CON LA DOTTRINA TRUMP L’ITALIA FINISCE IN CIMA AI “DELINQUENTI” DELLA NATO
SIAMO BEN LONTANI DAL TARGET DEL 2% DEL PIL DI SPESE PER LA DIFESA
Scenario: Donald Trump viene eletto a novembre presidente degli Stati Uniti, a gennaio del 2025 si insedia alla Casa Bianca. Un secondo dopo dice a Vladimir Putin di fare “quel diavolo che vuole” contro l’Italia, Washington non la difenderà. Fantapolitica? Forse, ma nemmeno poi troppo.
Il tycoon statunitense ha in tasca la nomination del partito Repubblicano, il rivale Joe Biden è inseguito dall’alone di un’età che non gli consentirebbe di essere quel commander in chief che gli americani vorrebbero nello Studio ovale, insomma un bis di Trump è nell’orizzonte degli eventi. E proprio The Donald, in un comizio pubblico in South Carolina, ha detto che non avrebbe problemi a dare il via libera alla Russia per tutti quei paesi “delinquenti” che sono “inadempienti nei pagamenti della Nato”, ovvero che non rispettano il 2% del Pil concordato dall’Alleanza atlantica come soglia per le spese militari dei paesi membri.
Diciamolo subito, tra i primi a finire all’indice ci sarebbe l’Italia. Roma è ben lontana dalla soglia prevista. Secondo il Documento programmatico che la Difesa ha stilato per il triennio 2023/2025, la soglia si è attestata al 1,46% nel 2023, primo anno del governo Meloni. E se non andrà meglio quest’anno, con una previsione fissata al ribasso di qualche zerovirgola (1,43%), anche la previsione per il 2025 è praticamente identica (1,45%). L’obiettivo del 2% è in linea teorica fissato per il 2028, ultimo anno del governo Meloni – qualora durasse l’intera legislatura – ma già lo scorso novembre il ministro Guido Crosetto si era dimostrato assai pessimista: “Con gli attuali ritmi di spesa sarà molto difficile”. Un eufemismo per dire che l’asticella non si sgancerà molto dalle percentuali raggiunte oggi, a meno di radicali cambi di passo.
La minaccia di Trump tra l’altro non è solamente l’ultima delle intemerate estemporanee di The Donald. Nel 2018, da presidente in carica, agitò pubblicamente lo stesso argomento di fronte agli alleati: usciamo dalla Nato a meno che voi europei non ci mettiate più soldi. Durò lo spazio di mezza giornata. Il pomeriggio stesso cinguettò su Twitter: “Potrei farlo, ma non esco dalla Nato”, perché “non è necessario”, poiché “tutti si sono detti d’accordo sulla necessità di aumentare la spesa per la difesa, 33 miliardi di dollari in più senza contare gli Stati Uniti”.
Evidentemente quello della Nato come un orpello fastidioso a carico dei contribuenti americani che non dovrebbe essere utilizzato per proteggere i mollaccioni del Vecchio continente è un chiodo fisso in quel caos danzante che sono le idee del tycoon. A rischiare di farci le spese è Roma, che sarebbe in nutrita e buona compagnia. Sotto l’asticella ci sono anche Francia, Germania, Turchia, Olanda, Danimarca, Portogallo, Canada e altri otto componenti dell’Alleanza atlantica. Si “salverebbero” in pochi, dal Regno Unito alla Polonia, dall’Ungheria alla Finlandia, passando per Grecia, Estonia, Lituania, Romania, Lettonia e Slovacchia.
Sarebbe la fine del sistema di alleanze occidentali costruito alla fine della Seconda guerra mondiale, seguirebbero brindisi a Mosca. Nonostante ciò tra gli esponenti di governo vige la più assoluta prudenza nel commento all’incoscienza trumpiana. “Non lo condivido, ma non entro nella campagna elettorale americana”, dice il ministro degli Esteri Antonio Tajani. “E’ un pragmatico, non ce lo vedo a fare a pezzi il mondo libero”, aggiunge Crosetto. Nella speranza di non aver mai bisogno di una controprova.
(da Huffingtonpost)
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