Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
MILLE PERSONE AL CINEMA APOLLO E CENTINAIA RIMASTE FUORI PER LA SUA PRESENTAZIONE, C ‘E’ ANCHE IL MARO’ LA TORRE
«Sono un po’ frastornato, non mi aspettavo così tanta gente, visto che non sono un politico, non sono inserito in nessuna struttura di partito. Il giorno dopo c’è una responsabilità in più nei confronti di queste persone, che mi fanno capire che la gente non si è arresa al cinismo».
Davanti a mille persone sedute in platea al cinema Apollo (e altre sono rimaste fuori) Fabio Anselmo, avvocato che si è occupato dei casi Cucchi, Aldrovandi, Bergamini, ha sciolto la sua riserva: si candiderà per il centrosinistra alla poltrona di sindaco di Ferrara, sfidando l’attuale primo cittadino, il leghista Alan Fabbri, che ha guidato la città negli ultimi cinque anni.
“Non sono un politico, sono civico nell’anima. Le idee e i diritti sono trasversali. Sciolgo la riserva in mezzo alla gente, non sui social, per tentare di vincere una sfida che voglio vincere”.
Che sarebbe stato lui il candidato sindaco di gran parte del centrosinistra lo avevano capito tutti. E infatti l’avvocato Fabio Anselmo non sente il bisogno di comunicare subito ‘in chiaro’ la sua scelta. Lo farà solo a discorso inoltrato, quasi a mo’ di inciso. Sono le 18.14 quando lo sfidante del sindaco Alan Fabbri fa il suo ingresso nella sala grande del cinema Apollo. Ad accompagnarlo, le note degli U2: Where the streets have no name. La platea gremita freme. Maglione scuro, camicia a quadri e jeans. In mano lo zainetto che lo accompagna anche quando indossa la toga. Circa mille persone lo aspettano, sedute sulle poltroncine, a terra o in piedi nei corridoi. Tanti non riescono a entrare.
Tanti anche i ‘notabili’ di partito (l’assessore regionale Paolo Calvano, i segretari comunale e provinciale del Pd Alessandro Talmelli e Nicola Minarelli, il gruppo consiliare dem, Roberta Fusari di Azione Civica, qualche esponente della sinistra-sinistra, Paride Guidetti dei 5 Stelle, la senatrice Ilaria Cucchi, compagna del legale).
Poi volti del mondo sindacale, dell’associazionismo, della tifoseria spallina e della cooperazione. In piedi in corridoio l’ex sindaco Tiziano Tagliani e, a incontro ormai inoltrato, fa capolino il marò Massimiliano Latorre. Prima di guadagnare il palco il candidato stringe mani, dispensa sorrisi e saluti. Come calca la scena la platea ammutolisce. Anselmo sparge fogli su un tavolino. “Mi sembra di essere a un processo”. La voce tradisce emozione. Dal pubblico si alza un coro di incoraggiamento. Il competitor di Fabbri inizia il suo discorso. Quasi un’ora a metà tra arringa e comizio.
“Non è stato facile – esordisce –, ho trovato il consenso di tante forze diverse. Praticamente tutto lo schieramento dell’opposizione”. La sua condizione era unire. “Subito non è successo – ammette –, ma litigare tra noi non ha senso. Quello che mi ha indotto a non ritirarmi è stato il calore della gente”. Il passaggio successivo è alla sua storia, umana e professionale. Sullo sfondo scorrono slide. I casi Aldrovandi e Cucchi in primis. “Fino a 18 anni ero di destra… non capivo un c. – scherza –. Poi ho cambiato idea lavorando. Dall’alto non mi è mai arrivato nulla”.
Da lì ai temi dell’attualità il passo è breve. “Il sindaco è un ologramma – scandisce –. La sua attività è al 100% sui social che lo fanno essere presente anche dove non c’è. Non incontra le imprese, le categorie, i cittadini”.
Ferrara, secondo Anselmo, ha un “vero sindaco, che si chiama Nicola Lodi”. Dopo aver punzecchiato i massimi esponenti della giunta, passa ad analizzare rapidamente i temi della città. Dal Pnrr (“Fiume di soldi che sta andando sprecato”) ai servizi (“Sono in crisi”), passando per i grandi eventi (“Non sono contrario, ma non bastano da soli. E chi li paga? Spero non noi cittadini”), le frazioni (“Non si risollevano con un giro in Apecar e tappando due buche”) e la sicurezza in Gad (“Il problema è stato spostato, non risolto”).
Poi lo sguardo si allarga in una fotografia complessiva di Ferrara, vista dal suo prisma. “Inutile dire ‘prima i ferraresi’, i giovani non rimangono qui – sbotta –. La città si sta trasformando in una casa di riposo. Ferrara si deve aprire e deve respirare”.
L’applausometro impazzisce quando, quasi in coda, si tocca il tema Cpr. “Il sindaco lo ha salutato come un’opportunità – spiega –. Io l’ho definito un lager. Vi sono rinchiuse persone che hanno la sola colpa di aver cercato una vita migliore. E noi abbiamo bisogno di quelle persone”. La conclusione è affidata a un appello: “Smettiamo di credere alla propaganda di attività senza programmaticità che denunciano un livello culturale basso. Dobbiamo guarire la città a cui tutti vogliamo bene, mettendoci testa, cuore e stomaco”.
(da Il Resto del Carlino)
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Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
MOLTI LOCALI APPLICANO UNA “TARIFFA NOTTURNA”, CON PREZZI PIU’ CHE RADDOPPIATI: PER UNA PASTA AGLIO E OLIO SI ARRIVA A PAGARE 35 EURO E PER ANTIPASTO, PRIMO E DOLCE OLTRE 100 EURO A TESTA
A Sanremo, durante il festival, si sa, non si dorme ed ecco che alle 3 di notte la città è ancora in pieno fermento. La vita però qui costa cara soprattutto quando si applica la ‘tariffa notturna’ ed una pasta aglio olio e peperoncino si paga anche 35 euro. E’ il caso del ‘Gilda’, un ristorante al centro
Abbiamo scaricato il menù da internet e abbiamo fatto un rapido raffronto. Partiamo dall’antipasto. Per una pasto post sanremese (considerando solo antipasto, primo e dolce) si può arrivare a pagare oltre 100 euro, senza bere. E le porzioni? No comment.
Pronta e sicura la replica del titolare, Matteo Ferrua: “Sì, abbiamo un menù notturno a partire dall’una di notte. Ma i prezzi non sono folli, sono in linea con Milano. E’ una cosa che facciamo durante il festival da 4 anni perché per restare aperti tutta la notte i costi sono esagerati”.
Per tenere in piedi la baracca, spiega all’Adnkronos Ferrua, “dobbiamo avere il doppio personale in cucina e in sala. E poi c’è anche il piano bar con il pianista e cantante”.
“Il nostro è un locale molto esclusivo e offriamo una serata completa” aggiunge il titolare spiegando che viene fatto tutto nella totale trasparenza: “Prima di fare entrare i clienti diamo una copia del menù a tutti e sa va bene sono i benvenuti”.
Tutto chiaro ma resta il fatto che spendere 35 euro per una pasta aglio olio e peperoncino è davvero esagerato: “Lo so” riconosce il titolare ma aggiunge: “Dietro quel prezzo c’è tutto il concetto della serata che offriamo”.
(da Adnkronos)
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Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
IL FONDATORE DEL GRUPPO HA GODUTO DI UNA PUBBLICITA’ INFINITA SENZA DOVER SBORSARE UN EURO IN PIU’
Per capire meglio, ora che la nebbia inizia a dipanarsi, com’è andata la vicenda delle scarpe U-power, di John Travolta sul palco dell’Ariston e dell’imbarazzo della Rai bisogna fare un salto indietro nel tempo. Il patron Franco Uzzeni è stato storicamente vicino a Silvio Berlusconi e, soprattutto, a Publitalia, il braccio operativo della galassia Fininvest che si occupa, appunto, di pubblicità. Il rapporto va ripescato ai tempi in cui Barbara Berlusconi era amministratore delegato del Milan, nell’ultima ondata della famiglia del Cavaliere al timone del club rossonero. Allora U-power era tra gli sponsor della squadra. Poi, con l’avvento dei nuovi compratori, il rapporto sportivo si interruppe.
Ma non quello commerciale. Publitalia iniziò a puntare forte sull’azienda di Uzzeni, garantendo una potenza di fuoco attraverso un meccanismo “a rischio” per cui la concessionaria pubblicitaria ottiene un pagamento di un fisso e di una parte variabile legata ai risultati. Dunque, quando Berlusconi rileva il Monza, il rapporto si rinsalda e la U-power diventa “name sponsor” dello stadio Brianteo e il principale partner della squadra brianzola. Questo rapporto consente a Uzzeni di avviare una serie di collaborazioni con grandi nomi dello spettacolo.
Il primo è quello di Diletta Leotta: la showgirl viene assoldata a partire dal 1° settembre del 2020 e, come abbiamo visto nella giornata di ieri, è tuttora impegnata con l’azienda. L’evento a Ventimiglia con lo stesso John Travolta è la prova di un rapporto ancora solido. Dopo la Leotta è la volta di Gerard Butler, che entra nella “scuderia” di U-power nell’ottobre del 2022 e, per un periodo, fa “coppia” con Travolta. Ma, da inizio 2024 la partnership con l’attore protagonista di “300” non viene rinnovata.
Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, la U-power non ha pagato un solo euro alla Rai per un evento che – come dimostrato da Selvaggia Lucarelli – è stato inviato nelle newsletter aziendali dalla società di Uzzeni già da qualche giorno annunciando un passaggio “speciale” sulla Rai. In effetti, il sospetto che la cosa sia stata combinata è denunciata da almeno due dettagli: il primo è che sul palco dell’Ariston Amadeus si è tolto le scarpe per ballare con Travolta, mentre il divo di Hollywood non solo le ha tenute, ma ha potuto tenere in bella vista anche il logo. E in conferenza stampa la Rai ha cercato di dare la colpa a un assistente di produzione che, intimorito dall’attore, non avrebbe coperto i logo con il nastro adesivo.
Il secondo indizio è all’esterno dell’Ariston, quando Amadeus, con Fiorello e lo stesso Travolta, si mette a danzare sulle note de “Il ballo del qua qua”. Ebbene, il conduttore prima di iniziare dice all’attore “don’t worry be happy”, non a caso lo slogan della U-power. Insomma, un bel grattacapo che ha parecchi vincitori e un solo sconfitto. A trionfare è lo stesso Uzzeni, che si trova con una pubblicità gratuita oltre ogni aspettativa versando soltanto un corrispettivo a Travolta (si parla di un milione di euro) ma senza dover pagare la Rai. Vince Publitalia che, in questo modo, mantiene un piede dentro il Festival di Sanremo.
Perde invece la tv di Stato, che si ritrova ancora una volta nell’occhio del ciclone. Lo scorso anno, con Chiara Ferragni che sponsorizzò a mezzo social Christian Dior e Schiaparelli (che ottennero milioni di “mention”) senza che i brand del lusso pagassero un euro alla Rai. Sempre lo scorso anno l’influencer architettò un siparietto per aprire il profilo Instagram di Amadeus che costerà 180mila euro di multa dall’Antitrust. E un’altra istruttoria è stata aperta perché Amazon – che trasmette la serie “The Ferragnez” – ha avuto accesso ai backstage della Rai.
Quest’anno il Codacons ha già chiesto chiarimenti e parla apertamente di pubblicità occulta. L’imbarazzo con cui i dirigenti hanno gestito la vicenda in conferenza stampa fa capire che davvero qualcosa non sta quadrando come dovrebbe. E che lo scivolone con Travolta non è stato quello di far danzare un divo di Hollywood sulle note de “Il ballo del qua qua”. Ma di evitare che le sue calzature diventassero protagoniste della vicenda e di un Festival di Sanremo che sta incassando dati incoraggianti di pubblico ma che non riesce a spegnere le polemiche. D’altronde, facendo dei conti spiccioli, un product placement così studiato come quello delle calzature di Travolta potrebbe valere circa un milione di euro, se si considera che la raccolta pubblicitaria arriverà a circa 56 milioni, cioè circa 11 milioni a sera.
Nonostante U-Power sia estranea agli accordi tra la Rai e il suo testimonial John Travolta, il presidente Uzzeni parla di soldi “ben spesi” o semplicemente di un “colpo di fortuna” che, inaspettatamente, ha già portato risultati tangibili, alzando notevolmente l’asticella delle vendite: “Stanotte alle 3 mi ha chiamato un cliente per fare un ordine. Ringrazio Sanremo e anche tutti quelli che stanno parlando male di noi. Alla fine, mia mamma diceva sempre ‘basta che se ne parli’”, ha scherzato Uzzeni con LaPresse.
U-Power: il profilo dell’azienda
L’azienda al centro della diatriba ha sede centrale a Paruzzaro, nel cuore del Novarese. Con una radice solida nel territorio locale ma una visione internazionale, U-Power ha visto lo scorso anno la sottoscrizione di un accordo vincolante da parte di NB Renaissance per l’acquisizione del 100% della società. Attiva a livello paneuropeo nel settore delle calzature e dell’abbigliamento da lavoro, l’azienda rimane comunque sotto la guida del fondatore Uzzeni, che continuerà a fungere da amministratore delegato e presidente.
In questa operazione, Uzzeni e un gruppo di investitori, tra cui NB Renaissance, la piattaforma NB Private Equity e Style Capital, hanno deciso di reinvestire una quota significativa (pari al 30%) nell’azienda, mentre il restante 70% è stato acquisito da NB Renaissance. Parallelamente, Style Capital, con il suo nuovo fondo Style Capital 2, ha partecipato al coinvestimento con NB Renaissance. U-Power con un fatturato di 270 milioni di euro nel 2022 e un enterprise value stimato intorno agli 800 milioni, si conferma tra le principali realtà produttrici di calzature antinfortunistiche concentrandosi principalmente su mercati chiave come Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, con un’ambiziosa prospettiva di penetrazione del mercato nordamericano. Inoltre, il gruppo dispone di stabilimenti produttivi non solo in Italia ma anche in Francia e in Tunisia.
(da affaritaliani.it)
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Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
L’ULTIMO SCIVOLONE E’ STATO SUI NUMERI DEI BENEFICIARI DELL’ASSEGNO DI INCLUSIONE: L’INPS HA DOVUTO CORREGGERLA
Il passo di Marina Elvira Calderone è quello felpato di chi si prende fette di potere, a colpi di nomine, senza temere di forzare la mano. È accaduto con l’azzeramento di un consiglio di amministrazione, quello della società Anpal servizi, insediatosi da pochi mesi, e con la partecipazione agli eventi pubblici al fianco del marito, suo erede alla guida del Consiglio dei consulenti del lavoro.
Ma anche quando ha portato a compimento la soppressione di Anpal (società diversa da Anpal servizi), sottraendo le funzioni al commissario, Raffaele Tangorra, dirigente stimato ma reo di essere troppo vicino al Pd, area Andrea Orlando, nonché di aver gestito operativamente la macchina del grillino reddito di cittadinanza.
Eppure, davanti ai dossier scottanti, come la riforma delle pensioni, il piglio decisionista della ministra del Lavoro evapora e lascia spazio a una certa arrendevolezza. Preferendo fare largo ai pesi massimi del governo.
SVARIONE SULL’ASSEGNO
Calderone si muove lungo un doppio binario: badare al proprio orto, salvaguardando gli spazi di influenza, e farsi da parte quando lo chiedono dai piani alti del governo, quindi da palazzo Chigi e dintorni. «Questa strategia è la sua assicurazione sulla vita», spiegano fonti governative. Tanto che le è stato perdonato qualche scivolone o la gestione un po’ arruffata di passaggi delicati, che la farebbero terminare di diritto nell’elenco dei “rimpastabili”, i ministri che potrebbero essere sostituiti in caso di avvicendamenti nella squadra dopo le europee.
L’ultimo caso è quello dell’assegno di inclusione (Adi), che ha preso il posto (in versione depotenziata) del reddito di cittadinanza (Rdc). Calderone ha parlato di una platea di 450mila beneficiari dopo un mese, l’Inps ha dovuto rettificare, con i numeri reali: al 26 gennaio erano 287mila le famiglie titolate a ricevere il sussidio; 450mila erano le domande complessive (incluse quelle respinte).
Del resto, Calderone ha devoluto i propri poteri sul dossier post Rdc, molto prima delle gaffe sui numeri. La partita si è giocata su un altro tavolo, direttamente a palazzo Chigi con Meloni in prima persona. Il dossier è stato sottratto alla ministra dopo un’iniziale gestione alquanto confusionaria: nella primavera del 2023 aveva fatto circolare l’ipotesi dell’introduzione del “Mia”, acronimo di misura di inclusione attiva, su cui tanto si è discusso. Senza una finalizzazione. Tant’è che Meloni ha voluto girare, il 1° maggio, il celeberrimo video in cui annunciava il decreto Lavoro in esame nel Consiglio dei ministri.
Apponendo la firma politica sul provvedimento e relegando la ministra in un ruolo ancillare. Calderone ha incassato con stile il colpo evitando polemiche. Così come quando si parla di riforma delle pensioni, la ministra titolata a occuparsene viene derubricata ad attrice non protagonista.
Il tema è cruciale per la Lega: Matteo Salvini si è giocata mezza carriera politica sulla cancellazione della legge Fornero. Per questo vuole affidare il dossier nelle mani del “suo” sottosegretario, il leghista Claudio Durigon, di recente nominato pure commissario della Lega in Sicilia. La ministra? Lascia correre.
ALBUM DI FAMIGLIA
E quando si pensa al potere della ministra, la foto di famiglia è il caso di dire, è quella del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, feudo di Calderone per 17 anni, dal 2005 al 2022. L’incarico è passato nelle mani del marito, Rosario De Luca. Al momento della nomina nel governo Meloni, Calderone ha indicato l’erede con modalità quasi dinastiche.
Al suo posto si è infatti candidato De Luca, che vanta d’altra parte un cursus honorum di tutto rispetto, avendo ricoperto il ruolo di presidente della fondazione studi consulenti del lavoro. Facendo asse con la consorte. E, ça va sans dire, è stato eletto con una maggioranza straripante a capo del Consiglio, sfidando qualsiasi accusa di conflitto di interessi. Lui a capo di una struttura che rappresenta 26mila consulenti, lei al timone del ministero.
Poco male: se per palazzo Chigi il familismo di destra non è grave quanto l’amichettismo di sinistra, perché porsi la questione tra le mura domestiche? Così il binomio Calderone-De Luca è diventato un brand, molto potente in Italia sulle politiche per il lavoro. E alla festa dei 125 anni dell’Inps, la coppia ha ostentato, presiedendo allo stesso evento, la propria forza. Almeno dal punto di vista simbolico. Perché sui dossier pratici, dalle pensioni al salario minimo, fino alla misura post reddito di cittadinanza, è stata una sorta di spettatrice, per quanto interessata.
Non solo sui macro problemi, si fa concava e convessa. Ci sono delle questioni meno note, ma altrettanto importanti, come l’ampliamento della platea per rimborsi ai lavoratori vittime di patologie per l’esposizione all’amianto. La ministra aveva garantito, rispondendo alla Camera, di intervenire sulla norma. Sono passati altri 4 mesi e non si è visto nulla. Così il deputato del Pd, Luca Pastorino, ha presentato una nuova interrogazione per avere dei chiarimenti.
IL CERCHIO NEL CALDERONE
Tra un dato impreciso e uno scavalcamento delle sue funzioni, Calderone ha messo mano su enti e società in house con una gestione chirurgica. Il caso dell’Anpal servizi resta paradigmatico: Massimo Temussi, già voluto dalla ministra come consulente, è stato promosso al ruolo di presidente e amministratore delegato della società che si occupa di politiche attive del lavoro.
Un’operazione che ha decapitato il precedente cda, nominato dal governo Draghi con Cristina Tajani (ora parlamentare Pd) alla guida. Lo slancio si è esaurito nel giro di pochi mesi: a gennaio scorso Temussi si è dimesso con una comunicazione via LinkedIn. Tornando direttamente al ministero alla direzione generale delle politiche attive e lasciando vacante la casella. E con un blocco sostanziale di Anpal servizi, sostanzialmente abbandonata al proprio destino.
Ma nell’inner circle di Calderone ci sono altri nomi in auge. Spicca Antonio Pone, che infatti è stato fortemente voluto a capo della direzione centrale Entrate dell’Inps dopo la sua esperienza da direttore in Veneto. Il feeling con la ministra è totale, tanto che accarezza il sogno di scalare le gerarchie nell’istituto di previdenza, di puntare alla poltrona di direttore generale dell’Inps.
Calderone ha cementato pure una buona relazione con Vincenzo Caridi, che vorrebbe confermare nella casella di dg. Solo che sul braccio di ferro delle nomine – come già raccontato da Domani – la ministra parte dietro ad altri nomi di peso di Fratelli d’Italia, dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari alla sorella della premier, Arianna Meloni.
La vera macchina da guerra della ministra è stata, però, Concetta Ferrari, segretaria generale al dicastero, andata di recente in pensione. «Era la vera ministra, perché gestiva i dossier tecnici, che la ministra delegava in abbondanza», raccontano, off the record, da via Veneto.
Diverso il discorso per Mauro Nori, capo di gabinetto della ministra con una solida esperienza all’Inps e al Cnel, che tuttavia sta scivolando indietro nel gradimento di Calderone. Ci sono state delle divergenze durante la scrittura della riforma per la nuova governance dell’Istituto di previdenza. Da allora il rapporto non è mai stato lo stesso di sempre.
DAL PARLAMENTO AL MINISTERO
Fuori dall’apparato dirigenziale, la ministra vanta un buon rapporto con Walter Rizzetto, presidente della commissione Lavoro alla Camera, che è stato il braccio operativo per affossare la proposta delle opposizioni sul salario minimo.
Una battaglia che vedeva Meloni in primo piano, ma con Calderone chiamata a impegnarsi sul punto. Così la cinghia di trasmissione con Rizzetto ha funzionato. Almeno per gli obiettivi fissati dal governo. «Per il resto è un corpo un po’ estraneo alle dinamiche parlamentari», dice una fonte di maggioranza alla Camera. Anche quando si presenta in aula per i question time appare un po’ spaesata.
Negli equilibri al ministero, invece, si muove a suo agio: Calderone mette in campo il suo savoir-faire. Con Durigon non cerca scontri e alla viceministra Maria Teresa Bellucci, di Fratelli d’Italia, lascia margini d’azione, in particolare sulla delega per il terzo settore e le politiche per gli anziani, che stanno molto a cuore alla sua vice. Così da tenersi al riparo da veleni e agguati negli uffici di via Veneto.
(da editorialedomani.it)
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Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
LE MANOVRE DI LOLLOBRIGIDA PER FAVORIRLA, PENALIZZANDO LE SIGLE MINORI
Voci alternative (e scomode) quasi sempre non invitate ai tavoli ministeriali dove si decide il futuro dell’agricoltura e a cui partecipano, invece, Coldiretti, Confagricoltura e Cia. Ora le organizzazioni minori, come Confederazione italiana Liberi Agricoltori, Assorurale e Altragricoltura bio, rischiano di essere escluse definitivamente dalla gestione dei fascicoli per l’accesso ai contributi europei in agricoltura e sviluppo rurale. Uno schema di decreto del ministro Lollobrigida, infatti, pone così tanti ostacoli alle organizzazioni minori, da costringere gli agricoltori a rivolgersi a quelle più grandi, principalmente Coldiretti o Confagricoltura, per attivare pratiche e ottenere finanziamenti a cui hanno diritto. Secondo le organizzazioni, è l’ennesima manovra che mostra l’influenza di Coldiretti sul Governo di Giorgia Meloni, che guarda caso ha scelto il villaggio Coldiretti per la sua prima uscita ufficiale da premier. Un’influenza, quella dell’associazione sui governi, esercitata dai tempi della Democrazia Cristiana e in maniera sempre più forte sui ministeri dell’Agricoltura, fino a diventare una sorta di eredità per chiunque abbia ricoperto il ruolo che oggi è di Francesco Lollobrigida. Sono partite da Coldiretti l’idea del nuovo ministero della ‘Sovranità alimentare’ e le battaglie per i contratti di filiera (per cui sono stati raddoppiati i bandi ministeriali) e contro la carne coltivata. Un legame rafforzato da porte girevoli e alleanze che i vertici delle giubbe gialle hanno intrecciato con i colossi di industria alimentare, grande distribuzione, energia e mondo bancario, sotto l’ombrello di Filiera Italia, presieduta dall’ex ministro Paolo De Castro. Un sistema che viene contestato da chi non si sente tutelato, con la crisi di rappresentanza che può costare cara alla Confederazione dei coltivatori diretti, più potente che mai nell’era di Vincenzo Gesmundo, segretario generale dal 1998.
Fuori dai tavoli ministeriali
“Dal 2007 siamo sempre stati presenti ai tavoli ministeriali, fino a quando il Governo Meloni ci ha tirato fuori da quelli di diversi comparti” racconta a Il Fatto Quotidiano Furio Camillo Venarucci, fondatore e vicepresidente di Confederazione italiana Liberi agricoltori, che oggi conta 55mila iscritti. “Non intrecciamo interessi con l’industria agroalimentare e ai tavoli abbiamo sempre mandato gli agricoltori – rivendica – perché conoscono i problemi del settore, ma abbiamo disturbato. Così, oggi sono pochi i tavoli a cui partecipiamo, come quelli su canapa e mais”. Eppure si parla di una organizzazione riconosciuta, nel 2022 (ministro era Stefano Patuanelli), come tra le cinque più rappresentative, insieme alle quattro nel Cnel, ossia Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri. “Tra queste, siamo l’unica gestita totalmente da agricoltori e garantiamo il cibo sano ai consumatori, cosa che non fa l’importazione di alimenti che arrivano da mezzo mondo, dove utilizzano prodotti da noi vietati” aggiunge Venarucci. A protestare, in questi giorni, anche il gruppo degli Agricoltori Indipendenti Italiani. Non riconosce “alcuna associazione, sindacato o altro organo a rappresentarli” e ha diffidato Coldiretti “a parlare in loro nome” a Bruxelles, descrivendo un comparto agricolo “amareggiato dagli avvicendamenti degli ultimi anni”.
Chi gestisce le richieste dei contributi Ue
Nell’inchiesta Vanghe Pulite lo racconta Dario Dongo, avvocato esperto in diritto alimentare internazionale e fondatore di Great Italian Food Trade, parlando anche della gestione dei contributi Ue. In Italia è l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (ente statale più volte richiamato dalla Corte dei Conti) a gestire registrazioni delle imprese, domande e liquidazioni, attraverso il Sistema informativo agricolo nazionale. Nel 2001 sono nati i Centri di Assistenza Agricola autorizzati, soggetti privati poi riformati nel 2008 “a cui è affidata – spiega Dongo – gran parte delle pratiche del settore agroalimentare presentate attraverso il Sian e gestite da Agea per la fase istruttoria e di liquidazione”. Prima sono state imposte, per entrare nel sistema, una serie di condizioni ai liberi professionisti, che dovrebbero costituire CAA o convenzionarsi con essi per offrire i servizi per i quali sono già abilitati da norme e ordini professionali. Anomalia alla quale solo di recente si sta cercando di trovare una soluzione. L’ultima ‘manovra’ è uno schema di decreto del ministro Lollobrigida di cui è stata diffusa una bozza ad agosto. I requisiti previsti per i CAA che possono gestire quote dei contributi Ue escluderebbero quelli delle organizzazioni minori, creando una sorta di monopolio (o quasi) sui Centri di Assistenza agricola. “L’ambito territoriale operativo di questi centri dovrebbe coincidere almeno con il territorio di una regione o provincia autonoma – spiega Mario Apicella di Altragricoltura bio – mentre il CAA dovrebbe avere strutture in tutte le province di quella regione e operatori con rapporto di lavoro subordinato e clausola di esclusiva. In questo modo si fanno fuori le piccole associazioni di categoria”. In Italia a occuparsi di questi fascicoli ci sono sempre stati anche i settori agricoli dei sindacati Cgil, Cisl e Uil. “Stando a questo schema – continua – possono continuare a occuparsi di piccole pratiche, ma non tenere i fascicoli delle aziende, quasi tutti in mano a Coldiretti”. Una partita che vale miliardi di euro l’anno.
Il legame tra Governo e Coldiretti
Tutto il testo lo fa un rapporto simbiotico tra ministero dell’Agricoltura e Coldiretti, che ha permesso a quest’ultima di rafforzare il suo potere. Certamente nella lunga era di Vincenzo Gesmundo, affiancato in questo momento storico dal presidente Ettore Prandini. Proprio Gesmundo, consapevole del disastro che può rappresentare la protesta dei trattori in termini di consenso, ha già richiamato i suoi a una reazione immediata in nome di quello che definisce ‘Orgoglio Coldiretti’. La posta in gioco è alta: intanto c’è proprio il rapporto simbiotico con il governo. Poche settimane dopo la diffusione dello schema di decreto, il 13 settembre 2003, il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida ha nominato come capo di gabinetto Raffaele Borriello, prima ex direttore generale di Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, e poi, dopo essere stato vicecapo di gabinetto del ministro Maurizio Martina e capo gabinetto dell’ex-ministra Teresa Bellanova, a capo dell’area legislativa e relazioni istituzionali di Coldiretti. Ora, però, è al ministero che ha appena pubblicato il bando che stanzia altri due miliardi di euro per i contratti di filiera. Sul quinto bando sono piombate polemiche (e pure ricorsi). Tra i 38 progetti approvati, sette sono stati presentati da Raffaele Grandolini, responsabile della Finanza di Coldiretti e quattro da Davide Granieri, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente di Coldiretti Lazio. Ma quello di Borriello non è certo l’unico caso. Prima di essere capo dell’Area Economico-Sindacale di Coldiretti, Ezio Castiglione è stato capo gabinetto degli ex ministri per l’Agricoltura Gianni Alemanno e Paolo De Castro, secondo lo stesso Gesmundo “il parlamentare europeo che in questi anni è stato più vicino alle istanze Coldiretti”. Anche il responsabile dell’Agricoltura di Fratelli d’Italia, Aldo Mattia, è stato per quasi mezzo secolo nella Coldiretti, ricoprendo anche ruoli al vertice.
Da Bonifiche Ferraresi a Filiera Italia
Ma il potere si alimenta con alleanze e operazioni. Come la nascita di Filiera Italia (oggi presieduta da De Castro con vice Ettore Prandini) nella quale Coldiretti è socia di industriali (come McDonald’s, ma anche Inalca e Montana di Cremonini, leader nella trasformazione della carne), grande distribuzione organizzata e pure Eni. E poi c’è l’alleanza con Bonifiche Ferraresi, prima azienda agricola italiana per superficie, con cui si è data vita a IBF Servizi, che affianca le aziende del settore nello sviluppo dell’agricoltura di precisione. Bonifiche Ferraresi è l’anima agricola della holding BF, quotata in Borsa, che ha inglobato i segmenti chiave del comparto, dalle sementi ai consorzi agrari. Amministratore delegato di BF è Federico Vecchioni (ex presidente di Confagricoltura) che l’ha comprata, mentre Coldiretti creava Consorzi agrari d’Italia. In Cai, invece, amministratore delegato è Gianluca Lelli (capo dell’Area Economica di Coldiretti e delfino di Gesmundo, oltre che presidente di Enerfin retail e componente del comitato esecutivo di Eurocap petroli spa), mentre Federico Vecchioni è consigliere delegato. Bonifiche Ferraresi controlla anche la Società Italiana Sementi SpA (ad è Vecchioni, mentre Lelli è consigliere) che l’Antitrust ha sanzionato nel 2019 (la conferma del Tar è arrivata a novembre 2023) per pratiche commerciali sleali nei confronti dei coltivatori di grano Senatore Cappelli. Ma questa è un’altra storia.
(da il Fatto Quotidiano)
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Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
INTRAPPOLATA IN UN’AUTO CON LA FAMIGLIA SOTTO IL FUOCO DEI CARRI ARMATI AVEVA DETTO: “CI STANNO SPARANDO”
Hind Rajab è morta. Il corpo senza vita della bambina palestinese di 6 anni scomparsa da quasi due settimane nel mezzo degli scontri a Gaza, e’ stato trovato insieme a quelli degli altri membri della sua famiglia. Lo ha annunciato Hamas ponendo fine alla speranza di trovare ancora in vita la piccola la cui voce registrata in una drammatica telefonata alla Mezzaluna Rossa era diventata il simbolo del dramma vissuto da decine di migliaia di bambini intrappolati nello scontro tra Israele e le milizie islamiste. Nelle vicinanze sono stati trovati morti anche due soccorritori della Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS) che erano stati inviati per salvare Hind e i suoi parenti. La PRCS ha accusato gli israeliani di averli uccisi “deliberatamente”.
La storia
La bambina era diventata un simbolo per una telefonata. «Il carro armato è accanto a me. Si sta muovendo…verrai a prendermi? Ho tanta paura». L’appello disperato con la vocina resa ancora più flebile dalla paura era di Hind Rajab, rimasta intrappolata in un’auto a Gaza City sotto una pioggia di fuoco e circondata dai corpi dei parenti morti al telefono con Ran Fagih, operatrice del call center di emergenza della mezzaluna Rossa palestinese. A raccontare una delle tante storie tragiche della guerra nella Striscia martoriata dai bombardamenti israeliani era stata la Bbc che era riuscita a parlare con la mamma della piccola, Wissam, e a ricostruire il calvario di un’odissea finita male.
Era lunedì 29 gennaio quando dall’esercito di Israele era arrivato l’ordine di evacuare le zone a ovest di Gaza City e di spostarsi verso sud. «Eravamo terrorizzati e volevamo scappare” ricorda Wissam, che si è incamminata con il figlio maggiore, a piedi, verso l’ospedale Ahli, a est della città. Alla piccola Hind è stato trovato un posto nell’auto di suo zio, con altri parenti perché «faceva molto freddo e pioveva». Dopo un breve tratto di strada, la macchina si è trovata sotto il fuoco dei tank israeliani. E’ stato a quel punto che la famiglia chiusa nell’auto ha chiamato in aiuto i parenti. Uno di loro ha contattato il quartier generale di emergenza della Mezzaluna Rossa palestinese, a 80 km di distanza, in Cisgiordania. Da Ramallah il call center ha chiamato il cellulare dello zio di Hind, ma ha risposto sua figlia Layan, 15 anni, che ha raccontato come i genitori e i fratelli fossero stati uccisi. «Ci stanno sparando», dice la ragazzina nella telefonata, che è stata registrata. Poi le urla e il silenzio. Quando l’operatrice della Mezzaluna Rossa richiama, è Hind a rispondere, con una voce quasi impercettibile, soffocata dalla paura. «Nasconditi sotto i sedili», le dice Rana, «non farti vedere da nessuno». Diventa presto chiaro che lei è l’unica sopravvissuta e che è ancora sulla linea di fuoco. Rana rimane in linea con la piccola per un tempo che sembra infinito mentre si mette in moto la trattativa con l’esercito israeliano per consentire a un’ambulanza di raggiungere il luogo. «Tremava, era triste e chiedeva aiuto», ricorda l’operatrice. «Ci ha detto che i suoi parenti erano morti. Ma poi ha detto che dormivano. Quindi le abbiamo detto di lasciarli dormire perché non li volevamo disturbare» mentre lei continuava implorare che qualcuno venisse a prenderla. Nessuno è riuscito ad arrivare dalla piccola, ma una squadra della Mezzaluna Rossa ha invece raggiunto la mamma arrivata in ospedale e l’ha collegata. Piangeva, racconta ancora Rana. «Mi ha supplicato di non riattaccare», dice Wissam alla Bbc. «Le ho chiesto dove fosse ferita, poi l’ho distratta leggendo il Corano con lei e abbiamo pregato insieme». A quel punto Wissam ha sentito la portiera dell’auto che veniva aperta e Hind che diceva di vedere un’ambulanza. Poi la linea si è interrotta.
(da La Repubblica)
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Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
SI IPOTIZZANO 20.000 PARTECIPANTI, MA LE VARIE SIGLE SONO DIVISE
Gli agricoltori casertani hanno lasciato il presidio realizzato a Santa Maria Capua Vetere all’esterno del casello autostradale dell’A1 e con i trattori hanno iniziato una lenta marcia per raggiungere la località Borgo Centore nel comune di Cancello e Arnone, a non molta distanza dal fiume Garigliano e dal confine con il Lazio; qui si riuniranno per mettere a punto l’organizzazione del percorso di avvicinamento a Roma, dove il 15 febbraio terranno una manifestazione.
Si tratta degli agricoltori che hanno aderito alla mobilitazione indetta dall’associazione Altragricoltura e da altre realtà associative, come il Movimento “Salviamo le Bufale” che già da due anni denunciano i fallimenti della politica nella lotta all’eradicazione della brucellosi, malattia che colpisce i capi bufalini ed è diffusa soprattutto nel Casertano. Gli agricoltori sfileranno a Roma con rappresentanti e aderenti ad associazioni di altri mestieri – ci saranno balneari, pescatori, ristoratori – come Popolo Produttivo. Durante la marcia è stata espressa solidarietà agli agricoltori da tanti passanti.
«La nostra manifestazione sarà giovedì prossimo, il 15 febbraio, al Circo Massimo. Saranno presenti 15-20 trattori e almeno 20mila persone»: ad annunciarlo è il leader del CRA Agricoltori Traditi, Danilo Calvani, raggiunto al telefono dall’AGI.
«Abbiamo concordato con la questura le modalità di una prima manifestazione, ma ce ne saranno altre a oltranza. Lanciamo un invito a tutte le categorie: agricoltori, artigiani, commercianti, cittadini, consumatori tutti. Questa e’ la manifestazione di tutti», dice Calvani. «Cari italiani, ora tocca a noi. Sono giorni che siamo sulle strade. Stiamo combattendo, siamo una prova di forza civile senza violenza».
Giuliano Castellino, ex leader romano di Forza Nuova, oggi a capo di «Italia Libera» e già condannato in primo grado per l’assalto alla sede della Cgil, annuncia la partecipazione alla manifestazione di giovedì 15 febbraio al fianco degli agricoltori. «Popolo e agricoltori uniti come non mai. Trattori e Tricolori contro Bruxelles e questo governo di venduti – scrive Castellino annunciando il corteo -. Contro tutti i partiti e tutti i sindacati. Per il lavoro, la libertà e il futuro! Giovedì ore 15 tutti al Circo Massimo!».
Ma intanto «L’incontro al ministero di ieri è andato male, siamo usciti solo con delle promesse. Il presidio di via Nomentana quindi resta, anzi lo rafforzeremo. Sono in arrivo altri mezzi. Arriveremo a mille trattori», ha commentato Andrea Papa, uno dei portavoce di Riscatto agricolo. «Lollobrigida ieri è venuto qui senza essere invitato – prosegue – al suo arrivo è stato anche fischiato».
Quindi il fronte non è compatto. Tra gli agricoltori che appoggiano la protesta del movimento c’è chi la vede diversamente. «Secondo me è stato un confronto costruttivo – spiega Roberto Rosati – il ministro ha promesso che la porta per noi resta sempre aperta».
(da agenzie)
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Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
SECONDO GLI EURODEPUTATI LA RUSSIA AVREBBE FORNITO FINANZIAMENTI SIGNIFICATIVI, ANCHE TRAMITE PRESTITI BANCARI, A PARTITI, POLITICI, FUNZIONARI E MOVIMENTI IN DIVERSI PAESI DELL’UE PER INTERFERIRE NEI LORO PROCESSI DEMOCRATICI… IN SPAGNA PUIGDEMONT RISCHIA UN PROCESSO PER TERRORISMO
Il Parlamento europeo giovedì ha approvato a stragrande maggioranza una risoluzione non vincolante che esprime la sua «totale indignazione e profonda preoccupazione» per i continui sforzi della Russia di minare la democrazia attraverso varie forme di interferenza e disinformazione ed esorta «le autorità giudiziarie competenti» ad indagare «effettivamente» sulle ingerenze russe con l’obbiettivo di destabilizzare alcune regioni dell’Unione europea.
In particolare, gli eurodeputati – compresi quelli del Partito socialista spagnolo – chiedono di indagare sui presunti legami del Cremlino con il movimento indipendentista catalano che guidò il processo separatista sfociato nel referendum unilaterale e illegale del 2017 e nella conseguente repressione da parte del governo centrale di Madrid.
La risoluzione prevede nello specifico una relazione sulla condotta dell’eurodeputato ed ex governatore della Catalogna Carles Puigdemont e dei suoi colleghi per verificare se hanno violato qualche clausola del Codice di condotta del Parlamento europeo. La commissione incaricata di effettuare questa valutazione è composta da otto membri di diversi partiti, tra cui l’italiano Giuliano Pisapia. Secondo il quotidiano El Mundo, «i due membri belgi sono sostenitori di Puigdemont e della sua causa».
Puigdemont, leader in esilio del partito Junts per Catalunya, ha dichiarato in un’intervista di sentirsi perseguitato da «accuse deliranti» da parte dello Stato spagnolo e in un post su X ha lanciato una frecciata avvelenata al leader del Partito popolare Feijóo e ai suoi alleati nel Parlamento europeo. «Se avessimo permesso l’investitura di Alberto Nunez Feijóo a presidente del governo, invece di Pedro Sánchez tutto questo non sarebbe successo».
Secondo gli eurodeputati la Russia avrebbe fornito finanziamenti significativi, anche tramite prestiti bancari, a partiti, politici, funzionari e movimenti in diversi Paesi per interferire e ottenere influenza nei loro processi democratici.
«L’ingerenza russa in Catalogna formerebbe parte di una più ampia strategia russa volta a promuovere la destabilizzazione interna e la disunità nell’Ue», afferma il testo della risoluzione, che esprime preoccupazione «per le campagne di disinformazione su larga scala che la Russia ha condotto in Catalogna, così come per i presunti intensi contatti e i numerosi incontri tra gli agenti responsabili dell’ingerenza russa con rappresentanti dell’indipendenza movimento e il governo regionale della Comunità Autonoma della Catalogna».
Ovviamente, il principale sospettato è proprio Puigdemont, l’ex governatore catalano che dopo la dichiarazione unilaterale e illegale di indipendenza della Catalogna nell’ottobre 2017, scelse la fuga in Belgio per evitare l’arresto. Nei giorni scorsi, la Corte Suprema spagnola ha deciso di indagare il leader di Junts nel processo «Tsunami Democratic», sulle mobilitazioni e gli scontri avvenuti in Catalogna dopo il referendum illegale del 2017.
(da agenzie)
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Febbraio 10th, 2024 Riccardo Fucile
IL PADRE: “IMMAGINI CHE SI COMMENTANO DA SOLE E CONFERMANO I NOSTRI TIMORI”… I GIORNALI VICINI A ORBAN DEFINISCONO UNA ITALIANA “SPAZZATURA” E IL GOVERNO ITALIANO NON E’ CAPACE DI RENDERE IMPOSSIBILE IN UE LA VITA A UN INFAME
«Le immagini di Budapest si commentano da sole e confermano i timori della famiglia a seguire i consigli che ci pervengono dalle autorità italiane». Queste le parole di Roberto Salis, padre di Ilaria, a proposito delle immagini che ritraggono una donna impiccata apparse a Budapest in concomitanza con le celebrazioni neofasciste del Giorno dell’Onore. Salis si riferisce all’eventualità degli arresti domiciliari in Ungheria per la 39enne, da un anno in carcere con l’accusa di avere aggredito due estremisti di destra.
Il murales con Ilaria impiccata compare in alcune zone di Budapest ed è stato affisso la notte del 30 gennaio anche davanti all’ambasciata ungherese a Roma.
Oggi nella capitale ungherese è La Giornata dell’onore, con raduno dei neonazisti da mezza Europa per ricordare le truppe hitleriane contro l’Armata Rossa. Il partito di estrema destra Mi Hazank (Patria nostra), terzo maggiore partito ungherese nei sondaggi, ha presentato una mozione in Parlamento per rendere “organizzazione terroristica” tutte le formazioni antifasciste nel paese. Per «impedire loro, e ai compagni stranieri che vengono qui di tanto in tanto, di perpetrare di nuovo atti terroristici come avvenne l’anno scorso», si legge nella loro nota riferendosi chiaramente al caso di Ilaria Salis.
Colpiscono le righe dell’editoriale dell’ex direttore della testata Magyar Nemzet, uno dei giornali più venduti in Ungheria. Il titolo riporta il Corriere della Sera, bolla Ilaria come «Fiera antifascista». «Fino a cento anni fa, una persona come lei sarebbe stata lapidata nei quattro quinti del mondo. Noi invece le faremo un regolare processo. Qui, qualsiasi spazzatura ha diritto a difendere se stessa davanti alla legge», scrive Laszlo Szentesi. Salis «stupida come una zucca». E ancora: «Da qualche parte, in una bettola italiana, si è riunita con altre persone come lei piene di odio, malate, dalla vita personale miserabile e degradata per recarsi in Ungheria dove ha picchiato alcune persone fino quasi ad ammazzarle».
E con questa fogna dovremmo ancora discutere?
(da agenzie)
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