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ALLUVIONE, ALTRO FLOP DI FIGLIUOLO

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

FONDI DONATI E BLOCCATI PER RICOSTRUIRE UN PONTE

Sono il frutto della raccolta di fondi privati per aiutare la Romagna alluvionata. Oltre 1,2 milioni donati al Comune di Modigliana, sull’Appennino forlivese, per la ricostruzione del ponte di Cà Stronchino, strategico per completare il collegamento del paese con la strada provinciale 20, che porta a Faenza. Il sindaco Jader Dardi ha trasferito la donazione alla struttura del commissario straordinario Francesco Figliuolo la scorsa primavera.
Peccato che non ci sia ancora nemmeno una traccia di cantiere per cominciare i lavori di ricostruzione del ponte, crollato con la prima alluvione del maggio 2023. Sogesid – la società in house dello Stato alla quale il commissario ha affidato il ripristino delle infrastrutture viarie romagnole devastate dall’acqua e dal fango – il 4 aprile scorso, in occasione della firma in pompa magna dell’accordo con Figliuolo e con Dardi, lo aveva definito un intervento prioritario. “Metteremo a disposizione tutte le risorse e le competenze tecniche necessarie, insieme a tutte le procedure consentite dalla legge, per accelerare i tempi per la pubblicazione della gara e quindi per portare a termine con successo un intervento fondamentale per il territorio”, aveva detto Enrico Stravato, direttore generale della società.
Invece niente. Mentre aumenta il malumore dei circa 4.300 abitanti del comune montano: si chiedono perché il Comune non abbia proceduto autonomamente. La donazione è arrivata da La7, Corriere della Sera, Fondazione Conad, Fondazioni delle Casse di Risparmio dell’Emilia-Romagna, Fondazione Cassa Depositi e Prestiti, Anci. “Ma erano tutti d’accordo sul trasferimento dei soldi alla struttura di Figliuolo”, dice Dardi. “Il punto vero – prosegue –, è che stiamo affrontando l’emergenza con le procedure del codice degli appalti e non con procedimenti d’urgenza: i tempi diventano enormemente lunghi. E il Comune dispone di due soli tecnici, non può gestire opere da tre milioni di euro come quella di Cà Stronchino”. Per ora Sogesid ha completato la gara per l’affidamento dei lavori, che non si sa quando inizieranno (alla donazione si sono aggiunte risorse pubbliche). “Dopo la prima alluvione abbiamo fatto 40 interventi di somma urgenza, altri 17 dopo la seconda, quella del 18 settembre di quest’anno – spiega Dardi –. La verità è che la macchina operativa messa in moto per la ricostruzione non può garantire velocità ed efficacia”.
(da ilfattoquotidiano.it)

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INVECE CHE FINANZIARE LA SCUOLA PUBBLICA FDI PROPONE VOUCHER DA 1.500 EURO PER LE SCUOLE PRIVATE CON REDDITO FINO A 40.000 EURO

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

L’ENNESIMO SCHIAFFO ALLA SCUOLA PUBBLICA DI UNA SEDICENTE DESTRA AL SERVIZIO DEI RICCHI

La scuola torna terreno di scontro tra maggioranza e opposizione. Oggetto del contendere un emendamento firmato Fratelli d’Italia che propone un voucher dal 2025 alle famiglie che hanno un reddito Isee fino a 40mila euro viene riconosciuto “spendibile esclusivamente presso una scuola paritaria”, per un importo annuale massimo pari a euro 1.500 per ogni studente frequentante. La proposta – firmata dal deputato FdI Lorenzo Malagola – prevede un finanziamento complessivo massimo di 65 milioni annui.
Una proposta su cui insorge l’opposizione: “Pensavamo che con i tagli alla scuola pubblica ed ai posti in organico del personale scolastico in questa manovra si fosse già toccato il fondo, ma con gli emendamenti della maggioranza si sta iniziando a scavare”, sottolineano in una nota gli esponenti M5S in commissione cultura alla camera Antonio Caso, Anna Laura Orrico e Gaetano Amato.
“Fratelli d’Italia ha messo nero su bianco la proposta choc di dare un voucher fino a 1.500 euro all’anno esclusivamente a chi è iscritto a scuole private. Il messaggio che stanno dando è fin troppo chiaro: da un lato con le misure di Valditara e proposte come queste affossano la scuola pubblica, dall’altro foraggiano quelle private sia direttamente che indirettamente incentivando le famiglie ad iscrivere lì i propri figli per avere il voucher. Una misura che ricalca la nostra dote educativa, ma stravolgendone il senso perché va ad aumentare le disuguaglianze discriminando in maniera insensata le famiglie che scelgono gli istituti pubblici. A questo punto .- concludono i pentastellati – ci chiediamo: ma che cosa ha fatto la scuola pubblica a Giorgia Meloni per essere così bistrattata? Perché a Fratelli d’Italia la scuola pubblica fa così schifo?”.
(da agenzie)

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A MILANO SEMPRE PIU’ POVERI TRA LE COPPIE CON FIGLI: “NON RIESCONO A COMPRARE I LIBRI DI SCUOLA”

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

NON POSSONO PAGARE NEANCHE LE SPESE MEDICHE

“C’è un’estrema povertà che non sta nelle strade, ma che invece entra nelle case, abusive e non, e che si insinua nel lavoro, il lavoro precario, quello saltuario, il lavoro sottopagato”: a dirlo è il presidente di Progetto Arca, Alberto Sinigallia relativamente alla condizione della popolazione che vive a Milano. Sempre la Fondazione ha organizzato, per i trent’anni di attività, un flash mob davanti a Palazzo Marino con duecento persone sdraiate e avvolte da coperte.
“Siamo parlando di una miseria che riguarda sempre più le famiglie con minori, condiziona l’accesso all’istruzione e le relazioni sociali e che ipoteca il nostro futuro”, ha riportato il quotidiano Il Corriere della Sera.
La Fondazione ha commissionato a Bva Doxa uno studio su cinque città, tra le quali c’è anche Milano. Nel capoluogo meneghino è stato considerato un campione di 250 persone che fanno la spesa nei mercati solidali della fondazione. Il 60 per cento di loro vive con figli minorenni.
Il 54 per cento sostiene che gli amici di famiglia sono spariti, il 34 per cento di evitare le occasioni di incontro “per l’imbarazzo di mostrarsi fragile”. Il 37 per cento inoltre non riesce a pagare il doposcuola o a evitare che i figli vengano bocciati, il 38 per cento non può iscriverli ad attività sportive e il 20 per cento a comprare i libri di testo.
Una condizione davvero terribile per i genitori e per i figli. Purtroppo si rinuncia anche a spese mediche, tagliare i capelli e ovviamente anche ad andare in vacanza. Nonostante le difficoltà, il 41 per cento degli intervistati milanesi “spera di ritrovare la serenità a breve”.
(da agenzie)

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IN ITALIA 200.000 BAMBINI TRA 0 E 5 ANNI DI ETÀ VIVONO IN POVERTÀ ALIMENTARE, OVVERO IN FAMIGLIE CHE NON RIESCONO A GARANTIRE ALMENO UN PASTO PROTEICO OGNI DUE GIORNI

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

RAPPRESENTANO L’8,5% DEL TOTALE E OLTRE LA METÀ RISIEDE AL SUD E NELLE ISOLE… QUASI UN BAMBINO SU 10 DELLA STESSA FASCIA D’ETÀ VIVE IN UNA CASA NON ADEGUATAMENTE RISCALDATA IN INVERNO

In Italia duecentomila bambini tra 0 e 5 anni di età vivono in povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire almeno un pasto proteico ogni due giorni. Rappresentano l’8,5% del totale e oltre la metà risiede al Sud e nelle isole, dove la percentuale sale al 12.9%, contro il 6,7% del Centro e il 6,1% del Nord.
Quasi un bambino su 10 della stessa fascia d’età, pari al 9,7%, ha sperimentato la povertà energetica cioè ha vissuto in una casa non adeguatamente riscaldata in inverno. Sono alcuni dei dati inediti relativi al 2023 dell’Atlante dell’Infanzia (a rischio) di Save The Children, che ha dedicato la XV edizione del volume ai primi anni di vita dei bambini.
Anche per la povertà energetica ci sono forti disparità territoriali: al Sud e nelle isole è al 16,6% rispetto al 7,3% del Centro e al 5,7% del Nord. Anche in questo caso la percentuale a livello nazionale è cresciuta rispetto al 2021, quando era all’8,6%. Queste deprivazioni nei primi anni vita, viene sottolineato, costituiscono per le bambine e i bambini che le vivono fattori nocivi alla salute e al benessere che si protraggono anche nelle fasi successive della vita e divengono fattori di trasmissione della povertà alle generazioni successive.
“Sempre meno bambini e sempre più poveri” sintetizza Save The Children ricordando che l’Italia nel 2023 ha stabilito un nuovo record negativo per la natalità con meno di 380mila nuovi nati, mentre la povertà continua a colpire i minori e i più piccoli, in particolare l’Istat ha certificato che il 13,4% tra 0 e tre anni è in povertà assoluta, mentre l’incidenza maggiore si registra nella fascia di età compresa tra 4 e 6 anni (14,8%).
Sempre sul tema della natalità, nell’Atlante viene ricordato che i bambini tra 0 e 2 anni rappresentano appena il 2% della popolazione italiana ma lo squilibrio è destinato ad ampliarsi in futuro. Secondo una elaborazione Ifel realizzata per Save The Children, anche dal punto di vista territoriale, i dati confermano “una desertificazione progressiva”: nel 2023 in 340 comuni italiani sotto i 5mila abitanti non è nata nessun bambino e in 72 comuni non ce ne sono sotto i 2 anni.
È il Piemonte la regione con il maggior numero di Comuni in cui non ci sono bimbi sotto i 3 anni (34), seguita da Lombardia (10 comuni) e Abruzzo (8). La Sardegna è invece la regione con la minore incidenza di bambini da 0 a 2 anni rispetto alla popolazione totale, con l’1,49%, mentre nella Provincia di Bolzano si registra il tasso più alto, con il 2,76%.
(da agenzie)

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“NON METTERMI NEI GUAI”: GIORGIA MELONI SENTE MUSK PER SMINARE UN POSSIBILE INCIDENTE DIPLOMATICO COL QUIRINALE DOPO GLI ATTACCHI DEL MILIARDARIO KETAMINICO AI GIUDICI ITALIANI

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

A FAR MUTARE LINEA ALLA DUCETTA, CHE IN PASSATO DENUNCIAVA LE INTROMISSIONI DEI LEADER UE NELLA VITA DEGLI ITALIANI E OGGI TACE, E’ L’INCARICO NELLA NUOVA AMMINISTRAZIONE USA DI “MISTER TESLA” CHE NON E’ PIU’ SOLO UN PRIVATO CITTADINO PER QUANTO POTENTISSIMO (E’ L’UOMO PIU’ RICCO DEL MONDO)… MUSK SE NE FREGA E DICE CHE CONTINUERÀ A INTERVENIRE A SUO PIACIMENTO – IMBARAZZO IN FRATELLI D’ITALIA, UN DIRIGENTE SI CHIEDE COME SI FARÀ A INVITARLO UN’ALTRA VOLTA AD ATREJU DOPO LA LITE COL COLLE

Nelle ultime 24 ore Giorgia Meloni ha avuto un assaggio di quanto complicata – per quantocruciale, per riaccreditarsi col giro di Donald Trump – sia la relazione con Elon Musk. E il magnate di Tesla non si è ancora formalmente appuntato i galloni di “Doge”, direttore del dipartimento per l’efficienza governativa appena annunciato dal tycoon.
Meloni non voleva intervenire. Questa era la linea di palazzo Chigi fino alla notte di martedì, trasmessa ai parlamentari di FdI. Poi però, di mattina, il copione cambia. Interviene il Quirinale, per difendere l’interesse nazionale. Il Colle avvisa l’entourage della presidente del Consiglio per tempo, prima che il messaggio di Sergio Mattarella sia reso noto.
E allora, al telefono col sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, Meloni studia la strategia. Il silenzio, col passare delle ore, diventa sempre più imbarazzante, anche per ragioni elettorali: una leader sovranista non può passare, nell’opinione pubblica, come indifferente all’intromissione di un potente straniero, per quanto amico. E sì, Musk è ancora «un privato cittadino», come ha ripetuto Meloni in questi giorni, ma da ieri questa narrazione scricchiola, perché la notizia dell’incarico nella nuova amministrazione Usa è ufficiale.
Dunque, che fare? Meloni non può rompere col proprietario di X, che è il suo canale privilegiato e diretto col mondo Trump. Ma non può nemmeno, non più, far finta di nulla. A maggior ragione quando all’ora di pranzo un senatore graduato, vice-capogruppo di FdI, Raffaele Speranzon, tenta addirittura di tirare per la giacca, in un comunicato, il capo dello Stato.
A quel punto Meloni decide di intervenire. Ma non direttamente. Fa parlare prima Fazzolari (che comunque polemizza con le «ingerenze delle ong e dei media»), poi seguono altri big come Giovanni Donzelli: tutti a sostegno del Colle, per evitare clamorosi strappi. Meloni, nonostante tutto, non si espone in prima persona. Lo fa solo attraverso «fonti di Palazzo Chigi».
Soprattutto, la premier cerca direttamente Musk, con cui è abituata a confrontarsi via Whatsapp. Nella telefonata, secondo alcune fonti informate del colloquio, in modo estremamente «amichevole» la premier avrebbe riportato all’imprenditore la ridda di reazioni in Italia, gli attacchi della sinistra, l’intervento del Colle.
E gli avrebbe fatto presente quello che aveva già condiviso con altri della sua cerchia: Musk da privato cittadino è libero di intervenire, perché c’è la libertà di espressione, ma se continuasse a esternare su delicate questioni nazionali quando sarà in carica, la metterebbe in difficoltà. Non è chiaro se Musk abbia recepito – o assecondato – questa seconda parte. Perché sì, poi fa stilare una nota al suo braccio destro a Roma, per elogiare Mattarella. Ma persevera, aggiungendo che continuerà a intervenire a piacimento.
Intanto nel partito della premier c’è nervosismo. Giovanbattista Fazzolari, braccio destro a Palazzo Chigi, dice che bisogna rintuzzare anche le ingerenze di «governi, Ong e grandi media».
Anche se c’è chi si chiede come si farà a invitarlo un’altra volta ad Atreju dopo la lite: «Ci creerebbe imbarazzo», dice un dirigente a La Stampa. Mentre il senatore veneziano Raffaele Speranzon dice che le parole del Quirinale «saranno utili ai politici stranieri che attaccheranno le istituzioni italiane, governo compreso».
Intanto lo scrittore Alexander Stille, docente di giornalismo alla Columbia University di New York, dice al Fatto Quotidiano che Musk «non è una persona come le altre. È un uomo piuttosto umorale, lunatico, imprevedibile. Soprattutto è l’uomo più ricco del mondo ed è riuscito ad accreditarsi, almeno per il momento, come braccio destro di Donald Trump».
(da Open)

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È STALLO A BRUXELLES: VON DER LEYEN, SOTTO ACCUSA PER L’APERTURA A ECR, HA POCHI GIORNI PER RICUCIRE LO STRAPPO. L’IPOTESI ESTREMA: ELIMINARE LE CARICHE DEI VICEPRESIDENTI PER FAR SPARIRE I VETI INCROCIATI

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

FITTO METTE NEI GUAI URSULA: I SOCIALISTI METTONO IL VETO SULLA VICEPRESIDENZA AL MELONIANO E, PER RITORSIONE, I POPOLARI FANNO TRABALLARE LA POLTRONA DI TERESA RIBEIRA

L’Europa è paralizzata. Salta l’accordo nella ex maggioranza Ursula e il bis di von der Leyen barcolla. Tutto è rinviato alla prossima settimana. Giorni utili per tentare di ricucire uno strappo piuttosto ampio. Nel frattempo il via libera da parte del Parlamento ai sei vicepresidenti designati e al Commissario ungherese Várhelyi è stato bloccato.
I nodi sono essenzialmente due: Raffaelle Fitto e la spagnola Teresa Ribera. Il Ppe, infatti, martedì sera ha esposto la candidata socialista di Madrid ad un vero e proprio fuoco di fila nell’audizione e ha poi chiesto di votare su di lei solo dopo che avrà risposto, in qualità di ministro di Spagna, al dibattito nell’Assemblea iberica sull’alluvione di Valencia.
Secondo i socialisti, si tratta di uno stratagemma per indebolire lei e provocare la crisi del governo Sanchez. A quel punto, tutto si è inceppato. E il gruppo S&D ha deciso di rispondere con la stessa moneta su Fitto: si esprimerà contro il candidato italiano e anche contro quello ungherese. Uno stallo messicano. Ursula von der Leyen ha provato a correre ai ripari convocando a Palazzo Berlaymont i capigruppo di Ppe, S&D e Renew.
Ma non c’è stato niente da fare. Il Pse si sente ricattato dal Ppe sulla possibilità di una nuova maggioranza con i conservatori dell’Ecr in grado di renderli irrilevanti.
Weber insiste ricordando che nella commissione Regi, quella che valuta Fitto, l’esponente meloniano può contare su una maggioranza insieme alle destre. Condizione che invece non accompagna la socialista Ribera. Si tratta di un braccio di ferro che mette a repentaglio l’esistenza stessa del nuovo esecutivo Ue. Per due motivi.
Il primo è che se Ribera e Várhelyi venissero davvero bocciati, il varo della squadra di von der Leyen verrebbe rimandato sine die. I due premier, Orbán e Sanchez, per opposti motivi, prenderebbero tempo per farla pagare alla leader della Commissione.
In secondo luogo, quando l’intero collegio si presenterà in aula per la fiducia definitiva, senza S&D e Verdi mancherebbero quasi duecento voti. Se si considera che a luglio von der Leyen è passata con 401 sì e che la maggioranza è di 361 (anche se basterà la maggioranza semplice) è difficile trovare una compensazione con Ecr, Patrioti e i neonazisti dell’Afd.
Secondo l’eurodeputato dem Nicola Zingaretti, allora, «spetta alla presidente della Commissione chiarire se l’asse della maggioranza è cambiato». Una linea che ha irritato Giorgia Meloni. «Signore e signori — ha attaccato — ecco a voi la posizione del gruppo dei socialisti europei, nel quale la delegazione più numerosa è quella del Pd di Elly Schlein: a Raffaele Fitto, commissario italiano, va tolta la vicepresidenza della Commissione che la presidente von der Leyen ha deciso di affidare. L’Italia, secondo loro, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra».
Parole, in realtà, che hanno irrigidito le posizioni. Anche i Verdi sono ormai passati dal favore di luglio all’opposizione. «I giochi politici irresponsabili e miopi del Ppe — dice la capogruppo Terry Reintke — stanno mettendo a repentaglio l’alleanza democratica di questa assemblea». Più morbidi i liberali di Renew. Il loro obiettivo è in primo luogo quello di far promuovere il commissario francese Séjourné e quindi «invitano a tornare al tavolo, ad agire in modo responsabile e a evitare un collasso politico».
Adesso la palla è nelle mani della presidente della Commissione che deve trovare una mediazione entro la prossima settimana. «La signora Ribera — hanno fatto sapere da Palazzo Berlaymont — è la commissaria designata proposta dalla Spagna. Ursula von der Leyen ha riposto la sua fiducia nella signora Ribera».
Ma non basterà questo per sbloccare la situazione. Qualcosa sui confini della maggioranza politica e sulla squadra dei vicepresidenti dovrà farla (una delle ipotesi è che elimini per tutti la carica). Oppure rischierà di arrivare alla resa dei conti. E una commissione bocciata in Aula sarebbe davvero un caso senza precedenti per l’Ue.
(da la Repubblica)

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IL GOVERNO SI VERGOGNA DI AMMETTERE CHE STA REGALANDO ALTRE MOTOVEDETTE AI CRIMINALI LIBICI E HA SEGRETATO LA DONAZIONE (ANCHE ALLA TUNISIA)

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

IL GOVERNO METTE NEL MIRINO ANCHE LE SEZIONI IMMIGRAZIONE DEI TRIBUNALI: “NON DECIDERANNO PIU’ I TRATTENIMENTI” (LA DECISIONE PASSERA’ ALLE CORTI DI APPELLO). LA PROTESTA DELL’ASSOCIAZIONE MAGISTRATI

Un blitz per togliere competenze sui migranti trattenuti e sottoposti alla procedura accelerata di frontiera alle sezioni specializzate dei tribunali di primo grado e passarle alla Corte di appello: è la clamorosa contromossa del governo e della maggioranza contro chi sta smontando il giocattolo albanese.
Ma c’è molto di più nella raffica di emendamenti che la deputata Sara Kelany, FdI, relatrice del decreto Flussi, ha presentato nella serata di martedì alla Camera. C’è ad esempio una cortina di silenzio che si alzerà sulle prossime motovedette che l’Italia donerà alle Guardie costiere di Tunisia e di Libia.
L’emendamento “motovedette” è chiarissimo: si utilizza un cavillo del Codice degli appalti per stendere il segreto su questa particolare forma di fornitura. «Nell’ambito delle iniziative volte al rafforzamento delle capacità di gestione e controllo delle frontiere e dei flussi migratori – si legge nella Relazione di accompagnamento – e per le attività di ricerca e soccorso in mare, lo Stato italiano provvede a cedere a Paesi esteri mezzi e materiali da destinare alle predette finalità… impongono la necessità di adottare speciali misure di sicurezza nell’esecuzione dei relativi contratti».
Il primo a scoprire l’inghippo è stato Riccardo Magi, segretario di +Europa. Dice: «Al governo non basta neppure nascondere i prossimi trasferimenti di motovedette alla Tunisia o alla Libia per fargli fare il lavoro sporco. Prevede pure una deroga all’obbligo di “motivazioni” quando si ricorre a questo tipo di forniture segrete. Vogliono il silenzio assoluto sugli aiuti a quelle cosiddette Guardie costiere».
Del resto buona parte della strategia italiana contro i flussi di immigrazione clandestina fa perno sulla Tunisia, sia per frenare le partenze, sia per riprendersi i suoi cittadini sbarcati in Italia.
«Il governo e la maggioranza – denuncia Giuseppe Provenzano, Pd – continuano a ignorare le gravi violazioni dei diritti umani in Tunisia. È grave anche che il governo si rifiuti di sollecitare un’indagine europea urgente sulle condizioni dei migranti in Tunisia, ignorando le molte denunce di abusi e violenze, e continui a considerare la Tunisia come un Paese sicuro».
Il colpo di mano sui tribunali, però, è sicuramente la novità più clamorosa e alimenta un nuovo capitolo nello scontro con i magistrati. Siccome le sezioni specializzate sull’immigrazione (in particolare quella di Roma che decide sui migranti portati in Albania) passano per essere le “nemiche” del governo perché bocciano i trattenimenti ordinati dai questori, di fatto inceppando il meccanismo delle procedure accelerate su cui tanto contava Giorgia Meloni, la contromossa è togliergli la competenza. Già, perché trasportare i richiedenti asilo in Albania è ritenuto fondamentale a palazzo Chigi per l’effetto “deterrenza” sulle partenze.
Così si passa la palla alle Corti di appello, «che però – denuncia il deputato Matteo Mauri, Pd – sono già sotto pressione. Ma la cosa più grave è che dal 2017 si occupavano di questa materia dei giudici che si sono specializzati e conoscono a fondo la situazione dei Paesi dove i migranti verrebbero rimandati. In Corte di appello sarà un tourbillon di persone».
Aggiunge Magi: «Non potendo fare l’emendamento Musk per cacciare i giudici che non obbediscono, per mascherare il fallimento dell’esperimento albanese, governo e maggioranza continuano a intervenire compulsivamente e in modo isterico sulla normativa che disciplina il trattenimento delle persone che fanno richiesta di asilo. La scelta del governo è dettata unicamente dal tentativo isterico di cambiare giudici sui provvedimenti relativi alla detenzione in Albania».
Dall’associazione nazionale magistrati puntualmente si fa sentire il segretario generale Salvatore Casciaro: «L’impugnazione in Corte d’appello contro i provvedimenti in materia di protezione internazionale e l’attribuzione alla stessa Corte della competenza sulle convalide dei trattenimenti renderanno plausibilmente meno celere la definizione dello status dei richiedenti asilo, col rischio di allungare anche i tempi di permanenza di coloro che non hanno titolo per restare in Italia. Si tratta di modifiche in grado di ingolfare gli ingranaggi della macchina della giustizia alimentando, in tempi di Pnrr, nuovo rilevante contenzioso per le Corti d’appello, già – come noto – oltremodo oberate».
(da la Stampa)

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MELONI E MUSK: QUANDO SEI COERENTE SUI VALORI

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

LA LINEA “ELON MUSK E’ UN PRIVATO CITTADINO” E’ PATETICA… MUSK E’ L’ANTITESI DEI VALORI DELLA DESTRA TRADITA DALLA MELONI

La linea “Elon Musk è un privato cittadino”, stabilita dalla Meloni al Consiglio Ue di Budapest (in merito agli insulti al cancelliere Scholz da parte del genio spaziale che l’ha definito “uno stupido” sul suo X) e propalata con zelo da tutta la nostra mediasfera liberale fino ai conduttori di Tg in diretta nazionale, è caduta poche ore dopo, quando Trump ha nominato Musk capo di un cosiddetto Dipartimento per la efficienza governativa o quello che è. Pazienza.
Resta però un’aporia di fondo. Meloni, sovranista di primo conio, attenta (quasi paranoicamente) alle “ingerenze internazionali” prima di diventare la migliore amica di Ursula von der Leyen, ha permesso a Musk, suo amico di WhatsApp e nuovo idolo di Atreju, di mettere bocca sui magistrati italiani che “se ne devono andare”.
Perché? Perché hanno annullato il trasferimento di un’orda di ben 7 immigrati in Albania che volevano invaderci, rimandando la questione alla Corte di Giustizia europea; cioè hanno applicato la legge, la quale – con grande sdegno di Musk e di tutto il governo di deportatori di disabili e potenziali profughi – contrasta coi decreti inutili e dispendiosi del governo Meloni. Giorgia zitta, muta (ha parlato solo l’inservibile Salvini, ovviamente per dare ragione al suo capo-troll); del resto che aspettarsi da una che definì le tasse “pizzo di Stato”, un caposaldo costituzionale assimilato al racket dei mafiosi ai negozianti. Quando una ha senso dello Stato.
Giorgia è così: un giorno si fa baciare in testa da Biden, da brava scolaretta che ha imparato la lezione per cui può fare la matta in patria quanto le pare, ma non deve azzardarsi a fiatare sul foraggiamento dell’Italia alle guerre della Nato; il giorno dopo flirta col Pico della Mirandola di Trump solo perché sputa sulla Magistratura di zecche rosse. Quando si tratta di difendere la Patria, si intende dai poveracci; i miliardari facciano come a casa loro. Elon Musk ce lo ricordavamo che manda razzi nello spazio coi soldi della Nasa (alcuni esplodono, con somma letizia dei fan di Jurij Gagarin); che retwittava Sgarbi sul Covid (“è un complotto”), che voleva il Colosseo per battersi a duello con Zuckerberg (era Sangiuliano che voleva darglielo, ma pure l’Arena di Verona o Pompei, a disposizione); che riceveva Renzi presidente del Consiglio nel 2017, come riportavano i giornali in visionari reportage dalla Silicon Valley, “Far West vero”, come scrisse Rampini su Repubblica, fugando il dubbio che Renzi se ne fosse fatto costruire uno finto nei pressi di Fiesole.
Che giorni! Il pioniere-cowboy scriveva newsletter ispirate-lisergiche: “Investire sulla ricerca, non aver paura del futuro e della scienza!”: intanto la sua legge di Stabilità tagliava 42 milioni di fondi agli enti di ricerca. Col “vulcanico fondatore di Tesla” parlava alla pari di intelligenza artificiale e viaggi su Marte (chissà in che lingua); La Stampa gli dedicò la prima pagina: “Renzi in Usa: cerco idee anti-populisti”, tipo Duce che visita gli stabilimenti di Terni. Alla Meloni ha rimproverato la primogenitura della sua liaison con Elon: “Perché invece di fare passerelle con Musk ad Atreju non gli chiede di portare in Italia uno stabilimento della Tesla?”. Non si sa se lui lo fece; rimediò però un contratto con l’Università di Stanford per insegnare nella filiale fiorentina non si sa che materia (forse come si passa dal 40% al 2% dei voti e da 15 mila euro in banca a 3 milioni). L’attrito più greve, però, valoriale e antropologico, di cui forse il duumvirato Giorgia-Arianna Meloni non si rende conto (la formazione culturale è quella che è), riguarda il fatto che Giorgia anni addietro si intestò la carica di guida dei conservatori europei, gente impegnata nella difesa della tradizione, dei “nostri valori”, delle nostre radici cristiane, principalmente dall’invasione islamica, certo, ma non solo: tutto ciò che è moderno, fluido, non canonico e meticcio mette a rischio la nostra identità, la nostra località, la “famiglia naturale”, la natalità e tutto il ricettario esposto nelle cosiddette Tesi di Trieste, manifesto ideologico di FdI (lei ha una figlia fuori dal matrimonio ed è separata, così come tre quarti di governo, vabbè). E questi famosi valori tradizionali la underdog Giorgia li vuole tutelare agganciandosi ideologicamente col miliardario Elon Musk, che è la negazione di ogni valore tramandato e comunitario ed è anzi il prototipo dell’uomo vitruviano del Terzo millennio: senza ideologie, amorale, cinico, uno che non rispetta la Storia, che vive nell’attimo, che si droga con tutte le droghe possibili, dalla marijuana, che questo governo di bacchettoni ha vietato anche nella forma senza principio attivo (che è come vietare il prezzemolo), all’anestetico per cavalli (“scusi, lei spaccia?”), che è ricorso alla maternità surrogata, che ha chiamato il figlio con un nome da replicante di Blade Runner, che ha una figlia transgender e non paga le tasse (ah ecco, questo sì, per il governo amico degli evasori, è uno dei nostri valori). Quando una è coerente.
(da Il Fatto Quotidiano)

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LA CLINICA DI GEMMATO TRA AIUTI COVID E SOLDI A FDI: I DUBBI SUL SOTTOSEGRETARIO

Novembre 14th, 2024 Riccardo Fucile

IL POLITICO VICINO ALLA PREMIER E’ SOCIO DI THERAPIA CHE HA DONATO 10.000 EURO AL PARTITO… L’AZIENDA HA BENEFICIATO DEI SOSTEGNI PER COVID, MISURA OSTEGGIATA DA FDI

Marcello Gemmato ha giurato di non aver compiti all’interno di Therapia, la società privata che opera nell’ambito della sanità di cui ha le quote da anni. Ma al di là delle mansioni interne, l’azienda con sede a Bitonto (Bari) vanta un’innegabile vicinanza a Fratelli d’Italia.
Domani ha rintracciato un versamento di 5mila euro risalente allo scorso giugno. Cifra che raddoppia con la donazione di altri 5mila euro fatta da Therapia medical, in cui non figura il sottosegretario alla Salute, ma che è nei fatti una controllata di Therapia (detiene il 60 per cento delle azioni), e in cui si muove da padrone di casa un fedelissimo di Gemmato, Andrea Vacca.
Non solo. Therapia si à fatta pubblicità criticando la lentezza del sistema sanitario pubblico e invitando a rivolgersi al privato per le diagnosi. Dall’altra parte ha attinto alle risorse statali grazie ad alcune misure, come il decreto Rilancio varato dal governo Conte II.
Un provvedimento disprezzato da Fratelli d’Italia, ma prezioso per le imprese. Comprese quelle vicine a FdI.
Soldi a FdI
Ma andiamo con ordine. «Le polemiche stanno a zero», diceva a fine ottobre Gemmato, che da sottosegretario alla Salute ha respinto le accuse di conflitti di interessi, sollevate dalle opposizioni sul suo ruolo in Therapia. La notizia svelata da Sergio Rizzo, nello studio di Giovanni Floris su La7, e rilanciata dal Fatto Quotidiano, ha sollevato un polverone politico.
Ma c’è una relazione ancora più stretta tra la società e la politica. Therapia non ha solo un socio che è esponente di spicco di Fratelli d’Italia. Il legame, ha scoperto Domani, è anche finanziario: l’azienda sanitaria ha versato 5mila euro a FdI più altri 5mila euro elargiti attraverso la Therapia medical. da chi ha interessi nel privato ma dovrebbe pensare alla sanità pubblica.
Le somme sono affluite lo scorso giugno nelle casse di FdI Puglia, l’articolazione regionale del partito di Meloni. Un territorio in cui il sottosegretario alla Salute sta mettendo radici, potendo contare su un supporto a trazione familiare, dal fratello Ninni Gemmato, ex sindaco di Terlizzi, al nipote Alberto Gemmato, in rampa di lancio nelle gerarchie locali di Fratelli d’Italia.
Quelle di Therapia sono donazioni dichiarate nell’apposito registro ufficiale e confermate dai vertici dell’azienda sanitaria. I soci delle sue srl sono l’esempio dei mondi di riferimento di Gemmato a partire da Andrea Vacca, erede della farmacia Matteotti di Bitonto, fondata dal padre.
Gira e rigira, il sottosegretario farmacista ha sempre amici in quel settore. E infatti Vacca è presidente del consiglio di amministrazione di Therapia e vice della srl controllata. Domani ha chiesto le ragioni dei 10 mila euro destinati a Fratelli d’Italia e Vacca, il farmacista-imprenditore, ha risposto: «Certo non lo vengo a dire a lei i motivi. Sono decisioni prese all’interno della società».
Vacca ha poi negato un ruolo di Gemmato sulla decisione di elargire le risorse alla branca pugliese di FdI. «Mi piace la politica di Giorgia Meloni, non è mica un reato», ha tagliato corto. Sorvolando sul fatto che nella compagine societaria figuri un amico di vecchia data della premier, come Gemmato, che questa estate ha fatto da padrone di casa durante le vacanze pugliesi, in Valle d’Itria, della presidente del Consiglio
Le due società
Sia Therapia che la controllata Therapia medical si occupano di prestazioni sanitarie private. La società, in cui ha le quote il sottosegretario (che ha annunciato la dismissione), gestisce tre poliambulatori medici e diagnostici a Bari e dintorni. Dalla dimensione regionale sono, però, finite sotto i riflettori nazionali.
La Therapia ha fatto uno spot sul proprio sito per promuovere le prestazioni private, attaccando la qualità del Ssn. Gli accertamenti «senza dover attendere i lunghi tempi del Servizio sanitario pubblico», prometteva l’azienda in cui è socio Gemmato.
Che un laboratorio privato sponsorizzi prestazioni e rapidi tempi delle visite è scontato, molto meno che tra i soci risulti chi dovrebbe occuparsi di sanità pubblica. Un piede di qua e un piede di là. E un cortocircuito con pochi paragoni. Il sottosegretario, già bersagliato per le dichiarazioni dubbiose (poi corrette) sui vaccini anti-Covid, ha dovuto difendersi con un lungo post sui social.
La vicenda aveva spinto la segretaria del Pd, Elly Schlein, a intervenire con parole durissime: «Lo abbiamo sempre detto. La destra non sta smantellando la sanità pubblica per sciatteria, ma per un preciso disegno. E chi ci guadagna? Solo loro, la destra».
Tra pubblico e privato
Con il finanziamento e il mix di interessi privati e pubblici si aggiunge un nuovo capitolo nella saga riguardante la società partecipata da Gemmato. Tutto legittimo, certo. Ma Therapia è stata al centro di un’altra vicenda. Da un lato la critica alla lentezza della sanità pubblica, dall’altro la richiesta di risorse pubbliche.
La società barese, durante l’emergenza pandemica, ha infatti usufruito – come altre realtà imprenditoriali – delle agevolazioni previste dal decreto Rilancio voluto dal governo Conte II.
Sono arrivati oltre 5mila euro a fondo perduto a cui si sommano altri 6mila di crediti di imposta. Ed è singolare che una società, con all’interno Gemmato, abbia beneficiato di quel provvedimento, bocciato da FdI in parlamento.
Meloni, all’epoca barricadera esponente dell’opposizione, aveva definito il decreto «una mangiatoia». Senza contare che tra le sovvenzioni ci sono altri 75mila euro, giunti tramite l’erogazione della regione Puglia. Il pubblico è lento. Ma è sempre buono per ricevere soldi.
(da editorialedomani.it)

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