Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
INVECE LA DUCETTA SI PRENDERÀ LA SCENA E IL CAPITONE, COSTRETTO A RIMANERE A ROMA, HA TIRATO FUORI SUBITO UNA SCUSA: “RIMANGO IN ITALIA ALLA LUCE DI QUANTO STA EMERGENDO SUL FRONTE FERROVIE”
Nella sfida a tutto Trump, Matteo Salvini arriva secondo, cioè ultimo. E resta a casa, in Italia, costretto da ragioni di pura opportunità politica. A Washington andrà Giorgia Meloni, che è la presidente del Consiglio, è avrà tutti i riflettori accesi su di sé, perché – salvo ripensamenti dell’ungherese Viktor Orban – sarà l’unico capo di governo del Consiglio europeo presente nella capitale degli Stati Uniti
Come tutti, anche Matteo Salvini ha dovuto attendere che Meloni sciogliesse la sua riserva, mantenuta fino all’ultimo, a meno di 48 ore dall’insediamento. A quel punto, vista la presenza confermata della premier, il leader leghista ha compreso che a Washington sarebbe stato retrocesso a ospite di secondo piano, non più in rappresentanza del governo della destra italiana, ma come semplice capo di un partito infatuato di Trump.
La voglia di andare era tanta, testimoniata dal suo staff che ancora oggi pomeriggio, sabato 18 gennaio, è stato incerto se smentire o meno i preparativi del viaggio. Alla fine Salvini ha cercato la migliore scusa per giustificare il fatto di aver cambiato idea. «Ha scelto di rimanere in Italia alla luce di quanto sta emergendo sul fronte ferrovie dopo l’esposto del Gruppo Fs».
In realtà Salvini, fosse andato negli Stati Uniti ad infoltire i fan di Trump, sarebbe stato – assieme forse al capo di Vox, Santiago Abascal – anche l’unico leader di un certo rilievo del gruppo dei Patrioti, gli ultranazionalisti che si sono riuniti sotto la guida di Orban e della francese Marine Le Pen.
A nulla è servita la cravatta rossa stile repubblicano, indossata da Salvini per giorni dopo la vittoria di novembre di Trump. A nulla è valso il corteggiamento insistito del leghista, pronto a correre alla corte del tycoon, e con un viaggio preannunciato entro il 2024 che non si è mai svolto: ha prevalso il ruolo di Meloni, che da presidente del Consiglio può partecipare ai summit europei e, se vuole, terremotarli per conto dell’amico americano. Trump è un uomo d’affari, e gli affari si fanno con chi ha qualcosa da offrire.
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
UNO SCENARIO CHE SPUTTANEREBBE INEVITABILMENTE IL GOVERNO, COL RISCHIO DI SCATENARE UN ASSALTO DA PARTE DEI SUOI ALLEATI AFFAMATI DI UN ”RIMPASTINO”, INDIGERIBILE PER LA DUCETTA
Santadechè, spaparanzata nella sua villa di Cortina, scambia messaggini inneggianti al
garantismo con Salvini e Tajani, in contatto continuo con il suo mentore storico ‘Gnazio La Russa, impegnatissimo a chiudere le bocche dei fratellini giustizialisti d’Italia che non vedono l’ora di leggere le dimissioni della Pitonessa che, da parte sua, afferma: “Sono tranquilla. Resto finché avrò la fiducia di Giorgia. Ora decide lei”.
Essì, la patata bollente del ministro rinviato a giudizio è sul piatto della Ducetta e dentro di sé vorrebbe pure rispedirla a fare la bagnina al Twiga di Pietrasanta, ben conscia che sulla testa della “Santa” pende anche un eventuale processo per frode ai danni dell’Inps: uno scenario che vede un ministro che truffa lo Stato sputtanerebbe inevitabilmente il governo.
La decisione di sostituire la coriacea Santadeché per la Statista della Garbatella vuol dire intanto mettersi contro il co-fondatatore di Fratelli d’Italia e presidente del Senato La Russa, da un lato; dall’altra gli otoliti di Giorgia sono trapanati dal timore-incubo, con un eventuale pesante secondo rinvio a giudizio, di subire un assalto da parte dei suoi alleati di governo affamati di ‘’rimpastino’’.
I rimpasti di governo si sa come iniziano ma non si sa come finiscono, soprattutto in presenza di una Lega in fibrillazione, con Salvini ridotto a un’anatra zoppa, e le smanie di Tajani per di dimostrare a Marina Berlusconi di essere un leader.
Aggiungere che, dopo il cambio istantaneo Sangiuliano-Giuli al ministero della Cultura, seguito dalla sostituzione al ministero degli Affari Europei di Fitto con Foti, nell’esecutivo c’è ancora da riempire la casella resa vacante dal trasloco del vice ministro delle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, a capogruppo di FdI alla Camera al posto di Tommaso Foti.
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
PER EVITARE CHE IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FOSSE SOTTOPOSTO AL SUPPLIZIO DELLE BUCHE, È STATA ASFALTATA UNA STRADA AL VOLO, COMPRESI I TOMBINI. IL RISULTATO? ALCUNI QUARTIERI SONO RIMASTI A SECCO
Nella città dei Templi si accende qualche luce sulle ombre con l’inaugurazione di Capitale della Cultura, fra tanti studenti e 43 sindaci che applaudono sotto la riparata volta del Teatro Pirandello. S’è imbellettata la vecchia Girgenti, provando a non sfigurare con il Presidente Mattarella, anche a costo di attrarre qualche amara ironia. Come succede in via Atenea, fra caffè e brioches del Gambrinus, quando l’elicottero presidenziale non è ancora atterrato sul campo sportivo, sopra un tappeto verde, un finto prato steso a rotoli.
Ultima trovata dopo l’agitata riunione di venerdì con il governatore Renato Schifani irritato da critiche, ritardi e intoppi. Arrivato in prefettura con un assegno da 500 mila euro per asfaltare di volata le strade, dallo stadio Esseneto al Pirandello. Giusto per evitare sussulti alla berlina del Capo dello Stato, coprendo buche e crepe ben note agli agrigentini, sorpresi dal vorticoso attivismo attorno a camion e rulli compressori. Senza il tempo di scarificare, buttando giù di corsa bitume sul vecchio, coprendo tutto, compresi i tombini.
Ed è su questo dettaglio che gli avventori del Gambrinus restano inchiodati a una telefonata ricevuta sul cellulare da un fontaniere dell’acquedotto (Aica) in pausa caffè. Un operaio pronto a scusarsi con il condomino di uno dei palazzi di via Manzoni, zona Esseneto, suo conoscente: «Lo so che non vi abbiamo potuto dare acqua anche se era il vostro turno settimanale. Ma ci hanno asfaltato saracinesche, rubinetti, tombini, tutto».
Significa che, chiusa la festa d’apertura, nella Capitale a corto d’acqua anche quando diluvia bisognerà scavare per trovare i rubinetti perché così funziona ancora la distribuzione.
(da “Corriere della Sera”)
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Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
PER SALIRE IN CIMA C’ERA GIÀ UNA STRADA, MOLTI HANNO RITENUTO INUTILE L’OPERA COSTATA 15 MILIONI, MA, GUARDA CASO, LA FUNIVIA CABRIOLET PORTA DRITTO ALL’HOTEL DI MARTIN DAMIAN, PRESIDENTE DELLE FUNIVIE TIRES SPA ED EX ASSESSORE COMUNALE AL TURISMO
Cuore delle polemiche, la nuova funivia che da San Cipriano (frazione d’una trentina di
edifici e 101 anime di Tires, 1.025 abitanti, non lontana da Bolzano) si è fatta largo tra stragi di larici («Stavolta non è colpa del Vaia», titolò amara Elisa Brunelli sul giornale on-line italo-tedesco salto.bz) e sale oggi su giganteschi piloni d’acciaio fino a Malga Frommer e al comprensorio sciistico di Carezza.
Una funivia che passando in 7 minuti (su un tracciato di 3,8 chilometri) da 1.124 a 1.752 metri di altitudine ai piedi del Catinaccio, si vanta d’essere «cabrio» e offrire dunque a una decina di persone di salire anche sul tetto delle cabine da 60 posti per ammirare il panorama. Dei pullman appesi a cavi costati 15 milioni di euro di cui 11.321.250 (il 75% appunto) a carico dei cittadini.
Tema: valeva la pena di spendere questi soldi, sfregiando il paesaggio, quando c’era già una strada che portava su al parcheggio di malga Frommer, verso il passo Nigra, in dodici minuti d’auto?
Sicuro, risponde in un video Rai del ’22 Martin Damian, «presidente delle Funivie Tires Spa e assessore comunale al turismo»: «Il turismo in questa valle d’inverno esisteva pochissimo. Per dire: 20 o 25 mila pernottamenti su una capacità di 90 mila. Con questa infrastruttura nel futuro cominceranno a lavorare in tutta la valle e il turismo avrà una crescita in inverno». Tesi ribadita a Davide Pasquali dell’Alto Adige: «Qui a Tires, in inverno abbiamo i letti vuoti, a Carezza mancano gli sciatori».
Conferma il sito del più esclusivo (oggi 449 euro a notte) hotel locale: «Il Cyprianerhof rappresenta la destinazione ideale per gli amanti del lusso e della natura che desiderano scoprire le meraviglie di questa regione in un contesto di assoluto prestigio. (…) La nuova funivia di Tires vi porterà direttamente dall’hotel all’area sciistica Carezza-Karersee. Il comprensorio sciistico più soleggiato e più rispettoso del clima delle Alpi…».
E chi è il padrone di quest’hotel baciato dalla nuova funivia che gli consente di offrire ora anche una funivia domestica a due passi dalla hall? Martin Damian, il presidente delle Funivie e allora assessore comunale al turismo nella giunta della Südtiroler Volkspartei (Svp). Partito unico, praticamente, in un paese al 97% tedesco. Nonché dominus assoluto nella distribuzione dei soldi pubblici della Provincia Autonoma.
I «funivisti» erano talmente sicuri delle coperture politiche, generose al punto di finanziare l’impianto come «trasporto pubblico locale» (una littorina?), che esagerarono col cemento costruendo un migliaio di metri cubi in più di quanto potevano. Una forzatura che altrove avrebbe fatto arrivare le ruspe. Qui no: passò l’ipotesi di imbonire i locali in più di terra.
Che un domani, chissà, potrebbe essere rimossa… Il tutto potendo contare su sbalorditive «autorizzazioni paesaggistiche postume emesse dall’Ufficio valutazioni ambientali provinciali». Incredibilmente sopravvissute ai ricorsi ambientalisti grazie a una recente sentenza del Tar bolzanino secondo cui quegli abusi edilizi (pari a un palazzo di dieci metri per lato alto tre piani) non sarebbero «apprezzabili a colpo d’occhio». Testuale…
(da Il Corriere della Sera)
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Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
ARRIVANO LE GUARDIE BIANCHE DEL SISTEMA… LA SICUREZZA E’ COMPITO DELLE FORZE DELL’ORDINE, RASSEGNATEVI O FATE DOMANDA A PIANTEDOSI
Patrioti in un centro commerciale di Bologna. Una trentina di esponenti della “Rete dei Patrioti”, il movimento di estrema destra che raccoglie diverse sigle, ha marciato nel tardo pomeriggio di oggi – sabato 18 gennaio – al Centro commerciale Gran Reno di Casalecchio.
«Una passeggiata», la definiscono gli organizzatori, ma ritmata e coordinata «per chiedere più sicurezza». Il supermercato, uno dei più grandi della zona, si trova alle porte della città e adiacente all’Unipol Arena. Nell’ultimo periodo è salito alla ribalta della cronaca per numerosi fatti di microcriminalità. La manifestazione del gruppo di estrema destra era stata annunciata domenica scorsa, dopo la notte di proteste e scontri in centro, seguita al presidio organizzato per Ramy Elgaml, ma non era stato rivelato né il luogo né il percorso, se non poche ore prima.
Il gruppo di persone, perlopiù vestite di nero, ha marciato silenziosamente fra i corridoi del centro commerciale e fino all’ingresso dell’Unipol Arena, dove è in programma un concerto di Lazza, in mezzo a una sostanziale indifferenza generale, ma ripresi dalle telecamere. I patrioti avevano fatto una contestata manifestazione a Bologna a novembre, a una settimana dalle elezioni regionali. Venne in particolare contestata, anche dal Comune, la scelta di fare una manifestazione a pochi metri dalla stazione di Bologna, luogo della strage per la quale è appena stata confermata dalla Cassazione la pena dell’ergastolo per Gilberto Cavallini, ex terrorista dei Nar. I patrioti, in quell’occasione, subirono la contestazione dei collettivi studenteschi (che si scontrarono con la polizia) ma anche quella di numerosi passanti.
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
NATA IN ITALIA DA GENITORI DEL CAMERUN, VIVE A SANT’ANGELO LODIGIANO E SI ALLENA INSIEME AI RAGAZZI PIU’ GRANDI DI LEI (E LI BATTE)
Si chiama Kelly Ann Doualla, ha solo 15 anni e ha tutte le carte in regola per diventare
una campionessa dell’atletica. Con le sue ultime prestazioni, la sprinter lombarda, figlia di genitori originari del Camerun, ha catturato le attenzioni di tutto il mondo. Ieri, sabato 18 gennaio, Doualla ha disputato una gara di corsa su 60 metri al PalaCasali di Anconi.
Una competizione – valida come quarta tappa del World Indoor Tour – dominata proprio dalla 15enne italiana, che ha tagliato la linea del traguardo in appena 7″23, un tempo eccezionale per una ragazza della sua età, che gli è valso anche il primato europeo della categoria under 18.
La quarta italiana più veloce di sempre
Prima della gara di Ancona, il record apparteneva all’olandese N’Ketia Seedo: 7″24, registrati in una competizione del 2020. Con la prestazione di ieri, Doualla è diventata anche la quarta italiana più veloce di sempre nei 60 metri. Le uniche a fare meglio di lei, almeno per il momento, sono: Marisa Masullo (con 7″19 nel 1983), Manuela Levorato (con 7″20 nel 1999) e Zaynab Dosso (con 7″02, record nazionale, nel 2024).
Chi è Kelly Ann Doualla
Kelly Ann Doualla, 15 anni, è nata a Pavia da genitori originari del Camerun – entrambi operatori sanitari – ma da tempo cittadini italiani. La sua famiglia vive a Sant’Angelo Lodigiano e in pista la giovane sprinter lombarda difende i colori del Cus Pro Patria Milano, dove si allena con coach Walter Monti. Quest’ultimo la fa correre insieme a maschi di 16 e 17 anni, gli unici che riescono a tenerle testa, o almeno ci provano. «Tuttora, Kelly non sa cosa sia la sconfitta», racconta il suo allenatore. Doualla frequenta il liceo delle scienze applicate con curvatura sportiva e pare che l’unica disciplina che proprio non le piace sia il nuoto.
(da Open)
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Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
“CECILIA SALA HA EVIDENZIATO I PERICOLI DEI GIORNALISTI NEL NOSTRO PAESE”
«Ogni prigioniero è un “essere umano”, e ogni essere umano lotta per la sopravvivenza in modi diversi: cantare, ballare, tagliare o accorciare i capelli, indossare vestiti colorati, ridere e gioire, tutti questi sono modi per mantenere vivo il senso della vita, anche tra i prigionieri». A dirlo a Open è Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace 2023.
L’attivista iraniana, che sta scontando una pena di oltre dieci anni per aver difeso i diritti delle donne in Iran, si trova nella sua casa a Teheran, sottoposta a cure e trattamenti medici.
Il 4 dicembre scorso era stata rilasciata, per tre settimane, per le sue condizioni fisiche precarie a seguito della rimozione di un tumore benigno e di un intervento eseguito in cui le era stato fatto un innesto osseo. Non è ancora tornata tra le «mura buie e fredde» della famigerata prigione di Evin, dove lei e le sue compagne «resistono».
I giorni fuori dal carcere verranno probabilmente recuperati alla fine della sua condanna, aveva fatto sapere il suo legale a inizio dicembre. Nonostante sia stata sottoposta a detenzione arbitraria, tortura e maltrattamenti, Mohammadi non ha mai smesso di lottare. Per lei, le sue compagnie, le donne iraniane, per le generazioni future. E per un’Iran libero e democratico.
Insieme alle sue compagne nella prigione di Evin continua a battersi per l’uguaglianza, i diritti, la democrazia e la libertà in Iran, anche per le generazioni future. Cosa significa portare avanti la lotta all’interno del carcere?
«Io credo che la vita dietro le mura buie e fredde delle prigioni fluisca in modo vibrante, intrecciate con l’elemento della “resistenza”. Quando la resistenza, che scaturisce da una volontà umana indomita, è forte, la vita – in tutte le sue sfaccettature – brilla dentro le mura della prigione. Ho testimoniato la crescita, la vitalità e la resilienza delle donne condannate alle punizioni più dure, dalle condanne a morte a lunghe pene detentive o malattie gravi e croniche – persino donne anziane. Deve essere riconosciuto che un prigioniero è un “essere umano”, e ogni essere umano lotta per la sopravvivenza in modi diversi. Cantare, ballare, tagliare o accorciare i capelli, indossare vestiti colorati, ridere e gioire, tutti questi sono modi per mantenere vivo il senso della vita, anche tra i prigionieri ordinari».
Cosa rappresentano questi atti nelle prigioni dell’Iran?
«Nelle prigioni politiche e ideologiche dell’Iran, questi atti diventano parte della resistenza perché sfidano le politiche delle autorità carcerarie. Più i prigionieri continuano la loro lotta, in particolare attraverso la solidarietà, e fanno sentire la loro voce di protesta alla società, più forte diventa il loro senso della vita e della speranza. Alcuni pagano un prezzo pesante per creare e mantenere questo stato. Il governo non può tollerare una tale resilienza, così cerca di sopprimerla. Nel 2020, ad esempio, sono stata processata e condannata per aver organizzato un raduno nel reparto femminile del carcere di Evin».
Cosa significa per una donna essere detenuta a Evin? E come si sopravvive in isolamento?
«Quando si parla del carcere di Evin, è essenziale menzionare i reparti di sicurezza dove i detenuti sono tenuti in isolamento. Ho trattato questo tema nel mio libro, Tortura Bianca. Mentre altri settori della prigione ospitano i prigionieri, collettivamente, in stanze con accessi a cortili e spazi per attività quotidiane: le condizioni non sono uniformi in tutto Evin. Ma le celle di isolamento nei reparti di sicurezza sono luoghi di torture mentali, emotive e anche fisiche molto gravi, che sono orribili. Le prigioni nelle città più piccole sono, però, molto peggio di Evin. Sono stata incarcerata a Zanjan (due volte) e nella prigione di Qarchak. Le condizioni in queste prigioni sono profondamente disumane e estremamente difficili da sopportare.
Quanto è stato importante e lo è tuttora il movimento “Donne, vita, libertà” per il futuro dell’Iran e perché?
«“Donna, Vita, Libertà” è un movimento completo che ha spinto in modo persistente e risoluto profonde trasformazioni sociali e politiche. Il movimento incarna la volontà del popolo iraniano, in particolare delle donne e dei giovani, di ottenere la libertà e il rispetto della loro dignità e dei diritti umani».
Una settimana fa è stata scarcerata la giornalista Cecilia Sala dopo 20 giorni di detenzione a Evin senza un’accusa. Cosa ha pensato quando ha saputo che era stata incarcerata?
«La notizia dell’arresto, dell’isolamento e della successiva liberazione della giornalista italiana Cecilia Sala mette nuovamente in evidenza la realtà che giornalisti, reporter e professionisti dei media in Iran sono costantemente a rischio di detenzione, pressioni, prigionia e torture. Questo sottolinea come il regime religioso autoritario metta in pericolo la libertà di espressione».
(da Open)
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Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
600 CHILOMETRI DI CONFINE SARANNO FORTIFICATI PER RESPINGERE EVENTUALI ATTACCHI RUSSI… E POI NELLA UE ABBIAMO LE QUINTE COLONNE SOVRANISTE DELL’IMPERIALISMO RUSSO
Le prime ruspe sono entrate in azione alla fine di ottobre. Scavano fossati anti-
carrarmato, preparano il terreno per installare nuove barriere fisiche, depositi per le munizioni, bunker militari e rifugi per i cittadini.
Ma non solo: il programma lanciato dal governo polacco, accanto ai più avanzati sistemi anti-drone, prevede di realizzare anche trincee e potenzialmente dei campi minati nei primi duecento metri a ridosso della frontiera con la Bielorussia e con l’exclave russa Kaliningrad. «Dobbiamo essere pronti a respingere attacchi accidentali o intenzionali dei nostri nemici» avverte il generale Stanislaw Czosnek, vicecapo di Stato maggiore dell’esercito polacco, mentre mostra le “slide” del progetto.
Varsavia ha intenzione di fare sul serio e ha stanziato 2,5 miliardi di euro per realizzare l’«East Shield», lo scudo con il quale intende blindare i suoi 600 chilometri di frontiera a Est e a Nord per mettersi al riparo da una potenziale invasione. Sarà terminato nel 2028 e rappresenterà la più grande fortificazione militare mai realizzata dalla seconda Guerra mondiale. Il premier Donald Tusk ha spiegato che quest’anno le spese militari raggiungeranno la soglia record del 4,7% del Pil, la più alta tra i Paesi Nato. E che per questo intende fare pressione sugli alleati che invece sono ancora lontani dal 2%.
Al varco di confine tra l’avamposto polacco di Polowce e quello bielorusso di Peschatka il passaggio è sbarrato. Fino al 1° giugno del 2023 si poteva transitare lungo la strada 66, ma ora c’è una zona-cuscinetto off limits con i militari di Varsavia che guardano a vista il territorio del Paese “nemico”, tre file di tetrapodi di cemento, un’enorme quantità di filo spinato e poi ancora tre file dei frangiflutti che presto diventeranno una costante lungo le frontiere polacche. Ai lati, scorre per 186 chilometri la cancellata di metallo alta cinque metri, eretta nel 2022 per fermare l’arrivo dei migranti «che la Bielorussia usa come armi contro di noi» ripete in continuazione mentre sprofonda gli scarponi nel fango Maciej Duszczyk, viceministro all’Interno e responsabile del dossier migrazione.
Ma il colonnello Mariusz Ochalski, del Genio militare, assicura che il progetto dello scudo orientale va ben oltre la necessità di frenare quella che qui definiscono «la rotta migratoria artificiale». L’obiettivo è decisamente più ambizioso: «Dobbiamo rispondere alle minacce ed essere pronti a fermare i carrarmati. Grazie agli interventi realizzati, da qui non possono passare e ora dovremo fare lo stesso negli altri punti del confine». Lo dice indicando con soddisfazione i tetrapodi e il filo spinato «che non proteggono soltanto la Polonia, ma l’intera Unione europea».
Dalla parte opposta del filo spinato non c’è anima viva, nessuna traccia dei militari bielorussi e il vecchio valico di frontiera sembra un casello autostradale abbandonato. La Polonia non starà forse esagerando con questo allarmismo? Nemmeno il tempo di finire la domanda e la risposta del colonnello è netta: «No».
Le misure previste dal progetto East Shield saranno realizzate in base a diverse fasce di scurezza a seconda della distanza dal confine: rossa (fino a 15 km), gialla (fino a 50 km) e verde (fino a 100 km). La fortificazione, però, non sarà omogenea lungo tutta la frontiera, ma si adatterà alle caratteristiche del territorio. «Gli ostacoli naturali, come fiumi e foreste, saranno utilizzati ed eventualmente rafforzati» si precisa nel progetto, il quale interesserà anche aree che oggi sono private: «Non ci saranno espropri, ma i terreni verranno acquistati come investimenti».
Una cinquantina di chilometri a Nord dal valico di Polowce si estende l’immensa foresta vergine di Bialowieza, che accoglie i visitatori con i suoi dodicimila anni di storia e la medaglia di patrimonio Unesco. Abbraccia il territorio di Polonia e Bielorussia, ma con la costruzione della barriera anti-migranti anche la foresta è stata separata fisicamente in due. Come denunciano le associazioni ambientaliste, a farne le spese non sono stati soltanto gli alberi centenari, ma anche i celebri bisonti che sono il simbolo della foresta e che si sono ritrovati bloccati in un Paese o nell’altro, senza la possibilità di muoversi liberamente come prima.
Al di là della frontiera bielorussa continuano a rimanere intrappolati anche i migranti che arrivano dalla Siria, dall’Afghanistan, ma ultimamente soprattutto da Etiopia, Eritrea e Somalia (le prime tre nazionalità registrate nel 2024). «Sbarcano a Minsk in aereo, spesso con un visto russo in tasca, e poi vengono portati al confine da un sistema organizzato» spiega Arkadiusz Skutnik, comandante dell’esercito e responsabile della task force che assiste le guardie di frontiera.
L’anno scorso le persone che hanno tentato di varcare il confine sono state quasi trentamila, il dato più alto nell’ultimo triennio. Gli ingressi irregolari registrati in Polonia, però, sono meno di undicimila. Secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch, nei primi otto mesi del 2024 ci sono stati circa diecimila respingimenti illegali. «Tutto è fatto secondo la legge – replica il colonnello Andrzej Stasiule Wacz, vicecomandante delle Guardie di frontiera – e non si tratta di respingimenti illegali perché sono stati fermati in prossimità della frontiera».
(da lastampa.it)
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Gennaio 19th, 2025 Riccardo Fucile
L’ICONA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Immaginate, un bel giorno, di aprire il vostro frigorifero e trovare cibi che non avete mai comprato. Si sono materializzati da soli, per volontà del frigorifero stesso. Magari vi piacciono, magari no, ma non è questo il punto. Passato lo stupore iniziale, subentra una domanda sgomentevole: da quando i frigoriferi si riempiono da soli? Perché il mio frigorifero non mi ha chiesto il permesso? Indipendentemente da chi paga il conto di quei cibi non richiesti (io, sicuramente) chi comanda, tra me e il mio frigorifero?
Allo stesso modo: aprendo la mia pagina di scrittura come faccio ogni giorno, più volte al giorno, ho scoperto che non è più vuota. In alto a sinistra appare una nuova icona, quella di copilot, un programma di intelligenza artificiale incaricato di assistermi mente scrivo. A partire da questa Amaca. Naturalmente, il programma si attiva solo cliccando sull’icona: ma l’icona, nonché la riga di testo che la presenta, campeggia, indesiderata, in ogni mia nuova singola pagina.
Ho cercato di rimuoverla ma non è per niente facile, proverò a farlo, dopo il weekend, con l’ausilio del tecnico che mi assiste quando sto per soccombere alla tecnologia.
Resta una sensazione, greve, di intrusione. Di non libertà. Perché nel mio programma di scrittura deve apparire l’icona di copilot senza che io l’abbia richiesta, anzi senza neppure sapere che esiste?
Il commercio di tecnologia ci prevede come clienti, che scelgono e adoperano solo ciò che gli serve, o come terminali passivi, come cavie di un’accelerazione ininterrotta? E su quale icona si deve cliccare, per attivare la funzione “aiuto, voglio scendere!”?
(da La Repubblica)
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