Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
È UN BRAND CHE CAMMINA: FORTISSIMO IN CAMPO E AMATISSIMO FUORI, COME I GRANDI CAMPIONI DEL PASSATO
Jannik Sinner ormai è il nuovo brand in cui ogni italiano ha scoperto di riconoscersi. Con la vittoria di ieri in Australia, infatti, il campione di San Candido pare divenuto il paradigma di una identità nazionale in grado di diventare copertina di un Paese che ama spesso lucidare i fantasmi del passato. Del resto, non meraviglia che lo sport sia stato spesso chiamato a svolgere una funzione da collante quando l’attualità regalava problemi.
Non è un caso che non si sia mai sopita l’aura leggendaria capace di decretare che la vittoria di Gino Bartali al Tour de France nel luglio del 1948, avesse evitato all’Italia di precipitare nella guerra civile dopo l’attentato a Palmiro Togliatti. Si parlò di una telefonata del Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, all’ormai 34enne ciclista toscano per spingerlo all’impresa, così come della richiesta assai naïf dello stesso Bartali, a trionfo avvenuto, di non pagare più le tasse.
In questo senso Sinner si è già portato avanti, avendo preso da tempo la residenza a Montecarlo. Ma pensateci: c’è un desiderio così spiccatamente italico come quello di non avere voglia di pagare tasse esose?
L’azzurro della Nazionale di Enzo Bearzot, ad esempio, nel 1982 ha trascinato in strada un Paese che voleva mettersi alle spalle gli Anni di Piombo, così come quello acquoreo di Federica Pellegrini ci ha regalato la certezza che una penisola distesa a galleggiare nel Mar Mediterraneo potesse dominare nel nuoto.
Tempi diversi, come quelli del bianco nevoso di Alberto Tomba, che tra vittorie e sberleffi ha rinverdito sulle piste da sci il mito gigionesco della commedia all’italiana, proprio pochi anni prima che il giallo della bandana di Marco Pantani ci ricordasse come nel frinire delle ruote dei ciclisti si racconta ancora l’epica del successo sempre ad un passo dal dramma.
Prima di Sinner, però, il colore ciliegia come simbolo dell’Italia è stato associato al cognome di Valentino Rossi, e soprattutto alla Ferrari, passione senza riferimenti geografici al di fuori dell’Italia.
Avrà pure sede legale in Olanda, speranza di resurrezione a Montecarlo e in Inghilterra (Leclerc e Hamilton) e mitologia recente in Germania (Schumacher), ma il quinquennio dominante del Cavallino Rampante tra il 2000 e il 2004 ha rappresentato il benvenuto dell’Italian Style al Terzo Millennio, quello della comunicazione globale.
Adesso è il momento di Re Sinner, della sua forza e del suo sorriso cavalleresco che ci ha fatto riscoprire il tennis. Ma forse sarà merito del nostro codice genetico. Nella sua storia, in fondo, l’Italia anche nei momenti dei rovesci ha saputo trovare spesso dei favolosi dritti vincenti.
(da Il Messaggero)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
I PEGGIORI SONO I NORDCOREANI: INVASATI E BRUTALI … IL RACCONTO DEI SOLDATI UCRAINI: “S’UCCIDONO PRIMA CHE LI PRENDIAMO. SE LI CATTURIAMO VIVI, TENTANO D’AMMAZZARSI SUBITO DOPO. UN UFFICIALE HA PROVATO A SUICIDARSI PRENDENDO A TESTATE UN PALO DI CEMENTO”
C’è chi lo fa per soldi: i congolesi. Chi per un passaporto russo: i cubani. Chi per
studiare a Mosca: gli ugandesi. Chi per ingenuità: i nepalesi.
E chi perché sogna solo di diventare un eroe: i nordcoreani. «Quelli mandati da Pyongyang sono i più invasati», racconta un ufficiale ucraino: «Ne abbiamo catturati due. Non vogliono guadagnare meglio, vogliono essere valorosi combattenti. E se non ci riescono, preferiscono uccidersi».
Mercenari di tutto il mondo, unitevi. Putin annuncia un nuovo reclutamento di massa, ma stavolta quanti russi riuscirà a mandare al fronte? Nel caso, ecco l’arruolamento interinale: una legione straniera, dal mondo povero e poco libero. I nordcoreani, i più visibili: 13 mila uomini nel Kursk, già caduti a migliaia
Putin li manda in prima linea a gruppi di 6-700, tenendo al riparo i russi, conoscendone la determinazione: «S’uccidono prima che li prendiamo. E se li catturiamo vivi, tentano d’ammazzarsi subito dopo». Il sergente Lee Jong-nam, 25 anni, aveva una lama nascosta nei pantaloni: ha provato a recidersi la giugulare. Auto-esecuzioni spesso riprese dai droni: i nordcoreani si sparano, si fanno esplodere, si tagliano le vene a morsi. «Un ufficiale ha provato a suicidarsi prendendo a testate un palo di cemento».
«Eomchina», li disprezzano con un soprannome i sudcoreani: ovvero «i bravi bambini» del dittatore Kim. Schiavi della guerra. Qualche giorno fa, s’è saputo del 12esimo indiano caduto. Un elettricista 32enne del Kerala, ingolosito dalla promessa d’una vita migliore, contattato via social da un influencer e partito credendo di lavorare: il passaporto confiscato, dopo un breve addestramento s’è trovato in trincea. Come lui, ce ne sarebbero 150.
Poi ci sono gli africani. Burundesi, ruandesi, zambiani, tanzaniani, egiziani, libici. Molti, acchiappati con la promessa d’un accesso alle università moscovite. Putin ha appena ricevuto con le fanfare il dittatore centrafricano Faustine Thouadéra, l’unico al mondo che abbia dedicato una statua a Prigozhin, il defunto capo del Gruppo Wagner. Thouadéra chiede al Cremlino più protezione, in cambio d’un po’ di carne da cannone: centinaia di centrafricani allettati dai 2.500 dollari mensili, talvolta obbligati dal regime.
Il reclutamento s’estende un po’ ovunque. A Cuba, è facilitato da un collegamento aereo L’Avana-Mosca, 200 «volontari» che vanno a guadagnare cento volte meglio, ottengono un passaporto russo e hanno la garanzia di non finire sulla primissima linea.
Va peggio ad afghani e nepalesi. «Ci trattano come cani», ha raccontato Ganesh, 35 anni, cascato per ingenuità: lo stipendio era dieci volte quello d’un nepalese medio e su TikTok si vedevano reclute felici. Nelle trincee peggiori, a rimpiazzare gli omini verdi di Wagner, vanno gli omini neri dell’Africa.
(da “Corriere della Sera”)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
I FUNZIONARI DELLA CIA SUGGERIRONO DI FAR SALTARE IN ARIA LE NAVI STATUNITENSI E DI ATTACCARE LE LORO STESSE BASI MILITARI PER CREARE UNA “NECESSARIA ONDATA DI INDIGNAZIONE NAZIONALE”… IL DOCUMENTO FU FIRMATO DAI VERTICI DELL’ESERCITO AMERICANO, MA RESPINTO DAL PRESIDENTE JOHN FITZGERALD KENNEDY, ASSASSINATO L’ANNO DOPO
A quanto siamo grado di rivelare, in un rapporto della Cia declassificato del 1962, si propone di “iniziare una campagna terroristica in nome di Cuba”.
I funzionari suggerirono di far saltare in aria le navi americani, di attaccare le loro stesse basi e di uccidere la loro stessa gente. Tutto per incolpare Fidel Castro di tutto e creare la “necessaria ondata di indignazione nazionale”.
Il documento è stato firmato dai Capi di Stato maggiore congiunti, ma respinto dal Presidente John F. Kennedy. Kennedy è stato assassinato poco dopo.
(da Il Giornale d’Italia)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
L’ULTIMO DITTATORE D’EUROPA RIELETTO CON CONSULTAZIONE FARSA… “OPPOSITORI IN PRIGIONE? HANNO APERTO TROPPO LA BOCCA”
Alexandr Lukashenko è stato rieletto presidente della Bielorussia per la settima volta
consecutiva. Una vittoria elettorale tanto scontata quanto schiacciante, con numeri da plebiscito: secondo l’agenzia di stampa russa Tass, l’«ultimo dittatore d’Europa» – soprannome che lo stesso Lukashenko ha abbracciato – avrebbe ottenuto l’86,62% delle dei voti. Immediate le congratulazioni degli alleati storici, su tutti il presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinping. Dall’Europa, invece, si sono fatte più insistenti le accuse di «farsa», destinate a cadere nel vuoto.
«Potete congratularvi con la Repubblica di Bielorussia, abbiamo eletto un presidente», con queste parole Igor Karpenko, capo della commissione elettorale di Minsk, ha annunciato l’elezione di Alexandr Lukashenko nella notte tra domenica 26 e lunedì 27 gennaio. Non è certo una sorpresa: già sabato 25 Kaja Kallas, Alta rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri, aveva sottolineato che «Lukashenko non ha alcuna legittimità». Anche perché, oltre al presidente uscente, gli altri candidati erano fantocci sconosciuti alla popolazione, e scelti proprio per questo motivo dall’amministrazione. Poco cambia. Con un’affluenza dell’85,7% – e con exit poll che prevedevano un tasso di preferenze superiore all’87% – il risultato è lo stesso degli ultimi trent’anni: l’alleato di Putin non traslocherà dal Palazzo dell’Indipendenza.
Chi è Alexandr Lukashenko: le repressioni, l’amicizia con Putin e il mandato «a vita»
Nato nel 1954 e al potere dal 1994, Alexandr Lukashenko non ha mai nascosto la natura autoritaria del suo potere e l’appoggio incondizionato al Cremlino. Noto come «l’ultimo dittatore d’Europa», nel 2020 ha represso violentemente le proteste di massa scatenate dalle accuse di brogli elettorali: centinaia di arresti, denunce di torture e censura sistematica dei mezzi di informazione. Tutti gli oppositori politici sono attualmente o in carcere o in esilio: «L’hanno scelto loro», ha detto domenica Lukashenko. «È colpa di coloro che aprono troppo la bocca». Oltre 300mila bielorussi sono fuggiti dal Paese negli ultimi cinque anni, periodo in cui il governo di Minsk si è avvicinato sensibilmente a Mosca e ne è diventato politicamente ed economicamente dipendente. E riguardo all’invasione del suo «fratello maggiore» Vladimir Putin in Ucraina, Lukashenko ha apertamente ammesso: «Non ho nessun rimorso». Saranno queste le sue ultime elezioni? «Non sto per morire», è la risposta del presidente russo.
Le congratulazioni di Russia e Cina, l’ironia dell’Europa
È stato proprio Putin il primo leader mondiale a congratularsi con Lukashenko: «Continueremo a lavorare a stretto contatto per sviluppare ulteriormente la multiforme cooperazione russo-bielorussa», ha scritto in una nota riferendosi allo Stato dell’Unione, l’alleanza strategica tra Mosca e Minsk. A queste parole ha fatto eco anche il presidente cinese Xi Jinping, che ha richiamato gli efficaci rapporti tra i due Paesi e la loro «tradizionale amicizia». Non sono pochi, però, quelli che sostengono che si tratti delle ennesime elezioni farsa. Oltre alla leader dell’opposizione in esilio, Sviatlana Tsikhanouskaya, anche il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha commentato: «È un giorno amaro per tutti coloro che desiderano libertà e democrazia. Il popolo bielorusso non aveva scelta». Radoslaw Sikorski, omologo polacco di Baerbock, si è rifugiato nel sarcasmo: «Solo 86%? Il resto andrà in prigione?».
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
“IL PM DIVENTERA’ UN ACCUSATORE A TUTTI I COSTI, QUASI UN AVVOCATO DEL GOVERNO”
“Il pubblico ministero diventerà inevitabilmente una sorta di accusatore a tutti i costi sempre più vicino alle posizioni del governo, come fosse un suo avvocato”. Parla il procuratore Nino Di Matteo, il pubblico ministero del processo sulla Trattativa Stato-mafia, e interviene sulla riforma della giustizia voluta dal governo di Giorgia Meloni. Di Matteo definisce la riforma del governo “preoccupante” e a Fanpage.it spiega perché.
Cosa ne pensa della separazione delle carriere? Per chi sostiene la riforma, un magistrato che per anni si è occupato di formulare l’accusa nei processi, rischierebbe di non essere imparziale nel caso in cui passasse alla funzione di magistrato giudicante: è veramente così?
I sostenitori della separazione delle carriere partono da presupposti falsi. Vogliono far credere che l’appartenenza del pubblico ministero e del giudice alla medesima corriera condiziona quest’ultimi nei processi. Questo assunto è smentito dai tanti casi in cui i giudici respingono le richieste dei pm, sia in sede cautelare che in sede dibattimentale. Se si volesse dare per buono l’argomentare dei sostenitori di questa riforma, allora non dovrebbe essere nella stessa carriera del giudice di primo grado neanche il giudice d’Appello che si trova a confermare o meno una sentenza del giudice di primo grado.
Un altro aspetto della riforma che è clamorosamente falso e viene strumentalizzato, è quello che mira a far credere che ci siano continui passaggi dal ruolo di pubblico ministero a quello di giudice e viceversa. Sono però i dati a smentire questo aspetto: negli ultimi tempi c’è stata una percentuale annua pari all’un per cento del passaggio da pm a giudice e addirittura dello 0,3 per cento nel caso contrario.
Così come non è corretto il ragionamento per cui la riforma assicurerebbe la parità tra pubblico ministero e difensore. Perché la parità tra pm e avvocato difensore per Costituzione deve essere assicurata solo all’interno del processo. Su un piano istituzionale non può esserci parità: perché l’avvocato è un privato professionista, vincolato dal solo mandato nei confronti del suo assistito e per questo è obbligato solo a cercare l’esito processuale più conveniente all’imputato. Mentre il pm, a differenza dell’avvocato, condivide con il giudice l’obbligo di ricercare la verità dei fatti.
Questi ragionamenti quindi sulla separazione delle carriere sono falsi e strumentali. Bisogna chiedersi il perché di tanta volontà di portare avanti questa riforma.
Chi è contro la riforma, invece, sostiene che la separazione delle carriere contribuirebbe a indebolire i magistrati stessi, esponendoli a una maggiore influenza del potere politico: anche lei pensa che questa riforma sia di solo interesse politico?
Certamente. C’è un disegno unico nelle riforme degli ultimi anni, che affonda le sue radici già durante i primi governi Berlusconi: mira a un ridimensionamento dei poteri di controllo sull’operato del governo. Durante la cerimonia dell’apertura del nuovo anno in Cassazione, il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Fabio Pinelli, di nomina parlamentare, ha detto che: ‘Quello giudiziario è un potere che si è espanso moltissimo negli ultimi cinquant’anni. Oggi siamo in una fase di riequilibrio che ha spinto la politica a toccare anche aspetti dell’architettura costituzionale‘. Si riferiva alla riforma sulla separazione delle carriere.
Questa affermazione sembra confermare che lo scopo della riforma è proprio quello di ridimensionare il ruolo della magistratura. Il pubblico ministero diventerà inevitabilmente una sorta di accusatore a tutti i costi sempre più vicino alle posizioni del governo, come fosse un suo avvocato.
Già avviene in altri Paesi: in ogni ordinamento in cui la carriera del pubblico ministero è separata da quella del giudice, il pm dipende dall’esecutivo (tranne che in Portogallo). Chi vuole un pubblico ministero che dipenda dall’esecutivo di turno, ovvero chi comanda in quel momento nel Paese, non si rende conto che la separazione delle carriere è un pericolo per il cittadino, per i deboli, per le minoranze, per i dissidenti politici. Il pubblico ministero non sarebbe più un garante dei diritti, ma un accusatore a tutti i costi.
Quindi secondo lei questa riforma è pericolosa?
È molto pericolosa. Squilibra il sistema dei pesi e contrappesi previsto nella nostra Costituzione: se passasse, ci sarebbe un forte sbilanciamento perché si rafforzerà ulteriormente il potere dell’esecutivo. Ecco perché è una riforma pericolosa per il sistema democratico. Se si dovesse arrivare a un referendum, ma anche prima, è compito e dovere di noi magistrati spiegare quali sono le ragioni che ci preoccupano. Come cittadini ancor prima di magistrati.
Lei si è occupato prevalentemente di processi di mafia. Dal punto di vista dei procedimenti contro la mafia, questa riforma aiuta o no alla lotta alla mafia?
Se passasse la riforma sulla separazione delle carriere, per quanto riguarda le inchieste di mafia, io credo che non cambierebbe molto dal punto di vista della repressione di quella che possiamo definire ‘mafia militare’. Ma sicuramente, se avessimo un pubblico ministero vicino all’esecutivo, sarebbe difficile, se non impossibile, condurre tutte quelle inchieste che legano la mafia alle istituzioni, alla politica. Sarebbe veramente impensabile, in un sistema in cui il pubblico ministero non appartenesse alla stessa carriera del giudice, poter avere in futuro altri processi come quelli che si sono tenuti a Palermo nei confronti di Marcello Dell’Utri e di Giulio Andreotti. Così come nel caso del processo sulla Trattativa Stato-Mafia. Ovvero qualsiasi processo che riguarda il rapporto più nascosto e insidioso tra mafia e potere. Forse è proprio questo che vuole il governo: indebolire la possibilità che la magistratura eserciti il controllo di legalità a 360 gradi anche nei confronti dei potenti.
Spesso quando il governo propone riforme di questo tipo, come nel caso della proposta di eliminare le intercettazioni per i reati minori, mette le mani avanti dicendo che non si indebolirà la lotta alla mafia: ma è veramente così?
Chi segue da decenni l’evoluzione della criminalità organizzata, sa che mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia criminale. Spesso le mafie per ottenere i loro scopi ricorrono a metodi di infiltrazione all’interno della pubblica amministrazione anche attraverso la corruzione. Allora dire che le riforme, come anche quella sulle intercettazioni, non riguardano la lotta alla mafia è sbagliato. Con questa riforma, spuntando le armi dei pubblici ministeri per la repressione dei colletti bianchi collusi si favorisce indirettamente l’espansione del potere mafioso. Il nostro Paese sta perdendo la memoria e quindi anche la speranza di un futuro diverso.
Cosa pensa del fatto che questa riforma sia stata dedicata a Silvio Berlusconi?
È nei fatti che la separazione delle carriere nella magistratura costituiva già fin dal 1994 un cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi. Prendo atto che il governo dedica questa riforma a un soggetto che è stato definitivamente condannato per reati gravi e che, nella sentenza definitiva su Dell’Utri, è stato riconosciuto come un imprenditore che per almeno vent’anni, e tramite la mediazione di Dell’Utri, ha rispettato un patto con le famiglie mafiose più importanti di Palermo che prevedeva protezione da parte loro in cambio di soldi versati da Berlusconi ogni sei mesi. In quella sentenza è stato ritenuto un finanziatore di Cosa Nostra. Oggi siamo arrivati al punto che il governo dedica questa riforma a lui.
Il viceministro della Giustizia Sisto, in un’intervista a Fanpage.it, ha detto che giudica lo sciopero dei magistrati in programma per oggi “inopportuno”, perché la legge ha ottenuto l’ok del Parlamento. Gasparri ha detto che le proteste sono addirittura “eversive”. Lei cosa ne pensa?
Parteciperò allo sciopero. Credo che tutti noi magistrati che abbiamo giurato sulla Costituzione, abbiamo il dovere, sia prima che dopo lo sciopero, di spiegare ai cittadini il pericolo che questa riforma sulla separazione delle carriere porta con sé. Spero che tanti magistrati trovino il tempo e il coraggio di partecipare a dibattiti pubblici per far capire che le ragioni adottate da chi sta portando avanti la riforma sono strumentali. La separazione delle carriere all’interno della magistratura sarà sempre e solo a favore dell’esecutivo. Vorrei inoltre che venisse ricordata che quando il governo dice che questa riforma è a favore dei cittadini, nemmeno tre anni fa, nel 2022, il referendum abrogativo sulla separazione delle carriere tanto non interessò i cittadini che l’affluenza alle urne fu solo del 20 per cento. Già i cittadini aveva dimostrato di non considerare prioritaria questa riforma.
(da Fanpage)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
“TRE AGENTI HANNO INDAGATO SU GAETANO CAPUTI”, POTENTISSIMO CAPO DI GABINETTO E UOMO CHIAVE DI MOLTI DOSSIER, TRA CUI LA CESSIONE DELLA RETE TIM A KKR… L’AISI RISPONDE CHE È STATO GIUSEPPE DEL DEO, ALLORA VICEDIRETTORE DELL’AISI AD ATTIVARE LA PROCEDURA PER CONFERMARE O SMENTIRE “RUMORS” SU “TARGET” CHE TENTAVANO DI ACCREDITARSI CON IL GOVERNO PER AFFARI DI UN CERTO LIVELLO
Tre agenti segreti italiani hanno indagato sul potente capo di gabinetto della presidente
del Consiglio Giorgia Meloni. E lo hanno fatto su richiesta dei loro superiori
Perché mai i servizi segreti italiani hanno sentito l’esigenza di fare accertamenti su Gaetano Caputi, braccio destro della presidente del Consiglio? Quale motivo così rilevante ha spinto gli 007 dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi) a verificare alcuni «rumors» sul tecnico preferito della premier, cioè dell’autorità massima cui rispondono? E Meloni e il sottosegretario con delega all’intelligence, Alfredo Mantovano, erano al corrente di queste verifiche?
Grazie a documenti giudiziari depositati dalla procura di Roma, in un fascicolo per rivelazione di segreto aperto su una denuncia di Caputi nei confronti di Domani per alcune inchieste sui suoi affari e i possibili conflitti di interesse, la vicenda che il nostro quotidiano è in grado di rivelare rende evidente come i servizi, sottoposti all’autorità delegata di Mantovano a Palazzo Chigi, abbiano spiato uno dei principali collaboratori della premier Meloni.
Partiamo dall’origine della vicenda: una lettera inviata dal procuratore capo di Roma, Giuseppe Lo Voi, all’ambasciatrice Elisabetta Belloni. La data è il 24 giugno 2024, Belloni è a capo del Dis (si è dimessa prima di Natale per i difficili rapporti con Mantovano) il dipartimento dell’intelligence italiana con funzione di coordinamento tra le due agenzie dei nostri servizi, Aisi e Aise.
La procura sta indagando su possibili fughe di notizie in merito all’esposto di Caputi. E qualche tempo prima i pm hanno individuato alcuni agenti dell’Aisi che hanno digitato sui loro computer collegati ad archivi digitali il nome del capo di gabinetto di Meloni, in cerca di informazioni riservate.
Lo Voi scrive a Belloni: «Ove non sussistano ragioni ostative,(chiede, ndr) di voler comunicare le generalità complete delle persone che hanno effettuato gli accessi, unitamente alle ragioni che vi hanno dato causa o che, comunque, li hanno legittimati».
La risposta arriva alla segreteria della procura, un mese dopo, il 26 luglio. Un lasso ampio per raccogliere la documentazione.
I carabinieri, delegati dai pm, avevano in effetti scoperto tre interrogazioni su Caputi presso la banca dati Punto Fisco, con altrettanti profili intestati al Dis. Punto Fisco è una banca dati pubblica dell’Agenzia delle Entrate che contiene informazioni fiscali, reddituali e catastali di ogni cittadino italiano. Le interrogazioni sono avvenute tutte nel 2023; il 23 gennaio, il 4 e il 25 settembre.
A rispondere a Lo Voi non è però Belloni, ma il neo direttore dell’Aisi Bruno Valensise. Che solo tre mesi prima, ad aprile 2024, aveva preso il posto di Mario Parente. Come mai? Perché le tre utenze per accedere alle banche dati “Punto Fisco” sono registrate a nome del Dis, ma sono in uso all’Aisi.
Soprattutto, la risposta inviata ai magistrati romani, rivela il ruolo nell’indagine su Caputi dell’ex numero due dell’Aisi e attuale vice al Dis, Giuseppe Del Deo. Ex dell’esercito, è uomo di assoluta fiducia del ministro della Difesa Guido Crosetto e – al tempo – della stessa Meloni, che l’ha promosso vicedirettore dell’Aisi.
La relazione con le risposte fornite da Aisi alla procura di Roma contengono la versione ufficiale con cui l’Agenzia motiva gli approfondimenti su Caputi e del suo cerchio magico, quando al comando dell’agenzia c’era Parente e Del Deo era il suo braccio destro.
L’Aisi spiega su carta intestata che le verifiche in corso su Caputi sono state autorizzate per confermare o smentire «rumors» su figure definite «target» che tentavano di accreditarsi ai massimi livelli del governo per affari di un certo livello: si parla di un rigassificatore al Sud e di altri business.
In un altro caso la giustificazione è relativa a una presunta parentela della moglie di Caputi con una altro personaggio al tempo «target» dell’Aisi, target che secondo i nostri servizi si stava muovendo «per avvicinare esponenti apicali del governo».
Chi aveva ordinato all’agente, di cui non facciamo il nome, di indagare sulla famiglia di Caputi? Nel report che manda in procura il direttore Valensise scrive che «Giuseppe Del Deo ha confermato di aver attivato» il suo sottoposto «su input del direttore pro-tempore (Mario Parente, ndr), al fine di verificare lo stato di parentela tra le mogli del» uomo che cercava sponde a Palazzo Chigi «e del dottor Gaetano Caputi. Del Deo ha poi dichiarato «di non aver richiesto per tale accertamento specifico nessuna interrogazione sulle banche dati».
In un terzo caso, invece, gli 007 non possono neppure fornire quantomeno una spiegazione apparente ai magistrati romani, perché l’Aisi si affida alla formula criptica: «Le motivazioni rese dal dipendente trovano riferimenti in atti caratterizzati da elevata sensibilità». Adombrando una questione di sicurezza nazionale nell’indagine sull’alto dirigente che lavora fianco a fianco della presidente del Consiglio.
La situazione si fa seria. La riservatezza copre le ragioni alla base delle ricerche compiute su Caputi da uno dei tre agenti segreti, che hanno agito – lo scrive Valensise – su richiesta dei suoi superiori
Nel rapporto dell’Aisi inviato ai magistrati romani, tuttavia, non si fa cenno all’utilizzo di quel materiale raccolto su Caputi e non spiega l’Agenzia se le informazioni ottenute sono state distrutte o che fine abbiano fatto. È ancora nelle mani dei servizi? E se sì, perché? Di sicuro questo tipo di attività segreta non passa al vaglio di alcun giudice o magistrato. Si tratta di attività informale, il cui unico controllore è l’Aisi stessa.
Caputi è il capo di gabinetto della presidente del Consiglio fin dall’insediamento del governo. È un dirigente noto, che ha collezionato già incarichi negli organismi di vigilanza di varie società ed enti pubblici: dalla Sogin all’Ismea, fino al ministero della Difesa.
Nel febbraio 2024 questi giornale ha scritto su di lui diversi articoli per raccontarne i potenziali conflitti di interesse. Solo per citare alcuni esempi: la società di famiglia, amministrata da un trust, si era aggiudicata a luglio 2023 la gara bandita dal Consiglio del notariato, organismo vigilato dal ministero della Giustizia e del quale Caputi risultava consulente; o anche gli affari di un’altra azienda, sempre riconducibile alla galassia del capo di gabinetto, che aveva ottenuto gare o affidamenti diretti con committenti pubblici tra 2015 e 2023, quando Caputi aveva assunto l’incarico a palazzo Chigi.
Caputi, contattato al tempo da Domani, aveva preferito non commentare. Eppure senza mai smentire o rettificare, ha scelto la via giudiziaria per colpire Domani: con un esposto ha chiesto alla procura di Roma di individuare l’origine delle notizie pubblicate, perché secondo lui segrete.
E così la procura di Roma si è ri-messa al lavoro. Ma ha trovato però materiale ben più scottante: indagini riservate sul capo di gabinetto di Meloni, con i servizi segreti in primo piano, appunto. Ricerche dell’Aisi che attengono a fatti completamente differenti alle notizie pubblicate da Domani. Non è dato sapere se i magistrati abbiano aperto un nuovo fascicolo dedicato all’attività dei servizi su Caputi. Ma al di là di eventuali reati, di certo la scoperta dei pm desta preoccupazione.
Del Deo in quei mesi era in grande ascesa: indicato come possibile nuovo direttore dell’Aisi con l’avvicinarsi della fine del mandato di Parente, poi scaduto il 19 aprile 2024. Promosso da Meloni su consiglio di Crosetto, la sua stella si è un po’ appannata a causa della gestione di una vicenda svelata da Domani.
Quella dei due misteriosi soggetti che stazionavano in modo anomalo davanti all’abitazione di Giorgia Meloni, nel novembre 2023, intenti a trafficare vicino l’auto dell’ex compagno Andrea Giambruno, parcheggiata in zona. I sospetti sono caduti erroneamente […] su due agenti della scorta della premier, che si è poi scoperto non essere presenti sul luogo in quella notte di misteri.
Successivamente le indagini della procura di Roma sono state dirottate su due ricettatori. Un’altra spy story i cui protagonisti sono sempre figure di assoluta fiducia di Meloni, che cerca continuamente nemici e complotti tra gli oppositori e l’opposizione. Quando forse basterebbe guardarsi in casa.
(da “Domani”)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
“FINITO IL DOPOGUERRA OCCORREVA UNA DESTRA CON CULTURA DI GOVERNO, LA NECESSITÀ CULTURALE INVECE ERA PROPRIO ALLARGARE AGLI ALTRI … “TRUMP E I MIGRANTI IN CATENE? PUÒ ALIMENTARE L’ODIO” ,,, CANCELLARE IL GENERE X? IL RISCHIO E’ LA CANCELLAZIONE DELLA PARITÀ DI DIRITTI TRA GLI ESSERI UMANI IN RAGIONE DEL LORO ORIENTAMENTO SESSUALE”
«Ci sono dei momenti in cui la storia accelera. Valeva allora, con buona pace di chi diceva, dopo l’89, che la storia era finita. Vale oggi. Fiuggi è semplicemente un’altra epoca», ci dice Gianfranco Fini, ex leader dei An, in questo 27 gennaio, che è tante cose, tra memoria e presente: il trentennale della “svolta di Fiuggi”
Fini, quando decise che era giunto il momento di “uscire dalla casa del padre”?
«La convinzione maturò in ragione degli eventi, che aprivano scenari imprevedibili: il crollo del Muro metteva fine a un ordine mondiale bipolare Usa-Urss, in Italia il riflesso fu l’accelerazione della crisi della Prima Repubblica, che poi esplode su Tangentopoli. Andava colta l’occasione».
Chi ha sdoganato la destra? Gli elettori, Berlusconi, lei o un insieme di fattori?
«Non c’è dubbio che decisiva fu l’elezione diretta dei sindaci alle amministrative del ’93. Era evidente che il voto a destra non era più in frigorifero, ma nessuno doveva pensare di vedersi quei voti restituiti».
Oggi si direbbe: il popolo ci vota, perché compiere una revisione politica e culturale?
«E questo è il punto. An nasce dalla consapevolezza che era finito il lungo Dopoguerra. E che per andare in mare aperto occorreva costruire una destra con cultura di governo. Non bastava l’orgogliosa dimostrazione di essere quelli “dalle mani pulite” ed estranei a un sistema morente».
Cioè lei avverte la necessità, nel momento in cui va al governo, di aderire al sistema di valori della Repubblica.
«Esattamente. Fiuggi è questo: la necessità di fare i conti con la storia, da parte di chi non aveva fatto parte dell’Assemblea costituente ed era stato escluso dal famoso arco costituzionale. Riconciliare la destra con i valori e i principi della prima parte della Costituzione».
Qualcuno le diceva “a che serve, tanto ci votano?”
«Sì, molti dicevano: “Ma come, proprio ora che vinciamo, rischiamo di dare ragione ai nostri avversari e qualcuno viene con noi?”. La necessità culturale invece era proprio allargare agli altri, non come figurine da annettere nell’album di famiglia, ma per costruire assieme una alleanza repubblicana, una alleanza nazionale. Pinuccio Tatarella e Domenico Fisichella furono impareggiabili in tal senso».
In quanti hanno vissuto Fiuggi come l’abito buono per stare al governo e in quanti come una profonda convinzione?
«Credo che all’inizio prevalse l’idea di cavalcare un’onda, e forse c’era anche l’elemento psicologico di un dolore, per la fuoriuscita dalla casa del padre, lenito dal potere. Poi però è apparso evidente che era impensabile tornare indietro».
Riconciliare destra e Costituzione e allargare. Non è l’opposto della destra di oggi?
«Distinguerei i piani. Un conto è la grande differenza tra il mondo e la destra di allora e il mondo e la destra di oggi. Altro è negare l’attualità di quei valori costituzionali che fanno di una destra che vince le elezioni una destra con cultura di governo. Di Giorgia Meloni si può dire quel che si vuole, ma non che l’azione di FdI sia lesiva di quei valori».
E l’antifascismo? Cosa resta di Fiuggi?
«Una realtà da cui non si torna indietro. Vedo un elemento di continuità nella tutela dell’interesse nazionale nell’abito dei valori costituzionali. Evitiamo di fare del fascismo e dell’antifascismo una caricatura».
A proposito, lo ha visto il film su Mussolini?
«I libri di Scurati li ho apprezzati, nel film vedo un aspetto macchiettistico che nulla ha a che vedere con la gravitas di una storia peraltro molto complessa».
Lei fa Fiuggi, guardando a Bush, Khol, Chirac, Aznar. Oggi non c’è un tema per conciliare sovranismo e democrazia, nel mondo di Trump?
«Bisogna capire cosa è populismo, perché spesso è il termine magico con cui la sinistra etichetta gli avversari quando il popolo sovrano non la riconosce. La democrazia è diventata un po’ “populista” per tutti: disintermediazione, crisi dei partiti tradizionali, eccetera. Nell’attuale fase storica, segnata dalla crisi e dall’insicurezza, la destra ha capito che il tema centrale è l’identità. Se non sai chi sei, hai paura di tutto».
Paura è una parola chiave. Identità è anche trasformare la paura in odio, parafrasando M di Scurati, come fa Trump.
«Trump affida a quella foto il compito di dimostrare che lui fa quel che promette. Il guaio è che quella foto dei “prigionieri in catene” può davvero alimentare l’odio. I clandestini vanno giustamente espulsi perché hanno violato la legge, non perché in quanto immigrati sono “nemici degli americani” da deportare».
La sua An è quella dello ius scholae e dei diritti. Non vede passi indietro proprio sul tema della cultura del nemico, anche in Italia?
«Vedo, semplicemente, un’altra epoca. Io la penso come allora. Controllare le frontiere è sacrosanto, ma è altrettanto doveroso che chi entra in modo legale sia davvero integrato. E lo ius scholae è tutt’altro che un incentivo ad “invaderci” ma un modo per favorire un’integrazione fondata sul riconoscimento dei diritti e dei doveri».
Scusi Fini, la sua An avrebbe appoggiato l’ipotesi di cancellare il genere X?
«In natura esistono il genere maschile e femminile. Il rischio della volontà di Trump consiste nel far seguire alla cancellazione del genere X la cancellazione della parità di diritti tra gli esseri umani in ragione del loro orientamento sessuale. E di conseguenza favorire la discriminazione degli omosessuali e dei transgender».
Cosa è per lei, che andò a Gerusalemme a denunciare il fascismo come male assoluto, il giorno della Memoria?
«La necessità di guardare gli orrori della storia come se fossero accaduti ieri, a maggior ragione ora che vanno scomparendo i sopravvissuti. Il valore della memoria è essenziale per sconfiggere la pseudocultura dell’effimero e per evitare che l’attuale presentismo sia il vuoto assoluto».
(da La Stampa)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
IN ATTESA DELLA PRONUNCIA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPA DEL 25 FEBBRAIO, NON CAMBIA NULLA: L’ULTIMA PAROLA SPETTA SEMPRE AI GIUDICI CHE DEVONO VALUTARE CASO PER CASO
La Cassiopea sta portando in Albania persone che vengono da Gambia e Costa d’Avorio
oltre che da Egitto e Bangladesh, paesi già bocciati dai giudici. Ma secondo gli esperti è solo propaganda
Stavolta sono 49. Dopo il flop della Libra arriva una nuova nave militare per portare i naufraghi salvati fuori dalle acque territoriali italiane e trasportarli nei centri di permanenza e rimpatrio di Gjader e Shengjin. La Cassiopea sta portando in Albania persone che vengono da Gambia e Costa d’Avorio oltre che da Egitto e Bangladesh, paesi già bocciati dai giudici. Ora i togati della Corte d’Appello dovranno decidere se convalidare o meno i trattenimenti. Sono maschi, maggiorenni e senza famiglia. Ma i giuristi sollevano dubbi: «Anche questi rischiano di essere illegittimi. Quella del governo è solo un’operazione di propaganda». Ma anche il terzo trasferimento di migranti rischia di essere un fallimento. Per gli stessi motivi delle altre
La Cassiopea
La terza missione albanese parte nella consapevolezza del flop delle prime due. Quelle di ottobre e novembre sono state bocciate dai giudici per tutti e 19 i cittadini stranieri portati nei Cpr. Loro oggi sono in Italia in attesa delle decisioni dei tribunali. Mentre stavolta il governo ha deciso di non aspettare gli operatori dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Che avevano svolto una consulenza sui primi due sbarchi. Ed evitato anche guai all’esecutivo mandando subito in Italia due richiedenti asilo che facevano parte delle categorie dei fragili. Il governo punta tutto sul cambio dell’arbitro. Il passaggio della competenza alle Corti d’Appello serviva a “scavalcare” i tribunali dell’immigrazione, considerati troppo “di manica larga” nelle decisioni. Ma nel frattempo proprio per giudicare questi casi alcuni giudici sono stati distaccati proprio dai tribunali speciali.
Paesi sicuri
Il problema è sempre quello della definizione di paese sicuro. In attesa del verdetto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, previsto per il 25 febbraio, il governo si affida alla sentenza della Corte di Cassazione. Che ha ribadito che è una prerogativa dell’esecutivo comporre la lista. Anche se i giudici del Palazzaccio hanno anche confermato che la decisione finale spetta al tribunale e caso per caso. Il Viminale ha anche fatto sapere che durante le operazioni di identificazione 53 naufraghi hanno presentato spontaneamente il proprio passaporto dopo che era stato loro detto che così avrebbero evitato il trasferimento. È l’effetto deterrenza, su cui la premier Meloni ha detto più volte di voler scommettere
Come finirà
Gianfranco Schiavone, componente del direttivo dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati, dice a La Stampa che però cambierà poco: «Anche se ora la decisione è di competenza dei giudici della Corte d’Appello, non credo che dovrebbero esserci grandi diversità. A differenza di quello che sostiene il governo, la sentenza di fine anno della Corte di Cassazione non ha segnato una vittoria per loro. Perché ha confermato la competenza del giudice di convalida a valutare se i Paesi di origine sono considerati sicuri».
È d’accordo Gennaro Santoro, avvocato esperto di migrazioni: «Anche questi nuovi trattenimenti rischiano di essere illegittimi ab origine nella chiara consapevolezza del governo che non verranno convalidati. Ci troviamo di fronte, quindi, a un ulteriore dispendio di energie anche in vista di possibili richieste di risarcimento del danno per ingiusta detenzione. Perché c’è una granitica giurisprudenza che attesta che l’esito era scontato. Il governo è andato avanti per motivi propagandistici quindi agisce non soltanto per colpa ma per dolo»
Il trasferimento
Secondo Schiavone «resta un problema che rappresenta lo scheletro nell’armadio dell’intera questione: al di là di singole eccezioni, la dizione paese sicuro dipende dall’esistenza nel Paese di un ordinamento democratico capace di assicurare che, in via generale e costante, non ci siano perse cuzioni, torture o altre forme di pena né pericoli. Non è, per esempio, il caso dell’Egitto dove il concetto stesso di democrazia non esiste e ogni soggetto può finire nella macchina della repressione in qualunque momento».
In più, ragiona il giurista, «c’è la netta sensazione che il governo voleva puntare a un numero maggiore di persone trasferite in Albania attraverso una selezione frettolosa e approssimativa, correndo il rischio di commettere errori mentre nei casi precedenti la selezione era stata più rigorosa e aveva ridotto di molto il numero di persone da trasferire rispetto a quelle segnalate. Il numero maggiore porta anche a una maggiore varietà nelle nazionalità di origine e questo apre la possibilità a una valutazione differenziata da parte dei giudici sul trattenimento».
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO IL VOTO DI SFIDUCIA LA MINISTRA POTREBBE LASCIARE
Daniela Santanchè resiste. Anche se rischia di rimetterci a sfidare il partito della premier. E anche se Giorgia Meloni è stata abbastanza chiara nei giorni scorsi riguardo le sue dimissioni.
Mentre pure Ignazio La Russa le avrebbe chiarito di non poter fare nulla per lei. Tanto che in molti guardano alla data del 30 gennaio come il possibile redde rationem. Perché il 29 la Cassazione deciderà sullo spostamento del suo processo da Milano a Roma. E il giorno dopo lei tornerà dal viaggio in Arabia. «Escludo che Giorgia mi chiederà di dimettermi. Se poi dovesse farlo lascerò un minuto dopo», è il refrain riportato dai retroscena anche oggi. Ma in FdI c’è una road map per l’addio. Ce arriverebbe dopo il voto sulla mozione di sfiducia.
Dani nel bunker
«Io escludo che Giorgia mi chiederà di dimettermi. Perché dovrebbe? Nelle condizioni attuali ne sarei sorpresa. Tajani e Salvini mi hanno difesa. Io posso stare anche antipatica, ma non sono una parlamentare qualunque».
E ancora: «Io so dove sta la verità, i fatti mi daranno ragione. Giorgia non ha alcuna ragione di chiedermi le dimissioni su un reato che Feltri ha definito “una stupidaggine”. Se poi dovesse chiedermele, lascerò un minuto dopo».
Anche se «Se rinviata a processo sulla cassa Covid mi dimetterò subito e non perché ho torto, ma perché mi sono chiare le implicazioni politiche». Ma se invece dovesse arrivare lo spostamento del processo a Roma lei guadagnerebbe molti mesi, forse fino a un anno. E tra via della Scrofa e Palazzo Chigi si guarda questo scenario come il fumo negli occhi: «Porterebbe ad altri mesi di logoramento».
Le dimissioni
Questo è lo scenario tratteggiato oggi dal Corriere della Sera. E al tutto si aggiunge la situazione che si sta sviluppando con la seconda carica dello Stato. La Russa è indicato da più parti come il padrino politico di Santanchè. In effetti è stato lui a farla entrare in Alleanza Nazionale e poi nel Popolo delle Libertà, con tanto di poltrona da sottosegretario nell’ultimo governo Berlusconi.
Dopo la sbandata per Francesco Storace, sempre La Russa è stato il regista del ritorno di Santanchè sulla retta via di Fratelli d’Italia. Per questo oggi il presidente del Senato sta cercando di far ragionare la ministra del Turismo.
Immaginando anche uno scenario per l’onore delle armi. Che prevede la bocciatura della mozione di sfiducia presentata dal M5s. E poi l’addio al governo sulle sue gambe. Mantenendo così il punto. Ma Dani è nel bunker. Riusciranno a convincerla?
(da agenzie)
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