacrificanti: “Anche l’esperienza precedente è stata molto simile. Era la prima esperienza lavorativa a Milano. Quando ho iniziato, mi hanno proposto uno stage di sei mesi. Mi avrebbero pagata 750 euro al mese. I contributi li versavo io quindi a fine mese la retribuzione era leggermente inferiore. Dopo questo periodo, avremmo valutato il mio futuro all’interno di questa realtà. Durante i sei mesi, sono stata vittima di un comportamento ostico soprattutto perché lesbica e originaria del Sud. Per queste cose, mi dicevano che “non ero in linea con quello che cercavano”, mi chiedevano di cambiare lavoro e fare altro. Non mi hanno però mai mandata via. Sostenevano che i miei elaborati fossero di basso livello, però poi li usavano per venderli ai clienti”.
“Alla fine dei sei mesi, mi hanno detto che non erano ancora pronti per assumermi e che mi avrebbero offerti altri sei mesi. Mi è crollato il mondo addosso anche perché vivere a Milano senza lavoro è impossibile. Ho accettato, ma ho iniziato anche a interfacciarmi con altre realtà. Anche in questo luogo eri costretta a lavorare dalle 9 alle 8 di sera tutti i giorni. E in caso di assunzione ti offrivano al massimo 1.200 euro a partita iva, che al netto erano 1.000-1.100 euro. E quando per un giorno non lavori, ti tolgono una parte di retribuzione che si aggira attorno ai 50-60 euro al giorno. Sono andata a lavorare con l’influenza e con la febbre, ma a loro non interessava”.
E dopo l’ennesima esperienza lavorativa, Sara ha scelto di andare via da Milano: “In tutte le mie esperienze ho guadagnato in media 800 euro e pagavo un affitto di 450 euro e solo perché convivevo. Sono tornata nella mia città di origine. Sono stata costretta a farlo perché vivere a Milano con quello stipendio che ti offrono è imbarazzante”.
(da Fanpage)
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Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
DAI RAGAZZI MANGANELLATI AD ASSANGE
«I regimi autoritari e le dittature del Novecento e della nostra epoca vivono in un mondo in cui è difficile dire alla gente “il capo ha diritto di far ammazzare chi vuole”. Reprimi? Devi fare le leggi. Le leggi speciali sono state una caratteristica tipica dell’avvento fascismo». Oggi quindi i regimi «fanno fatica a far stare zitti quelli che protestano. Poi naturalmente ci sarebbe da aprire – e non la facciamo adesso – tutta la pagina di come anche le democrazie occidentali ogni tanto trovano qualcuno che protesti un po’ troppo e vogliono far star zitti chi protesta un po’ troppo, che si tratti di manganellare dei ragazzi che protestano in corteo o che di mettere in galera Assange».
Il professore Alessandro Barbero, noto storico e divulgatore, questa mattina presente al liceo Alfieri di Torino tra gli ospiti del primo giorno di autogestione, nel rispondere agli studenti sembra citare anche i recenti episodi di Pisa. La domanda, facendo riferimento anche al caso Navalny, era: “Quale è il motivo per cui questi dissidenti fanno così tanto paura al regime totalitari?” Barbero non si sofferma sul caso specifico russo «su cui sarebbe bello sapere di più», ma precisa che «non è l’Europa del Novecento che ha inventato i regimi autoritari che fanno sparire chi non è d’accordo. Sono sempre stati presenti nella storia». Ricorda l’Impero Romano, «mentre quando succedono al nostro tempo queste cose ci scandalizzano, nella storia sono ovvie».
Il professore in un’ora e mezzo, in cui ha raccolto molti applausi dal giovane pubblico, ha risposto a diverse domande. Storiche, attuali, politiche. Ha ripreso il tema delle proteste studentesche, «è una costante della nostra epoca, in senso lato, che nelle scuole esista qualcosa che si chiami movimento studentesco, che percepisce con fastidio le istituzioni che governano e la scuola vista dal Potere e dallo Stato». Le proteste, aggiunge, «possono essere giustificate o meno ma nella società complessa come la nostra sarebbe molto triste il giorno in cui gli studenti non protestassero più contro quello che cade sulla nostra testa».
Ha risposto anche su come oggi si racconta la guerra. «C’è stato un cambiamento culturale straordinario rispetto a quando la guerra la consideravamo ammissibile». Le guerre nella seconda metà del Novecento «sono non dichiarate», dice citando l’Ucraina e Gaza. Ciò vuol dire che «nessuno fa la guerra sentendosi autorizzato a far tutto e a dirlo», ma anche che ci sarebbe «un’ipocrisia dominante. Facendo la guerra senza dirlo e senza dichiararlo ci si abitua a farla».
Diverse anche le domande sul suo percorso professionale, a cui ha risposto ricordando quando da piccolo nacque il suo interesse per la storia americana e solo dopo, leggendo Marc Bloch, la passione per l’età medievale che lo ha colpito «in modo inspiegabile, come quando ci si innamora di qualcuno». Agli studenti che hanno chiesto consigli ha risposto: «Ognuno di voi è diverso dagli altri. Il consiglio generale che posso dare è: fate quello che vi detta il cuore. Se avete abbastanza chiaro che c’è qualcosa che vi piace davvero, che sia la storia o ahimè la filosofia, magari algebra, linguistica o qualunque cosa». Ma mette anche in guardia «dovete sapere che con la laurea in storia e filosofia nella maggior parte dei casi sarà insegnare a scuola. Vi deve piacere. Se non vi piace pensateci bene ma non credete a chi vi dice “finirete a fare i disoccupati”».
La giornata di autogestione è proseguita con approfondimenti sulla Costituzione con Francesco Pallante, laboratori autogestiti dagli studenti di arte e teatro moderno e toni sportivi. «È stata una giornata molto interessante ed è andato tutto bene – racconta Mattia, uno dei rappresentanti d’Istituto – Siamo soddisfatti perché dietro giornate del genere c’è molto lavoro e anche molti rischi. L’autogestione continuerà domani con altri ospiti».
(da repubblica.it)
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Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
PUTIN NON HA ASCOLTATO ABRAMOVIC E HA SCELTO PATRUSHEV
L’assassinio di Alexey Navalny è probabilmente il frutto finale di una serie di indecisioni e di un serio conflitto interno al Cremlino tra «tecnocrati», che hanno variamente cercato di lavorare a uno scambio del più famoso dissidente russo, e «falchi», una gran parte dei siloviki, gli uomini degli apparati, che infine hanno convinto Putin a procedere alla liquidazione del «paziente berlinese» – come Putin chiamò Navalny senza nominarlo, ai tempi in cui veniva curato (e salvato) in Germania dal primo avvelenamento nell’agosto 2020, per intervento diretto di Angela Merkel.
Putin alla fin fine, quando deve scegliere tra il parere di Roman Abramovich e quello di Nikolai Patrushev (il potente capo di tutti i servizi segreti russi), sceglie sempre istintivamente il secondo, che per lui è il Kgb.
Ieri il Team Navalny ha rivelato un dettaglio clamoroso sugli ultimi giorni di Alexey: il 15 febbraio mattina avevano ricevuto la conferma che c’era un accordo di massima per scambiare Navalny, più due cittadini americani, con Vadim Krasikov, un agente del Fsb che sta scontando l’ergastolo in Germania per aver assassinato in pieno giorno, sparandogli addosso da distanza ravvicinata nel parco del Tiergarten, a Berlino – tra famigliole e berlinesi che fanno jogging – un comandante ribelle ceceno-georgiano che aveva combattuto contro la Russia nel 2000, Zelimkhan Khangoshvili.
Nella celebre “intervista” a Tucker Carlson, Putin aveva spiegato già – a una domanda su Evan Gershkovich, il giornalista del Wall Street Journal arrestato in Russia con accuse inventate di spionaggio – come considerava Krasikov.
«Non ha senso tenere in prigione – sostenne il dittatore russo – una persona che, per patriottismo, ha fatto fuori un bandito in una delle capitali europee». Poi aggiunse, inquietante e sibillino: «Che l’abbia fatto di sua volontà o meno, è un’altra questione» (peraltro negando che l’assassinio berlinese fosse stato ordinato da Mosca). Le trattative sono durate due anni, forse ci sarebbe voluto molto meno, ma è andata così, dice Pevchikh, e il 15 mattina il team ha ricevuto la conferma dello scambio. Il 16 febbraio Navalny è morto.
Assassinato.
La proposta di scambiare Navalny era stata recapitata a Putin dall’oligarca Roman Abramovich. E qui entriamo nella storia inquietante dell’omicidio di Navalny. «A Putin era stato detto chiaramente», spiega Pevchikh. «L’unico modo per prendere Krasikov è scambiarlo con Navalny.
«Oh, sì, deve aver pensato Putin. Non tollererò Navalny libero. E poiché sono pronti a cambiare Krasikov in linea di principio, dobbiamo semplicemente eliminare il tema della contrattazione».
Putin si è a quel punto trovato in una falsa posizione, che però di fatto ha segnato definitivamente la sorte di Navalny. Da una parte lui voleva fortissimamente riavere Krasikov, l’aveva fatto sapere agli americani da mesi. Dall’altra però non voleva assolutamente lasciar andare Navalny, il leader di opposizione che ha sempre temuto di più, un politico a tutto tondo, e a pochi giorni dalle elezioni (chiamiamole così) presidenziali.
Washington in linea di principio, spiega una fonte di intelligence occidentale, lavorava almeno all’inizio per riavere Evan Gershkovich, il giornalista del Wall Street Journal fatto arrestare da Putin con accuse inventate di spionaggio, e l’ex marine Paul Whelan, anche lui in carcere in Russia accusato di spionaggio. Ma era stato possibile inserire Navalny nella partita – benché fosse cittadino russo, e non americano – perché esiste la possibilità di scambi internazionali “umanitari”, anche verso Paesi terzi.
Proprio quando la trattativa stava entrando nel vivo, Putin procedeva alla distruzione di Navalny. Dicembre 2023, dopo mesi e mesi di ritardi burocratici, il piano di scambio viene messo in atto.
6 dicembre 2023: agli avvocati non è più permesso di vedere Navalny, che si trova nella colonia penale numero 6 a Melikhovo, nella regione di Vladimir. L’11 dicembre vengono informati che è stato trasferito. Oltre il circolo Polare Artico, nel gulag “Lupo polare” (dove poi verrà ucciso). Arcipelago Putin.
Abbas Gallyamov, ex speechwriter di Putin nei primi anni al Cremlino, spiega: «Non è da escludere che Putin, nel decidere il destino di Navalny, abbia dato il via libera alla realizzazione simultanea di due scenari: “Scambiarlo? Beh, magari lo scambiamo”, “Ucciderlo? Sì, forse avete ragione, probabilmente è davvero meglio uccidere”.
Le autorità non avevano uno scenario ottimale; hanno dovuto scegliere tra diversi scenari sfavorevoli, quindi il capo dello Stato ha esitato. In alcuni momenti ascoltava la parte moderata del suo apparato, in altri si inclinava verso il punto di vista dei falchi».
Alla fine «si è lasciato convincere dai falchi che sostengono che non è necessario tenere conto dell’opinione dell’Occidente in una situazione in cui è incapace di tutto, e sopportare le buffonate degli oppositori in una situazione in cui un gran numero di cittadini aspettano solo un motivo per non scendere più in piazza». Ora però incombono i funeraliNavalny lo perseguiterà anche da morto.
(da La Stampa)
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Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
APPENA QUALCHE MESE FA, SI PIAZZÒ TERZULTIMO NELLA CLASSIFICA DI GRADIMENTO DEGLI AMMINISTRATORI ITALIANI
Paolo Truzzu qualche mese fa si piazzò terzultimo nella classifica di gradimento dei primi cittadini di tutta Italia, qualcosa forse si poteva intuire. Il risultato di Truzzu è più basso di qualche punto percentuale anche rispetto alle liste che lo sostengono. A Cagliari per il sindaco è débâcle totale. Una forchetta di quasi venti punti: 53% delle preferenze per Alessandra Todde, per Truzzu solo il 34%.
Il «Trux», soprannome che gli è rimasto appiccicato per l’infausto, finto tatuaggio in solidarietà a Paolo Di Canio, ha girato l’isola in lungo e largo in queste settimane.
Comizi, sagre, vongole, cozze e carnevali. Il 17 febbraio è a Siniscola, il paese del padre. Su Facebook racconta il «calore umano» che lo circonda: «In ogni sorriso e in ogni abbraccio ho sentito una connessione ancora più intensa con la nostra terra e con le persone che la rendono unica». Ha perso anche lì.
«Nessuno slogan, solo la Sardegna», il grido di battaglia. Ha promesso biglietti aerei a prezzi ridotti, sconto sulle bollette, assegni per i nuovi nati. Infrastrutture. Come la nuova passeggiata centrale di Cagliari da intitolare a Gigi Riva.
Ma guai a suggerirne una per Michela Murgia: «Non le intitolerei mai una via o un monumento perché mi sembra un personaggio più negativo che positivo. Era una totalitaria, per certi punti di vista».
A parte il calcio è un amante del padel, dei cani e delle birre artigianali. Cattolico e ammiratore di papa Ratzinger, conosce Meloni da studente universitario. Crescono politicamente insieme, la «generazione Atreju».
Mercoledì scorso ha chiuso la lunga corsa elettorale con lei, Salvini e Tajani. Sul palco con i tre leader venuti da Roma, più litigiosi che mai. La sua candidatura è stata l’inizio delle scintille che ora rischiano di avvampare la coalizione. Truzzu naturale contro Todde sintetica: «La scelta è tra noi e chi, per interessi di partito e logiche di potere, ha voluto fare della Sardegna un esperimento, una cavia. Non siamo la cavia di Pd e Cinquestelle. Un esperimento che si è rotto ancora prima di iniziare». Candidato insuperabile, come il tonno in olio d’oliva.
(da La Stampa)
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Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
LORENA CONTE, DOCENTE DI LETTERE: “LI ABBIAMO LASCIATI SOLI”
Lorena Conte, insegnante a Pisa, scrive oggi una lettera aperta su Repubblica ai ragazzi manganellati dalla polizia durante la manifestazione pro-Palestina.
La professoressa di Lettere presso l’Istituto Comprensivo Niccolò Pisano di Marina di Pisa esordisce dicendo che «dobbiamo chiedere scusa ai nostri ragazzi. Non solo se siamo ministri dell’Interno, non solo se siamo questori o poliziotti; ma da insegnanti e da educatori e da genitori. Gli continuiamo a dire che sono apatici, che sono indifferenti, che stanno sempre con la testa china sui social. E quando qualcuno la tira su, quella testa, si becca le manganellate. E si sente dare del maleducato, del non autorizzato». S
econdo Conte il mondo degli adulti ha lasciato soli i ragazzi: «Non siamo riusciti a proteggere i nostri studenti e i nostri figli da questo strano risveglio nella realtà vera. Loro ci hanno provato, solo alcuni hanno avuto il coraggio e l’ardire».
Piazza dei Cavalieri
L’insegnante dice di essere passata quel giorno per Piazza dei Cavalieri: «Mi fermano ma poi dico che sono una prof e mi fanno passare. Forse perché sono vecchia e, come dice mio marito, ormai ai posti di blocco non faccio più paura. E lì il delirio. Poliziotti antisommossa, ragazzi (molti dei miei) che urlano. Cose non gentilissime eh, ma questo non giustifica le manganellate».
E conclude: dobbiamo chiedere scusa a tutti. Ai pochi che hanno preso le botte. Ai tanti che guardavano dalle finestre. «Dobbiamo chiedere scusa a questi ragazzi a cui diciamo sempre di svegliarsi e di lottare per le loro idee. A cui propiniamo come modelli Dante, Alfieri, Pasolini dicendo loro di prenderne esempio dal loro coraggio. E poi, una volta che sotto la pioggia, decidono di sfilare per diritti che non sono i loro, ecco che li riportiamo alla realtà con le cariche. Dobbiamo chiedere loro scusa, perché sotto quella pioggia abbiamo davvero perso tutti».
(da Open)
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Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile
PRECARI, CIG E PART TIME IN AUMENTO, MENTRE LE ORE LAVORATE SONO INFERIORI AL 2007
I giornali di destra negli ultimi mesi, non fanno altro che sbandierare presunti dati sulla crescita occupazionale, trionfalmente annunciati dal governo, e attaccare chi si azzarda a evidenziare che non c’è nessun boom di occupati. Ma solo sfruttamento, bassi salari, precarietà. Questa coalizione politico-mediatica è la stessa che negli ultimi anni ha attaccato, e poi abolito, il Reddito di cittadinanza, scatenando una lotta contro i poveri anziché contro la povertà. Togliendo un reddito minimo universale che non consentiva più la ricattabilità dei lavoratori più fragili.
Tuttavia, oggi, la stessa coalizione sta scoprendo che “non si fanno le nozze con i fichi secchi” o detto in altri termini, non si può avere crescita economica col lavoro povero. Ma vediamo in dettaglio, e analiticamente, come stanno le cose e qual è lo stato del mercato del lavoro italiano
La tanto sbandierata crescita di occupazione del 2023 e 2024, non solo è trainata da salari reali più bassi (a causa dell’inflazione) e lavoro povero e improduttivo, ma è in gran parte anche fittizia, e si spiega attraverso una attenta analisi dei dati di seguito illustrati. Innanzitutto la stagnazione del Pil (con una crescita di circa 0,6% nel 2023 e nel 2024) ci indica che semmai ci fosse una crescita occupazionale, essa è appunto improduttiva: non si vede cioè nella crescita del Pil e nella produttività.
§Sono cinque i dati negativi che emergono principalmente sul mercato del lavoro.
1) La quantità di lavoro
Le ore lavorate, in termini pro-capite ma anche complessivamente, sono inferiori oggi non solo al 2007, anno di picco, prima della crisi finanziaria e del debito, ma anche al periodo pre-pandemico, come indica il grafico 1. Fatto 100 l’anno base, nel 2015, si raggiunge un picco nel 2007 con 107, si rimane intorno a 101 nel 2019, e si arriva a circa 99 oggi.
2) I segnali di difficoltà
Dal 2023 ha ripreso a crescere la cassa integrazione, dopo che nella crisi pandemica aveva raggiunto il picco, e la successiva riduzione nel 2022 (grafico 2). Nei primi mesi del 2024 siamo a circa 48 milioni di ore totali di cassa autorizzate. Le imprese stanno fronteggiando un declino industriale, con scarsa domanda, e mettono a riposo i lavoratori. Tuttavia, i lavoratori in cassa integrazione, con meno di tre mesi di cassa (praticamente quasi tutti oggi) vengono considerati occupati secondo le nuove regole di Eurostat e di Istat. Ciò fa salire il numero di occupati e non fa aumentare la disoccupazione.
3) La sotto-occupazione
Un ulteriore droga del nostro mercato del lavoro è il lavoro part time. Questo lavoro dà l’idea che l’occupazione sia più alta di quanto sia realmente, e nasconde molta sotto-occupazione. Il part time involontario rappresenta il 60% dei casi. Esso è particolarmente insidioso per le donne, ed è aumentato esponenzialmente dagli anni Novanta in poi. In media, il part time (pubblico e privato) è circa il 18% dell’occupazione totale (4,3 milioni di lavoratori), ma è particolarmente accentuato per le donne, ed è il doppio che in Europa, sia quello femminile che quello maschile. Nel settore privato poi, il part time maschile e femminile raggiunge cifre ancora maggiori come vediamo nel grafico 3 (in media circa il 30%). Dal 2018 in poi, il trend è diminuito, ma ha ricominciato a crescere dalla fine del 2022, ritornando sui livelli record del 43% per le donne e 17% per i maschi nel 2023. Anche questo influisce sulla riduzione delle ore lavorate, seppure in presenza di un numero maggiore di “teste” di occupati.
4) Più precari
Il lavoro a termine è l’altra piaga che finisce per determinare, soprattutto per i giovani, un lungo limbo di precarietà. Fin dalla ripresa post-pandemica è aumentato (Grafico 4). L’unico calo, prima del periodo pandemico, si era avuto tra il 2018 e il 2019, grazie al decreto Dignità, come abbiamo più volte scritto, e su cui c’è ampio consenso. In ogni caso, è bene leggere i dati almeno anno per anno, piuttosto che nelle fluttuazioni mensili, dove si trovano picchi o cali dovuti a periodi stagionali e non stagionali. A fine 2023 abbiamo raggiunto gli oltre 3,6 milioni di rapporti temporanei complessivamente (oltre 2,5 milioni nel settore privato non agricolo). Anche questi dati rappresentano picchi di record, che si erano raggiunti solo nel periodo precedente al decreto Dignità
5) Il calo demografico
Infine occorre ricordare che viviamo in un periodo in cui il calo demografico, in ripresa dal 2008, comincia a influenzare le dinamiche del mercato del lavoro, e i tassi di partecipazione, i tassi di occupazione e di disoccupazione. Il calo demografico infatti ha avuto un impatto sul denominatore della frazione che individua questi tassi, e in particolare sul tasso di occupazione, come già certificato, tra gli altri, nel rapporto annuale della banca d’Italia del 2023 secondo cui “il numero di persone convenzionalmente definite in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) è diminuito di quasi 800.000 unità”. Questo contribuisce a far aumentare, solo in percentuale, il tasso di occupazione da circa il 59% a circa il 61%. Ma si tratta di un aumento fittizio, statistico e non reale.
(da ilfattoquotidiano.it)
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