LA CRISI DELL’AUTO ELETTRICA: PERCHE’ LE VENDITE CROLLANO
L’INCHIESTA DI MILENA GABANELLI SUL “CORRIERE DELLA SERA”
«Abbiamo più oro liquido, petrolio e gas, di qualsiasi altro Paese al mondo. Più dell’Arabia Saudita. Più della Russia». Con queste parole Donald Trump ha ribadito che gli Stati Uniti torneranno a puntare sui combustibili fossili. Mentre gli eventi estremi diventano sempre più frequenti e devastanti (Valencia e Filippine sono solo gli ultimi di una lunga serie), crescono le pressioni per rallentare la transizione energetica. Anche in Europa, il primo continente ad aver indicato le tappe per la riduzione delle emissioni di CO2. L’indicatore più evidente è il passaggio all’auto elettrica. Dall’analisi di PwC vediamo come sta andando il mercato.
Le tre tipologie
Il processo di decarbonizzazione prevede la messa in campo di tutte le tecnologie efficaci per raggiungere l’obiettivo: neutralità al 2050. Sul mercato ci sono 3 tipologie di auto elettriche:
1) Le ibride tradizionali: hanno un doppio motore, ma quello elettrico non ha la spina perché la batteria si ricarica decelerando e frenando. In città, viaggiando sotto i 50 km/h, resta in modalità elettrica (autonomia media di 22-23 km per le full hybrid), quindi si riducono i consumi e le emissioni di polveri sottili. In autostrada invece aumenta il consumo di carburante perché l’auto è più pesante. I prezzi di listino dei modelli più economici partono dai 20 mila euro in su. Nei primi nove mesi dell’anno le vendite nell’Ue hanno registrato un +20%.
2) Plug-in: doppio motore, ma la batteria di quello elettrico si ricarica dalle colonnine, e viaggiando in città sotto i 50 km/h ha un’autonomia di 100 km. Ma anche fuori città il motore elettrico continua ad alimentare la motricità, riducendo il consumo medio del carburante e dei freni. I prezzi di listino partono da 35 mila euro. A settembre le vendite sull’anno sono calate dell’8%.
3) Le 100% elettriche: hanno un solo motore alimentato da batterie agli ioni di litio e si ricaricano collegando l’auto a una presa o una colonnina. L’autonomia dipende dal tipo di macchina, di batteria, da guida e temperatura. In via generale un’utilitaria può percorrere 250-300 km con una ricarica completa, mentre un’auto di fascia alta arriva fino a 500 km. I tempi di ricarica dipendono dalla potenza erogabile della colonnina, dalla tipologia di assorbimento della vettura, e dallo stato della batteria. Se si utilizza la colonnina del garage di casa dalle 5 alle 12 ore, mentre da una stazione per uso pubblico ultrafast bastano 20 minuti per ricaricare fino all’80% della batteria. Rispetto all’auto a benzina si abbattono i costi di manutenzione. Le utilitarie più economiche partono da 18 mila euro, ma nella Ue non decollano. Invece dopo un’iniziale crescita delle auto di fascia alta, dove la quota di mercato è passata in due anni dal 9,1% al 14,6%, quest’anno a fine settembre siamo al 13,1%. Un calo netto rispetto all’atteso 20%.
Impatto ambientale
Sui benefici ambientali non ci sono dubbi. Nella fase di produzione una full electric genera emissioni doppie rispetto ai veicoli a benzina, ma se si considera l’intero ciclo di vita (circa 15 anni) i modelli in circolazione già oggi riducono le emissioni di gas serra oltre il 60% rispetto agli equivalenti con motore endotermico. Entro il 2050 si arriverà all’80% grazie alla decarbonizzazione della generazione elettrica e all’avanzata tecnologica delle batterie (è in sviluppo quella al sodio). Sulla durata della batteria le case automobilistiche offrono una garanzia di 8 anni o fino a 160 mila km, ma con un efficiente sistema di controllo temperature supera i 400 mila km. A fine vita può essere recuperato fino al 95% degli ioni di litio. Oggi però siamo ancora al 5%.
Europa: chi va meglio e chi va peggio
Da dati dell’Associazione costruttori automobilistici europei, a parte la Norvegia (fuori dalla Ue), dove il 90,5% delle auto acquistate quest’anno sono full electric, anche perché avendo molte rinnovabili il costo dell’energia resta basso e altri pochi Paesi come Svezia (33%), Olanda (32%) e Belgio (27%) le cose non vanno bene. In Germania, il Paese della Ue dove si vende il maggior numero di auto 100% elettriche, tre anni fa la quota di mercato era all’11,7%. In due anni le immatricolazioni hanno raggiunto il 18,4%, ma nel 2024 il governo ha bloccato anticipatamente i sussidi e nei primi nove mesi si è scesi al 13,1%. Va un po’ meglio la Francia dove la quota di mercato è passata dall’8,5% del 2021 al 16,8%del 2023. Ma da quest’anno sono stati ridotti gli incentivi e bloccato l’esperimento del «leasing sociale», programma di sovvenzioni rivolto ai ceti meno abbienti a cui è offerta la possibilità di affittare un’auto elettrica a 100 euro al mese per poi riscattarla . Ora la quota di mercato è al 17,1%. Il Sud Europa era ed è rimasto indietro. In Italia le full electric non si muovono dal 4% del totale. Negli ultimi anni sono stati modificati più volte gli incentivi (che non sono mai stati mirati solo all’elettrico), e la situazione non migliorerà visto che per l’anno prossimo sono stati tagliati i 4,6 miliardi del Fondo Automotive. Ma a cosa è dovuta questa generale tendenza al calo? La Ue ha fatto le leggi, ma poi non ha sviluppato una politica industriale e di sovvenzioni coordinata per approcciare un cambio epocale, perché ogni Paese ha preferito andare per conto proprio. E ogni Paese ha un problema diverso. Si è puntato sulla produzione di fascia alta perché la domanda arriva dai più abbienti, mentre le auto di piccola e media dimensione restano ancora troppo costose, in media il 20% in più rispetto agli equivalenti modelli a benzina. Poi è arrivata la crisi economica e la conseguente incertezza sui tempi della transizione.
La Cina corre
Nei primi nove mesi del 2024 sono stati messi in commercio 4,2 milioni di veicoli full electric con una quota di mercato del 24,7%. I prezzi delle elettriche sono ormai più bassi rispetto alle auto a benzina e tecnologicamente Pechino è una generazione avanti. E così i modelli cinesi hanno conquistato quote di mercato europeo: erano il 5% nel 2018, l’anno scorso hanno raggiunto il 15%. Con l’accusa di dumping commerciale Bruxelles a fine ottobre ha introdotto dazi sui veicoli prodotti in Cina in proporzione alle sovvenzioni che ogni singola casa automobilistica ha ricevuto dallo Stato: del 17% sulle auto prodotte da BYD, 18,8% su quelle di Geely e 35,3% sui veicoli esportati dalla società statale cinese SAIC.
Ma come ha fatto la Cina a diventare leader dei veicoli elettrici? Lo descrive in modo preciso lo studio del Center for Strategic and International Studies: A partire dal 2009 Pechino ha finanziato l’intera filiera con 230,8 miliardi di dollari distribuiti su programmi di ricerca tecnologica, investimenti in infrastrutture, e sconti sull’acquisto di auto ed esenzioni d’imposta (13.860 dollari a veicolo nel 2018, sceso poi nel 2023 a 4.800 dollari). Oggi in Cina si contano oltre 10,6 milioni di stazioni di ricarica pubbliche e private. Le multinazionali CATL e BYD controllano oltre il 50% del mercato delle batterie elettriche che esportano in tutto il pianeta mentre l’Europa ha pochissime gigafactory. Sebbene resti il Paese che inquina di più (31,2% di emissioni di CO2 globali), nel 2023 è diventato anche il Paese leader per energia rinnovabile con una capacità di circa 1.453 gigawatt. Il fotovoltaico installato in Cina, solo nel 2024, equivale alla produzione di 50 grandi reattori nucleari da 1 GW.
108 mila posti di lavori negli Usa
Quest’anno sono state vendute solo 901 mila auto 100% elettriche, con una quota di mercato di solo il 7,7%. Però negli ultimi due anni l’amministrazione Biden ha investito 126,3 miliardi nello sviluppo dell’auto elettrica creando 108 mila posti di lavoro. Inoltre, gli Usa possono vantare Tesla, l’azienda più innovativa del mondo che anche quest’anno ha piazzato un suo veicolo, la Model Y, al primo posto delle vendite nei mercati americano, cinese ed europeo.
Chi si ferma è perduto
Acea, l’associazione dei 15 maggiori produttori automobilistici europei, a settembre ha invitato le istituzioni Ue a rivedere l’intero processo di decarbonizzazione che fissa al 2025 un nuovo limite alle emissioni di CO2 (93,6 grammi per chilometro). Vuol dire che se le aziende non si adeguano, producendo più auto ibride ed elettriche per compensare le emissioni della produzione endotermica dovranno pagare multe milionarie. In alternativa è concesso comprare crediti green da Tesla. Secondo un’indagine di Dataforce solo pochi costruttori sarebbero in grado di rispettare il parametro, per questo l’associazione chiede di posticipare il limite al 2027.
Insieme ai produttori di combustibili fossili, pur riconoscendo che il mondo ormai sta andando in quella direzione e non si tornerà indietro, chiedono anche di posticipare lo stop al motore endotermico «perché è stata una scelta ideologica». Il dirigente del CNR Nicola Armaroli, studioso di transizione energetica nella sua complessità sostiene che «l’auto elettrica europea non è competitiva perché i principali marchi hanno puntato principalmente sulle auto tradizionali, e ora rimandare l’innovazione tecnologica sarebbe il suicidio del nostro settore automobilistico». E allora qual è la cosa più giusta per l’industria europea? Rallentare i tempi della transizione perché abbiamo perso tempo, o muoversi tutti uniti come un sol uomo? Il dato certo è che i cataclismi che stravolgono il pianeta sono indifferenti agli interessi di settore e alle lotte di potere.
Milena Gabanelli e Francesco Tortora
(da corriere.it)
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