Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
LIBERTA’ DI STAMPA, ORDINAMENTO DELLA GIUSTIZIA, DIRITTI CIVILI: NON ACCETTIAMO LEZIONI DAL GOVERNO UNGHERESE
Il governo ungherese ha introdotto modifiche alla Costituzione e alle leggi che confliggono con i valori propri dell’Unione. L’Ungheria è il più grande percettore di fondi UE pro capite. In pratica fa pagare al nemico i conti della sua demagogica campagna politica
LIBERTA’ DI STAMPA
Tutti i mezzi di comunicazione sono stati posti sotto la vigilanza di un’unica autorità, il Consiglio per i Media, diretto da uomini designati da Orban. Di fatto, essi controllano l’unica agenzia di stampa esistente e l’assegnazione delle frequenze televisive e radiofoniche, e hanno ampi poteri per imporre sanzioni e distribuire sovvenzioni. E inoltre, in violazione della Costituzione, i cinque membri del Consiglio sono nominati da Fidesz. Lentamente, uno ad uno, i media indipendenti sono stati eliminati.
Il governo ha utilizzato i suoi consistenti budget pubblicitari per finanziare i mezzi di comunicazione più docili e malleabili, e affamare invece quelli che lo tenevano sotto osservazione. La maggior parte degli inserzionisti privati – sperando in commesse governative o temendo di perderle – ha smesso di comprare spazi pubblicitari sui media che avevano un atteggiamento critico nei confronti del governo.
In questa situazione, numerose autorevoli testate di lunga tradizione sono fallite, per poi essere acquisite da investitori vicini al governo.
Come risultato si è realizzata un’incredibile concentrazione dei media. Quasi 500 mezzi di comunicazione, tra cui radio e televisioni, sono confluiti nella fondazione KESMA, appositamente costituita. Definendola “primario obiettivo economico nazionale” si sono aggirate le limitazioni previste dal governo stesso nella legge sulla Concorrenza. Questa fondazione – e i suoi investitori – ricevono miliardi di denaro pubblico.
SISTEMA GIUDIZIARIO
L’Ungheria ha un sistema giudiziario e detentivo non adeguato agli standard europei. Viktor Orbán negli anni ha trasformato l’Ungheria in un paese autoritario e per certi versi più vicino alla Russia di Vladimir Putin che all’Unione Europea, di cui pure fa parte.
Ormai da diversi anni Orbán e il suo partito, Fidesz, mantengono un saldo controllo dei tribunali e della magistratura. Dal 2012 le promozioni dei giudici vengono decise da un organo controllato di fatto da Orbán.
Soltanto qualche settimana fa il governo ha creato una nuova agenzia per la protezione della sovranità nazionale che permetterà di avviare processi sommari a giornalisti, attivisti e oppositori politici.
Il reclutamento dei nuovi magistrati è ormai nelle mani di un organismo che risponde al governo. La composizione della Corte costituzionale è modificata per legarla alla maggioranza di governo.
MANIFESTAZIONI NEONAZISTE PERMESSE, SPESSO IN PASSATO DEGENERATE IN AGGRESSIONI A SEDI DI ASSOCIAZIONI A DIFESA DEI DIRITTI CIVILI
Invitiamo l’ambasciata ungherese a rivelare il numero di aggressioni operate da estremisti neonazisti nel suo Paese, a spiegare all’Europa perchè il suo Paese permette ogni anno sfilate neonaziste con tanto di divise militari e ostentazione di svastiche e cimeli vari. Qualcuno è stato forse denunciato o arrestato?
Che provvedimenti ha preso il suo governo nei confronti dei partiti neonazisti “Legio Hungaria” “Blood and Honour Hungaria” ?
E’ normale che un governo europeo finanzi con 150.000 euro un concerto neonazista?
Che ha da dire sul gruppo neonazista ungherese Maggyar Arcvonal, movimento paramilitare negazionista che propaga l’odio contro ebrei e omosessuali, a cui sei mesi fa è stato sequestrato un arsenale di bombe artigianali e fucili d’assalto?
Che ha da dire sul sostegno di Mosca all’ormai partito ufficiale Jobbik e al Fronte Nazionale Ungherese 1989, il cui campo di addestramento era finanziato da Putin?
E ci fermiamo qua per brevità di spazio…
Ilaria Salis non sarà processata da un tribunale europeo, dove vige l’indipendenza della magistratura, lo sa meglio di noi.
Da noi non esiste (per ora) un regime , noi riportiamo anche i suoi comunicati e pubblichiamo la sua foto senza corde al collo come accade invece nel suo Paese e non trasciniamo in catene in tribunale imputati di lesioni guaribili in 5 e 8 giorni, reati per cui in Italia nessuno passerebbe una notte in galera.
Quindi eviti di dare lezioni non richieste ai media italiani che fanno solo il loro lavoro di giornalisti liberi.
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Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
CAMBIA LA STRATEGIA DEI LEGALI DI ILARIA SALIS: CHIEDERA’ I DOMICILIARI (ANCHE IN UNGHERIA)
Ilaria Salis presenterà una richiesta per avere i domiciliari in Italia o, in subordine, in Ungheria. “Ilaria ha cambiato idea – ha spiegato il papà Roberto Salis – visto che da più parti è arrivata questa richiesta di fare istanza per i domiciliari in Ungheria. Adesso dobbiamo trovare una casa a Budapest e poi presenteremo la richiesta”.
Fin qui la richiesta dei domiciliari nella capitale ungherese non era mai stata avanzata. Ilaria Salis e con lei i suoi legali speravano di poter approfittare di una convenzione quadro dell’Unione europea del 2009 che sancisce il reciproco riconoscimento delle misure cautelari tra i Paesi membri.
E dunque gli avvocati dell’antifascista di Monza avevano, più volte, provato a riportarla in Italia in attesa del processo. Ma l’Italia con i ministri degli Esteri Antonio Tajani e della Giustizia Carlo Nordio, ha chiuso completamente questa possibilità. “Irrituale e irricevibile”, secondo l’esecutivo, “una interlocuzione epistolare tra un dicastero italiano e l’organo giurisdizionale straniero”. “Impossibile” anche il percorso che portava ai domiciliari nell’Ambasciata italiana a Bucarest: “Ne va della sicurezza nazionale”, aveva detto Tajani.
Ecco dunque che la possibilità più concreta per tirare fuori Ilaria Salis dal carcere ungherese, anche in base alle considerazioni del legale ungherese che assiste la donna, Gyorgy Magyarto, è quella dei domiciliari nella stessa Ungheria.
In una residenza privata che i genitori dovranno ora cercare, in cui dovranno fissare un domicilio e in cui, se la magistratura ungherese darà l’ok, Ilaria Salis potrà essere trasferita. “Dovrà essere un luogo sicuro”, ha sempre sottolineato il padre, preoccupato dalle minacce che sono apparse su siti e chat neonaziste, oltre al murales con la figlia impiccata sui muri dell’Ambasciata.
Roberto Salis ha poi aggiunto: “Mi aspetto che le istituzioni italiane ribadiscano al governo ungherese che nel nostro paese la stampa è libera e non sono gradite ingerenze straniere sul lavoro dei giornalisti italiani”. Il riferimento è alla lettera che l’ambasciatore ungherese a Roma, Adam Kovacs, ha inviato ai media e ha pubblicato sulla pagina Facebook dell’ambasciata.
L’ambasciatore lamenta “una rappresentazione particolarmente distorta e sproporzionata” che “una parte significativa” dei media italiani ha dato del caso Salis, “soprattutto nella valutazione del sistema giudiziario ungherese, tale da far sorgere il dubbio che i commenti editoriali siano stati mossi esclusivamente da considerazioni politiche, oltre che ideologiche, dirette a mettere in cattiva luce le relazioni italo-ungheresi”.
Un cambio di passo della strategia ungherese nella gestione del caso. Che si sposta ora proprio sui video. “Senza entrare nel merito del caso giudiziario che sarà deciso dalla magistratura ungherese nella sua piena indipendenza, si è parlato poco e male in merito ai fatti accaduti e alla condotta di Ilaria Salis. Secondo le prove raccolte dalle autorità investigative ungheresi, il quadro di quanto è accaduto nei giorni del febbraio di un anno fa sembra chiaro” e “dai video in possesso dell’autorità giudiziaria emergono condotte assolutamente illecite”.
Bisognerà ora capire se quelle condotte – che ci sono state perché riprese e raccontate anche da alcuni testimoni – coinvolgono o meno Salis e in che misura. Gli aggrediti, che non hanno mai sporto denuncia, hanno riportato lesioni guaribili in 5-8 giorni.
L’Amasciatore scrive: “A prescindere dall’estraneità o meno dell’imputata Salis a questi fatti, ritengo che la palese tendenza a sminuire questi episodi gravissimi e di presentarli, in modo manipolativo, come una semplice ‘rissa tra manifestanti’, sia piuttosto preoccupante”.
“Il contrasto al ‘pericolo fascista’ – pretesa già in sé discutibile nel contesto odierno di una Europa unita, pacifica e democratica – non può giustificare i comportamenti di cui è accusata e in patria già condannata in altre occasioni, Ilaria Salis”.
L’insegnante antifascista, nota alle forze dell’ordine, ha avuto 4 condanne. Si tratta però di reati di piazza che vanno dall’invasione di edifici alla resistenza a pubblico ufficiale durante occupazioni, manifestazioni e sgomberi.
“La violenza politica non è mai sul lato giusto della storia – prosegue l’Ambasciatore. La libertà di espressione e di protesta pacifica di tutti sono salvaguardati dal nostro ordinamento giuridico, senza bisogno di ricorrere a spranghe o martelli in tasca per l’autodifesa”.
Nel taxi su cui viaggiavano Ilaria Salis e altri due cittadini tedeschi nel giorno del loro arresto – che coincide con il Giorno dell’Onore in cui centinaia di nostalgici delle Ss si ritrovano a Budapest per cortei e commemorazioni storiche anche violente – non autorizzati ma tollerati dal 1997 dalle autorità ungheresi, c’era un manganello retrattile, da difesa.
“Chi viene – conclude l’Ambasciatore – con lo scopo di portare avanti scontri ideologici con la violenza fisica, deve sapere che nel nostro Paese quei tentati atti di sovvertimento delle regole democratiche che ci siamo dati verranno sempre contrastati con la massima fermezza e senza alcuna indulgenza”, conclude il diplomatico.
(da agenzie)
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Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
FDI 28%, PD 21%, M5S 16%, FORZA ITALIA 10%. LEGA 7%
Quando mancano quattro mesi dalle elezioni europee, la previsione di un report della società inglese Portland Communication è quella di una decisa virata a destra di Bruxelles.
Da quello che emerge dal campione effettuato in Italia, Germania, Francia, Paesi bassi e Polonia, Giorgia Meloni, Marine Le Pen, Geert Wilders e i neonazisti di Alternative für Deutschland potrebbero ottenere risultati in grado di cambiare gli orientamenti del Parlamento europeo.
In Francia il Rassemblement National di Le Pen toccherebbe addirittura il 33%, doppiando Ensemble del presidente Macron fermo al 14%.
In Germania, Alternative für Deutschland è stimato dal sondaggio al 17%, quasi il doppio delle elezioni Ue del 2019.
Nei Paesi Bassi il Partito per la Libertà di Geert Wilders è previsto al 25%, confermando così il successo delle elezioni olandesi del 2023.
In Italia, FdI è stimato da Portland al 28%, il Pd al 21%, il M5S al 16%, Forza Italia con il 10% supererebbe la Lega, al 7%.
Eppure gli italiani non sembrano soddisfatti dell’insieme delle politiche del Governo italiano: il 54% degli intervistati crede che il Paese sia «sulla strada sbagliata» e solo il 28% si dice positivo.
Le ragioni che preoccupano di più sono innanzitutto il costo della vita e l’inflazione per il 50% degli intervistati italiani, a seguire la sanità (40%), l’economia (39%) e il climate change (28%), mentre l’immigrazione occupa solo il quinto posto (27%).
Un sondaggio resta sempre un sondaggio, ma la tendenza rilevata da Portland sembra plausibile e determinerebbe un cambio di passo degli asset politici e istituzionali europei.
(da agenzie)
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Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
SIAMO BEN LONTANI DAL TARGET DEL 2% DEL PIL DI SPESE PER LA DIFESA
Scenario: Donald Trump viene eletto a novembre presidente degli Stati Uniti, a gennaio del 2025 si insedia alla Casa Bianca. Un secondo dopo dice a Vladimir Putin di fare “quel diavolo che vuole” contro l’Italia, Washington non la difenderà. Fantapolitica? Forse, ma nemmeno poi troppo.
Il tycoon statunitense ha in tasca la nomination del partito Repubblicano, il rivale Joe Biden è inseguito dall’alone di un’età che non gli consentirebbe di essere quel commander in chief che gli americani vorrebbero nello Studio ovale, insomma un bis di Trump è nell’orizzonte degli eventi. E proprio The Donald, in un comizio pubblico in South Carolina, ha detto che non avrebbe problemi a dare il via libera alla Russia per tutti quei paesi “delinquenti” che sono “inadempienti nei pagamenti della Nato”, ovvero che non rispettano il 2% del Pil concordato dall’Alleanza atlantica come soglia per le spese militari dei paesi membri.
Diciamolo subito, tra i primi a finire all’indice ci sarebbe l’Italia. Roma è ben lontana dalla soglia prevista. Secondo il Documento programmatico che la Difesa ha stilato per il triennio 2023/2025, la soglia si è attestata al 1,46% nel 2023, primo anno del governo Meloni. E se non andrà meglio quest’anno, con una previsione fissata al ribasso di qualche zerovirgola (1,43%), anche la previsione per il 2025 è praticamente identica (1,45%). L’obiettivo del 2% è in linea teorica fissato per il 2028, ultimo anno del governo Meloni – qualora durasse l’intera legislatura – ma già lo scorso novembre il ministro Guido Crosetto si era dimostrato assai pessimista: “Con gli attuali ritmi di spesa sarà molto difficile”. Un eufemismo per dire che l’asticella non si sgancerà molto dalle percentuali raggiunte oggi, a meno di radicali cambi di passo.
La minaccia di Trump tra l’altro non è solamente l’ultima delle intemerate estemporanee di The Donald. Nel 2018, da presidente in carica, agitò pubblicamente lo stesso argomento di fronte agli alleati: usciamo dalla Nato a meno che voi europei non ci mettiate più soldi. Durò lo spazio di mezza giornata. Il pomeriggio stesso cinguettò su Twitter: “Potrei farlo, ma non esco dalla Nato”, perché “non è necessario”, poiché “tutti si sono detti d’accordo sulla necessità di aumentare la spesa per la difesa, 33 miliardi di dollari in più senza contare gli Stati Uniti”.
Evidentemente quello della Nato come un orpello fastidioso a carico dei contribuenti americani che non dovrebbe essere utilizzato per proteggere i mollaccioni del Vecchio continente è un chiodo fisso in quel caos danzante che sono le idee del tycoon. A rischiare di farci le spese è Roma, che sarebbe in nutrita e buona compagnia. Sotto l’asticella ci sono anche Francia, Germania, Turchia, Olanda, Danimarca, Portogallo, Canada e altri otto componenti dell’Alleanza atlantica. Si “salverebbero” in pochi, dal Regno Unito alla Polonia, dall’Ungheria alla Finlandia, passando per Grecia, Estonia, Lituania, Romania, Lettonia e Slovacchia.
Sarebbe la fine del sistema di alleanze occidentali costruito alla fine della Seconda guerra mondiale, seguirebbero brindisi a Mosca. Nonostante ciò tra gli esponenti di governo vige la più assoluta prudenza nel commento all’incoscienza trumpiana. “Non lo condivido, ma non entro nella campagna elettorale americana”, dice il ministro degli Esteri Antonio Tajani. “E’ un pragmatico, non ce lo vedo a fare a pezzi il mondo libero”, aggiunge Crosetto. Nella speranza di non aver mai bisogno di una controprova.
(da Huffingtonpost)
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Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
ADESSO VANNO AIUTATI I LAVORATORI CHE HANNO PAGATO IN SOLITARIA IL CAROVITA
Governo e imprese non hanno più scuse: è arrivata l’ora di aumentare gli stipendi dei dipendenti, pubblici e privati. Lo devono fare perché è giusto eticamente, visto che sono loro ad essersi sobbarcati quasi in solitaria gli effetti del carovita, e lo è anche economicamente, siccome un aumento del reddito disponibile automaticamente farebbe crescere i consumi, quindi la domanda aggregata e quindi il pil italiano. E lo devono fare anche perché così si arresterebbe il trend che vede da anni una costante diminuzione della ricchezza degli italiani, dovuta proprio all’effetto perverso di salari fermi e inflazione che ha galoppato parecchio.
In estrema sintesi, sono quattro i motivi per cui non bisogna più aspettare. Partiamo dal primo e forse più importante: la lotta all’inflazione nei fatti è stata vinta. A essere chiaro su questo punto è stato, come sempre, il Governatore di Bankitalia, Fabio Panetta. Nel suo intervento di sabato scorso al Forex lo ha detto chiaramente: siamo in una fase di disinflazione, a gennaio il carovita è sceso al 2,8 per cento, 8 punti percentuali al di sotto del picco toccato nel 2022, e il ribasso continuerà anche nei prossimi mesi, tanto che si potrebbe raggiungere l’obiettivo del 2 per cento che la Bce si è posta già a primavera. Quindi Christine Lagarde non ha più scuse, quest’anno bisogna invertire la tendenza e iniziare con un taglio dei tassi d’interesse. Anche perché ormai la possibilità che si inneschi la tanto temuta dagli economisti spirale prezzi-salari è pari quasi a zero. Quindi, aumentare i salari non ha controindicazioni per l’economia. Anzi.
Qui arriviamo alla seconda valida motivazione: ritoccare gli stipendi è un atto dovuto nei confronti dei dipendenti, pubblici e privati. Alla fine sono proprio loro che si sono dovuti sobbarcare il peso dell’inflazione negli ultimi due o tre anni. Le banche, ad esempio, e in generale tutto il sistema finanziario non hanno risentito della fiammata dei prezzi, hanno addirittura battuto diversi record positivi. La settimana scorsa ha visto la presentazione dei risultati 2023 delle maggiori banche italiane. Ebbene, se prendiamo le cinque più grandi, ci accorgiamo di numeri stratosferici: 22 miliardi di profitti, con un aumento da un anno all’altro di più del 60 percento, e infine la previsione che il 2024 sarà anche migliore. Insomma, tempi di vacche grassissime per i nostri istituti di credito. Stessa cosa per quanto riguarda le nostre società, almeno le più grandi: gli indici di Piazza Affari sono andati meglio del previsto, il Ftse Mib – che rappresenta l’andamento delle quotazioni delle 40 principali quotate – ha superato quota 30mila punti, ai massimi dalla crisi finanziaria del 2008. Più in generale è un report di Mediobanca, fermo però al 2022, a confermare che gli imprenditori sono stati molto bravi a proteggersi dall’inflazione. In particolare – secondo l’indagine annuale sulle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione, che analizza 2150 società rappresentative del 48% del fatturato industriale – l’industria italiana è riuscita a reggere l’impatto dell’inflazione, con una crescita del fatturato nominale del 30,9% e dello 0,6% in termini reali. Non altrettanto invece si può dire per i lavoratori che risultano “la componente maggiormente penalizzata in termini di potere d’acquisto, con una perdita stimata intorno al 22%”.
Far recuperare in parte questo potere d’acquisto ai dipendenti è una questione certamente etica, perché ci sono milioni di lavoratori che aspettano il rinnovo del contratto, spesso scaduto da anni: stando ai numeri del Cnel, solo per quanto riguarda il settore privato, un lavoratore su due ha il proprio stipendio parametrato a delle intese fra sindacati e datori di lavoro che non rispecchiano l’aumento a due cifre dell’inflazione che c’è stato negli ultimi anni, prima che iniziasse il ritorno alla normalità. Ma il recupero è anche una questione economica, e qui giungiamo alla terza ragione per cui gli stipendi vanno ritoccati senza se e senza ma. In una fase come quella attuale, in cui in Italia e in Europa la crescita è ferma a qualche decimale, mettere un po’ più di reddito disponibile farebbe bene a tutta l’economia. Se infatti il lavoratore ha più soldi in busta paga, può dedicarlo a qualche acquisto che negli ultimi tempi ha rimandato, quindi i consumi potranno aumentare, tirando su la domanda aggregata e quindi la crescita del Pil, cosa di cui beneficeranno anche le imprese e i conti pubblici. Questa sì che sarebbe una spirale positiva.
Salari più alti, poi, e qui siamo all’ultima motivazione, porteranno anche a frenare il pericoloso trend di erosione della ricchezza delle famiglie italiane che si rileva dai dati di Istat e Bankitalia. Dal 2011 al 2022 l’effetto combinato dell’inflazione e dei salari fermi ha causato agli italiani una perdita della ricchezza pari al 7,7 per cento. Quindi, per fare un esempio pratico, anche per il lavoratore che preferirà non spendere l’aumento ne deriverà un vantaggio economico perché aumenterà il suo stock di risparmi, che potrà poi essere investito in Borsa o in case o in qualsiasi altra forma che in prospettiva lo farà stare più sereno. Anche qui si potrebbe innescare un circuito virtuoso per la crescita economica.
Insomma, i motivi sono tanti, ora spetta solo a chi di dovere scendere in campo e vincere la partita: governo, regioni, comuni, datori di lavoro privati e ovviamente sindacati. Più contratti per tutti.
(da Huffingtonpost)
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Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
MENO VEDI E MEGLIO E’: CONGRATULAZIONI A CHI VIOLA LA NORMATIVA DELL’ACCESSO
Il consigliere regionale della Lombardia Luca Paladini è entrato a sorpresa nel centro di permanenza per il rimpatrio di via Corelli a Milano, insieme a Teresa Florio di Mai più lager-No ai cpr, Cesare Mariani dell’associazione Naga e il medico Nicola Cocco.
In una visita non annunciata, resasi necessaria dopo la protesta di sabato sera dei trattenuti e soprattutto della successiva repressione violenta. Nel primo pomeriggio del 10 febbraio i quattro visitatori hanno parlato con quattro trattenuti, un operatore, un infermiere e il vicedirettore della struttura.
È stato però negato l’accesso ai moduli abitativi del Cpr, come anche la visione delle cartelle cliniche, nonostante entrambe le richieste fossero legittime
“Riteniamo questa forma di ostruzionismo un abuso che va totalmente contro la normativa”, spiega a Fanpage.it Cesare Mariani. Dall’ispezione sono emersi dettagli poco rassicuranti, come condizioni igienico-sanitarie simili al periodo precedente l’intervento della Procura e numerosi interventi dell’ambulanza nel mese di gennaio. Poco si sa sulle due persone che nella notte di domenica hanno subito le percosse. “Da quel che risulta, sono stati portati entrambi in pronto soccorso nove ore dopo gli scontri e poi dimessi. – dice l’esponente del Naga – Uscito dall’ospedale, il 18enne è stato rimesso in libertà”.
L’ispezione nel Cpr di via Corelli
La visita è durata cinque ore, dalle 14.45 alle 19.45 circa. “Ci hanno impedito di entrare nei moduli abitativi contro ogni rispetto della legge”, spiega Mariani. Secondo il regolamento Cpr, disciplinato dalla direttiva del Ministero dell’Interno, tra le persone ammesse senza autorizzazione (art. 7 comma 1) ci sono gli stessi soggetti a cui è consentito accedere alle carceri dal regolamento penitenziario (art. 67 legge 354/1975). Tra questi, i consiglieri regionali con i loro collaboratori (al plurale). “Avremmo dovuto avere accesso libero alla struttura ma non ce l’hanno permesso – spiega Mariani – Per noi è un abuso serio”.
Il diniego sarebbe arrivato proprio dal Prefetto: “La direttrice del Centro ha chiamato la Prefettura e, a sua volta, ce lo ha comunicato per telefono”, dice Mariani. Ai tre è stato concesso di parlare solo con alcuni dei trattenuti e non nelle stanze in cui dormono. “Abbiamo prima sentito la versione del personale del cpr e dell’ispettore di Polizia. Hanno detto che non erano presenti durante gli scontri tra migranti e Guardia di Finanza e ci hanno riferito di averlo saputo dai video della rete”.
Grazie a questi colloqui è emersa una nuova versione delle ragioni che avrebbero portato gli agenti a intervenire. In un primo momento si era pensato che la protesta fosse nata in seguito alla chiusura di una finestrella attraverso cui passano gli oggetti dall’esterno. Le cose però sembrerebbero andate diversamente: “Secondo il personale – racconta Mariani – c’era stata un’aggressione a un operatore da parte di un ragazzo. Si era rifiutato di mangiare la pasta alle otto di sera e aveva buttato il piatto di pasta verso un operatore. Secondo quanto riscontrato durante i colloqui l’intervento della guardia di Finanza era poi avvenuto alle due di notte”.
Negato anche l’accesso alle cartelle cliniche
Solo diverse ore dopo, intorno alle 11, i due ospiti che avevano subito le percosse sarebbero stati trasportati in ospedale. “I testimoni con cui siamo riusciti a parlare ci hanno riferito che sono andati in codice verde al Policlinico. Non sappiamo come stiano adesso, ma ci è stato detto che sono stati entrambi dimessi e che il 18enne è stato rimesso in libertà”, spiega Mariani.
Sabato pomeriggio, alcuni migranti erano rimasti seminudi per ore sotto la pioggia battente. A generare quella protesta sarebbe stato invece il cibo deteriorato e le condizioni igienico sanitarie critiche. “Ci hanno riferito di alimenti sempre uguali, scarsi e maleodoranti, che confermano le denunce precedenti al commissariamento”, spiega Mariani.
Ai quattro è stato negato anche l’accesso alle cartelle cliniche, sebbene la consultazione fosse stata autorizzata dai pazienti, che in teoria sono gli unici a poter decidere sulla visione. “Sappiamo solo che l’invio al pronto soccorso è avvenuto a circa nove ore dagli scontri con gli agenti. Per fortuna sembra stiano bene, ma le cose potevano andare diversamente”, riferisce Mariani.
Tante le mancanze legate alla sfera sanitaria emerse dalla visita e in parte approfondite dall’infettivologo Nicola Cocco. “L’infermeria è esattamente come nel nostro ingresso nel marzo 2023. Non è cambiato niente – spiega Mariani – Ci sono pochissimi materiali e mancano le bombole a ossigeno, previste dal regolamento”. Nel corso della visita è stato possibile consultare i fogli degli invii degli ospiti al pronto soccorso. Ne è emerso un quadro per cui l’intervento delle ambulanze è molto frequente.
“A gennaio, un periodo in cui in media c’erano 50 persone nel cpr, gli invii sono stati 34. Delle due l’una – riflette l’esponente del Naga – o lì dentro la capacità di dare assistenza medica è così bassa che per qualsiasi cosa sono costretti a fare un invio al pronto soccorso oppure gli eventi gravi sono eccessivamente numerosi”.
A queste criticità, i volontari dello sportello legale per stranieri hanno maturato sospetti sulla legittimità del trattenimento di alcune persone nella struttura. “Uno ha due figli in Italia e quindi dovrebbe potere avere diritto all’asilo – spiega Mariani – L’altro è stato fermato, non abbiamo capito perché, mentre stava per sposarsi con la compagna”.
(da Fanpage)
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Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
METTONO NEL MIRINO LE RIFORME DEL GOVERNO, A PARTIRE DAL PREMIERATO E DALLA LIBERTÀ DI STAMPA: LA COMMISSIONE È IN ALLARME PER L’AUMENTO DELLE QUERELE, PER LA RAI E L’ABUSO D’UFFICIO… SULLA “MADRE DI TUTTE LE RIFORME” C’È GRANDE PREOCCUPAZIONE
Questa volta non è l’opposizione a chiedere conto al governo delle sue decisioni sulle riforme che stravolgono la giustizia, la libertà dei media, la nostra Carta costituzionale. Ora entra in campo l’Europa. Perché oggi arrivano a Roma gli ispettori della Commissione Ue che si sono fatti precedere da un nutrito pacchetto di domande destinate a mettere in imbarazzo chi dovrà rispondere.
Diciannove quesiti su cui il governo sarà costretto a barcamenarsi. Tra via Arenula e Palazzo Chigi stamattina si svolgeranno i colloqui riservati tra i funzionari italiani ed europei per aggiornare il report sullo “Stato di diritto” nel nostro Paese. Gli interrogativi sono già sul tavolo. Eccoli, uno dopo l’altro. Tenendo a mente che nel 2023 l’Italia è già uscita male dall’esame europeo.
Il premierato
Grande preoccupazione emerge dalle domande degli esperti Ue sulla riforma costituzionale del governo Meloni, battezzata premierato. Chiede l’Europa: «Potete spiegare l’obiettivo di questa riforma e in quale modo migliorerà la situazione alla luce dei timori espressi da molti esperti?».
La giustizia azzoppata
L’Europa ci chiede cosa sta facendo l’Italia sulla separazione delle carriere. Perché il ministro Nordio la considera «necessaria e urgente »? E che passi avanti ha fatto rispetto all’anno scorso? Nulla sfugge alla Ue tant’è che vuole sapere a che punto è il provvedimento disciplinare di Nordio contro i giudici di Milano che avevano dato gli arresti domiciliari all’imprenditore russo Artem Uss. Ma l’Europa è preoccupata anche per la digitalizzazione dei processi.
Conflitto d’interessi
Conflitti d’interessi, lobby e finanziamento ai partiti: l’Europa vuole un aggiornamento politico e legislativo, e informazioni sulla proposta di M5S del 13 ottobre 2022 che giace in commissione Affari costituzionali. La Ue chiede se siano inclusi i deputati e se l’esecutivo intenda prevederli.
Abuso d’ufficio
L’Europa ha già espresso i suoi timori sull’abuso d’ufficio e sull’iniziativa di Nordio di cancellarlo, che poi ne ha parlato con il commissario Ue alla Giustizia Didier Reynders dicendogli che «nel codice penale italiano ci sono già molti reati di corruzione».§
Dubbi anche sulla riduzione del traffico d’influenze. Gli ispettori vogliono sapere «quali sono i prossimi passi legislativi e i tempi per l’entrata in vigore».
Chiedono come sarà coperta in futuro nel codice penale la cancellazione dell’abuso d’ufficio. Ma soprattutto chiedono «se questo passo ridurrà effettivamente la lotta contro la corruzione a tutti i livelli, inclusi i casi più gravi».
La nuova prescrizione
La Commissione vuole informazioni dettagliate sulla nuova prescrizione e sulle ragioni che hanno spinto il governo e il Guardasigilli a negare la norma transitoria per l’entrata in vigore . Non solo: vogliono conoscere «le conseguenze della nuova prescrizione sui processi per corruzione».
Le intercettazioni
L’Europa parte dalla decisione di proibire l’uso della microspia Trojan nelle indagini sulla corruzione e vuole sapere che conseguenze potrà comportare una scelta come questa. E proprio sulla corruzione l’Europa chiede anche le statistiche per verificare il trend dei fenomeni corruttivi degli ultimi anni.
Libertà di stampa
La Commissione è in allarme per l’aumento delle cause, anche promosse da esponenti politici, contro i giornalisti. E vuole conoscere se il governo pensa di introdurre «misure per proteggere i giornalisti dalle liti temerarie e la riservatezza delle fonti e il segreto professionale ».
La Commissione sa già che esiste la norma Costa, che vieta ai giornalisti di pubblicare l’ordinanza di custodia cautelare, un atto di cui per la stampa resta solo il riassunto. Qui l’Europa pone molti interrogativi e chiede a Nordio se può fornire «ulteriori informazioni sul contenuto di questa iniziativa così come sulla sua ratio e i suoi obiettivi». E inoltre vuole sapere quali misure intenda adottare il governo per «garantire la libertà di stampa e il diritto dei cittadini a essere informati».
La Rai
Il capitolo dell’informazione è uno dei più dettagliati. La Commissione chiede se l’Italia «può fornire ulteriori informazioni sui tempi di costituzione del fondo per evitare il progressivo deteriorarsi delle condizioni di lavoro dei giornalisti e supportare i media locali ». Ecco un capitolo ad hoc per la Rai. Il rapporto dell’anno scorso già sollecitava una riforma della governance e del finanziamento «con l’obiettivo di garantire la sua indipendenza dai rischi di interferenze politiche».
E adesso gli esperti si chiedono se «il governo sta preparando una risposta». E in particolare «se può indicare quali misure prevede di adottare contro le interferenze politiche sull’indipendenza della Rai». E vengono chieste spiegazioni sulla decisione presa con l’ultima legge di bilancio di ridurre il canone da 90 a 70 euro. E che misure intende prendere il governo per assicurare l’autonomia e l’indipendenza finanziaria della tv di Stato.
(da La Repubblica)
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Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
I TAVOLI DI CRISI APERTI AL MINISTERO GUIDATO DA URSO SONO BEN 59. I SETTORI DOVE I TAGLI POSSONO ESSERE PIÙ PESANTI SONO LA MECCANICA E LA SIDERURGIA…A SOFFRIRE È ANCHE L’INDUSTRIA AD ALTA SPECIALIZZAZIONE, VEDI MARELLI, O LE ECCELLENZE COME LA PERLA
L’ultimo annuncio è arrivato a fine gennaio da Rieti, dove una azienda della cosiddetta “Pump valley”, la Etatron, specializzata nella produzione di pompe di dosaggio ha deciso di fermare l’attività licenziando i suoi 15 dipendenti. L’industria, anche a quella ad alta specializzazione, per varie ragioni continua a soffrire, come ha confermato venerdì anche l’Istat soffrono le grandi aziende come le piccole ed in parallelo si trascinano crisi ormai vecchie anche di anni che non hanno ancora trovato una soluzione.
Secondo le stime della Cgil sono ben 183.193 le lavoratrici e i lavoratori travolti dagli effetti di crisi aziendali o di settore nel comparto dell’industria e delle reti, a partire dai 58.026 addetti di aziende per le quali presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy sono stati attivati i tavoli di crisi, a oggi 59 in tutto (37 attivi e 22 in monitoraggio).
«Diamo la cifra esatta – ha spiegato nei giorni scorsi Pino Gesmundo della segreteria nazionale della Cgil, illustrando i dati elaborati dall’Area delle politiche industriali della confederazione – perché si tratta di persone, non di semplici statistiche, e a questi si aggiungono le decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori di aziende in crisi che hanno tavoli aperti a livello regionale, per i quali non esiste una mappatura nazionale»
Tra le vertenze che «parlano di una incapacità totale del pubblico di indirizzare le politiche industriali in settori strategici e rilevanti per il Paese», solo per citarne alcune fra i dossier aperti in questi giorni, la Cgil ricorda «La Perla, che fa corsetteria di alto livello ed è vittima di speculazione finanziaria; Fos Prysmian, che produce fibra ottica di qualità e rischia di essere messa in crisi dall’utilizzo in Italia di fibra cinese e indiana; Marelli, che apre una crisi annunciata viste le trasformazioni presenti nell’automotive» e poi c’è l’Ilva, coi suoi 10.700 addetti che salgono a 20 mila con l’indotto che tiene banco ormai da settimane.
Ad essere a rischio di crisi a causa delle trasformazioni in atto sono infatti altri 120.026 lavoratori: 70.000 nell’automotive, 25.459 nella siderurgia, 8.500 nelle telecomunicazioni, 8.000 nel settore della produzione dell’energia (centrali a carbone e cicli combinati), 4.094 nella chimica di base, 3.473 nel petrolchimico e nella raffinazione e 2.000 nel settore elettrico a causa della fine del mercato tutelato.
Il cuore di questa crisi, che in molti casi si trascina da tempo, è rappresentato dal settore metalmeccanico. Secondo l’ultimo rapporto della Fim Cisl appena pubblicato ed aggiornato a tutto il secondo semestre 2023 solo in questo comparto le crisi interessano in totale 84.817 lavoratori, 1.200 in più del primo semestre dell’anno.
In tutto la Fim ha conteggiato 334 vertenze, di queste 112 riguardano aziende con meno di 50 dipendenti e 222 aziende con più di 50 dipendenti attive prevalentemente nell’automotive, nei campi della siderurgia, degli elettrodomestici e della termomeccanica. Più della metà dei posti a rischio (47.358) è legato a crisi di settore, 20.632 sono invece vittime di crisi finanziarie che hanno colpito le loro imprese, 4.157 scontano il conflitto Russia-Ucraina, 2.903 la crisi dell’indotto e 2.605 le delocalizzazioni (1.000 in più rispetto al primo semestre dell’anno).
(da agenzie)
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Febbraio 12th, 2024 Riccardo Fucile
COSA CI ASPETTA IN FUTURO NEL CAMPO DELLE TECONOLOGIE MILITARI
Le armi a guida di precisione sono apparse per la prima volta nella loro forma moderna sul campo di battaglia in Vietnam poco più di 50 anni fa. Da allora le forze armate hanno cercato di ottenere precisione e distruttività, ma il costo di queste armi è aumentato. I proiettili d’artiglieria a guida GPS americani costano 100.000 dollari ciascuno. Poiché le armi intelligenti sono costose, sono scarse. Per questo motivo i Paesi europei le hanno esaurite in Libia nel 2011.
Israele, più desideroso di conservare le proprie scorte che di evitare danni collaterali, ha fatto piovere bombe senza pilota su Gaza. Cosa succederebbe, però, se si potesse combinare precisione e abbondanza?
Per la prima volta nella storia della guerra, questa domanda sta trovando risposta sui campi di battaglia dell’Ucraina. Il nostro reportage di questa settimana mostra come i droni con visuale in prima persona (fpv) stiano crescendo a dismisura lungo le linee del fronte. Si tratta di velivoli piccoli, economici e carichi di esplosivo, adattati da modelli di consumo, che stanno rendendo la vita dei soldati ancora più pericolosa. Questi droni si infilano nelle torrette dei carri armati o nelle trincee. Si aggirano e inseguono la loro preda prima di ucciderla. Stanno infliggendo un pesante tributo alla fanteria e ai mezzi corazzati.
La guerra sta anche rendendo onnipresenti i droni fpv e i loro parenti marittimi. A gennaio si sono verificati 3.000 attacchi di droni fpv. Questa settimana Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, ha creato la Forza dei sistemi senza pilota, dedicata alla guerra con i droni. Nel 2024 l’Ucraina è pronta a costruire 1-2 milioni di droni. Sorprendentemente, ciò corrisponderà alla riduzione del consumo di proiettili da parte dell’Ucraina (che è in calo perché i repubblicani al Congresso stanno vergognosamente negando all’Ucraina le forniture di cui ha bisogno).
Il drone non è un’arma miracolosa, che non esiste. È importante perché incarna le grandi tendenze della guerra: lo spostamento verso armi piccole, economiche e usa e getta, l’uso crescente della tecnologia di consumo e la deriva verso l’autonomia in battaglia.
Grazie a queste tendenze, la tecnologia dei droni si diffonderà rapidamente dagli eserciti alle milizie, ai terroristi e ai criminali. E migliorerà non al ritmo del ciclo di bilancio del complesso militare-industriale, ma con l’urgenza di rottura dell’elettronica di consumo.
I droni fpv di base sono rivoluzionariamente semplici. Discendenti dei quadricotteri da corsa, costruiti con componenti di serie, possono costare anche poche centinaia di dollari. I droni fpv tendono ad avere un raggio d’azione ridotto, a trasportare piccoli carichi utili e a fare fatica in caso di maltempo. Per questi motivi non sostituiranno (ancora) l’artiglieria.
Ma possono comunque fare molti danni. In una settimana, lo scorso autunno, i droni ucraini hanno contribuito a distruggere 75 carri armati russi e 101 grossi cannoni, oltre a molto altro. La Russia ha i suoi droni fpv, anche se tendono a colpire le trincee e i soldati. I droni aiutano a spiegare perché entrambe le parti trovano così difficile organizzare offensive.
La crescita esponenziale del numero di droni russi e ucraini indica una seconda tendenza. Sono ispirati e adattati alla tecnologia di consumo ampiamente disponibile. Non solo in Ucraina, ma anche in Myanmar, dove negli ultimi giorni i ribelli hanno messo in fuga le forze governative, i volontari possono utilizzare le stampanti 3D per produrre componenti chiave e assemblare le scocche in piccole officine. Purtroppo, è improbabile che i gruppi criminali e i terroristi siano molto lontani dalle milizie.
Questo riflette un’ampia democratizzazione delle armi di precisione. Nello Yemen, il gruppo ribelle Houthi ha utilizzato kit di guida iraniani a basso costo per costruire missili antinave che rappresentano una minaccia mortale per le navi commerciali nel Mar Rosso.
L’Iran stesso ha dimostrato come un assortimento di droni e missili balistici d’attacco a lungo raggio possa avere un effetto geopolitico di gran lunga superiore al loro costo. Anche se il kit necessario per superare l’inceppamento dei droni aumenterà notevolmente il costo delle armi, come alcuni prevedono, esse saranno comunque considerate a basso costo.
Il motivo è da ricercare nell’elettronica di consumo, che spinge l’innovazione a un ritmo incalzante mentre le capacità si accumulano in ogni ciclo di prodotto. Questo pone problemi di etica e di obsolescenza. Non ci sarà sempre il tempo di sottoporre le nuove armi ai test che i Paesi occidentali si prefiggono in tempo di pace e che sono richiesti dalle Convenzioni di Ginevra.
L’innovazione porta anche all’ultima tendenza, l’autonomia. Oggi l’uso dei droni fpv è limitato dalla disponibilità di piloti qualificati e dagli effetti del jamming, che può interrompere la connessione tra un drone e il suo operatore. Per superare questi problemi, Russia e Ucraina stanno sperimentando la navigazione autonoma e il riconoscimento dei bersagli. L’intelligenza artificiale è disponibile da anni nei droni di consumo e sta migliorando rapidamente.
Un certo grado di autonomia esiste da anni nelle munizioni di alto livello e da decenni nei missili da crociera. La novità è che microchip e software a basso costo permetteranno all’intelligenza di stare all’interno di milioni di munizioni di basso livello che stanno saturando il campo di battaglia. La parte che per prima padroneggia l’autonomia su scala in Ucraina potrebbe godere di un vantaggio temporaneo ma decisivo in termini di potenza di fuoco, condizione necessaria per qualsiasi svolta.
I Paesi occidentali hanno tardato ad assimilare queste lezioni. Armi semplici ed economiche non sostituiranno le grandi piattaforme di fascia alta, ma le integreranno. Il Pentagono si sta imbarcando tardivamente in Replicator, un’iniziativa per costruire migliaia di droni e munizioni a basso costo in grado di affrontare le enormi forze cinesi.
L’Europa è ancora più indietro. I suoi ministri e generali sono sempre più convinti di poter affrontare un’altra grande guerra europea entro la fine del decennio. Se così fosse, gli investimenti in droni di fascia bassa devono crescere con urgenza. Inoltre, i droni onnipresenti richiederanno difese onnipresenti, non solo sui campi di battaglia ma anche nelle città in pace.
Kalashnikov nei cieli
I droni intelligenti solleveranno anche questioni sul modo in cui gli eserciti conducono le guerre e sulla possibilità che gli esseri umani controllino il campo di battaglia. Con la moltiplicazione dei droni, saranno possibili sciami auto-coordinati. Gli esseri umani faticheranno a monitorare e comprendere i loro interventi, per non parlare di autorizzarli.
L’America e i suoi alleati devono prepararsi a un mondo in cui le capacità militari in rapido miglioramento si diffondono più rapidamente e più ampiamente. I cieli sopra l’Ucraina si riempiono di armi spendibili che coniugano precisione e potenza di fuoco, ma servono da monito. I velivoli cacciatori-assassini prodotti in serie stanno già ridisegnando l’equilibrio tra uomini e tecnologia in guerra
(The Economist)
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