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AL QUIRINALE HANNO LE PALLE PIENE PER LE SPARATE ANTI-GIUDICI DEL GOVERNO DUCIONI: “NEANCHE AI TEMPI DI BERLUSCONI…”

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

SERGIO MATTARELLA, CHE È IL CAPO DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, È IRRITATO PER IL CLIMA DI DELEGITTIMAZIONE COSTANTE DELLE TOGHE DA PARTE DELLA MELONI E DEI SALVINI… DI SCAZZO IN SCAZZO, MATTARELLA POTREBBE RISPONDERE IL 31 DICEMBRE, SCODELLANDO UN DURISSIMO DISCORSO DI FINE ANNO IN MODALITA’ COSSIGA

Tra le stanze damascate del Quirinale serpeggia un certo malumore. I fermenti negativi che angustiano il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella riguardano i sempre più controversi e faticosi rapporti con il Governo Meloni.
I mal di pancia ” sono esplosi con l’ammissione: “Più volte ho promulgato leggi che non condividevo, che ritenevo sbagliate e inopportune, ma erano state votate dal Parlamento”.
Il riferimento, neanche troppo velato, è alle misure adottate dal Governo di destra-centro, come la trasformazione della gestazione per altri in “reato universale”, con la definitiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (la firma di Mattarella risale al 4 novembre ma è stata resa noto solo ieri).
Ma la “Gpa” non è l’unico boccone amaro che al Colle hanno dovuto ingoiare: dal decreto anti-rave dell’ottobre 2022 (a Governo appena insediato) fino al premierato e all’autonomia differenziata, la riforma della giustizia, il decreto migranti, i motivi di imbarazzo per il Presidente della Repubblica in questi anni non sono mancati, al punto da far bisbigliare, soprattutto sul conflitto con i magistrati: “Neanche ai tempi di Berlusconi”.
Il presidente, che guida il Consiglio Superiore della Magistratura, è molto irritato per il clima di delegittimazione continua che si è creato tra politici e toghe. Ne intravede i rischi, e ne ha più volte denunciato i pericoli. Il risultato è che il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, in barba a qualunque senso di opportunità, ha fatto visita a Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, avvisando solo informalmente il Colle.
Un atto irrituale e fuori luogo a cui ha fatto seguito, guarda caso, l’emendamento che, sulla questione dei rimpatri di migranti, sposta il baricentro dalle decisioni dai tribunali ordinari alle corti d’appello.
Il Colle ce l’ha anche con il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per la durezza con cui sferza continuamente i magistrati e per aver ceduto alle pulsioni anti-toghe della maggiora
La ciliegina sulla torta è arrivata quando le consigliere laiche del Csm, Isabella Bertolini della Lega e Claudia Eccher di FdI, hanno chiesto un provvedimento disciplinare per il giudice Stefano Musolino, reo di aver attaccato il Governo (“Non si possono inventare nuove norme per radicalizzare il dissenso e, addirittura, criminalizzarlo”; “Non esiste un’imparzialità come condizione pre data, come stato del magistrato, l’imparzialità è qualcosa verso cui si tende”; “Perché invece quelli (i magistrati) che sono un po’ più dissenzienti verso le politiche del governo rischiano di non esserlo più (imparziali)”).
L’insofferenza del Quirinale per questa tenzone continua potrebbe trovare un punto di rottura il 31 dicembre.
Secondo alcune indiscrezioni trapelate dal Colle, Sergio Mattarella sta pensando di fare un discorso di fine anno sul modello Cossiga: una “picconata” politicamente dirompente contro il Governo Ducioni e i partiti.
E se Cossiga, nelle sue esternazioni, spesso finiva per essere esondante e caricaturale, il mite Mattarella ha una capacità di comunicare i suoi messaggi in modo asciutto e assertivo, tale da impedire confusioni. Nessuno potrà nascondersi dietro presunti fraintendimenti.
(da Dagoreport)

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“DOMANI” INDAGA SULLA SOCIETÀ “DEAS” DI STEFANIA RANZATO: UN “GIOIELLINO” CHE FATTURA 20 MILIONI DI EURO, GRAZIE A RICCHI APPALTI CON IL MINISTERO DELLA DIFESA, MARINA E AERONAUTICA MILITARE, E HA SCATENATO UNA GUERRA TRA LE AZIENDE RIVALI

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

“DEAS” ORA VALE 100 MILIONI DI EURO, E POTREBBE ESSERE ACQUISTATA DA “MATICMIND”, SOCIETÀ FONDATA DA CARMINE SALADINO (AMICO DI CROSETTO, CHE HA VISSUTO NELLA CASA ROMANA DELL’IMPRENDITORE). O IN ALTERNATIVA, DA LEONARDO

Contratti milionari con il ministero della Difesa, segreti militari, algoritmi complessi. L’affare della cybersicurezza vale oggi svariati miliardi di euro. Anche perché l’Italia è tra i paesi più esposti agli attacchi hacker. Un allarme che imporrebbe la massima collaborazione. Eppure, da quanto risulta a Domani, è in corso una feroce guerra commerciale tra le aziende del settore, che sta agitando il comparto dei servizi segreti e la politica.
Al centro della battaglia c’è un giocatore nuovo: la Deas, società che negli ultimi anni è letteralmente esplosa, prendendo appalti d’oro dalla pubblica amministrazione. Sedi tra Milano e Roma, è un «gioiellino», assicura chi ha avuto rapporti con la società specializzata in difesa da intrusioni informatiche e in cui lavorerebbero ex hacker dalle grandi capacità tecniche.
Ma il successo, come sempre, produce molti nemici. I maligni, infatti, raccontano che la rapida ascesa sarebbe il frutto – più che del merito – di rapporti privilegiati tra Deas e esponenti della Difesa e dell’intelligence.
«Diamo fastidio a chi ha monopolizzato per anni il settore», dice a Domani Stefania Ranzato, imprenditrice rampante, si sarebbe detto un tempo, oggi socia unica e amministratrice di Deas. «Siamo seri e preparati. Insomma, siamo fighissimi, dovreste scrivere questo di noi». Ranzato guida un piccolo impero da 20 milioni di fatturato. In tre anni è arrivata in cima al comparto sicurezza e intelligence.
La crescita di Deas, un milione di capitale sociale, è frutto anche degli appalti ottenuti dal ministero della Difesa, oggi guidato da Guido Crosetto. Negli uffici del dicastero gli elogi si sprecano. L’ascesa, tuttavia, inizia prima dell’insediamento del co-fondatore di FdI, in concomitanza con l’ingresso di Ranzato nell’associazione confindustriale del settore difesa e armamenti, Aiad di cui Crosetto è stato presidente fino al giuramento da ministro.
«Conosco Crosetto come conosco tutto il consiglio di amministrazione dell’Aiad», dice Ranzato a Domani che gli chiede dei rapporti con il politico.
Ora tra il 2023 e il 2024 Deas ha ricevuto pagamenti in quattro tranche per un totale di 5,4 milioni di euro da Teledife, la sigla della direzione informatica, telematica e tecnologie avanzate del ministero della Difesa. L’oggetto è generico: «Servizi di sviluppo software e assistenza framework» (2,2 milioni di euro) e il «potenziamento funzioni comando e controllo» (altri 3,3 milioni di euro).
Secondo quanto riferiscono fonti qualificate della Difesa, le cifre pagate sarebbero servite per potenziare la sicurezza cibernetica, tra cui una struttura strategica della Marina militare. Un appalto arrivato dopo la vittoria di un’apposita gara dello Stato maggiore, come avviene per lavori molto delicati e talvolta secretati. La versione di Ranzato sui soldi ottenuti da Teledife è però diversa: «Si tratta di contratti relativi all’accordo Quadro Servizi Sac 2 di Consip».
Chi dice la verità e chi mente? Meglio restare sui numeri e all’unico dato certo: i 5,4 milioni pagati da Teledife a Deas. Se i rumors sostengono che l’azienda di Ranzato abbia la stima di Crosetto e di pezzi da novanta dei servizi come l’attuale vice direttore del Dis Giuseppe Del Deo, dalla Difesa spiegano che queste procedure di affidamento vengono svolte nelle direzioni della Difesa, e che nulla passa per l’ufficio di gabinetto né nelle stanze del ministro «che non si occupa dell’assegnazione dei lavori».
Oltre ai denari di Teledife, un’altra certezza di Deas sono gli ottimi rapporti instaurati con la Marina Militare, oggi guidata dal capo di Stato maggiore Enrico Credendino. La spa si è infatti occupata della realizzazione del Polo cibernetico all’interno di una struttura della Marina, a Roma. In pratica Deas in alcuni uffici della Marina ha installato il «laboratorio per la sicurezza nazionale», l’unico ospitato in un contesto militare. «Un unicum», «esempio di partnership pubblico privato», come pubblicizzato, a luglio 2022, dalla stessa Deas.
A una certezza, però, segue un altro mistero. Nella caserma romana Deas sostiene di avere un «laboratorio di valutazione». Tuttavia, l’azienda di Ranzato, pur godendo di molte certificazioni, non è nell’elenco dei cosiddetti “Laboratori di valutazione e sicurezza” (Lvs) abilitati presso l’organismo Ocsi. Difficile districarsi in questa giungla di sigle da spy story.
In estrema sintesi: i Lvs forniscono valutazioni su programmi della Difesa non classificati. Solo undici di queste strutture vantano il “patentino” Ocsi. Deas non risulta tra queste. L’assenza di questa specifica certificazione non ha ostacolato la collaborazione con la Marina.
Nell’anno in cui Deas ha realizzato il polo cibernetico a Roma, ha svolto per la Marina lavori per due milioni di euro, nell’ambito di un accordo quadro, per lo sviluppo di una piattaforma contro gli attacchi cyber.
Nel 2021 (con i precedenti vertici dello stato maggiore) attraverso la direzione di intendenza della Marina, ha invece ottenuto affidamenti per circa 480mila euro. Sui rapporti con la Marina, Ranzato precisa che «ha conosciuto Credendino solo dopo il suo insediamento, in un incontro istituzionale». Dal mare ai cieli il passo è breve, almeno per Deas. Nel 2024 si è aggiudicata una commessa (sempre con Mepa) da 110mila euro con l’Aeronautica.
Prima dei successi con Deas, Ranzato aveva fondato la Cyber Intuition. Avventura non fortunata: perdite costanti, un rosso di quasi 400mila euro in due anni. La storia cambia nel 2018 con la Deas. Un po’ di rodaggio, poi la svolta tra il 2022 e il 2023, quando i ricavi degli appalti pubblici di Deas compiono un balzo notevole.
Nell’ultimo bilancio il fatturato raggiunge i 20 milioni, mentre l’utile sale a 8 milioni, quasi quadruplicato rispetto al 2022. «Mi sono circondata da giovani in gamba, andando a cercare le persone che erano andate a lavorare all’estero», dice Ranzato. Che poi sferra un attacco ai competitor: «Hanno scatenato una guerra perché vogliono colpirmi. C’è tanta cattiveria».
La tensione è dovuta ai miliardi (inclusi i 700 milioni del Pnrr) che girano attorno alla cybersicurezza, assegnati con appalti e affidamenti diretti dalla pubblica amministrazione, Difesa e intelligence compresi. Settori questi ultimi dove per via della segretezza necessaria spesso prevale il rapporto fiduciario con la azienda.
Una guerra esplosa da qualche mese, che trova sponde negli apparati di sicurezza, primi committenti delle imprese. Ognuna spalleggiata da cordate politico-istituzionali differenti. E che si combatte anche dentro l’Aiad, associazione di categoria confindustriale del settore difesa e armamenti di cui il ministro della Difesa è stato presidente prima dell’incarico di governo
Quando Ranzato fa riferimento ai concorrenti si riferisce con ogni probabilità ad altre grandi aziende affiliate ad Aiad. In particolare a un gruppo di società che, come rivelato da Domani a ottobre 2022, hanno avuto come consulente proprio Crosetto. In particolare, parliamo di Elettronica Spa, che controlla Cy4gate specializzata in cybersicurezza. Elettronica ha beneficiato dei consigli di Crosetto retribuendolo – tra il 2018 e il 2021 – con quasi 200mila euro.
Ora Elettronica e Cy4gate, riferiscono fonti qualificate della Difesa, avrebbero visto la scalata di Deas come un pericolo per i loro affari. Cy4gate dall’entrate in scena di Ranzato ha assistito a una diminuzione costante del valore del proprio titolo in borsa: dagli oltre 13 euro ad azione nel settembre 2021 al tonfo sotto i 4 euro registrato alla borsa di Milano il 15 novembre scorso.
Sui rapporti con Ranzato e ad altre domande inviate da questo giornale, Crosetto ha preferito rispondere con un no comment. Eventuali interlocuzioni del ministro con l’imprenditrice si limitano a questioni di lavoro, assicurano però dalla Difesa. Nessun rapporto privato o personale insomma.
La storia non è finita. Perché i bilanci e le ricche commesse pubbliche hanno convinto Ranzato a provare a capitalizzare vendendo la società: la Deas è finita negli ultimi mesi sul tavolo dei vertici delle partecipate di Stato. A Domani risulta che è stata proposta in primis a Fincantieri, con cui Deas collabora, ma dai piani alti dell’azienda di stato è arrivato un deciso rifiuto. Anche perché informalmente gli sherpa dell’imprenditrice ipotizzano un prezzo altissimo, superiore ai 100 milioni di euro.
L’idea di comprare la Deas è poi venuta a Maticmind, società fondata da Carmine Saladino (che ha ancora il 15 per cento) e partecipata oggi da Cdp Equity (altro 15 per cento) e dal fondo Cvc (che ne detiene il 70). Un’azienda specializzata in cybersicurezza che Crosetto conosce bene. Il ministro è amico di Saladino e, come ha rivelato Il Fatto, ha vissuto nella casa romana dell’imprenditore per qualche tempo. Non solo: attorno a Maticmind si muovono figure vicine al meloniano. Come Giancarlo Innocenzi Botti, che di Maticmind è stato consigliere d’amministrazione e che ha voluto proprio Crosetto testimone di nozze.
Botti è stato anche socio del figlio del ministro fino al 2023, in una società in cui spuntava anche il padre dell’imprenditore Saladino con il ruolo di rappresentante di una donna che stava per entrare in affari con loro
Da quanto risulta a Domani, al pari di Fincantieri, l’operazione Deas-Maticmind non è andata in porto: mentre Cvc era pronta a fare un’offerta a Ranzato, due mesi fa Cdp avrebbe espresso parere negativo bloccando l’operazione, non convinta dai fondamentali di Deas.
In uno stadio più avanzato è invece la proposta d’acquisto di Deas portata sulla scrivania di Roberto Cingolani e Lorenzo Mariani, vertici di Leonardo, da Alessandro Daffina, capo di Rothschild Italia. Il colosso ha avviato una due diligence mesi fa per valutare la fattibilità di una possibile acquisizione intorno ai 90-100 milioni di euro.
All’interno della società, però, tutti si sono convinti che il merge non si deve fare, perché solo una piccola parte del core business di Deas sarebbe utile a Leonardo. Assai probabile che Ranzato non riesca a piazzare il colpo della vita nemmeno stavolta. Pazienza: gli affari di Deas, grazie alle commesse di pubblico e privato, vanno comunque a gonfie vele.
(da Domani)

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LA CLASSIFICA DEL SOLE24ORE SUI MIGLIORI PAESI IN CUI EMIGRARE: IN TESTA PANAMA, COLOMBIA E SPAGNA

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

DUE INDICATORI: QUALITA’ DELLA VITA E FINANZE PERSONALI… NELL’INDICE ANCHE VIETNAM, MESSICO, THAILANDIA E AUSTRIA

Qual è il miglior paese per emigrare e vivere e lavorare all’estero? Il Sole 24 Ore pubblica oggi i risultati di una graduatoria di InterNations, la più grande comunità globale di persone che vivono all’estero.
Che mette in conto due indicatori principali: la qualità della vita e le finanze personali.
In base a questo la classifica vede al primo posto Panama, seguito da Colombia, Spagna, Vietnam e Messico. Subito dopo ci sono Portogallo, Thailandia e Austria. L’indice, spiega il quotidiano, è simile alla classifica Expat Insider 2024 di InterNations – basata sulle risposte di 12.543 expat – che vede prima sempre Panama, seguita da Messico e Indonesia. La Spagna è quarta. A ruota Colombia, Thailandia, Brasile, Vietnam, Filippine ed Emirati.
L’emigrazione dall’Italia
Nel 2023 si sono iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) per la motivazione espatrio circa 89.500 connazionali, in aumento del 9,1%. Per il 45,5% si tratta di giovani fra i 18 e i 34 anni e per il 23,3% di under 50, acui si lega il 14,7% di minori, segno che si trasferiscono anche intere famiglie. Il restante 11,1% ha tra i 50 e i 64 anni e il 5,5% è over 65. Gli italiani all’estero oggi sono 6 milioni: il 70% è almeno diplomato. Ma dal punto di vista legislativo qualcosa è cambiato. «Dal 1° gennaio 2024 è in vigore la legge 213/2023, che ha introdotto una sanzione pecuniaria per i cittadini italiani residenti all’estero non iscritti all’Aire. A questa si sommano gli effetti delle restrizioni alle agevolazioni statali al rientro introdotte con il Dl 209/2023. I dati sui rimpatri saranno in calo, e torneremo a registrare rientri soprattutto di adulti maturi e pensionati», dice Delfina Licata della Fondazione Migrantes.
I paesi di destinazione
Nel 2022 e nel 2023 i principali paesi di destinazione sono stati Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia, Spagna, Brasile e Stati Uniti. L’Europa accoglie ancora la maggior parte degli italiani partiti nell’ultimo anno (il 71,6%, però era il 78,6 nel 2022). Oltreoceano si confermano destinazioni come Stati Uniti, Canada, Australia, ed emergono nuove rotte come Emirati Arabi, e il ritorno dell’Asia, fra cui spiccano il Giappone e in parte la Thailandia. Per quanto riguarda gli over 65, il discorso è duplice: «A mete fiscalmente attraenti si sommano destinazioni come Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Austria, Irlanda: ricongiungimenti a supporto dei figli, magari neo genitori», conclude Licata.
Panama e Thailandia
Panama è prima in entrambe le classifiche perché ha alloggi ritenuti accessibili, è facile ottenere il visto e ha un programma Panama Pensionado: il requisito è percepire un reddito di circa mille euro mensili, o 750 se si acquista un immobile del valore di almeno 100mila dollari, e non ha limiti di età. I redditi esteri (anche da pensione del privato) sono a tassazione zero. L’assistenza sanitaria è ottima, le bollette sono più basse e la benzina costa meno di un dollaro al litro. I pensionati hanno anche sconti del 25% su ristoranti, spese mediche e voli. L’economia è cresciuta del 2,2% nella prima metà del 2024 e il Fondo Monetario Internazionale prevede una chiusura d’anno al 2,5.
In Thailandia invece le case costano un terzo e più in generale i costi della vita sono di un terzo / un quinto più bassi rispetto all’Italia. Lo stipendio minimo che per legge si può pagare agli stranieri equivale a 1.500 euro. Il canone di affitto di un bilocale in un complesso con piscina, palestra, co-orking va dai 300 ai 500 euro al mese. Con 60 mila euro si acquista una casa di due stanze a Bangkok. L’assicurazione sanitaria costa dai 50 ai 70 dollari al mese. Il visto più adatto è il nuovo DTV Destination Thailand. I requisiti sono una prova finanziaria di circa 13mila euro in un estratto conto, l’iscrizione ad attività culturali o l’evidenza di un impiego da remoto o di un portfolio lavori.

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L’EX LAVORATORE DELLA FERRARI CHE SI LICENZIA PER GIRARE IL MONDO: “MI MANTENGO CON IL VOLONTARIATO”

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

STEFANO BEGNIS E’ INGEGNERE MECCANICO, MA ADESSO VIVE VIAGGIANDO

Stefano Begnis, 38anni, ingegnere meccanico, ha lavorato negli ultimi dieci anni alla Ferrari. Adesso però ha cambiato mestiere: Quando mi sono licenziato, terminando il mio ultimo impiego a maggio, girandomi indietro ho capito che non ero del tutto soddisfatto di ciò che avevo fatto fino ad allora. Ora invece che sono diventato un viaggiatore di professione posso dire l’opposto. Mi spiego meglio: il lavoro era interessante, io adoro le Ferrari, ma dopo dieci anni sentivo ogni giorno di sottrarre del tempo a ciò che mi fa davvero stare bene e mi fa felice: viaggiare, conoscere gente, visitare luoghi nuovi. E invece negli ultimi anni avevo fatto molto telelavoro da casa, a Modena, passando l’80% del tempo al computer. Quella vita non fa per me, avevo necessità di qualcosa di diverso: degli spazi, del mio tempo, della mia vita».
Una botta di vita
Per questo, dice Begnis a Milla Prandelli del Quotidiano Nazionale, ha cambiato vita; «Per due mesi sono stato a Brescia, in casa, a progettare il viaggio e pensare a come trovare le risorse necessarie a coprire le spese di almeno un anno intero in giro per il mondo». È partito il 23 luglio dalla stazione di Brescia: «Mi sono fermato a Venezia per omaggiare il più grande viaggiatore di tutti i tempi, Marco Polo, poi mi sono diretto a Trieste e in seguito a Lubiana. Ora invece sono in Turchia, in Cappadocia. Ho visitato una decina di nazioni, tra cui Croazia, Bosnia, Grecia, e Bulgaria». Si sposta «in treno e autobus», perché vuole gustarsi le distanze e la lentezza.
Come si mantiene
Il viaggio lo finanzia in due modi: «Ho a disposizione dei risparmi e mi appoggio alla piattaforma Work Away, che mi fornisce lavori temporanei basati sul volontariato in cambio di vitto e alloggio. Ora, per esempio, lavoro in un centro per ragazzi e bambini autistici. Poi si vedrà». Le prossime tappe, fa sapere, «sono molte. Dopo la Cappadocia visiterò un’altra parte di Turchia. Poi andrò in Georgia e di lì in Uzbekistan, Kazakistan, Azerbaijan e Cina. La mia ultima meta sarà l’Australia». E poi? «Chi lo sa».
(da agenzie)

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ALL’ANCI TIENE IL CAMPO LARGO, TROVATO L’ACCORDO PER ASSEGNARE AL SINDACO DI NAPOLI, GAETANO MANFREDI, LA PRESIDENZA DELL’ASSOCIAZIONE DEI COMUNI ITALIANI

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

VOLTO SIMBOLO DELL’ACCORDO TRA PD E 5 STELLE, MANFREDI L’HA SPUNTATA SU STEFANO LO RUSSO, SINDACO DI TORINO CENTRISTA E MODERATO, APPOGGIATO DA BEPPE SALA E OSTILE AI GRILLINI

L’intesa per la presidenza dell’Anci rilancia l’ottica del campo largo. Il nuovo presidente dei comuni italiani sarà il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, mentre il primo cittadino di Torino Stefano Lo Russo diventerà uno dei suoi vicepresidenti.
Le cariche verranno formalizzate mercoledì mattina nel corso dell’assemblea in programma proprio a Torino, ma l’accordo sarebbe già stato raggiunto ieri. Lo Russo rinuncia alla corsa […], anche perché con scarse chance di successo di fronte a un concorrente tanto solido.
Sullo sfondo, prende quota invece la sua ricandidatura per un secondo mandato alle comunali torinesi. Le trattative fra i democratici […] negli ultimi giorni sono state seguite direttamente dal coordinatore degli enti locali del partito, Davide Baruffi, e dal reponsabile organizzazione, Igor Taruffi.
L’obiettivo era quello di evitare che si giungesse a un confronto al momento dell’assemblea che si aprirà tra due giorni. Appuntamento al quale invece, per consuetudine, approdano in genere accordi già chiusi. Il rischio schivato è che il partito si spaccasse in una conta interna, come era accaduto nel 2011 a Brindisi tra Graziano Delrio, che prevalse di tre voti, e Michele Emiliano.
Nessun dubbio invece sul fatto che la scelta sarebbe spettata al centrosinistra: ha la maggioranza degli oltre 700 delegati individuati dalle Anci regionali. Dunque il successore dell’ex sindaco di Bari Antonio Decaro sarà nuovamente un rappresentante del Sud.
Ha prevalso la linea del Nazareno che da tempo indicava in Manfredi il candidato preferito. Fautore e sostenitore del campo largo con il Movimento 5 stelle, il primo cittadino napoletano ha da tempo incassato il sostegno di Giuseppe Conte ed è sicuramente più affine politicamente alla linea della segreteria nazionale
Non lo ha danneggiato neppure la querelle che in Campania ha visto il Pd rompere con il governatore Vincenzo De Luca, con cui si è schierato il fratello Massimiliano. Lo Russo, più centrista e moderato, è invece in forte contrasto con il Movimento 5 stelle (e, almeno in passato, con l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino).
Poteva però contare sul sostegno dei delegati piemontesi e lombardi e dello stesso sindaco di Milano Giuseppe Sala, che ha più volte ribadito di desiderare una guida del Nord. Ad appoggiarlo c’erano anche parti del centrodestra (sabato è arrivato l’endorsement in suo favore del vicepremier Tajani): proprio in quest’ottica, poche settimane fa, il centrosinistra aveva lasciato a FdI la presidenza dell’Anci piemontese.
(da agenzie)

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INTERVISTA A MAURIZIO LANDINI: “L’APPELLO ALLA RIVOLTA SOCIALE? E’ UN INVITO A NON GIRARSI DALL’ALTRA PARTE RISPETTO ALLE DISUGUAGLIANZE”

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

“LA LEGGE DI BILANCIO E IL PIANO STRUTTURALE VINCOLANO IL PAESE A 7 ANNI DI AUSTERITÀ”… “OGGI CHI STA FOMENTANDO LA SITUAZIONE È IL GOVERNO E LA SUA LOGICA AUTORITARIA. QUANDO LE PERSONE SI RIVOLTANO CONTRO LE INGIUSTIZIE E SCENDONO IN PIAZZA NESSUNO DOVREBBE AVERNE PAURA: CONFLITTO E MEDIAZIONE SOCIALE SONO IL SALE DELLA DEMOCRAZIA”

Maurizio Landini non arretra di un millimetro. Il segretario della Cgil rivendica l’appello alla «rivolta sociale», che «significa non voltarsi dall’altra parte rispetto alle diseguaglianze e mettersi insieme per cambiare le cose».
Lancia lo sciopero generale del 29 novembre contro la manovra di un «governo che ha la maggioranza in Parlamento ma non nel Paese, fa aumentare la povertà e non negozia con chi rappresenta tutti i lavoratori e i pensionati». E insiste sul referendum sull’autonomia differenziata, «perché noi questa legge vogliamo cancellarla».
Per il quarto anno consecutivo Cgil e Uil hanno deciso lo sciopero generale. Ora lei invoca anche una rivolta. Lo sciopero non basta più
«Arriviamo allo sciopero generale dopo quello di metalmeccanici, chimici, scuola, trasporti locali e le manifestazioni di pubblico impiego, pensionati e studenti. E dopo una legge di Bilancio e un Piano strutturale che vincola il Paese a 7 anni di austerità. Ho richiamato la rivolta sociale per dire alle singole persone di non voltarsi dall’altra parte rispetto alle diseguaglianze e mobilitarsi insieme».
Non sta invadendo il campo della politica?
«Lo Stato sociale e i diritti nel lavoro esistono grazie alle lotte del sindacato. Del resto, è la Costituzione che dice che siamo una Repubblica fondata sul lavoro. Oggi non è così, si è poveri anche lavorando e i giovani sono precari e costretti a emigrare».
L’hanno paragonata ai cattivi maestri che aprirono la strada al terrorismo. Nessun ripensamento?
«In questo Paese il terrorismo rosso e nero è stato sconfitto dal movimento dei lavoratori, come il nazismo e il fascismo. Quindi non prendiamo lezioni da nessuno. Oggi chi sta fomentando la situazione è il governo e la sua logica autoritaria. Invece, quando le persone si rivoltano contro le ingiustizie e scendono in piazza nessuno dovrebbe averne paura perché conflitto e mediazione sociale sono il sale della democrazia».
Nelle manifestazioni studentesche di Torino si sono visti giovani che mimavano la P38 e invocavano Valditara a testa in giù. Molti hanno espresso solidarietà al ministro, ma non la Cgil .
«Noi gli atti di violenza li condanniamo tutti e non fanno parte della nostra storia. Visto che il governo, che ha la maggioranza in Parlamento ma non nel Paese, va avanti senza ascoltare chi rappresenta la maggioranza del Paese, lo sciopero va esercitato quando la metà degli elettori non va a votare, dico che il governo non ha la maggioranza nel Paese e non è autorizzato a mettere in discussione i diritti di lavoratori e pensionati. Ma questo governo, pregiudizialmente, non negozia».
(da Il Corriere della Sera)

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LA GUERRA STA ARRIVANDO IN EUROPA? LE FAMIGLIE SVEDESI RICEVONO PER POSTA UNA BROCHURE INFORMATIVA CON CONSIGLI E RACCOMANDAZIONI PER PREPARARSI IN CASO DI UNO STATO D’EMERGENZA O DI GUERRA

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

ALL’INTERNO CI SONO CONSIGLI SU QUALI PRODOTTI DI SCORTA TENERE IN CASA, LISTE E ISTRUZIONI PER AFFRONTARE SITUAZIONI DI CRISI: “SE LA SVEZIA VERRÀ ATTACCATA NON CI ARRENDEREMO MAI. TUTTE LE INFORMAZIONI SU UNA RESA SONO FALSE…”

Da oggi le famiglie svedesi riceveranno nella posta copie di una brochure informativa con consigli e raccomandazioni per prepararsi in caso di uno stato d’emergenza o guerra. L’opuscolo, redatto dalla protezione civile svedese è stato stampato in 5 milioni di copie ed è inoltre disponibile in altre lingue digitalmente.
All’interno ci sono consigli pratici su quali scorte tenere in casa, liste e istruzioni per affrontare diverse situazioni di crisi ma anche un conflitto armato. “Non è un segreto che la situazione della sicurezza sia peggiorata rispetto alla pubblicazione dell’ultimo opuscolo nel 2018”, ha dichiarato il ministro della difesa civile Carl-Oskar Bohlin parlando con la stampa. “Con circostanze esterne cambiate, è necessario aggiornare le informazioni fornite alle famiglie svedesi per riflettere la situazione attuale.
La nuova brochure è uno strumento importante per chiarire il ruolo dell’individuo nella difesa totale”, ha aggiunto il ministro. Una delle frasi più iconiche è “Se la Svezia verrà attaccata non ci arrenderemo mai. Tutte le informazioni su una resa sono false”, presente già nell’edizione del 2018 ma ora in maggiore evidenza tra le prime pagine.
Questa è la quinta volta che la Svezia distribuisce un opuscolo di questo tipo, il primo fu pubblicato durante la seconda guerra mondiale e altre due edizioni sono state distribuite negli anni ’60, durante la guerra fredda. “Abbiamo imparato molto dalla guerra in Ucraina – ha sottolineato la direttrice della protezione civile Charlotte Petri Gornitzka – abbiamo visto che la popolazione civile viene presa di mira nella guerra moderna” ha aggiunto, sottolineando l’importanza di essere pronti.
Questo mese un simile opuscolo cartaceo è stato distribuito alle famiglie anche in Norvegia e un opuscolo digitale è scaricabile in pdf in Finlandia e Danimarca. Anche in Norvegia la scorsa edizione risale a sei anni fa: “Abbiamo deciso di stampare una nuova edizione per via dei cambiamenti climatici e i fenomeni di meteo estremo che portano ad alluvioni e frane” ha dichiarato Tore Kamfjord, responsabile per la campagna informativa presso la protezione civile norvegese.
“Inoltre abbiamo una società sempre più digitale quindi c’è il rischio che il sistema possa non funzionare per via del tempo o di attacchi informatici e chiaramente la situazione di sicurezza in Europa è stato un altro motivo per l’aggiornamento”, ha aggiunto Kamfjord, intervistato dall’ANSA.
(da agenzie)

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LA CRISI DELL’AUTO ELETTRICA: PERCHE’ LE VENDITE CROLLANO

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

L’INCHIESTA DI MILENA GABANELLI SUL “CORRIERE DELLA SERA”

«Abbiamo più oro liquido, petrolio e gas, di qualsiasi altro Paese al mondo. Più dell’Arabia Saudita. Più della Russia». Con queste parole Donald Trump ha ribadito che gli Stati Uniti torneranno a puntare sui combustibili fossili. Mentre gli eventi estremi diventano sempre più frequenti e devastanti (Valencia e Filippine sono solo gli ultimi di una lunga serie), crescono le pressioni per rallentare la transizione energetica. Anche in Europa, il primo continente ad aver indicato le tappe per la riduzione delle emissioni di CO2. L’indicatore più evidente è il passaggio all’auto elettrica. Dall’analisi di PwC vediamo come sta andando il mercato.
Le tre tipologie
Il processo di decarbonizzazione prevede la messa in campo di tutte le tecnologie efficaci per raggiungere l’obiettivo: neutralità al 2050. Sul mercato ci sono 3 tipologie di auto elettriche:
1) Le ibride tradizionali: hanno un doppio motore, ma quello elettrico non ha la spina perché la batteria si ricarica decelerando e frenando. In città, viaggiando sotto i 50 km/h, resta in modalità elettrica (autonomia media di 22-23 km per le full hybrid), quindi si riducono i consumi e le emissioni di polveri sottili. In autostrada invece aumenta il consumo di carburante perché l’auto è più pesante. I prezzi di listino dei modelli più economici partono dai 20 mila euro in su. Nei primi nove mesi dell’anno le vendite nell’Ue hanno registrato un +20%.
2) Plug-in: doppio motore, ma la batteria di quello elettrico si ricarica dalle colonnine, e viaggiando in città sotto i 50 km/h ha un’autonomia di 100 km. Ma anche fuori città il motore elettrico continua ad alimentare la motricità, riducendo il consumo medio del carburante e dei freni. I prezzi di listino partono da 35 mila euro. A settembre le vendite sull’anno sono calate dell’8%.
3) Le 100% elettriche: hanno un solo motore alimentato da batterie agli ioni di litio e si ricaricano collegando l’auto a una presa o una colonnina. L’autonomia dipende dal tipo di macchina, di batteria, da guida e temperatura. In via generale un’utilitaria può percorrere 250-300 km con una ricarica completa, mentre un’auto di fascia alta arriva fino a 500 km. I tempi di ricarica dipendono dalla potenza erogabile della colonnina, dalla tipologia di assorbimento della vettura, e dallo stato della batteria. Se si utilizza la colonnina del garage di casa dalle 5 alle 12 ore, mentre da una stazione per uso pubblico ultrafast bastano 20 minuti per ricaricare fino all’80% della batteria. Rispetto all’auto a benzina si abbattono i costi di manutenzione. Le utilitarie più economiche partono da 18 mila euro, ma nella Ue non decollano. Invece dopo un’iniziale crescita delle auto di fascia alta, dove la quota di mercato è passata in due anni dal 9,1% al 14,6%, quest’anno a fine settembre siamo al 13,1%. Un calo netto rispetto all’atteso 20%.
Impatto ambientale
Sui benefici ambientali non ci sono dubbi. Nella fase di produzione una full electric genera emissioni doppie rispetto ai veicoli a benzina, ma se si considera l’intero ciclo di vita (circa 15 anni) i modelli in circolazione già oggi riducono le emissioni di gas serra oltre il 60% rispetto agli equivalenti con motore endotermico. Entro il 2050 si arriverà all’80% grazie alla decarbonizzazione della generazione elettrica e all’avanzata tecnologica delle batterie (è in sviluppo quella al sodio). Sulla durata della batteria le case automobilistiche offrono una garanzia di 8 anni o fino a 160 mila km, ma con un efficiente sistema di controllo temperature supera i 400 mila km. A fine vita può essere recuperato fino al 95% degli ioni di litio. Oggi però siamo ancora al 5%.
Europa: chi va meglio e chi va peggio
Da dati dell’Associazione costruttori automobilistici europei, a parte la Norvegia (fuori dalla Ue), dove il 90,5% delle auto acquistate quest’anno sono full electric, anche perché avendo molte rinnovabili il costo dell’energia resta basso e altri pochi Paesi come Svezia (33%), Olanda (32%) e Belgio (27%) le cose non vanno bene. In Germania, il Paese della Ue dove si vende il maggior numero di auto 100% elettriche, tre anni fa la quota di mercato era all’11,7%. In due anni le immatricolazioni hanno raggiunto il 18,4%, ma nel 2024 il governo ha bloccato anticipatamente i sussidi e nei primi nove mesi si è scesi al 13,1%. Va un po’ meglio la Francia dove la quota di mercato è passata dall’8,5% del 2021 al 16,8%del 2023. Ma da quest’anno sono stati ridotti gli incentivi e bloccato l’esperimento del «leasing sociale», programma di sovvenzioni rivolto ai ceti meno abbienti a cui è offerta la possibilità di affittare un’auto elettrica a 100 euro al mese per poi riscattarla . Ora la quota di mercato è al 17,1%. Il Sud Europa era ed è rimasto indietro. In Italia le full electric non si muovono dal 4% del totale. Negli ultimi anni sono stati modificati più volte gli incentivi (che non sono mai stati mirati solo all’elettrico), e la situazione non migliorerà visto che per l’anno prossimo sono stati tagliati i 4,6 miliardi del Fondo Automotive. Ma a cosa è dovuta questa generale tendenza al calo? La Ue ha fatto le leggi, ma poi non ha sviluppato una politica industriale e di sovvenzioni coordinata per approcciare un cambio epocale, perché ogni Paese ha preferito andare per conto proprio. E ogni Paese ha un problema diverso. Si è puntato sulla produzione di fascia alta perché la domanda arriva dai più abbienti, mentre le auto di piccola e media dimensione restano ancora troppo costose, in media il 20% in più rispetto agli equivalenti modelli a benzina. Poi è arrivata la crisi economica e la conseguente incertezza sui tempi della transizione.
La Cina corre
Nei primi nove mesi del 2024 sono stati messi in commercio 4,2 milioni di veicoli full electric con una quota di mercato del 24,7%. I prezzi delle elettriche sono ormai più bassi rispetto alle auto a benzina e tecnologicamente Pechino è una generazione avanti. E così i modelli cinesi hanno conquistato quote di mercato europeo: erano il 5% nel 2018, l’anno scorso hanno raggiunto il 15%. Con l’accusa di dumping commerciale Bruxelles a fine ottobre ha introdotto dazi sui veicoli prodotti in Cina in proporzione alle sovvenzioni che ogni singola casa automobilistica ha ricevuto dallo Stato: del 17% sulle auto prodotte da BYD, 18,8% su quelle di Geely e 35,3% sui veicoli esportati dalla società statale cinese SAIC.
Ma come ha fatto la Cina a diventare leader dei veicoli elettrici? Lo descrive in modo preciso lo studio del Center for Strategic and International Studies: A partire dal 2009 Pechino ha finanziato l’intera filiera con 230,8 miliardi di dollari distribuiti su programmi di ricerca tecnologica, investimenti in infrastrutture, e sconti sull’acquisto di auto ed esenzioni d’imposta (13.860 dollari a veicolo nel 2018, sceso poi nel 2023 a 4.800 dollari). Oggi in Cina si contano oltre 10,6 milioni di stazioni di ricarica pubbliche e private. Le multinazionali CATL e BYD controllano oltre il 50% del mercato delle batterie elettriche che esportano in tutto il pianeta mentre l’Europa ha pochissime gigafactory. Sebbene resti il Paese che inquina di più (31,2% di emissioni di CO2 globali), nel 2023 è diventato anche il Paese leader per energia rinnovabile con una capacità di circa 1.453 gigawatt. Il fotovoltaico installato in Cina, solo nel 2024, equivale alla produzione di 50 grandi reattori nucleari da 1 GW.
108 mila posti di lavori negli Usa
Quest’anno sono state vendute solo 901 mila auto 100% elettriche, con una quota di mercato di solo il 7,7%. Però negli ultimi due anni l’amministrazione Biden ha investito 126,3 miliardi nello sviluppo dell’auto elettrica creando 108 mila posti di lavoro. Inoltre, gli Usa possono vantare Tesla, l’azienda più innovativa del mondo che anche quest’anno ha piazzato un suo veicolo, la Model Y, al primo posto delle vendite nei mercati americano, cinese ed europeo.
Chi si ferma è perduto
Acea, l’associazione dei 15 maggiori produttori automobilistici europei, a settembre ha invitato le istituzioni Ue a rivedere l’intero processo di decarbonizzazione che fissa al 2025 un nuovo limite alle emissioni di CO2 (93,6 grammi per chilometro). Vuol dire che se le aziende non si adeguano, producendo più auto ibride ed elettriche per compensare le emissioni della produzione endotermica dovranno pagare multe milionarie. In alternativa è concesso comprare crediti green da Tesla. Secondo un’indagine di Dataforce solo pochi costruttori sarebbero in grado di rispettare il parametro, per questo l’associazione chiede di posticipare il limite al 2027.
Insieme ai produttori di combustibili fossili, pur riconoscendo che il mondo ormai sta andando in quella direzione e non si tornerà indietro, chiedono anche di posticipare lo stop al motore endotermico «perché è stata una scelta ideologica». Il dirigente del CNR Nicola Armaroli, studioso di transizione energetica nella sua complessità sostiene che «l’auto elettrica europea non è competitiva perché i principali marchi hanno puntato principalmente sulle auto tradizionali, e ora rimandare l’innovazione tecnologica sarebbe il suicidio del nostro settore automobilistico». E allora qual è la cosa più giusta per l’industria europea? Rallentare i tempi della transizione perché abbiamo perso tempo, o muoversi tutti uniti come un sol uomo? Il dato certo è che i cataclismi che stravolgono il pianeta sono indifferenti agli interessi di settore e alle lotte di potere.
Milena Gabanelli e Francesco Tortora
(da corriere.it)

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COME FUNZIONANO I MISSILI A LUNGA GITTATA CON CUI L’UCRAINA PUO’ COLPIRE DIRETTAMENTE LA RUSSIA

Novembre 18th, 2024 Riccardo Fucile

SONO I MISSILI BALISTICI ATACMS E QUELLI DA CROCIERA EUROPEI STORM SHADOW/SCALP

Sono due le armi occidentali già in dotazione all’arsenale ucraino per le quali Kiev aspettava l’autorizzazione per colpire in profondità il territorio russo: i missili balistici americani Atacms e quelli da crociera europei Storm Shadow/Scalp, dei quali è dotata anche l’Italia, che fa parte del consorzio che li produce.
ATACMS MGM-140 – Acronimo di Army Tactical Missile System, con Mgm che sta per missile guidato da lancio mobile e 140 che indica la gittata media, è un missile balistico tattico terra-terra a medio raggio a combustibile solido, lungo circa 4 metri, prodotto dall’americana Lockheed Martin, che arriva a una velocità di Mach 3 (tre volte la velocità del suono) per una gittata massima (a seconda dei modelli) di circa 300 km.
Viene utilizzato normalmente da un lanciatore multiplo mobile Himars. Gli Atacms sono stati progettati negli anni ’80 e sono entrati ufficialmente in funzione durante la prima Guerra del Golfo del 1991. Portano testate capaci di penetrare armature pesanti o edifici solidi e bunker, e anche testate a frammentazione, per obiettivi più diffusi. Con gli Atacms sono già stati colpiti obiettivi in Crimea.
STORM SHADOW/SCALP – E’ un missile strategico da crociera lanciato da un aereo in volo, capace di eludere le difese nemiche volando a quota bassissima, anche di pochi metri, a velocità appena subsonica, con una gittata fino a 560 km (fino a 250 nelle versioni per esportazione).
Porta una testata convenzionale da 450 kg in grado di penetrare e distruggere bunker, edifici di comando, strutture pesanti o piste di aeroporti. Progettato negli anni ’90 e in uso dal 2003, Storm Shadow (Presagio di tempesta) viene prodotto dal consorzio europeo Mbda, sigla che include la francese Matra (ex Aerospace), la britannica British Aerospace (Bae) Dynamics e l’italiana Alenia, con un 25% di share di Leonardo. In francese il missile da crociera è denominato Scalp, acronimo di Système de Croisière Autonome à Longue Portée (Sistema da crociera autonomo a lunga gittata).
Nel maggio del 2023 prima il Regno Unito e poi la Francia annunciarono l’inizio dell’invio di Storm Shadow/Scalp a Kiev come contropartita ai missili ipersonici e plananti russi. Il loro impiego è stato ufficializzato in varie occasioni, su obiettivi nel Donbass occupato dai russi e in Crimea. Nel settembre del 2023 questi missili colpirono il porto di Sebastopoli, in dicembre quello di Feodosia. Colpite da questi missili cruise anche diverse navi della flotta del Mar Nero.
(da agenzie)

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