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ALMASRI, 34 OMICIDI, 22 VIOLENZE SESSUALI E UN BIMBO DI 5 ANNI STUPRATO: ECCO CHI ABBIAMO LIBERATO PER VIGLIACCHERIA

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

DESECRETATO IL MANDATO DI CATTURA DALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE, EMERGONO ACCUSE PER FATTI ORRENDI… IL RIMPATRIO DELL’ACCUSATO IN LIBIA IMPEDISCE L’APERTURA DEL PROCESSO

Nel carcere di Mittiga, situato a Tripoli e diretto da Osama Njeem Almasri, dal febbraio 2015 sono stati documentati almeno 34 omicidi tra i detenuti e violenze sessuali ai danni di 22 persone, tra cui un bambino di 5 anni, perpetrate dalle guardie.
Questo emerge dal dispositivo della Pre-Trial Chamber della Corte Penale Internazionale, che il 18 gennaio ha notificato – a maggioranza – un mandato di arresto contro il generale libico, fermato in Italia il 19 e successivamente rilasciato.
Secondo i giudici dell’Aja, «ha picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti, nonché ha ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli».
Il 18 gennaio 2025, la Camera Preliminare I della Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del generale libico Osama Elmasry Njeem, noto anche come Almasri.
Le accuse che la Corte intende indagare riguardano il suo ruolo, in qualità di capo delle Forze di Deterrenza Speciali operanti a Tripoli, nella commissione di crimini internazionali a partire dal 15 febbraio 2015, in particolare contro i detenuti della prigione di Mitiga.
Secondo le accuse, questa prigione avrebbe detenuto e continua a detenere persone arrestate per motivi legati alle loro credenze religiose (cristiani o atei), per aver violato le norme della polizia morale (ad esempio, per omosessualità), per appartenenza a gruppi armati in conflitto con il governo di Tripoli, ma anche con finalità di estorsione. Molti dei detenuti sono migranti in transito. Le accuse comprendono crimini di guerra come trattamenti disumani, tortura, stupro e violenza sessuale, nonché omicidio, oltre ai crimini contro l’umanità di detenzione illegale, tortura, stupro, omicidio e persecuzione.
(da agenzie)

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SONDAGGIO GHISLERI, GLI ITALIANI NON SI FANNO INFINOCCHIARE DA ELON MUSK: IL 61% PENSA CHE LE SUE ESTERNAZIONI SIANO DELLE IMPORTANTI INGERENZE, E IL 51% LO INTERPRETA COME UN FATTO NEGATIVO

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

LA POSSIBILITÀ DI UN ACCORDO TRA IL GOVERNO E SPACE X NON PIACE AD 1 ITALIANO SU 2 (47.1%), MA È FAVOREVOLE IL 74,5% DEI SOSTENITORI DI GIORGIA MELONI

Il 61% degli italiani è persuaso che le esternazioni di Elon Musk siano delle importanti ingerenze sul nostro Paese e di questi il 51% lo interpreta come un fatto negativo. In generale il tycoon ha sempre esercitato – anche a nostra insaputa -, in maniera diretta e indiretta, la sua influenza economica, tecnologica e culturale su molte politiche a livello globale e quindi anche sull’Italia.
Ad esempio, attraverso la sua presenza nella proprietà del social X (ex Twitter), ha alimentato dibattiti universali in grado di influenzare sia i politici sia l’opinione pubblica, in particolare quando gli è capitato di esprimersi su temi come la sostenibilità ambientale, la digitalizzazione o geopolitica.
Musk è visto come un pioniere nelle tecnologie emergenti. Con aziende come Tesla, Space X e Neuralink, è coinvolto, con la sua visione, in progetti che riguardano il futuro come la mobilità, l’esplorazione spaziale, la neuroscienza e l’intelligenza artificiale. Sono questi temi che affascinano le persone e soprattutto le nuove generazioni
Queste visioni, di un futuro migliorato grazie all’innovazione, risultano essere molto attrattive per i più giovani che sono sempre in cerca di cambiamenti radicali e positivi. E sono infatti proprio i rappresentanti della Generazione Z quelli che in maggioranza non riconoscono alcuna ingerenza nel nostro Paese (56.1%) da parte di Elon Musk.
La possibilità che ci possa essere un accordo tra il nostro Governo e la società Space X per il progetto Starlink per le connessioni satellitari e che può essere utilizzato anche in ambito istituzionale per attività di difesa e spionaggio, non piace ad 1 italiano su 2 (47.1%), mentre è ampiamente sostenuto dal 31.4%.
Questo test realizzato per la trasmissione Porta a Porta fa emergere anche tutto il giudizio politico delle risposte. Gli elettori dei partiti di governo leggono questa possibilità come una buona opportunità. In testa i sostenitori di Giorgia Meloni con il 74.5% delle indicazioni favorevoli, più freddi i suoi alleati con indicazioni benevoli intorno al 50%.
Tra le opposizioni si arriva anche a superare il 90% dei contrari in Alleanza Verdi e Sinistra (92.5%) e a sfiorare l’80% nel Partito Democratico (79.8%). Tuttavia, sono ancora una volta i più giovani il target che in netta maggioranza legge in maniera positiva un possibile accordo imprenditoriale tra il governo ed Elon Musk (60.1%).
Alessandra Ghisleri
per “La Stampa”

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LA “CONVERSIONE” DI GIORGIA MELONI: QUANDO ERA ALL’OPPOSIZIONE, ERA L’ACCUSATRICE DEL “FONDAMENTALISMO” SAUDITA, ORA VOLA ALLA CORTE DI BIN SALMAN PER FARE AFFARI E STRINGERE ACCORDI

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

L’ELENCO DI ATTACCHI FRONTALI DELLA DUCETTA A MBS È STERMINATO: DALL’OMICIDIO KHASHOGGI AI DIRITTI DELLE DONNE, LA PREMIER HA SEMPRE CRITICATO RENZI PER I SUOI RAPPORTI CON UN REGIME CHE “EMARGINA LE DONNE E UCCIDE I DISSIDENTI”. ARRIVANDO A DIRE: “COME ALLEATO PREFERISCO LA RUSSIA”…. COME SI CAMBIA, PUR DI GOVERNARE

Marzo 2021, Giorgia Meloni sta salendo nei sondaggi, ma forse neanche lei immagina che meno di un anno e mezzo dopo varcherà il portone di Palazzo Chigi e siederà su una poltrona che le farà cambiare idee su molte cose.
«È terrificante quanto emerge dal servizio de Le Iene sul principe Mohammed bin Salman e l’omicidio del giornalista Kashoggi. Magari la sinistra italiana e tutti coloro che hanno taciuto sugli Stati fondamentalisti islamici, dal Qatar all’Arabia Saudita, finalmente si sveglieranno». Al Kashoggi era un giornalista saudita del Washington Post: nel 2018 viene ucciso a Istanbul da agenti che secondo la Cia sono stati inviati dal principe Mohammed bin Salman.
Il 2021 è l’anno in cui Matteo Renzi elogia il «nuovo rinascimento» dell’Arabia Saudita, una monarchia in mano alla dinastia wahhabita di cui Mbs è l’erede. Renzi in questi anni avrà consulenze con il Regno del Golfo che apriranno una questione di opportunità e diventeranno oggetto di polemica e di liti con gli avversari, Meloni in testa.
La profezia di Renzi partì proprio da Al Ula, la meraviglia del deserto patrimonio Unesco dove oggi la presidente del Consiglio italiano stringerà la mano di Mbs e firmerà accordi di partenariato strategico.
Affari: il miglior modo per dimenticare il passato. Nessuno nelle due delegazioni allargate, si immagina, farà più cenno alla campagna dell’allora semplice leader di Fratelli d’Italia che aveva nel principe uno dei suoi target preferiti.
Forse in assoluto, l’obiettivo principale della destra islamofoba di Meloni, perché legato all’avversario Renzi. Ecco cosa scriveva la futura premier sul proprio profilo social: «Renzi vola in Arabia alla corte del principe saudita per dire che invidia il basso costo del lavoro della petrolmonarchia? Vale la pena ricordare che quello saudita non è esattamente un modello da invidiare: donne emarginate, dissidenti perseguitati e uccisi, lavoratori senza diritti».
E ancora, gennaio 2021. «Le parole di Renzi che esaltano il regime saudita sono vergognose e inaccettabili. L’Arabia Saudita è uno stato fondamentalista che non lascia nessun diritto alle donne, che prevede la pena di morte per gli omosessuali e per chi si converte al cristianesimo, ha lavoratori stranieri in stato di schiavitù, prevede ancora la pratica delle spose bambine e fa proselitismo salafita in tutto il mondo».
Per Meloni l’influenza del regime islamico nel mondo occidentale, attraverso joint venture, finanziamenti e collaborazioni culturali, è una vera e propria ossessione. Un male da estirpare. Nel 2019 commenta così la notizia che nel cda del Teatro alla Scala sarebbe entrato un saudita: «In Arabia Saudita c’è la pena di morte per apostasia, per adulterio, e zero diritti per le donne. È una nazione fondamentalista e noi vogliamo permettere che finanzino i nostri luoghi culturali? FOLLIA! (scritto in maiuscolo, ndr)».
Il soft power si allarga anche allo sport. Nel 2018 Meloni pubblica un appello-video contro la «SCANDALOSA (scrive in maiuscolo, ndr) decisione di fa disputare la partita Juve-Milan in Arabia Saudita. La Federcalcio blocchi questa VERGOGNA ASSOLUTA […]». Ora che è presidente del Consiglio, Meloni non ha fatto la stessa richiesta alla Federcalcio, quando proprio a inizio gennaio del 2025, a pochi giorni dalla sua missione in Arabia Saudita, si sono disputate nuovamente qui le partite della Supercoppa.
La Ragion di Stato prevale sulla propaganda. Oggi Meloni, incontrando nella tenda regale di Al Ula Bin Salman, firmerà una lunga serie di accordi commerciali che andranno dalle commesse militari al made in Italy. Nessuno dei grandi leader si ricorderà di quando la premier italiana sosteneva, rivolta al ministro degli Esteri Angelino Alfano (siamo nel 2017): «Non ho dubbi, tra l’Arabia Saudita e la Russia io come alleato preferisco la Russia».
Ma l’elenco delle citazioni è sterminato. Basta farsi un giro sul web per trovare come e quando i futuri esponenti del governo Meloni – da Francesco Lollobrigida a Giovambattista Fazzolari da Andrea Delmastro a Adolfo Urso, ministro che pochi mesi fa ha patrocinato il Forum Italia-Arabia Saudita – si scagliavano contro la monarchia islamica. Ogni partenariato dei governi passati – di dimensioni ben più modeste di quello che Meloni firmerà oggi – veniva bollato come cedimento verso «uno Stato fondamentalista».
Daniela Santanchè, che oggi sbarcherà a Gedda per tre giorni nelle vesti di ministro del Turismo, parlava di «aberrazioni islamiche». Meloni nel 2017 la buttava un po’ sull’ironia così: «L’Arabia Saudita accusa il Qatar di finanziare il terrorismo islamico. È come se Stalin accusasse Lenin di essere comunista». Per lei erano un po’ tutti uguali. Come, oggi, lo sono se rappresentano un’occasione di affari per l’Italia.
(da La Stampa)

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MA MELONI NON ERA QUELLA “NON RICATTABILE”? DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA SENZA “PROTETTORI”: GIORGIA MELONI NON PUÒ SFANCULARLA SENZA FAR SALTARE I NERVI A LA RUSSA. E SAREBBE UN BOOMERANG POLITICO PER LA DUCETTA DEI DUE MONDI

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

‘GNAZIO È UN PESO MASSIMO DEL PARTITO, GOVERNA DI FATTO LA LOMBARDIA TRAMITE LA SUA CORRENTE MILANESE. SOPRATTUTTO, È IL PRESIDENTE DEL SENATO. MEGLIO NON FARLO IRRITARE: LA VENDETTA, LO SGAMBETTO, “L’INCIDENTE D’AULA”, POSSONO ESSERE SEMPRE DIETRO L’ANGOLO

In realtà Giorgia Meloni su Daniela Santanchè avrebbe le idee chiarissime. La Ducetta vorrebbe far dimettere senza esitazioni la “Pitonessa”, che da due anni e poco più le sta causando solo rotture di cojoni. Allora perché la premier, che fa della sua risolutezza un vanto, esita?
Da Gedda, dove è impegnata in un delicato viaggio alla corte di Mohammed Bin Salman, il principe saudita che in passato chiedeva di boicottare, la fan numero uno di Musk ha fatto sfoggio di equilibrismo democristiano: “C’è una riflessione che deve tenere conto del quadro generale in un clima assolutamente sereno. Non credo che un rinvio a giudizio sia per esso stesso motivo di dimissione. Penso anche che il ministro Santanchè stia lavorando ottimamente. La valutazione che semmai va fatta è quanto questo possa impattare sul suo lavoro di ministro. E questo è quello su cui in questo momento non ho le idee chiare”.
Perché, si diceva, non rompere definitivamente con la Santanchè, senza rimpianti, come peraltro già fatto con Gennaro Sangiuliano? L’ex amante di Maria Rosaria Boccia non era manco indagato per le sue scorribande con l’imprenditrice pompeiana, eppure la Ducetta non ci ha pensato un attimo a scaricarlo: la verità è che il giornalista prestato alla politica non se lo filava nessuno. Non aveva protettori, né grandi alleati all’interno del partito.
Per la “Santadeché”, il discorso cambia: l’ex proprietaria del Twiga è un esponente di punta (e di tacco) del clan La Russa. ‘Gnazio, oltre a essere stato l’avvocato di fiducia della ministra del Turismo, ne è un caro amico: le loro famiglie hanno anche concluso affari notevoli insieme (vedi la villa di Forte dei Marmi comprata e rivenduta da Dmitri Kunz, compagno della Dani, e Laura De Cicco, moglie dell’interista con la passione per il Burraco).
Più di tutto, conta poi la politica: La Russa non è un Sangiuliano qualunque, all’interno di Fratelli d’Italia: ha la sua corrente a Milano, dove, insieme al fratello Romano di fatto governa la Lombardia, ed è il cofondatore del partito, insieme all’altro peso massimo, Guido Crosetto, e alla stessa Meloni. Non ultimo, La Russa è il presidente del Senato. E nonostante le parole di rito (l’altro giorno, l’’ex missino con il busto del Duce in casa ha detto: “Daniela sta valutando, sono sicuro che valuterà bene”, espellere la Santanchè dal Governo significherebbe metterselo contro. E la Meloni sa bene che far indispettire la seconda carica dello Stato non conviene a nessuno: la vendetta, lo scherzetto, “l’incidente d’aula”, sono sempre dietro l’angolo…
(da Dagoreport)

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IL PROCURATORE CAPO DI NAPOLI, NICOLA GRATTERI: “NON HO PRESENZIATO ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO PERCHÉ RITENGO TROPPO GRAVI LE ACCUSE FATTE CONTRO LA MAGISTRATURA”

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

“IL MINISTRO NORDIO È RIUSCITO A FARE QUELLO CHE NESSUNO ERA RIUSCITO A FARE. RENDERE UNITA E COMPATTA LA MAGISTRATURA, ERA DALLA EPOCA DELLE STRAGI CHE NON ACCADEVA”… “LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE SERVE A INDEBOLIRE IL PUBBLICO MINISTERO, E POI SOTTOPORLO AL CONTROLLO DEL GOVERNO”

Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli, ieri ha disertato l’inaugurazione dell’anno giudiziario. «Troppe accuse contro la magistratura», troppe scelte non condivise. «Non me la sono sentita di rispettare il protocollo».
Procuratore, ieri ha dato forfait alla cerimonia. E in Sala dei Busti nessuno l’ha vista.
«No, non sono andato».
Dov’era in quel momento?
«In procura, in ufficio nella mia stanza. Ho preferito non presenziare all’inaugurazione».
Come mai?
«Ritengo troppo gravi le accuse che sono state fatte contro la magistratura. Non me la sono sentita di rispettare il protocollo».
Il ministro Nordio, nel suo intervento, ha difeso la riforma. Cito: «Come si può pensare che un ex magistrato, che per 40 anni ha svolto quel ruolo, abbia com
«Guardi, io credo che dobbiamo tutti ringraziare il ministro Nordio perché è riuscito a fare quello che nessuno era riuscito a fare».
Ovvero?
«Rendere unita e compatta la magistratura. Non ci speravo più, era dalla epoca delle stragi che non accadeva. Grazie a lui ora tutti i magistrati, iscritti a correnti e non, penalisti, civilisti sono uniti e compatti come mai prima».
Meno dell’1% passa da pm a giudice. A chi serve la separazione delle carriere?
«Ripeto quello che ho detto più volte: serve per indebolire il pubblico ministero».
Quale il passaggio successivo?
«La sua sottoposizione al controllo dell’esecutivo. Ma voglio ribadire quello che ho detto due giorni fa a un suo collega».
Mi dica.
«Spesso si grida allo scandalo e si invoca la separazione delle carriere dopo un’assoluzione eccellente».
Come mai, a suo parere?
«Ma scusate: se il giudice ha assolto che senso ha la separazione delle carriere? Lo avrebbe solo se condannasse e si scoprisse che si è messo d’accordo con il pm, in quanto colleghi. Al contrario, l’assoluzione, eccellente o meno, è sintomatica dell’autonomia del giudice rispetto al pubblico ministero».
Dal Governo continuano a ripetere che anche il giudice Giovanni Falcone era favorevole alla separazione delle carriere. Una strumentalizzazione?
«È falso. Giovanni Falcone come anche Paolo Borsellino hanno cambiato funzione. Sono stati giudici e pm».
(da agenzie)

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IL PROCURATORE GENERALE DELLA CASSAZIONE, LUIGI SALVATO, STRONCA LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE BY NORDIO: “LE PRINCIPALI CRITICITÀ ADDOTTE PER GIUSTIFICARLA NON VERRANNO AFFATTO RISOLTE DALLA SUA INTRODUZIONE. ANZI, SI RISCHIA DI AGGRAVARLE”

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

“CI TROVEREMO DI FRONTE A UN PM CHE CONSERVA STRUTTURA E STATUS DEL GIUDICE, MA SEPARATO, E QUINDI PIÙ FORTE. REALIZZANDO UNA VERA E PROPRIA ETEROGENESI DEI FINI”

«Credo che la questione vada affrontata senza evocare scenari apocalittici, dal momento che la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri non tocca i cardini e i principi fondamentali dell’ordinamento democratico, né quelli dell’Unione europea che non prevedono un modello unico di pm».
Allora perché lei è contrario?
«Perché non esistono ragioni valide per andare oltre la totale separazione delle funzioni tra giudici e pm che già esiste. E le principali criticità addotte per giustificare la separazione delle carriere non verranno affatto risolte dalla sua introduzione. Anzi, si rischia di aggravarle».
Il procuratore generale della Cassazione Luigi Salvato spiega perché la riforma costituzionale fortemente voluta e propagandata dal governo non lo convince. Anzi, lo preoccupa.
Una delle ragioni, sostenuta anche dal ministro della Giustizia, è il presunto strapotere dei pm che si avventurano in indagini fondate sul nulla, come dimostrerebbe l’alto numero di assoluzioni.
«Sulle posizioni politiche espresse dal ministro preferisco non pronunciarmi. Ma in realtà proprio le assoluzioni frequenti sono la prova che non c’è alcun atteggiamento di acquiescenza del giudice nei confronti del pm. E se questo divario esiste già con un pm inserito in un unico ordine giudiziario, formato all’interno di una stessa cultura della giurisdizione, quando l’accusatore apparterrà a un corpo separato tenderà ad allargarsi».
Perché?
«Perché la riforma non tocca l’indipendenza e l’autonomia del pm garantiti attualmente, e dunque ci troveremo di fronte a un pm che conserva struttura e status del giudice, ma separato, e quindi più forte. Realizzando una vera e propria eterogenesi dei fini».
Pensa anche lei, come l’Anm e la maggioranza dei magistrati contrari alla riforma, che questa sarà l’anticamera della sottoposizione del pm al potere esecutivo?
« In quanto congettura non favorisce un dibattito serio. Il punto è che la riforma rafforzerà la figura del pubblico ministero, a scapito delle garanzie offerte attualmente al cittadino.
Oggi il pm ha comunque il dovere di essere imparziale e di cercare prove anche a favore dell’indagato, ma domani si vedrà premiato solo sulla base delle condanne ottenute, e questo comporterà maggiori difficoltà per la difesa delle persone coinvolte».
I pm che cercano prove a favore degli indagati, già oggi, non sembrano così tanti…
«E domani rischiano di essere ancora meno! Le riforme di sistema non si possono basare sulle patologie o sugli errori dei singoli: senza equilibrio, correttezza e coerenza morale di tutti i magistrati non ci sono separazioni che tengano, si possono erigere muri ma le distorsioni ci saranno sempre».
Ma l’idea del giudice equidistante da pm e difensore, come nel triangolo isoscele sempre illustrato dal viceministro della Giustizia Sisto, non la convince?
«Lo stesso viceministro Sisto ha detto, come riportato dalla stampa, che l’obiettivo è quello di un “giudice gigante” e a me, da cittadino, un giudice gigante preoccupa. Come il pm gigante. L’equidistanza non si ottiene con la separazione delle carriere, ma realizzando pienamente il principio che la prova si forma in dibattimento».
Neanche la creazione di un’Alta corte disciplinare svincolata dal Consiglio superiore della magistratura la convince?
«Su quella sono d’accordo, ma non si può fare solo per la magistratura ordinaria. Perché lasciare fuori quella amministrativa, tributaria, contabile e militare? Lì non ci sono criticità? Inoltre, a fronte di due Corti distinte è rimasto un unico organo d’accusa, cioè la Procura generale della Cassazione che attualmente dirigo, e questo mi pare illogico, […]: come può il pg esercitare l’azione disciplinare anche nei confronti dei magistrati giudicanti?».
E il sorteggio per la composizione dei due Csm, come lo giudica?
«Contrario ai principi essenziali della democrazia. Perché allora non sorteggiare anche i consiglieri comunali? Vogliono rimuovere le degenerazioni del correntismo e le aggregazioni che si formano per finalità spartitorie, che esistono e sono una reale stortura, ma temo che inevitabilmente si riproporranno anche col nuovo sistema. Il sorteggiato avrà sempre amicizie, conoscenze e appartenenze che lo porteranno ad allearsi con uno piuttosto che con un altro».
Che cosa pensa della protesta dei magistrati alle cerimonie di ieri nelle corti d’appello
«Il pensiero, anche critico, va sempre esplicitato, ma in una logica costruttiva. Meglio il dialogo che il rifiuto di ascoltare. La radicalizzazione del confronto, che porta inevitabilmente allo scontro, andrebbe evitata. Da parte di tutti».
(da Corriere della Sera)

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“L’OPERAZIONE MPS-MEDIOBANCA È LA PIÙ INCOMPRENSIBILE SCALATA MAI VISTA”

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

L’ECONOMISTA ALESSANDRO PENATI: “HA POCA LOGICA ECONOMICA E DIVENTA COMPRENSIBILE SOLO SE SI CONSIDERA IL VALORE PER CALTAGIRONE E MILLERI DELLA SCALATA OCCULTA A GENERALI. CON L’OPS, ACQUISIREBBERO DI FATTO IL CONTROLLO SULLA GESTIONE DI MEDIOBANCA, AGGIRANDO IL DIVIETO DELLA BCE, E ARRIVEREBBERO A COMANDARE ANCHE NEL GRUPPO ASSICURATIVO”… “IL NAZIONALISMO ECONOMICO DEL GOVERNO PORTEREBBE AD AVERE IL CONTROLLO MISTO PUBBLICO-PRIVATO DI DUE DELLE POCHE GRANDI SOCIETÀ QUOTATE ITALIANE A CAPITALE DIFFUSO, PERDENDO CREDIBILITÀ SUI MERCATI INTERNAZIONALI”

Schiacciata tra i grandi gruppi tecnologici americani, l’imperialismo economico cinese e quello militare di Putin, l’Europa va incontro a una crisi esiziale, come ha chiaramente ammonito Mario Draghi. Una crisi da affrontare promuovendo la crescita delle imprese tramite fusioni e acquisizioni transfrontaliere e creando un grande mercato unico dei capitali.
Il governo Meloni sta facendo esattamente l’opposto. Ha invocato il golden power per fermare l’Opa di UniCredit su Bpm anche se l’offerta è tra due banche italiane quotate: offrendo però in questo modo al governo tedesco una ragione in più per osteggiare l’acquisto di Commerzbank sempre da parte di UniCredit.
Il governo è intervenuto perché l’Opa di UniCredit intralciava il suo progetto di creare attorno a Mps, dove detiene l’11 per cento, un “polo bancario” a capitale misto pubblico-privato su cui potesse continuare a esercitare la sua influenza.
Così, dopo aver profuso miliardi di fondi pubblici per salvare la banca senese, invece di uscirne definitivamente, ha infatti orchestrato, o perlomeno favorito, l’ingresso in Mps di Bpm, Anima, e del duo Caltagirone e Delfin (di seguito “CD”): assieme hanno il 36 per cento.
L’operazione del Tesoro attorno a Mps [era] […] strumentale all’obiettivo di CD di raggiungere il controllo di Generali.
L’Opa di UniCredit su Bpm ha dunque intralciato i piani di CD e del governo. Che così hanno sparigliato facendo lanciare a Mps un’Ops ostile su Mediobanca con l’obiettivo dichiarato di creare un terzo “campione nazionale” in ambito bancario (anche se ne abbiamo già due).
È la peggio concepita e incomprensibile scalata mai vista, se non si considerasse che il vero obiettivo è il sostegno a CD nel loro tentativo di conquistare Generali.
Sulla carta l’Ops di Mps ha infatti poca logica economica. Non si è mai visto che una società che vale 70 per cento del patrimonio (pre Ops) scali una che ne vale 120 con un’offerta interamente in azioni: per i soci di Mps, e quindi anche per il Tesoro, significa infatti subire una perdita dovendo pagare con “moneta” svalutata l’acquisto di una “cara”.
Per questa ragione avviene sempre il contrario, anche perché chi compera una banca che vale meno del patrimonio può beneficiare del “badwill” (la differenza tra valore di mercato e patrimonio) che può essere portato a incremento del capitale: è quello che ha fatto Intesa con l’Opa su Ubi traendone grande profitto.
Un’Ops che però diventa comprensibile se si considera il valore per CD della scalata occulta a Generali. Mediobanca è sempre stata criticata da CD per non essere stata capace di sviluppare l’investment banking all’estero, mentre l’Opa la trasformerebbe in una tradizionale banca commerciale focalizzata sulla raccolta dei depositi, sulla distribuzione di prodotti finanziari e sull’erogazione dei prestiti tramite una rete radicata sul territorio nazionale: evidentemente era una critica pretestuosa.
Con l’Ops, CD acquisirebbero di fatto il controllo sulla gestione di Mediobanca, con il 29 per cento del nuovo gruppo assieme al Tesoro e Bpm, aggirando in questo modo il divieto della Bce della presenza di imprenditori alla guida di banche; e con il 12 per cento di Mediobanca in Generali, assieme al loro 16, arriverebbero a comandare anche nel gruppo assicurativo.
Lo Stato, non contento dello sterminato numero di partecipazioni in società quotate, avrebbe anche il 5 per cento del nuovo gruppo bancario, potendo così rientrare in un settore da cui l’Europa l’aveva fatto uscire.
In tutto questo la Consob tace. Evidentemente non ravvede alcuna azione di concerto di CD, né ritiene utile alla trasparenza chiedere ad Anima, in quanto Sgr che deve tutelare esclusivamente gli interessi dei risparmiatori […] di rendere noto quante azioni detiene di tutti gli attori coinvolti nelle tre offerte in corso ed eventuali movimentazioni (umanamente, non vorrei trovarmi nei panni dei suoi gestori).
Non so dire se una Ops così mal congegnata possa avere successo, anche se c’è un prezzo per tutto; o se nei machiavellici piani di governo e CD è previsto qualche altro colpo di scena. Ma poco importa, perché il danno ormai è fatto.
Dopo gli investimenti pubblici e l’interventismo nelle telecomunicazioni per la creazione della futuribile società della rete, il governo dimostra di voler espandere ulteriormente la partecipazione dello Stato nel capitale delle imprese e giocare un ruolo attivo nel mercato dei capitali: un nazionalismo economico e un interventismo dello Stato che porterebbe ad avere il controllo nazionale misto pubblico-privato di due delle poche grandi società quotate italiane a capitale diffuso tra gli investitori istituzionali esteri, perdendo credibilità sui mercati internazionali.
Avremmo un mercato dei capitali sempre più a carattere nazionale, dove cresce l’interferenza dello Stato, quindi più asfittico perché segmentato dal resto d’Europa. E un ritorno delle regole opache, con un pericoloso intreccio tra interessi pubblici e privati, dove Palazzo Chigi diventa la nuova banca di investimento di riferimento per il paese. Un altro piccolo passo verso la crisi esiziale dell’Europa.
(da Domani)

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GIANCARLO NICOSANTI LASCIA UNIEURO DOPO 40 ANNI, LA DEDICA COMMOSSA SULLE PAGINE DI GIORNALE: “HAI INIZIATO SPAZZANDO IL PAVIMENTO, TE NE VAI DA CEO”

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

L’AZIENDA LO SALUTA CON AFFETTO E RICORDA LA SUA STORIA: “PER TE IL NOSTRO CUORE, BATTE. SEMPRE”

Non una storia qualunque, anzi straordinaria. Così Unieuro ha definito quella tra Giancarlo Nicosanti Monterestelli e l’azienda, acquistando le pagine del Resto del Carlino e del Corriere della Sera per salutare il suo ex amministratore delegato. Un passaggio irrituale, se non fosse che Nicosanti per la catena di negozi di elettronica, non era solo un top manager. Ma la storia stessa dell’azienda, essendoci entrato a 23 anni nel 1982 da commesso ed essendo cresciuto insieme al suo interno.
Una carriera lunga 43 anni, che non ha fatto solo le fortune di Nicosanti ma anche di Unieuro stessa, che ora conta centinaia di negozi in tutta Italia. L’avvicendamento si è reso necessario ora che la francese Fnac Darty ha completato con successo l’offerta pubblica di acquisto e scambio ma «era un passo previsto», assicura al Carlino, «l’arrivo di Fnac-Darty l’ha un po’ accelerato, ma sarebbe accaduto tutto fra qualche mese. Razionalmente, si controlla l’effetto. Mentre emotivamente è un grande cambiamento».
Il messaggio di Unieuro sui giornali
«Dopo più di 43 anni, Giancarlo Nicosanti Monterastelli lascia la nostra azienda. È un fatto straordinario, una storia straordinaria: la nostra e ve la vogliamo raccontare. Perché parlare di Giancarlo vuol dire parlare di Unieuro, di un uomo e della sua passione.», si apre la pagina comprata da Unieuro sul Corriere, per rendere omaggio a uno dei suoi uomini più rappresentativi. Q
uindi la sua storia in azienda:« A 23 anni ha iniziato come commesso, quando eravamo poco più di dieci persone e sull’insegna c’era scritto “Marcopolo”, poi il talento e la passione, che brucia anche le tappe, lo portano in poco tempo al vertice dell’azienda. Per Unieuro ha fatto di tutto: il ragazzo di ramazza, con due esse, come si dice in romagnolo, quello che spazza il pavimento, il ragioniere, il capo contabile, il buyer e l’addetto alle vendite, Il direttore commerciale, l’amministratore delegato, il presidente e il primo tifoso della nostra squadra di basket». Riconoscendogli quindi l’impegno e i successi. Ora però è tempo dei saluti: «Una storia fortemente legata ad una città, a Forlì, dove tutto è iniziato, che ci insegna che quando il cuore è molto più di un logo diventa tutto possibile: tutto quello che abbiamo fatto insieme. Caro Giancarlo, vogliamo dirti solo una cosa, ma tu la sai già. Per te il nostro cuore… il resto della frase lo trovi sotto il nostro logo (“Batte. Forte. Sempre.”, ndr). In fondo l’hai approvato tu».
(da agenzie)

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TRUMP NON MOLLA LA PAZZA IDEA DI ANNETTERE LA GROENLANDIA AGLI STATI UNITI

Gennaio 26th, 2025 Riccardo Fucile

LA TELEFONATA DELLA SCORSA SETTIMANA CON LA PREMIER DANESE, METTE FREDERIKSEN, SI È TRASFORMATA IN UNA LITE, DEFINITA DALLE FONTI “INFUOCATA” E ADDIRITTURA “ORRENDA”: IL PRESIDENTE USA SI SAREBBE POSTO IN MODO “AGGRESSIVO E POLEMICO”, NONOSTANTE L’OFFERTA DI UNA MAGGIORE COOPERAZIONE ECONOMICA E MILITARE

Si è trasformata in una vera e propria lite la conversazione telefonica avuta la settimana scorsa dalla premier danese, Mette Frederiksen, e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che le ha ribadito la sua intenzione di appropriarsi della Groenlandia.
Lo hanno riferito funzionari europei al Financial Times. La conversazione, durata 45 minuti, è stata definita dalle fonti “infuocata” e addirittura “orrenda”. Trump si sarebbe posto in modo “aggressivo e polemico”, scrive il quotidiano della City, nonostante l’offerta di Frederiksen di una maggiore cooperazione sulle basi militari e sullo sfruttamento delle risorse minerarie della grande isola artica controllata da Copenaghen.
“E’ stato molto risoluto”, ha aggiunto un’altra fonte, “e’ stata una doccia fredda. Prima era difficile prenderlo sul serio. Ma credo che sia serio, e potenzialmente molto pericoloso”.
Il presidente Donald Trump ha affermato di credere che gli Stati Uniti acquisiranno il controllo della Groenlandia, dopo aver mostrato nelle ultime settimane un rinnovato interesse nell’acquisizione del territorio autonomo danese.
“Penso che ce la faremo”, ha detto ai giornalisti sull’Air Force One, aggiungendo che i 57.000 residenti dell’isola “vogliono stare con noi”. I suoi commenti fanno seguito alle notizie secondo cui il primo ministro danese Mette Frederiksen, nel corso di una telefonata con il presidente la scorsa settimana, avrebbe insistito sul fatto che la Groenlandia non è in vendita.
Trump aveva ventilato la possibilità di acquistare il vasto territorio artico durante il suo primo mandato nel 2019 e ha affermato che il controllo della Groenlandia da parte degli Stati Uniti è una “necessità assoluta” per la sicurezza internazionale.
Il 90 per cento dei danesi è contrario all’idea di cedere la Groenlandia agli Stati Uniti. È quanto emerge da un sondaggio condotto dalla società di ricerca Epinion per l’emittente radiotelevisiva “Dr” e per il quotidiano online “Altinget”.
Soltanto il 3 per cento ha risposto positivamente all’ipotesi che l’isola venga ceduta agli Usa. Il 7 per cento non sa o non ha risposto. La società Epinion ha chiesto anche quale debba essere il futuro dell’unità del Regno, le cui nazioni costitutive sono Danimarca, Isole Faroe e Groenlandia.
Il 70 per cento dei danesi è contrario a che la Groenlandia abbandoni il Regno di Danimarca: il 27 per cento, infatti, ha risposto che il Commonwealth danese dovrebbe proseguire così com’è ora, mentre per il 43 per cento il Commonwealth dovrebbe continuare ma alla Groenlandia dovrebbe essere attribuita maggiore autonomia. Solamente il 17 per cento degli intervistati reputa che la Groenlandia debba diventare indipendente. Il 13 per cento non sa o non ha risposto.
Andiamo per ordine. La Groenlandia non è parte dell’Unione europea. Con il referendum del 1982 i groenlandesi votarono per abbandonare l’allora Comunità economica europea, pur rimanendo cittadini danesi.
I rapporti con l’Ue sono stati poi regolati con appositi accordi che soddisfacevano tutti: Nuuk (capitale dell’isola), Copenaghen, Bruxelles – e, apparentemente, Washington che ha basi militari nell’isola e, evidentemente, non ne vedeva la non appartenenza alla bandiera stelle e strisce come un’alea alla sicurezza nazionale.
Fino all’entrata a gamba tesa di Donald Trump – dopo la rielezione: non era fra le promesse di campagna elettorale che si sente impegnato a mantenere. La Groenlandia, come il Canale di Panama, per non parlare del Canada…, è arrivata per così dire in soprammercato.
Il Presidente Trump fa della Groenlandia una questione di sicurezza nazionale a fronte «degli investimenti di Cina e Russia nell’Artico» recita un laconico comunicato della Casa Bianca dopo la telefonata Trump-Frederiksen. Questa versione ufficiale non regge per due motivi.
Primo, la premier danese avrebbe offerto una rafforzata cooperazione militare e nello sfruttamento delle preziose risorse minerarie (terre rare in grande domanda internazionale).
Secondo, e soprattutto, la Groenlandia non è territorio Ue ma è territorio Nato. Nulla impedisce agli Usa di concordare con l’alleato danese quanto necessario a garantire non solo la difesa dell’isola ma anche delle rotte marittime – il «passaggio a Nord Ovest» – che si stanno aprendo a causa del disgelo artico – di quel cambiamento climatico che, quando invece gli fa comodo, Trump chiama imbroglio.
Non sappiamo quali siano le motivazioni di fondo del Presidente americano. L’improvviso ritorno all’espansione territoriale americana ha colto tutti di sorpresa. A Washington non era in agenda da più di un secolo. Sul piano dei principi, del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite, mette certamente in difficoltà la comunità internazionale nella misura in cui, per realizzarla, Donald Trump è pronto – e lo dice – a ricorrere alla coercizione.
Magari solo economica, ma senza escludere la mano armata. All’atto pratico configura una sorta di diritto territoriale del più forte. Le grandi potenze, o le medie a spese delle piccole e delle povere, possono allargarsi se lo ritengono necessario. Con le buone o con le cattive. Ma se lo possono fare gli Stati Uniti nell’adiacente Artico, o in America centrale, perché non la Russia in Europa centrale o nel Mar Baltico, o la Cina con Taiwan e nel Mar cinese meridionale? Ritorno alla legge della giungla?
(da agenzie)

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