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“ZECCHE, ACQUA LURIDA E FECI NELLE STANZE”: LA DENUNCIA DEI DETENUTI DEL CARCERE DI VIGEVANO

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

IL RECLAMO DI 50 DETENUTI ARRIVA IN PARLAMENTO… NESSUNA OBBLIGA NORDIO E DELMASTRO A STARE AL GOVERNO: SE DEI PROBLEMI DEL LORO MINISTERO NON GLIENE FREGA NULLA POSSONO ANCHE TOGLIERE IL DISTURBO

“I detenuti sono costretti a tagliarsi per essere visitati, bisogna gridare mezz’ora e fare rumore” perché non c’è nessuno e nessuno sente se si ha bisogno. “Dobbiamo sperare di non avere un infarto. Se no, sicuro moriamo”. Sono queste alcune delle segnalazioni contenute nella lettera di reclamo che Fanpage.it ha potuto visionare, firmata da 50 detenuti della 5ª sezione della Casa di Reclusione di Vigevano per segnalare una serie di presunti soprusi subiti all’interno dell’Istituto che, però, ora finiscono in Parlamento.
Questo perché “la lettera è stata aperta e letta dalla Direzione del carcere, nonostante fosse indirizzata a me e al Magistrato di Sorveglianza. In più, a seguito della lettera i firmatari sono stati convocati uno a uno dalla Comandante di Reparto in quello che appare come un tentativo intimidatorio e ritorsivo, in violazione dei diritti di libertà d’espressione, riservatezza e tutela contro trattamenti vessatori”, ha spiegato a Fanpage.it Guendalina Chiesi, avvocato e vicepresidente dell’Associazione Quei Bravi
Ragazzi Family che hanno segnalato i fatti e che, mercoledì 11 giugno, hanno sporto denuncia presso la Procura di Pavia contro il carcere per denunciare “le gravi violazioni dei diritti fondamentali dei 50 detenuti” e, contestualmente, presentare un’Istanza urgente per ispezione igienico-sanitaria indirizzata al Magistrato di Sorveglianza di Pavia per verificare la situazione all’interno della 5ª sezione.
Tali azioni hanno portato a un intervento degli operatori sanitari dell’ASL. “Nonostante alcuni miglioramenti, permane un clima di forte tensione e preoccupazione. Questo perché venerdì 13 giugno si è tenuta una riunione con 11 detenuti, durante la quale – secondo quanto appreso – sarebbero stati rivolti messaggi e atteggiamenti descritti come intimidatori, con accenni di possibili trasferimenti punitivi”, ha fatto sapere ancora a Fanpage.it l’Associazione Quei Bravi Ragazzi Family. “Per questo richiediamo l’allontanamento della direttrice Rosalia Marino e la comandante Melania Manini non dei detenuti che hanno avuto il coraggio di denunciare e dovrebbero essere protetti”.
“Chiediamo con urgenza l’intervento delle autorità competenti, del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e del Ministero della Giustizia”, ha concluso a Fanpage.it Nadia Di Rocco, presidente dell’Associazione. “Non si può tollerare che in uno Stato di diritto chi denuncia venga intimidito. La dignità, la salute e la sicurezza dei detenuti devono essere garantite sempre, non solo dopo l’intervento delle associazioni e dei legali”.
Così, la questione, alla fine, finirà in Parlamento grazie all’Onorevole Marco Lacarra, Deputato alla Camera del Partito
Democratico, che nei prossimi giorni ha confermato a Fanpage.it l’intenzione di presentare un’interrogazione parlamentare sulle condizioni dei detenuti della 5° sezione di Vigevano. “Se non si può manifestare senza temere ritorsioni, come si può pensare di compiere un percorso di reintroduzione sociale?”, ha commentato sul caso l’Onorevole a Fanpage.it. “Servono condizioni di civiltà e di rispetto dell’umanità”.
In seguito alle azioni intraprese dall’avvocato Guendalina Chiesi e dall’Associazione Quei Bravi Ragazzi Family, il carcere di Vigevano è stato obbligato a consegnare la lettera di reclamo redatta dai detenuti. Nel documento, che Fanpage.it ha potuto visionare, emerge un lungo elenco di presunti soprusi e vessazioni che i detenuti avrebbero subito all’interno dell’Istituto che, secondo loro, “esercita un regolamento da Regime”.
“Le celle sono piene di zecche nei materassi e nei vestiti sporchi di sangue, se piove entra acqua dalle finestre e si allaga tutto e d’inverno spesso manca l’acqua calda”, sono alcune delle situazioni di disagio divenute ormai insostenibili segnalate dai detenuti all’interno della lettera. Tra le problematiche più urgenti, la mancanza di misure igieniche: “Le docce non vengono mai disinfettate, i soffioni sono tubi di ferro come gli abbeveratoi degli animali, e gli scarichi sono sempre intasati”. In più, “i bidoni dell’immondizia all’interno della sezione sono senza coperchi e con il caldo” emanano un “odore insostenibile”. Ancora: “Per pulire non abbiamo il mocio, ci danno soltanto uno straccio di 30 centimetri per corridoi di 80 metri”, aggiungono i detenuti. “Ovviamente dopo 10 metri lo straccio è da buttare” e non si può pulire.
Tra le altre mancanze, l’impossibilità di poter svolgere attività. “Non possiamo fare colloqui con educatori, psicologi o psichiatri, non ci sono dottori”, e in più “le pastiglie delle terapie” vengono date direttamente in mano, già scartate, e spesso “sono sbagliate”. Anche le “telefonate agli avvocati sono bloccate” e questo “ci toglie il diritto alla difesa”. E insieme alle attività, mancherebbero anche gli oggetti di prima necessità. “Nella sala non abbiamo tavoli, sedie e ventilatori e tv, andiamo lì come bestie in un recinto senza poter far nulla. Non possiamo neanche avere una sveglia, come nei lager”, hanno scritto ancora i detenuti. “Non possiamo avere un pc per lo studio e non possiamo svolgere attività artistiche o artigianali come invece sarebbe previsto dal regolamento. Come possiamo fare un percorso di reinserimento se non abbiamo nulla da fare tutto il giorno, se non ci viene concesso nulla e veniamo istigati continuamente? Vogliamo solo scontare la pena con dignità”.
Fortunatamente, le denuncia e l’istanza presentate dall’avvocato Chiesi ha portato ad alcuni miglioramenti dovuti all’intervento degli operatori sanitari dell’ASL. Tra l’altro a “una somministrazione regolare dei farmaci che avviene ora con l’involucro nel rispetto della trasparenza e della dignità individuale”, ha fatto sapere l’Associazione Quei Bravi Ragazzi Family. “In più, sono stati introdotti tavoli, sgabelli, i sanitari in alcune celle che ne erano sprovviste, e persino un tavolo da ping pong, segno che i problemi strutturali denunciati erano reali e rimediabili”.
(da agenzie)

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PARANOIA ISRAELE, UN PAESE BUNKER: OGNI ABITAZIONE HA IL SUO MAMAD, IL RIFUGIO IN CUI NASCONDERSI QUANDO LE SIRENE SEGNALANO UN RAZZO IN ARRIVO

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

AD ASHKELON, ASHDOD E NELLE CITTÀ VICINE ALLA STRISCIA, CI SONO SOLO 22 SECONDI DAL SUONO DELLA SIRENA PER RAGGIUNGERLO… A TEL AVIV IL TEMPO DI REAZIONE È DI CIRCA UN MINUTO E MEZZO… IL MEGA BUNKER BLINDATO CHE DOVREBBE OSPITARE IL GOVERNO IN CASO DI GUERRA TOTALE CON L’IRAN SI CHIAMA NATIONAL MANAGEMENT CENTER: COSTRUITO SULLE COLLINE DI GERUSALEMME, È IMPERMEABILE A QUALSIASI ATTACCO CON QUALSIASI ARMA CONOSCIUTA, ANCHE NUCLEARE

Dalle colline di Gerusalemme ai sotterranei delle abitazioni private, Israele ha costruito nel tempo una rete di rifugi destinata a garantire la sopravvivenza del governo, delle forze armate e della popolazione in caso di conflitto prolungato.
Con la crescente tensione con l’Iran e lo spettro di un’escalation regionale, strutture come il National Management Center – un bunker blindato costato centinaia di milioni di euro – tornano al centro dell’attenzione. Ma la guerra, in Israele, non si combatte solo nei centri di comando: anche i civili si preparano ogni giorno all’eventualità di un attacco.
Si chiama National management center e potrebbe essere il luogo dal quale Israele condurrà la guerra all’Iran se questa si dovesse protrarre per tempo. I servizi interni israeliani, lo Shin Bet […] riaprirono ad agosto dell’anno scorso il bunker sotto una collina a Gerusalemme che potrebbe ospitare i vertici del governo se il conflitto con Teheran dovesse prolungarsi.
Del bunker, per ovvie ragioni di sicurezza, si sa poco. [Sarebbe stato ideato almeno venti anni fa per le esigenze belliche e di difesa israeliane, visto che il gotha del paese (presidente, premier, governo, ministeri e parlamento) è tutto a Gerusalemme, mentre Tel Aviv ospita solo il quartier generale dell’esercito con il ministero relativo.
Sotto il quale, la Kirya, insiste un altro bunker. Nel paese infatti, sono diverse le strutture, pubbliche o private, che a diversi livelli e in diverse forme, servono da rifugio per civili, politici e militari in caso di attacco. Che da queste parti non mancano mai. Senza contare i rifugi costruiti sotto gli ospedali per ospitare pazienti, medici e infermieri durante i conflitti.
Il National Management Center è stato costruito sulle colline di Gerusalemme al costo di centinaia di milioni di euro dopo la fine della seconda guerra del Libano nel 2006. La sua posizione precisa e la sua profondità sono sconosciuti.
Può contenere centinaia di persone ed è destinato al governo e ad altri enti civili essenziali. Fu riaperto in occasione del Covid, per permettere al premier Netanyahu di guidare la guerra contro la pandemia. Ma in molti fecero notare che la struttura militare, seppur costruita con criteri antisismici, impermeabile a qualsiasi attacco con qualsiasi arma conosciuta, anche nucleare, difficilmente sarebbe stata indenne dal contagio del virus.
All’interno del National management center, c’è tutto quello che serve, in termini tecnologici e logistici, per portare avanti una guerra. È collegato, in maniera virtuale, con le altre strutture sotterranee del paese, soprattutto con la Fortezza di Sion, il bunker multipiano costruito nel 2018 sotto la Kirya. Questi fu realizzato raddoppiando uno precedente, la Fossa, realizzato nel 1966.
La fortezza fu realizzata nel momento in cui la minaccia che l’Iran potesse dotarsi di un’arma nucleare, era maggiore. Anche l’aumento degli arsenali missilistici di Hezbollah e di Hamas, con l’aiuto di Teheran, spinsero Israele a migliorare la struttura. Che funse da centro di comando per la guerra con Hamas ne
maggio del 2021, dove lavoravano, 24 ore su 24, circa 400 militari, più i graduati, gli uomini dell’intelligence sia Mossad che Shin Bet, polizia e funzionari governativi della difesa e degli esteri.
Nella struttura a più livelli, c’è di tutto, anche una palestra, una sinagoga, una cucina, sale da pranzo e una camera da letto per gli ospiti con una fila di orologi che segnano gli orari di città di tutto il mondo, tra i quali Teheran.
C’è anche una sala con cibo e bevande analcoliche, l’unico posto dove i soldati possono usare i loro cellulari. Un piano è occupato dall’alto comando dell’esercito, inclusa una camera da letto privata per il capo di stato maggiore con arredi semplici.
La struttura, ovviamente, non ha finestre, ma molte pareti sono decorate con immagini di Israele e una frase del padre della patria, David Ben Gurion che recita: “Nelle mani di questo esercito, è affidata la sicurezza del popolo e della patria”.
«Ricordiamo a tutti coloro che ne avessero bisogno che il miklat del nostro palazzo, al civico 3, è a disposizione di chiunque».
Questo messaggio è stato inviato da Ronen, proprietario di un appartamento a Gerusalemme, agli abitanti della sua strada. Nei giorni precedenti, Ronen aveva chiesto al suo inquilino di liberare lo spazio sotto il palazzo – il miklat, ovvero il bunker – da biciclette e bottiglie di vino importato, per renderlo disponibile in caso di emergenza
Messaggi come quello di Ronen si stanno diffondendo rapidamente attraverso le chat di quartiere, tra amici e conoscenti. Molti cittadini stanno localizzando i rifugi più vicini alle proprie abitazioni e preparando borse con provviste e beni essenziali. In diversi casi, anche le stanze bunker all’interno
degli appartamenti sono state messe a disposizione di amici e vicini.
Le abitazioni di nuova costruzione in Israele includono generalmente una “safe room”, chiamata mamad: si tratta di una stanza con mura e porta blindate, chiusure rinforzate, finestre piombate, sistemi di filtraggio dell’aria e split per aria condizionata e riscaldamento.
Spesso destinata a magazzino o stanza per gli ospiti in tempo di pace, diventa rifugio in caso di attacco. In molte abitazioni in affitto a Gerusalemme, questa stanza è stata usata ripetutamente: dal 7 ottobre, durante gli attacchi provenienti dall’Iran nell’aprile e nell’ottobre precedenti, e in occasione dei lanci di missili dallo Yemen.
All’interno di queste stanze spesso si trovano maschere antigas, scorte d’acqua, documenti, oggetti di valore e un cambio di abiti.
In Israele, lo Stato ha investito molto nella costruzione dei miklat. Tuttavia, non tutte le abitazioni sono dotate di una propria stanza protetta: alcune sono considerate relativamente sicure per via della distanza dalla Striscia, altre sono troppo piccole o troppo vecchie. Per questo, chi acquista o affitta casa si informa sempre su dove si trovi il miklat più vicino.
Questi rifugi si trovano generalmente nei parchi pubblici, nei sotterranei dei palazzi, negli alberghi, nelle palestre, nei campi sportivi, persino nelle piscine. Sono sempre indicati da cartelli
ben visibili, come quelli che segnalano le aree di evacuazione in caso di tsunami o terremoto.
Miklat si trovano anche negli aeroporti, nei supermercati e negli ospedali. È capitato, ad esempio, di doversi rifugiare nel miklat di un negozio Ikea, condividendo lo spazio con persone di diversa provenienza, religione e lingua – anche cittadini arabi. In quel caso, la porta era sorvegliata da due guardie armate, poiché le sirene non segnalano soltanto i razzi in arrivo, ma anche eventuali infiltrazioni di miliziani, come accaduto a Gaza.
La procedura in caso di allarme è ormai rituale: prima un messaggio sull’app della protezione civile israeliana (Home Front Command) o sull’app Red Alert avvisa di restare vicino a un rifugio – novità introdotta di recente. Poi arriva l’allerta per l’impatto imminente, che precede la sirena di pochi minuti. A quel punto si sente il boato (segno che il razzo è stato intercettato) e si attende almeno dieci minuti, per evitare di essere colpiti da frammenti o provocare incendi.
Ad Ashkelon, Ashdod e nelle città vicine alla Striscia, ci sono solo 22 secondi dal suono della sirena per raggiungere un miklat: ventidue secondi che possono decidere tra la vita e la
morte. Il sistema Iron Dome è molto efficace – con una percentuale di intercettazione del 95% – ma, come ricordano le stesse autorità militari, qualche razzo riesce comunque a colpire. A Tel Aviv il tempo di reazione è di circa un minuto e mezzo; a Gerusalemme qualche secondo in più.
(da La Stampa)

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“NON ABBIAMO NIENTE CONTRO I MATRIMONI, MA NON CI PIACE L’ARROGANZA DI BEZOS CHE PENSA DI POTER COMPRARE TUTTO, ANCHE VENEZIA”

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

SI RAFFORZA LA PIATTAFORMA “NO SPACE FOR BEZOS”, CREATA PER OPPORSI ALLE IMMINENTI NOZZE IN LAGUNA TRA IL PROPRIETARIO DI AMAZON E LA SUA COMPAGNA LAUREN SÁNCHEZ: “BEZOS È UNO DEI PADRONI DEL MONDO, SIMBOLO DEL CAPITALISMO DIGITALE, DELLO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO, DELL’ELUSIONE E DELL’EVASIONE FISCALE” … ZAIA: “NON CAPISCO QUESTA PROTESTA PER 200 PERSONE, QUANDO IN CERTI GIORNI A VENEZIA ARRIVANO FINO A 150 MILA TURISTI” ( A ZAIA PIACCIONO SOLO QUELLI CHE PORTANO MILIONI)

«Non abbiamo niente contro i matrimoni, Ma non ci piace l’arroganza di questo miliardario che pensa di poter comprare tutto con i suoi soldi, anche Venezia. E nemmeno l’arroganza del sindaco, che gli ha messo a disposizione la Chiesa dell’Abbazia della Misericordia senza vergogna, visto che è uno spazio che si è autoassegnato da imprenditore a una delle sue società, con conflitto di interessi spaventoso», spiega Tommaso Cacciari, attivista della neonata piattaforma «No Space for Bezos», creata con lo scopo di opporsi attraverso azioni
dimostrative non violente alle imminenti nozze tra il proprietario di Amazon e la sua compagna Lauren Sánchez, ex giornalista e pilota di elicotteri, fondatrice della compagnia Black Ops Aviation.
E peccato se la futura Mrs Bezos avrà qualche impiccio durante la maratona di cambio d’abiti (27 in 72 ore, probabilmente per accontentare tutti gli stilisti più importanti del globo terracqueo) programmata dal 26 al 28 giugno nella città lagunare Patrimonio dell’Unesco, alla presenza di 200 very important people come Oprah Winfrey, Mick Jagger, Lady Gaga, Eva Longoria, Katy Perry, Ivanka Trump e il clan Kardashian.
«Ci daremo appuntamento il 28 per una protesta colorata e pacifica. Impediremo l’accesso alla chiesa via mare con gonfiabili e barche, via terra con i nostri corpi. E non avremo problemi a violare la zona rossa, se mai ci fosse», annuncia Alice Bazzoli del Laboratorio occupato Morion che aderisce a «No Space for Bezos».
Cacciari, alle spalle 12 anni di proteste contro le grandi navi, fa anzi notare l’autogol del sindaco Luigi Brugnaro: «Ha messo a disposizione una chiesa geograficamente situata nel cuore della città, all’incrocio tra cinque canali. Se anche dovessero istituire una zona rossa, noi avremmo comunque libero accesso a 200 metri di distanza».
L’«Anpi 7 Martiri» di Venezia ha aderito alla mobilitazione. Come pure il «Comitato No Grandi Navi – Laguna Bene Comune». Uno dei portavoce, Stefano Micheletti, spiega perché è stato naturale dare supporto: «Il tema, qui, non è il matrimonio di un vip […Il punto è che Jeff Bezos è uno dei padroni del mondo, simbolo del capitalismo digitale, dello sfruttamento del
lavoro, dell’elusione e dell’evasione fiscale, che peraltro accomuna le compagnie crocieristiche contro le quali ci battiamo, che hanno la sede nei paradisi fiscali. Ci sentiamo vicini a chi si è indignato per questa svendita della città».
Eppure c’è chi è contento. Per esempio gli hotel designati ad accogliere gli ospiti . O i tassisti, che pare raddoppieranno le tariffe. Oppure gli artigiani del vetro e della pasticceria coinvolti dall’agenzia di wedding planner Lanza e Baucina. Aderiscono pure il Centro sociale Rivolta e gli ambientalisti di Extinction Rebellion, davanti allo sgomento del governatore veneto Luca Zaia. Dice al Corriere: «Io non capisco questa protesta per 200 persone, quando in certi giorni a Venezia arrivano fino a 150 mila turisti. Ma che messaggio di ospitalità diamo come città, regione, Paese? E poi, perché Bezos no e Marco Rossi sì? Solo perché è ricco?».
(da agenzie)

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“SENZA LE BOMBE DI PROFONDITÀ AMERICANE, ISRAELE PUÒ SOLO FRENARE MA NON INTERROMPERE LA CORSA NUCLEARE DELL’IRAN”

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

L’AMBASCIATORE MASSOLO: “TRUMP NON VUOLE TROVARSI DI NUOVO IMPELAGATO IN MEDIO ORIENTE PER QUANTO NETANYAHU PROVI A COINVOLGERLO. L’IRAN SA DAL CANTO SUO DI NON POTER ALLARGARE LA GUERRA AGLI STATI UNITI: . GLI RESTANO PERÒ I MISSILI PER FIACCARE LE CITTÀ ISRAELIANE E PER COLPIRE I POZZI SAUDITI SOVVERTENDO I MERCATI

La scommessa di Netanyahu. Attaccare l’Iran indebolito per compromettere la sua marcia verso l’arma nucleare. Ma anche per disarmarlo, per renderlo irrilevante negli equilibri mediorientali. Per ottenere con le armi ciò che non si consegue con i negoziati. La stessa tattica impiegata a Gaza. Con in più la speranza che il regime vacilli. Israele ha il diritto di difendersi: il nucleare iraniano è una minaccia esistenziale.
La tentazione della soluzione radicale è comprensibile. Se di successo, sarebbe un’operazione di segno positivo per l’Occidente e i suoi alleati.
Riaprirebbe la via degli accordi di Abramo. Lo accredita il favore di Washington — preoccupata solo di sottolineare l’unilateralità dell’attacco israeliano per evitare partecipazioni
dirette — quello degli europei, il silenzio dei sauditi e delle monarchie del Golfo. Bene anche per noi unirci al consenso filoccidentale. L’Iran non è Gaza. È la fonte stessa dell’instabilità.
La posta in gioco tuttavia è troppo rilevante per non valutare anche i rischi di un fallimento. Non riguardano tanto le possibili reazioni della Cina e del cosiddetto asse del male: Pechino compra petrolio iraniano, ma è troppo interessata al rapporto con Washington; Mosca troppo impegnata in Ucraina e con gli americani; Pyongyang troppo compiaciuta di non aver ceduto il suo deterrente nucleare.
Non vale la pena sbracciarsi per Teheran: la globalizzazione del conflitto non è alle viste. I rischi stanno piuttosto nelle capacità israeliane e nelle reazioni iraniane. Senza le bombe di profondità americane, Israele può solo frenare ma non interrompere la corsa nucleare dell’Iran. Mentre Trump non vuole trovarsi di nuovo impelagato in Medio Oriente per quanto Netanyahu provi a coinvolgerlo.
E un nemico soltanto ferito è pericoloso. L’Iran sa dal canto suo di non poter allargare la guerra agli Stati Uniti: sarebbe persa in partenza […] Gli restano però i missili per fiaccare le città israeliane e per colpire i pozzi sauditi sovvertendo i mercati. E soprattutto a medio termine l’opzione di accelerare sull’arricchimento per diventare una potenza nucleare.
Giampiero Massolo
per il “Corriere della Sera”

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L’OCCIDENTE DEVE UNIRSI PER NON SOCCOMBERE A TRUMP – PRIMA DELL’APERTURA DEL G7 IN CANADA, SI E’ SVOLTO UN COLLOQUIO INFORMALE TRA MELONI, MACRON, MERZ, STARMER E IL PRIMO MINISTRO CANADESE MARK CARNEY

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

I LEADER SONO ALLA RICERCA DI UNA POSIZIONE COMUNE DA OPPORRE A QUELLO SVALVOLATO DI TRUMP CHE HA PROPOSTO PUTIN COME MEDIATORE TRA IRAN E ISRAELE… NON SOLO: IL CALIGOLA DI MAR-A-LAGO HA IMPOSTO ALLA PRESIDENZA CANADESE CHE NON CI SARÀ UNA NOTA CONGIUNTA DEL G7, NÉ SARANNO CITATE LA RESPONSABILITÀ DI ISRAELE NELLA STRISCIA E L’AGGRESSIONE RUSSA IN UCRAINA

Nella serata canadese, alla vigilia dell’apertura ufficiale del vertice del G7 di Kananaskis, a quanto si apprende, si è svolto un lungo e informale colloquio tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il primo ministro britannico Keir Starmer e il primo ministro canadese, Mark Carney.
L’incontro, andato in scena nella notte italiana nel resort che ospita il summit, si è aperto con uno scambio di saluti e qualche battuta tra i leader, e ha rappresentato l’occasione per un primo confronto in vista dell’avvio dei lavori del G7.
Nelle scorse ore fonti italiane hanno indicato l’obiettivo di
trovare una posizione coordinata con i partner europei sulla guerra fra Israele e Iran, per poi arrivare a un coordinamento generale con il presidente Usa Donald Trump.
I leader europei dovrebbero essere allenati all’imbarazzo che genera Donald Trump, con le sue invenzioni quotidiane, a metà tra improvvisazione e scommessa. Questa volta però è davvero dura da digerire. Basta leggere i volti e le pause degli sherpa, provare a interpretare le frasi di circostanza e di attesa di chi accompagna i leader al G7 di Kananaskis, tra le Rocky Mountains dell’Alberta, subito dopo aver letto che il presidente americano ha incoronato Vladimir Putin come mediatore della guerra tra Israele e Iran.
È un’offerta inaccettabile per l’Europa che ha stravolto le vite dei propri cittadini per colpa del capo del Cremlino, per le sue mire espansionistiche e la sua fame di Ucraina.
La mediazione affidata a Putin lo legittimerebbe e potrebbe compromettere la difesa dell’Ucraina. L’unico a prendere una posizione netta è Emmanuel Macron: «Ritengo che la Russia non possa mediare».
Totalmente diversa la reazione di Giorgia Meloni su come gestire la proposta del presidente Usa. Come emerge dalle risposte delle fonti a lei più vicine: «Vediamo le indicazioni che arrivano da Trump». Ancora una volta è agli Stati Uniti che volge lo sguardo Palazzo Chigi, adattando la propria strategia. Impotenza, sorpresa e fastidio si alternano nelle ore che precedono l’arrivo del presidente americano.
Ieri sera Meloni aveva in agenda due bilaterali: uno con il britannico Keir Starmer e l’altro con il cancelliere tedesco Friedrich Merz. Due incontri che sono serviti anche ad
abbozzare un primo coordinamento europeo dopo le dichiarazioni di Trump. A questo punto molto dipenderà da Macron. Il francese vuole provare a rompere l’impressione di un’Unione disorientata dalla giostra impazzita della geopolitica del magnate. Trump, con la sua apertura a Putin, fa emergere la contraddizione dell’alleanza euroatlantica, rende plastica la spaccatura al primo G7 da quando è tornato alla Casa Bianca.
Gli americani hanno imposto alla presidenza canadese che non ci sarà una nota congiunta del G7, né saranno citate la responsabilità di Israele nella Striscia e l’aggressione russa in Ucraina. Il presidente Volodymyr Zelensky arriverà domani: Meloni avrà un contatto con lui, e lavora per ritagliarsi uno spazio se Trump dovesse accettare di vedere la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per discutere di dazi.
(da agenzie)

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UN LEONE CHE NON RUGGISCE: IL GRADO DI FIDUCIA DEGLI ITALIANI VERSO PAPA LEONE XIV E’ AL 60%, ( BERGOGLIO AL MOMENTO DELL’ELEZIONE AVEVA UN GRADIMENTO MOLTO PIU’ ALTO, INTORNO AL 75%)

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

I PIU’ VICINI A PAPA AMERICANO SONO GLI ELETTORI DI FORZA ITALIA, AZIONE E LEGA – I MENO ENTUSIASTI SONO I FAN DI M5S, +EUROPA E ALLEANZA VERDI SINISTRA

È trascorso poco più di un mese da quando papa Leone XIV è stato eletto Pontefice. Robert Francis Prevost è nato a Chicago, 70 anni fa. Al momento della nomina il grado di fiducia nei suoi riguardi, secondo le stime di Demos, era il 60%. Non dissimile a quello verso Papa Francesco, Jorge Maria Bergoglio, nell’ultimo periodo della sua vita.
Al momento dell’investitura, alla fine del 2013, Papa Francesco, peraltro, era apprezzato da quasi 9 italiani su 10. Ma erano altri tempi. Perché da allora la fiducia verso la Chiesa è praticamente crollata. Insieme alla frequenza alla Messa, che fornisce un indice di appartenenza significativo. Lo ha rilevato l’Istat quando, nel 2022, ha segnalato come meno di un italiano su cinque (per la precisione, il 18,5%) vada a messa almeno una volta a settimana.
Così anche la fiducia nel Pontefice è scesa al 60%. Un dato comunque elevato, in quanto si tratta della figura istituzionale più apprezzata in Italia, dopo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella , La fiducia nei confronti del Pontefice fra coloro che dichiarano una frequenza «assidua» alla messa, peraltro, raggiunge l’80%.
Scende poco sotto al 70% fra quanti definiscono «saltuaria» la loro pratica religiosa. E scivola a 36% fra quanti si dicono «non praticanti». Questi dati dimostrano come la frequenza alla messa costituisca un fattore importante. Ma non definitivo. Il consenso Papa, infatti, supera le mura della Chiesa. Della fede. Parallelamente, la fiducia verso il Papa riflette l’età delle persone.
Come la frequenza alla messa. E tocca i livelli più elevati quando si superano i 55 anni. In misura coerente con la pratica religiosa. Per scivolare rapidamente sotto il 50% via via che l’età cala. Di nuovo, però, occorre sottolineare come l’attenzione verso Leone XIV risulti molto alta, superiore al 40%, anche fra coloro che hanno meno di 30 anni
Un contributo importante è, inoltre, fornito dalla posizione politica e, soprattutto, dalla preferenza di partito. […] La Chiesa
e il mondo cattolico, infatti, hanno avuto — in passato — legami stretti con la politica. Il Nord Est era conosciuto come “zona bianca”. La pratica religiosa, infatti, si incrociava con la presenza delle associazioni del mondo cattolico. E con la Democrazia cristiana. Nelle Regioni dell’Italia centrale, soprattutto in Emilia-Romagna e Toscana, invece, prevalevano i partiti di sinistra.
Lontani dalla Chiesa. E, per questo, definivano la “zona rossa”. Diversa era, invece, la situazione nel Nord Ovest, area metropolitana, orientata dall’asse Milano-Torino. Nel Mezzogiorno, infine, pesava il ruolo dello Stato centrale. Sul piano dei finanziamenti. E non solo.
Naturalmente molto, anzi: tutto è cambiato nella Seconda Repubblica. Con l’avvento di Silvio Berlusconi. Un “imprenditore politico” alla guida di un partito impresa. In seguito, si è imposto il sentimento dell’antipolitica. Espresso dal M5S.
E, quindi, dalla Lega, sorta come “partito del Nord”, in Veneto e successivamente in Lombardia. Per divenire, a sua volta, antipartito. Così si è affermata la Terza Repubblica. E la “democrazia del pubblico”, interpretata da Berlusconi, attraverso i media e soprattutto la televisione, ha lasciato il posto alla “democrazia immediata” e al digitale.
Così la figura del Papa si conferma importante. Perché, come si è detto, contano l’immagine, la persona. E mentre le ideologie declinano insieme ai colori politici del territorio, la fede resiste. È base della fiducia. E il consenso nei confronti di papa Leone appare ampio e trasversale. Da destra a sinistra, passando per il centro

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EVVAI GIORGIA, NUOVO RECORD PER IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO: AD APRILE È CRESCIUTO DI ALTRI 30,1 MILIARDI, ARRIVANDO ALLA CIFRA MONSTRE DI 3.063,5 MILIARDI

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

ALLA FACCIA DEL SOVRANISMO DI MELONI E GIORGETTI, CRESCE LA QUOTA DEL DEBITO IN MANO AGLI STRANIERI, SALITA DAL 31,9 AL 32,4% DEL TOTALE

Lo scorso aprile il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato di 30,1 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 3.063,5 miliardi. Lo rileva Bankitalia.
L’incremento riflette il fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (21,5 miliardi), la crescita delle disponibilità liquide del Tesoro (7,2 miliardi, a 69,4), nonché’ l’effetto degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di
cambio (1,4 miliardi).
Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, l’aumento del debito è sostanzialmente imputabile a quello delle Amministrazioni centrali (29,9 miliardi); il debito delle Amministrazioni locali e quello degli Enti di previdenza sono rimasti pressoché invariati. La vita media residua e’ rimasta stabile a 7,9 anni.
La quota del debito detenuta dalla Banca d’Italia ha continuato a diminuire, collocandosi al 20,2 per cento (dal 20,5 del mese precedente), mentre a marzo (ultimo mese per cui questo dato e’ disponibile) quella detenuta dai non residenti era aumentata al 32,4 per cento (dal 31,9 per cento del mese precedente) e quella detenuta dagli altri residenti (principalmente famiglie e imprese non finanziarie) era lievemente diminuita al 14,3 per cento (dal 14,4 per cento).
Sale la quota del debito pubblico in mano a stranieri. Come emerge dalla pubblicazione della Banca d’Italia su debito, a marzo è salita dal 31,9 al 32,4% del totale.
Quella detenuta dagli altri residenti (principalmente famiglie e imprese non finanziarie) è lievemente diminuita al 14,3 per cento (dal 14,4 per cento). Ha continuato a calare la quota del debito detenuto da Banca d’Italia che, ad aprile, è scesa al 20,2 per cento (dal 20,5 del mese precedente).
(da agenzie)

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IL SINDACO DI CAPRI PROMULGA UN’ORDINANZA “ANTI-PETULANZA”: RISTORATORI E NEGOZIANTI DELL’ISOLA NON POTRANNO PIÙ ROMPERE GLI ZEBEDEI ALL’ORDA DI TURISTI CHE PASSEGGIA PER LE VIE DI CAPRI

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

SARÀ VIETATO AVVICINARSI TROPPO AI VACANZIERI PER MOSTRARE MENÙ PSEUDO-SUCCULENTI O DÉPLIANT CHE PUBBLICIZZANO GITE IN BARCA – IL MOTIVO È SEMPLICE: L’ISOLA È DIVENTATA UNA GIUNGLA IN CUI SU OGNI MARCIAPIEDE C’E’ QUALCUNO CHE VUOLE RIFILARE QUALCOSA AI PASSANTI

È una lunga storia. Cominciata col mito greco delle sirene adescatrici e finita, a quanto pare, nella nuda cronaca di un pressing mercantile non più sopportabile. Multe ai commercianti e ai procacciatori da marciapiede che infastidiscono gli Ulisse del tempo dei social, molto meno attrezzati a resistere alle tentazioni. A Capri, questa è la novità. Non sarà la prima conseguenza, ma certo ora bisognerà aggiornare anche il piccolo dizionario di «capriologia potenziale» di Maria Sebregondi, inserito in Capri à contrainte. Ovvero, e mai titolo fu più azzeccato, in una raccolta di versi «sotto vincolo».
Ora serve un nuovo lemma per descrivere la pessima abitudine che il sindaco Paolo Falco ha deciso di sanzionare. Si dirà Capri-gravezza? È una proposta. Del resto c’è poco da inventar parole: si tratta di definire l’inesorabile declino di quella che una volta era un’ospitalità leggera e leggendaria e ora è invece un disarmante adeguarsi ai tempi.
Dalla leggerezza degli anni Sessanta, dalle semplici strisce di
cuoio ai piedi di Jacqueline Kennedy e di Brigitte Bardot, alla pesantezza degli schiamazzi odierni, alle tarantelle «starnazzanti» sui tavoli delle locande e agli spritz al limoncello da rifilare ad ogni costo (in senso letterale, a caro prezzo).
Intanto, il provvedimento è già noto come l’ordinanza anti-petulanza, in ossequio all’articolo del codice penale che disciplina il reato di molestie o disturbo alle persone. Ma evidentemente il codice non basta, e perché sia chiaro l’intento, il sindaco ha fissato paletti e sanzioni aggiuntive.
Non si farà come nei mercatini egiziani, dove se superi la linea bianca sei alla mercé del venditore e non più tutelabile una volta accettato il prezzo, ma viceversa. L’avvertimento è lanciato ai fornitori di servizi e ai gestori di negozi, bar e ristoranti.
Vietato disturbare vuol dire vietato avvicinarsi troppo ai turisti per mostrare dépliant, mappe o volantini che pubblicizzano gite in barca con rinfresco e menù succulenti. La pubblicità è regolata ed è ora di darsi una misura e un contegno, dice il sindaco. Altrimenti si rischia parecchio: anche la sospensione dell’attività per tre giorni.
«Basta con intermediazione selvaggia e occupazioni irregolari del suolo pubblico». L’Unione nazionale consumatori approva. E insiste molto sul tema dell’abusivismo, perché occupare illecitamente marciapiedi, scalinate, vie pedonali o scorci storici dell’isola per promuovere di tutto e di più «è un’offesa alla legalità e al bene comune».
Ora il problema non è l’ordinanza. È semmai la sua effettiva applicazione. Sullo sfondo c’è la grande emergenza dell’overtourism. Il sindaco ne ha parlato anche con la ministra Santanchè, a Capri per un convegno. Sembra, però, b
intenzionato a vedersela innanzitutto con i propri concittadini: «Non possiamo — dice — vendere tutti gli alberghi agli arabi come a Montecarlo e Saint-Vincent e abbandonare il campo.
O chiudere l’isola dopo l’estate e svuotare la Piazzetta da gennaio ad aprile. Ho chiesto agli imprenditori di essere più responsabili». Si vedrà. Nel frattempo il problema resta sempre lo stesso.
(da “Corriere della Sera”)

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CALDEROLI CAMBIA IDEA E ORA DIFENDE IL QUORUM CHE VOLEVA ELIMINARE

Giugno 16th, 2025 Riccardo Fucile

LA SOLITA COERENZA SOVRANISTA: QUANDO PROPONEVA DI CANCELLARE L SOGLIA PER RENDERE VALIDI I VOTI REFERNDARI

Prima propone di eliminare il quorum per i referendum abrogativi poi ritratta e critica chi propone di farlo. Il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, in quota Lega, si contraddice da solo. In un’intervista del 15
giugno sul Corriere della Sera, dopo che i referendum su cittadinanza e lavoro non hanno raggiunto la soglia del 50 per cento più uno degli aventi diritto di voto, Calderoli ha detto: «Il raggiungimento del quorum e la vittoria dei Sì rappresentano comunque una maggioranza relativa. E dunque, dato che la democrazia rappresentativa prevede che siano le camere ad approvare le leggi a maggioranza e con numero legale, abbassando il quorum avremmo l’effetto paradossale che una legge approvata secondo Costituzione potrebbe venire modificata o abrogata da una minoranza del Paese. Una minoranza che detta le leggi a una maggioranza eletta».
La proposta del 2018 di Calderoli
Ebbene, fino a pochi anni fa lo stesso ministro era tra coloro che proponevano l’abolizione del quorum per i referendum abrogativi. Durante la scorsa legislatura, il 22 giugno 2018, Calderoli, che all’epoca era senatore, presentò in Senato un disegno di legge che proponeva di modificare l’articolo 75 della Costituzione, cioè quello che stabilisce il quorum per i referendum abrogativi. «La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi», si legge in uno dei suoi commi. Con la sua proposta, Calderoli chiedeva di modificare quel passaggio, sostituendolo con: «La proposta soggetta a referendum è approvata se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi». In sostanza, proponeva di eliminare il quorum.
Le ragioni nel calo della partecipazione elettorale
Tra le ragioni della proposta di Calderoli c’era il calo della partecipazione elettorale in Italia. In un breve testo introduttivo,
infatti, si leggeva: «Se per i nostri padri costituenti la non partecipazione al voto in occasione di una campagna referendaria poteva rappresentare una scelta politica e un’espressione della volontà popolare, attualmente non possiamo ritenerla tale. Al contrario, oggi più che mai è necessario mettere in moto dei meccanismi virtuosi che facciano sentire i cittadini partecipi nei processi decisionali, in primo luogo attraverso l’espressione del voto», scriveva Calderoli.
L’eliminazione del quorum
Secondo il futuro ministro del governo Meloni, una delle soluzioni era proprio eliminare il quorum. «Il quorum necessario per la validità, combinato all’alto livello di astensionismo che si registra nelle tornate elettorali, si traduce nei fatti nella vanificazione di uno strumento di espressione popolare importantissimo, come quello del referendum», proseguiva Calderoli. «I cittadini chiamati ad esprimersi sul quesito referendario devono essere consapevoli dell’importanza del loro voto e questo è possibile solo portandoli nelle urne e non cavalcando l’onda dell’astensionismo». La proposta non ebbe seguito: fu ritirata a marzo 2019.
(da agenzie)

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