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“MIGRANTI E PETROLIO, ITALIA RICATTATA DALLA MAFIA LIBICA, PER QUESTO MELONI HA LIBERATO ALMASRI”

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

ROBERTO SAVIANO: “IL GOVERNO ITALIANO E’ ALLEATO DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA LIBICA, ALTRO CHE PERSEGUIRE I TRAFFICANTI”

“Haim Usama Almasri Habash, conosciuto semplicemente come Almasri, è considerato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia un torturatore e responsabile di crimini di guerra. Viene arrestato in Italia e immediatamente liberato con tanto di volo pagato dagli italiani, che lo ha portato direttamente a casa sua, a Tripoli. Ma mettiamo in ordine le cose. Cerchiamo di capire perché è stato arrestato e rilasciato in 48 ore”. Roberto Saviano, negli studi di Fanpage.it ricostruisce il caso del libico ricercato dalla giustizia internazionale che l’Italia ha arrestato e poi riportato nel suo paese.
Prima di tutto: chi è Almasri? Per capirlo basta vedere chi lo stava aspettando ai piedi dell’areo con bandiera italiana che è atterrato la sera di martedì a Tripoli. “Ci sono centinaia di persone in festa che lo accolgono in tripudio, tra cori e fumogeni, come se fosse un calciatore arrivato dopo una trasferta vincente. In qualche modo il calcio c’entra in questa storia. Perché Almasri quando è stato arrestato era a Torino, era andato per vedere Juve Milan”.
“Non sappiamo per chi facesse il tifo, se per i rossoneri o per i bianconeri. – prosegue lo scrittore – Quel che è certo è che si muoveva liberamente per l’Italia, nonostante sulla sua testa ci fosse un mandato di arresto della Corte penale internazionale. Sì perché quell’uomo calvo, con il volto prominente sceso dalle passerelle dell’aereo con la bandiera tricolore, non è affatto uno qualunque. È il capo della milizia Rada, che tra le altre cose gestisce la famigerata prigione di Mitiga”.
I racconti dei sopravvissuti della prigione di Mitiga fanno rabbrividire. Si tratta di un vero e proprio lager per migranti dove avvengono torture, abusi, stupri, estorsioni e rapimenti. Solo chi paga ha la speranza di uscire, dopo che le famiglie sono state spremute. Un luogo di dolore e sofferenza che per il gruppo di Almasri è “come un bancomat” di denaro “estorto, spremuto dai disperati che vi sono rinchiusi”.
A Tripoli il confine tra apparati di sicurezza e milizie, tra Stato e signori della guerra è inesistente. Per questo la milizia islamista Rada, ha anche un ruolo politico, in quanto “ufficialmente si occupa di mantenere la sicurezza”. È come una sorta “di polizia privata e religiosa al contempo”, che ha “il profilo di una vera e propria mafia”. Una mafia il cui boss è proprio Almasri.
“Ufficialmente deve combattere criminalità e traffico di esseri umani. In realtà Rada si occupa di gestire direttamente il traffico di esseri umani, ma anche il traffico di droga e di petrolio. Secondo diversi analisti, ma anche i magistrati italiani, questa milizia aveva interessi conflittuali e sovrapposti a quelli del gruppo di Bija, il capo della cosiddetta guardia costiera libica, morto alcuni mesi fa in un attentato. Scomparso Bija, il capo clan che controlla territori e traffici è Almasri”.
È come se l’Italia avesse acciuffato e lasciato andare un boss di caratura internazionale.
Ma come è stato possibile? Perché l’arresto non è stato sbandierato e rivendicato subito sui media? Perché è emerso solo grazie al lavoro dei giornalisti che si occupano da anni di rotte migratorie? Eppure aver fermato un uomo accusato di crimini così gravi dovrebbe essere considerato un gran colpo da parte degli apparati di sicurezza.
Ma cosa è successo? “Le istituzioni parlano di un errore procedurale, di un vizio di forma che ha portato i giudici di Roma a rilasciare il boss delle milizie di Tripoli. In poche parole, il ministero della Giustizia, che gestisce rapporti con la Corte internazionale, non sarebbe stato informato. Un’anomalia che se il ministro della Giustizia Nordio avesse risposto il 20 gennaio si sarebbe facilmente sanata. Invece il ministro Nordio tarda a rispondere e Almasri torna in libertà”. Un errore di forma compiuto dalla Digos di Torino, che poteva essere superato senza grandi difficoltà. Ma quella che sembrerebbe essere mancata è stata la volontà politica di agire tempestivamente.
Qui gli interrogativi si moltiplicano. Perché uno degli uomini forti di Tripoli, pur ricercato dalla giustizia internazionale, si muoveva liberamente non solo in Italia ma anche in altri paesi europei? Sentendosi addirittura tranquillo di andare allo stadio per vedere una partita di calcio? Chi lo proteggeva che gli dava sicurezza e protezione?
“In molti hanno avuto paura di quello che Almasri avrebbe potuto dire sui rapporti con i governi e gli apparati di sicurezza italiani. O faceva paura la possibilità che per ogni giorno di carcere di Almasri, le milizie comandate da lui avrebbero rilasciato centinaia di migranti per farli sbarcare in Italia? O che l’estrazione delle società petrolifere italiane in Libia sarebbe stata ostacolata?”, risponde Saviano aggiungendo domande e fornendo alcune risposte.
Non c’è dubbio però che “la scelta di esternalizzare le nostre frontiere in Libia, vuol dire consegnarci a personaggi come alla mafia libica”, e questo vuol dire “rendere i nostri governanti ricattabili da signori della guerra, da criminali. Perché sono proprio loro, infatti, che aprono e chiudono i rubinetti dei flussi migratori che controllano le partenze”.
“E quindi l’impegno di Giorgia Meloni sull’immigrazione alla fine si riduce a questo: pagare Almasri e la sua mafia, o chi per lui, e perseguitare le navi delle ONG che nel Mediterraneo salvano vite. Niente di troppo diverso da chi l’ha preceduta, dobbiamo dirlo. Ma rendiamoci conto del paradosso chi salva vite viene perseguito, mentre chi da quelle vite ne ricava danaro, chi fa atti criminali, chi traffica, è invece in accordo con il governo”.
Un paradosso a cui per il giornalista se ne aggiunge un altro, quello delle motivazioni addotte ieri dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in aula in Senato, circa la repentina liberazione del ricercato libico. Dopo aver rimandato a una successiva informativa per spiegare nel dettaglio quanto accaduto, si è limitato a dire che il “cittadino libico”, è stato espulso in fretta e furia in quanto persona soggetto pericoloso. “Liberare una persona molto pericolosa, non è paradossale? Il governo non è stato neanche in grado di prepararsi una risposta credibile. Almasri è stato liberato perché c’è un accordo. Un accordo tra la criminalità organizzata libica che controlla il territorio e il governo italiano”, aggiunge Saviano.
“Ma Giorgia Meloni non doveva perseguire sull’intero globo terracqueo i trafficanti? Non doveva fermare le organizzazioni trafficanti? Tutte bugie, con le organizzazioni dei trafficanti ci si fanno affari e accordi, la questione centrale resta sempre il petrolio e il controllo del flusso dei migranti. Il governo italiano si è dimostrato un alleato della criminalità organizzata libica”.
(da Fanpage)

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COSA SAPPIAMO DELL’OFFERTA MPS PER MEDIOBANCA E COSA C’ENTRA IL GOVERNO MELONI SPIEGATI DALL’ECONOMISTA SANDRI, PROFESSORE ORDINARIO DI FINANZA AZIENDALE ALL’UNIVERSITA’ DI BOLOGNA

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

MONTE DEI PASCHI DI SIENA (AZIONISTA PRINCIPALE IL GOVERNO) HA FATTO UN’OFFERTA PER MEDIOBANCA, IL TERZO ISTITUTO PIU’ GRANDE DEL PAESE CHE CONTROLLA ANCHE UNA PARTE DI ASSICURAZIONI GENERALI

Nella notte di tra giovedì e venerdì ha iniziato a circolare la notizia che Monte dei Paschi di Siena, tra le principali banche italiane e che ha il ministero dell’Economia come principale azionista, avrebbe fatto un’offerta di scambio per Mediobanca. Nelle prime ore del mattino è arrivata la conferma: la banca senese ha presentato agli azionisti di quella milanese un’offerta di scambio totalitaria, promettendo 2,3 azioni di Mps per ogni azione di Mediobanca che hanno già.
Le trattative sono partite, anche se Mediobanca ha chiarito che l’offerta non era concordata, e che quindi la considera “ostile”.
Fanpage.it ha intervistato Sandro Sandri, professore ordinario di Finanza aziendale all’Università di Bologna, per provare a chiarire la situazione.
Perché l’operazione tra Monte dei Paschi e Mediobanca fa discutere?
Innanzitutto, perché se ne parla tanto? Certamente perché si tratta dell’ottava banca più grande del Paese (per valore) che cerca di prendere il controllo della terza. Un tentativo che non si era mai visto, tanto più con un’offerta “ostile”, e che potrebbe cambiare gli equilibri del sistema bancario italiano.
Anche se molti associano al nome di Monte dei Paschi un istituto in crisi, dopo anni difficili che hanno richiesto un vero e proprio salvataggio pubblico, oggi la situazione non è più questa: “Lo Stato ci ha messo tanti soldi – motivo per cui Mps è sottoposta ad attento scrutinio delle autorità competenti – e adesso è una banca enorme. Con questo passo hanno deciso di essere attivi e non passivi”, ha detto Sandri.
Se l’acquisizione avvenisse, il nuovo gruppo “diventerebbe di gran lunga il terzo polo bancario del Paese”. L’offerta è quindi un passaggio significativo nel ‘risiko’ delle banche italiane. Un gioco di mosse e contromosse che riguarda molti dei grandi istituti del Paese, e di cui si era già parlato a novembre quando Unicredit presentò un’offerta (anche quella “ostile”) per Bpm.
In quel caso, però, la linea del governo Meloni fu fredda, quando non apertamente critica, evocando addirittura l’utilizzo del golden power con cui l’esecutivo può bloccare le operazioni economiche in settori di interesse nazionale. Al contrario su Mps il governo non ha commentato, ma è evidente che è favorevole all’operazione, dato che è azionista di maggioranza della banca e il consiglio di amministrazione ha approvato all’unanimità l’offerta.
Cosa c’entra il governo Meloni e qual è il suo obiettivo
Sandri ha messo in evidenza l’aspetto più importante per cui l’operazione ha fatto scalpore: “C’è di mezzo lo Stato, che è il maggior azionista della banca senese”. Il ministero dell’Economia e delle Finanze controlla infatti l’11,7% di Mps, più di qualunque altro soggetto singolo.
“Senza mettersi a fare dietrologie sulla linea ‘nazionalista’ o meno di questa decisione, è comunque insolito che un ente a partecipazione statale si muova in modo così deciso”, ha spiegato. Anche perché, se l’operazione andasse in porto, il governo “arriverebbe ad avere un ruolo importante anche in Assicurazioni Generali”.
Infatti Mediobanca a sua volta è azionista al 13% della più grande società assicurativa del Paese: una quota abbastanza grande da influire sulle decisioni di gestione.
C’è chi potrebbe iniziare a parlare di una volontà di “nazionalizzare” le banche o le assicurazioni, ma per Sandri al momento “non è il caso di esagerare”. La quota di azioni in mano al Mef sarebbe “all’incirca del 5%, i calcoli precisi bisognerà farli con l’offerta e le quote definitive”.
In ogni caso il governo resterebbe di fatto “azionista di rilievo di tutto questo nuovo gruppo composto da Monte dei Paschi-Mediobanca-Assicurazioni Generali”.
L’ingresso dello Stato, con questo peso, nel settore creerebbe “un tumulto non da poco” e porterebbe “ripercussioni che è difficile anticipare”. Ma si può dire che “ci sarebbe confusione”. E in un campo delicato come quello finanziario e assicurativo, “un aumento dei disaccordi potrebbe tradursi in instabilità per le imprese”.
I correntisti devono preoccuparsi?
Su questo punto, Sandri è stato molto netto: “No, non c’è motivo di preoccupazione per i correntisti”. Il motivo è che quelle coinvolte “sono tutte banche ricche, non ci sono crisi, qui non si parla di operazioni che portano conseguenze significative per i clienti”. Al contrario, ci sono state “promesse di aumenti di dividendi” e di altri benefici per gli azionisti, “ma il nocciolo non è questo”.
Queste, ha concluso l’economista, “sono operazioni incentrate sulle dinamiche di potere”. Insomma, i clienti di Mps o di Mediobanca possono dormire sonni tranquilli. Per come sta prendendo forma la trattativa, anche se e quando si chiuderà non dovrebbe esserci un grande cambiamento per chi ha un conto
Cosa c’è dietro la trattativa tra Mps e Mediobanca e come andrà a finire
Ci si chiede anche come sia arrivata questa iniziativa, che Sandri parlando a Fanpage ha definito “decisamente audace”. È “impossibile”, ha detto, che il governo Meloni “non sia stato consultato in precedenza”.
In effetti venerdì l’amministratore delegato Mps, Luigi Lovaglio, ha fatto sapere che già a dicembre 2022, dopo un aumento di capitale della banca, aveva incontrato il ministro Giorgetti: “Gli rappresentai tre opzioni strategiche”, ha affermato. La prima era che Monte dei Paschi restasse sola, la seconda una fusione con un’altra banca commerciale, e la terza proprio l’offerta a Mediobanca.
Insomma, quella che è andata in scena sarebbe un’operazione immaginata da anni. E che secondo Sandri non si chiuderà a breve: “Hanno offerto un premio di appena il 5%” rispetto al valore di mercato attuale, “dubito che gli azionisti lo approveranno”. Il Cda di Mediobanca ha confermato che si è trattato di un’offerta “ostile”, che nel settore significa che non era stata concordata in precedenza. In caso di bocciatura, “servirà un’eventuale nuova offerta. Prima che la vicenda si chiuda sarà lunga”. Nel frattempo, i mercati venerdì hanno reagito “malissimo nei confronti di Monte dei Paschi”, un altro aspetto che si dovrà tenere in considerazione
Gli intrecci tra gli azionisti di Mediobanca e Mps
Uno dei punti più complicati da ricostruire in modo chiaro è il gruppo di azionisti che controlla Monte dei Paschi di Siena e Mediobanca. I nomi importanti sono soprattutto due: Caltagirone e Del Vecchio, che “sono azionisti di tutte e due, cosa che complica gli intrecci”.
Infatti, il gruppo di Francesco Caltagirone ha il 5% delle azioni di Mps e il 7,8% della banca milanese, oltre al 6,92% di Assicurazioni generali. Invece Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio (che guida EssilorLuxottica), controlla il 9,8% di Monte dei Paschi e ben il 19,8% di Mediobanca, oltre al 9,9% di Generali. È chiaro, quindi, che le due famiglie giocano un ruolo centrale nell’operazione che cerca di unire i due istituti di credito.
È una situazione non così rara, nel complesso mercato finanziario italiano. Per complicare il quadro basterebbe aggiungere che la holding Anima, un’azienda del settore del risparmio gestito, controlla circa il 4% di Monte dei Paschi ed è a sua volta per il 20% di Banco Bpm: proprio la banca per cui Unicredit ha fatto un’offerta a novembre. Il punto, insomma, è che quando si parla della trattativa per l’acquisizione di una banca si va a toccare una rete di interessi molto articolati: in questo caso, comunque, resta centrale il ruolo di Caltagirone e Del Vecchio, oltre a quello del governo.
(da Fanpage)

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ABBIAMO UNA BANCA, NE VOGLIAMO DUE. L’OPERAZIONE DI MPS SU MEDIOBANCA È STATA TELEGUIDATA DA PALAZZO CHIGI: È UN TENTATIVO DI BLOCCARE LA JOINT VENTURE TRA GENERALI E LA FRANCESE NATIXIS, INVISA AL GOVERNO SOVRANISTA, E DI AIUTARE CALTAGIRONE E DELFIN .

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

LA STESSA GIORGIA MELONI AVREBBE DATO IL VIA LIBERA ALL’OPERAZIONE, IL CUI SUCCESSO È DIFFICILE, VISTO CHE IL MERCATO GIÀ SCONTA DEL 9% L’OFFERTA: LE QUOTE DI “CALTA” E DELFIN A PIAZZETTA CUCCIA VALGONO IL 25%. DOVE SI TROVA L’ALTRO 25%?… O ADERISCE IL TESORO, PRIMO AZIONISTA DI MPS, RISCHIANDO L’INCAZZATURA DELLA COMMISSIONE UE E SFANCULANDO IL PIANO DI PRIVATIZZAZIONI PROMESSO, O SI CONVINCONO GLI ALTRI SOCI MINORI DI MEDIOBANCA, AL MOMENTO SCETTICI

Per avere conferma di come la pensino a Palazzo Chigi sull’offerta a sorpresa del Monte dei Paschi su Mediobanca basta sfogliare le dichiarazioni di alcuni esponenti della maggioranza. […] Poi ci sono le indiscrezioni sulle quali è impossibile avere conferme: un contatto telefonico giovedì fra il numero uno di Mps Luigi Lovaglio e Giorgia Meloni, un incontro a quattr’occhi della stessa premier con Francesco Gaetano Caltagirone, suo grande alleato e regista dell’operazione.
Che la scalata di Mediobanca fosse da tempo fra i progetti di Lovaglio è agli atti: lo ipotizzò più di due anni fa al ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti. Cosa è successo nel frattempo? E perché il governo Meloni oggi sostiene l’operazione? Due almeno le risposte.
La prima, quella più squisitamente politica: la premier e i suoi alleati non avrebbero voluto vendere le quote della banca senese, l’unica ancora partecipata dallo Stato, ma gli impegni presi con l’Unione europea e i vincoli di finanza pubblica lo hanno impedito. E così, mentre con una mano lo Stato cedeva quote – oggi gli resta l’11 per cento – con l’altra cercava imprenditori alleati con cui riconquistare l’istituto per decenni simbolo della finanza rossa.
Seconda risposta: Caltagirone e il suo alleato nella battaglia per il controllo delle Generali – la Delfin della famiglia Del Vecchio – non sono in grado di realizzare in tempi rapidi il ribaltone ai vertici del gigante assicurativo, uno dei principali acquirenti di debito pubblico italiano.
La recente operazione di Generali con il gigante del risparmio francese Natixis è vista poi da Palazzo Chigi e da Fratelli d’Italia come un dito negli occhi agli interessi nazionali. E così, senza pensarci due volte, Meloni ha dato l’assenso alla contromossa, […] senza il coinvolgimento di Giorgetti.
Il successo dell’operazione è difficile da prevedere. In poche ore sul mercato sono passati di mano importanti pacchetti di azioni di quello che una volta era il “salotto buono” della finanza italiana. Racconta un banchiere che chiede di non essere citato: «Gli amici di Nagel (numero uno di Mediobanca, ndr) sono scesi in campo contro il governo».
L’offerta che all’alba valeva un premio del cinque per cento della banca milanese, è diventata a sconto di oltre il nove. Le quote di Caltagirone e Delfin valgono il 25 per cento di Mediobanca. Per raccogliere un altro 25 per cento e vincere la partita, due le strade: o l’adesione del Tesoro all’offerta di Caltagirone e Delfin, oppure il sostegno del mercato.
Racconta un secondo banchiere con buoni uffici a Palazzo Chigi: «Nella prima ipotesi Palazzo Chigi e Tesoro dovrebbero presentarsi di fronte alla Commissione europea per chiedere l’autorizzazione ad un’operazione che smentirebbe quanto fatto in ossequio al piano di privatizzazioni. Difficile per ora immaginare anche il sostegno dei soci stabili minori di Mediobanca, fra cui Unipol, la famiglia Monge, Ennio Doris. Tutti investitori che guardano al vantaggio finanziario dell’operazione».
Dunque, cui prodest? La risposta è in quella che a Palazzo Chigi e al Tesoro sta diventando quasi una fissazione: sostenere la nascita di un terzo polo del credito, alternativo a Intesa Sanpaolo e Unicredit, ormai lontane dalle sirene della politica e in un caso – la banca guidata da Andrea Orcel – mossa da ambizioni paneuropee. Il sostegno a Mps-Mediobanca scrive la parola fine all’ipotesi che nelle intenzioni di Giorgetti e della Lega avrebbe dovuto mandare a nozze la stessa Mps con la milanese Banco Bpm.
L’hanno affossata i dubbi del numero uno Giuseppe Castagna e l’offerta di acquisto da parte di Unicredit. La conseguenza (forse) inintenzionale del sostegno governativo all’operazione Mps-Mediobanca è un regalo a Orcel, che ora ha la strada spianata per la conquista della piccola rivale milanese
Per capire quale sarà il nuovo assetto della finanza italiana dopo tutto ciò, occorrerà attendere almeno maggio e le assemblee dei soci di Unicredit, Generali e Banco Bpm: allora si inizierà a capire se il cambio di strategia del governo a sostegno del terzo polo tricolore avrà avuto successo.
(da La Stampa)

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BEPPE GRILLO E LA PROROGA DECENNALE PER LA SPIAGGIA DELLA SUA VILLA PRIVATA A BIBBONA: TUTTO GRATIS

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

IL COMUNE GLIEL’HA CONCESSO NONOSTANTE L’AFFITTO DI 15.500 EURO A SETTIMANA

Beppe Grillo ha ricevuto una proroga di dieci anni per la gestione della spiaggia in cui si trova la sua villa privata a Bibbona in provincia di Livorno. Grillo affitta la casa a 16.500 euro a settimana.
La delibera datata 19 dicembre, di cui parla oggi Il Giornale, parla della «concessione demaniale n. 14/05 intestata al Sig. Giuseppe Grillo, identificata nel Piano con la sigla CDM – 7, tipologia concessione: arenile privato». E si legge che sarà assegnata per dieci anni. Perché è identificata come «arenile privato» e (…) «in nessun modo può essere ricondotta ad un “attività economica”, avendo come scopo esclusivamente la protezione della duna e della vegetazione dunale».
Sette bagni e 16 posti letto
Insomma, spiega oggi il quotidiano, la villa con sette bagni e 16 posti letto costruita nel 1920 era la Casina di mare dei marchesi Ginori.
(da agenzie)

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LA DESTRA ASOCIALE: HAI UN REDDITO DI LAVORO BASSO? 100 EURO IN MENO IN BUSTA PAGA. CONTINUA LA GUERRA AI POVERI DA PARTE DEI GOVERNO AMICO DEI MILIARDARI

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

I LAVORATORI CON REDDITI FINO DI 8.500 EURO L’ANNO PERDERANNO CIRCA 100 EURO AL MESE… IL GOVERNO LO SAPEVA DA NOVEMBRE

Per effetto della legge di Bilancio 2025, i lavoratori con redditi da 8.500 euro l’anno perderanno circa cento euro al mese. Il governo ne è consapevole almeno dal 6 novembre.
In quella data, infatti, l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha presentato in audizione una serie di simulazioni che confrontavano le buste paga del 2024 – con il vecchio sistema della decontribuzione – e quelle del 2025: ne emergeva una significativa perdita in quella fascia di reddito e non solo. Anche intorno ai 15 mila euro in determinate condizioni – per esempio per i lavoratori impiegati solo per sei mesi all’anno – era evidente lo stesso effetto paradossale.
Una sostanziale conferma dell’allarme lanciato dalla Cgil e dal suo Consorzio Nazionale Caaf in questi giorni. Le soglie critiche sono più di una e, per quanto si parli di casi molto specifici, avranno un impatto significativo sul bilancio di tante famiglie.
Per mesi, invece, il governo ha continuato a descrivere la stabilizzazione degli effetti del precedente taglio del cuneo contributivo come un’operazione che avrebbe alzato gli stipendi di tutti i lavoratori con redditi fino a 40mila euro, senza fare alcun riferimento alle eccezioni. La realtà era un’altra: l’aumento lo vedrà solo chi ha redditi tra i 35mila e i 40mila euro. Per tutti quelli sotto i 35 mila euro, invece, ci saranno quasi sempre perdite di qualche euro al mese, e come detto in alcuni casi più particolari la beffa varrà addirittura fino a 1.200 euro l’anno.
Ricapitoliamo: come è possibile che chi già guadagna poco perda così tanto in busta paga? Il motivo è che la decontribuzione in vigore nel 2023 e 2024, cioè lo sconto di sette punti sui contributi Inps a carico dei lavoratori, aveva per loro prodotto un doppio vantaggio. Il primo dipendeva dal taglio stesso dei contributi; il secondo dal fatto che, grazie a quel taglio, il loro reddito superava la soglia di 8.145 euro che è il minimo per ottenere i 100 euro al mese di trattamento integrativo. Si tratta dell’ex “bonus Renzi” da 80 euro, aumentato appunto a 100 euro dal governo Conte II. In quella fascia si otteneva dunque un beneficio annuo di oltre 1.700 euro.
Un privilegio eccessivo rispetto al risparmio ottenuto dalle altre fasce di reddito, secondo il governo. Che, nel rendere strutturale la riduzione del cuneo che altrimenti sarebbe scaduta a fine 2024, ha deciso di aggiustare la “distorsione” eliminando il vantaggio sproporzionato. E causando così un doppio svantaggio. In quella fascia ora si perdono oltre 500 euro di decontribuzione e i 1.200 euro di “bonus Renzi”, mentre il nuovo bonus previsto dalla manovra ne vale solo 500. Il governo di centrodestra non ha ritenuto di apportare correttivi durante il passaggio parlamentare, che pure non avrebbero richiesto uno sforzo finanziario sostanziale.
Come detto, l’Ufficio parlamentare di bilancio – che è un organo tecnico indipendente – aveva evidenziato penalizzazioni anche per altre ristrette fasce di reddito. Per esempio i lavoratori con redditi poco sotto i 15mila euro e impiegati per sei mesi all’anno. In generale, l’Upb aveva stimato in circa 800mila le persone che otterranno una perdita non trascurabile nel passaggio dalla decontribuzione del 2024 al nuovo cuneo fiscale del 2025.
Tirando le somme, l’operazione del governo Meloni ha centrato’obiettivo di sostituire la decontribuzione, che causava minori entrate all’Inps, con un bonus fiscale, e di renderla strutturale. E ha reso l’intervento più equo perché il nuovo bonus è calcolato in base a tutti i redditi e non solo quelli da lavoro: chi ha uno stipendio basso ma importanti rendite sfora quindi la soglia e non riceve il beneficio. In parallelo però ha condannnato alcune fasce di reddito già di per sé molto basse a perdite importanti.
(da agenzie)

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ELLY SCHLEIN AL PRESIDIO OSPEDALIERO DI VICENZA: “DIFENDIAMO LA SANITA’ PUBBLICA. MELONI TAGLIA A PRIVATIZZA”

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

“IL DIRITTO ALLA SALUTE E’ UN DIRITTO COSTITUZIONALE”

“Difendiamo la Sanità pubblica dai tagli e dalla privatizzazione della destra che governa”. Lo ha detto Elly Schlein al presidio all’ospedale di Santorso (Vicenza).
“Abbiamo proposto, con le altre opposizioni, 5mld e mezzo in più sulla Sanità pubblica, chiediamo più servizi per le persone non auto sufficienti, più risorse sulla salute mentale. Per questo il Pd ha destinato quelle poche risorse a disposizione delle opposizioni allo sportello psicologico per il supporto nelle scuole, ce lo chiedono i ragazzi. Non possiamo chiudere un occhio, il diritto alla Salute è un diritto costituzionale fondamentale”, ha aggiunto la segretaria del Pd.
(da agenzie)

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PROVE DI LOGORAMENTO , ORMAI È SOLO QUESTIONE DI TEMPO: DANIELA SANTANCHÈ DOVRÀ DIMETTERSI, MA DARÀ BATTAGLIA FINO ALL’ULTIMO PER RIMANERE INCOLLATA ALLA POLTRONA

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

GIORGIA MELONI NON SI FA VEDERE CON LA MINISTRA IN ARABIA SAUDITAE ANCHE IL SUO “PADRINO POLITICO”, IGNAZIO LA RUSSA, LA MOLLA AL SUO DESTINO: “STA VALUTANDO E VALUTERÀ BENE”

Santanchè è ormai isolata. Non tanto perché Palazzo Chigi arriva a mettere in dubbio la presenza della ministra in Arabia Saudita («A noi non risulta» dice una fonte molto vicina alla premier) a poche ore dalla partenza, quanto perché a prendere le distanze ieri è stato il suo sponsor politico e amico di sempre Ignazio La Russa.
«Io credo che stia comunque in una fase di valutazione, credo che stia valutando e valuterà bene quello che deve fare» ha spiegato la seconda carica dello Stato ad Un Giorno da Pecora su Radio 1, confezionando un avvertimento che rimarca quanto oggi la ministra sia isolata. La Russa infatti non chiude ad alcuno scenario e, anzi, sposa in toto la linea affidata venerdì ai colonnelli di Fratelli d’Italia da Meloni.
Come dimostra l’attento silenzio in cui si è rifugiata sulla vicenda, la premier sta infatti provando a limitare il suo coinvolgimento pubblico e diretto. Se la ministra resiste, Meloni e il partito provano a farle terra bruciata intorno, a partire proprio da La Russa. Un logorìo portato avanti anche paventando l’idea di non sostenerla in Aula quando si dovrà votare per la mozione di sfiducia presentata dal M5s.
Dal canto suo Santanchè però non dà alcun segnale di voler mollare. Tra i motori rombanti delle due ruote esposte al Motor Bike di Verona inaugurato ieri, più agguerrita che mai, risponde ai giornalisti tenendo il punto. «Mai nessuno mi ha chiesto di fare un passo indietro.
Io ho sempre detto che sono assolutamente tranquilla perché so come sono le questioni nel merito. Ho sempre detto che, per quanto riguarda questo rinvio a giudizio non mi sarei dimessa» ha spiegato, negando anche di aver avuto un confronto diretto con Meloni sul tema e, anzi, non notando nulla di diverso nei loro rapporti («Sono quelli di sempre»).
Diverso il discorso per quanto riguarda l’altra inchiesta, quella per truffa ai danni dello Stato per il ricorso della sua azienda alla cassa integrazione Covid: «Capisco che ha delle implicazioni politiche», ha detto la ministra, ribadendo la sua disponibilità a fare un passo indietro solo in caso di rinvio a giudizio per quel filone di indagine.
Tradotto: anche se il 29 il processo non dovesse essere spostato da Milano a Roma, Santanchè non vorrebbe mollare. «Andrò fino in fondo» ha promesso. «Finirà a fondo» garantiscono invece da via della Scrofa.
(da agenzie)

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LA PROTESTA DEI MAGISTRATI CONTRO IL GOVERNO ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

NAPOLI, MILANO, BARI, TORINO, ROMA: AULE DESERTE E COSTITUZIONI AL CIELO

Durante le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario nelle principali città, i magistrati hanno colto l’occasione per manifestare il proprio dissenso contro la proposta di riforma della giustizia che prevede la separazione delle carriere, promossa dal governo.
Le proteste, che hanno coinvolto diverse Corti d’Appello, si sono concretizzate con l’abbandono delle aule al momento degli interventi da parte dei rappresentanti del governo, come il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il viceministro Francesco Paolo Sisto. A Napoli, i magistrati, indossando la toga e con una copia della Costituzione in mano, hanno lasciato il Salone dei Busti di Castel Capuano durante il discorso di Nordio. A Torino, Palermo, Roma, Milano e Bari la scena è stata simile: i magistrati hanno lasciato le aule durante gli interventi dei rappresentanti del governo, alzando la Costituzione al cielo come simbolo di protesta.
Le proteste
A Roma, i giudici hanno abbandonato l’aula Europa della Corte d’Appello durante l’intervento del sottosegretario Alfredo Mantovano, mentre a Bari, prima ancora che il viceministro Sisto iniziasse il suo discorso, i magistrati hanno lasciato l’aula. In altre città, come Milano, è stato il presidente del Tribunale Fabio Roia a guidare la protesta, e i magistrati si sono riuniti nell’atrio del palazzo di giustizia con le costituzioni al cielo. «Prima di essere il presidente del Tribunale sono un magistrato e prima ancora un cittadino. Come cittadino sono preoccupato per questa riforma perché crea un corpo di pubblici ministeri che costituisce di fatto un quarto potere dello Stato non controllato da nessun altro», ha dichiarato Roia. «Già oggi il ministro dice che il pubblico ministero è un organo troppo potente. Con questa riforma lo diventa ancora di più, diventa un qualcosa di ibrido che necessariamente dovrà essere poi controllato dal potere esecutivo», ha aggiunto.
Si tratta di una serie di proteste organizzate in tutta Italia dall’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), che critica duramente il progetto di riforma del governo.
(da Open)

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DA TORINO A PALERMO, LA PROTESTA DEI MAGISTRATI…ESCONO QUANDO PARLA NORDIO

Gennaio 25th, 2025 Riccardo Fucile

A NAPOLI LE TOGHE SVENTOLANO LA COSTITUZIONE E GRATTERI RESTA IN UFFICIO MENTRE NORDIO PARLA… IL DISEGNO ORBANIANO DEL GOVERNO: CONTROLLARE LA MAGISTRATURA E RENDERLA PRONA AL POTERE POLITICO

Castel Capuano diventa palcoscenico dello scontro sulla separazione delle carriere e le altre riforme sul tema giustizia. Non è presente, all’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri. A quanto si apprende, il procuratore si trova in Procura, nel suo ufficio, per svolgere il suo lavoro quotidiano.
Magistrati in servizio e toghe in pensione, a fianco dei colleghi più giovani, indossano sul petto la coccarda tricolore e in mano tengono alto il testo della Costituzione.
Il ministro della Giustizia prende la parola. In molti lasciano l’aula. Il ministro Nordio presenta la sua relazione. Cambia il suo discorso, «che sarebbe stato troppo tecnico». Tutte «le opinioni e le manifestazioni di dissenso sono benvenute», dice. E ringrazia per «la manifestazione composta perché il dissenso è il sale della democrazia»
Estratto della Costituzione alla mano e coccarda tricolore sulla toga. È iniziata con una protesta simbolica ma significativa l’apertura dell’anno giudiziario a Torino, dove circa cinquanta magistrati hanno espresso la loro ferma contrarietà alla riforma costituzionale sulla separazione delle carriere. A guidare la manifestazione davanti al Palazzo di Giustizia, il magistrato Mario Bendoni, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) territoriale.
Tanti giudici e pm milanesi e alcuni procuratori della sede del distretto della corte d’appello si sono schierati compatti stamani sulla scalinata davanti all’ingresso principale di Palazzo di giustizia di Milano con addosso la toga per protestare contro la riforma costituzionale della giustizia che prevede la separazione delle carriere.
Cartelloni con una citazione di Piero Calamandrei sono stati mostrati da magistrati dell’Anm poco prima dell’inizio della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario in Corte d’Appello, a Roma. I magistrati indossano la toga e stringono una copia della Costituzione.
«Se volete andare in pellegrinaggio dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, nelle carceri – si legge sui cartelli -, nei campi, dovunque è morto un italiano per riscattare la nostra libertà perché è che è nata la nostra Costituzione».
«È arduo sostenere che le nuove riforme siano in grado di realizzare, almeno a Roma, in tempi brevi un significativo cambio di passo nei tempi della giustizia civile e penale», afferma il presidente della Corte d’Appello di Roma, Giuseppe Meliadò, nella relazione alla cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario.
La toga, la coccarda tricolore e la Costituzione in mano, Ecco come sono entrati i magistrati del Distretto di Palermo nell’aula magna del Tribunale di Palermo per l’inaugurazione dell’anno giudiziario di Palermo.
«La separazione delle carriere è la punta di un iceberg la cui parte sommersa e forse la più preoccupante sta emergendo, anche se il suo effetto dirompente non viene colto appieno forse perché di minore impatto mediatico», dice il Presidente della Corte d’Appello di Palermo Matteo Frasca. «La riforma della giustizia mira infatti a introdurre altre modifiche dell’ordinamento giudiziario che si saldano con la separazione delle carriere e vanno ben oltre, iscrivendosi a pieno in un progetto unitario che vuole ridisegnare l’equilibrio tra i poteri dello Stato».
(da agenzie)

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