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A SAN MINIATO LA STRAGE NON FU NAZISTA, MA AMERICANA…PERO’ LA LAPIDE ANTIFASCISTA NON VIENE RIMOSSA

UN COMPAGNO TRINARICIUTO CI SCRIVE …  

I lettori che ci seguono da un po’ ricorderanno che il 24 febbraio avevamo pubblicato un articolo relativo alla verità  emersa sulla strage del Duomo di San Miniato ( PI ), avvenuta il 22 luglio 1944 , in cui persero la vita 58 civili a seguito del bombardamento del Duomo. La strage, attribuita per convenienza ai tedeschi, in realtà  fu opera di un errore degli Americani, come successivamente ammesso dagli stessi statunitensi, in seguito a ricerche e testimonianze. Senonchè il Comune di San Miniato non ha mai tolto la “vecchia lapide” che ricorda “l’eccidio nazista” e , pur avendone predisposta una nuova che ristabilirebbe la verità  storica, per l’opposizione di Rifondazione, al massimo vorrebbe apporre quella nuova a fianco della vecchia…il senso del ridicolo evidentemente non ha confini.
Abbiamo ricevuto un paio di giorni fa una “gentile” email da un personaggio uscito dalle vignette di Guareschi, il classico “compagno trinariciuto”, di cui temevamo l’estinzione, ma che invece popola, anche se in pochi esemplari ormai, la campagna toscana, tra i ragli di asini e il belare delle pecore. La frequentazione dei “salotti buoni”   della borghesia radical chic non l’ha contaminato e a nulla è servito neanche immergersi, in qualità  di ospite, nella piscina della villa di Massa Martana dove Bertinotti si ritempra dalle lotte per l’emancipazione del proletariato.
Il compagno Claudio ha ritenuto di non privarci del suo “contributo” alla discussione con un dotto intervento firmato “fiscisti tutti appesi.com“…già  scrivere “fiscisti” e non “fascisti” non vorrei gli creasse problemi nell’individuarci o lo inducesse a qualche “scambio di persona”, come avvenuto nel dopoguerra quando i suoi “compagni” hanno ammazzato civili e sacerdoti, bambini e donne innocenti, in nome del regolamento di conti antifascista. Entrando nel merito poi ci scrive ” Fascisti di merda siete sempre a piede libero ! Quello che avete scritto è falso. La bomba è di matrice tedesca “, dando una svolta contenutistica al suo essenziale intervento.

Merita indubbiamente una risposta e pertanto riproduciamo l’articolo apparso su   “la Nazione” del 24 luglio 1997 ( dal titolo “E’ americana la verità  su San Miniato” ), affinchè sia lui che i nostri lettori possano approfondire la vicenda della strage del Duomo da fonte non sospetta . Ricordiamo che c’è una sentenza della Cassazione che obbliga il Comune di San Miniato a provvedere alla rettifica ( non ancora fatta) .
Il Comune continua a celebrare la “strage nazista” in nome della “continuità  morale” , qual continuità  e quale morale lascio giudicare ai nostri lettori.
Al fine dicitore Claudio che ci accusa di essere ancora a “piede libero”, mi limito a fargli osservare che se abbiamo ancora un “piede libero” un motivo divino ci sarà …. quello forse di utilizzarlo nell’ assestare un calcio in culo ( con moderata rincorsa)   a chi pensa che la verità  storica sia manipolabile dai “vincitori” e che il “becerismo trinariciuto” su cui il comunismo ha vissuto per tanti anni abbia ancora domicilio nelle coscienze italiche.
Ti ringraziamo per il tuo “raglio d’asino”, così integriamo ulteriormente la vicenda, con altri dettagli…ricordandoti infine che è meglio morire appesi, senza che una lira esca dalla tasca, che vivere da “asini”, legati da un corda alla staccionata dalla stalla del conformismo per tutta una inutile vita.   Come la tua …

da LA NAZIONE Quotidiano del 24 Luglio 1997
E’ AMERICANA LA VERITA’ SU SAN MINIATO. Nuove rivelazioni sull’eccidio di San Miniato avvenuto il 22 Luglio 1944 e su quel colpo di mortaio E’ “americana” la verità  sulla notte di San Lorenzo. Fu una granata degli “alleati” e non delle truppe tedesche ad entrare nel rosone del Duomo e a causare 56 vittime. Gli archivi confermano il tragico errore.
Paolo Paoletti

Dopo il film dei fratelli Taviani, «La notte di S. Lorenzo», i 56 morti accertati e le decine di feriti rimasti colpiti nel Duomo di S. Miniato al Tedesco, il 22 luglio 1944, sono ormai entrati a far parte dell’immaginario collettivo degli italiani. Ma la verità  del film è ben lontana da quella storica. Anzi vien da dire che ancora una volta la realtà  supera leggermente la fantasia. Non solo quella scenica.
La verità  storica venne “marmorizzata” nel decimo anniversario della strage e recitava Così: «Questa lapide ricorda nei secoli il gelido eccidio / perpetrato dai tedeschi il 22 luglio 1944, di 60 vittime (sic!), / inermi, vecchi, innocenti, perfidamente sollecitate a / riparare nelle cattedrale per rendere più rapido e più superbo il misfatto».
Il sindaco
Secondo il sindaco di allora quella lapide fu un atto dovuto in quanto nel 1945 il giudice fiorentino Carlo Giannattasio, incaricato dal Comune di stendere una relazione finale a conclusione dell’inchiesta amministrativa, aveva dichiarato che: «la Cattedrale fu colpita da due granate… una tedesca e l’altra americana… Ma l’eccidio fu causato esclusivamente dalla granata germanica». Bisogna aspettare gli anni ’80 per assistere ad un’evoluzione dalla vecchia tesi del «colpo di mortaio tedesco di calibro medio», oggettivamente difficile da spiegare, visto che la Wehrmacht avrebbe scelto un espediente piuttosto complicato per compiere una strage, all’accusa più comprensibile della «responsabilità  di aver concentrato… un’enorme massa di persone in un luogo esposto ai colpi dei mortai e dei cannoni». Nel 1984 col libro «S. Miniato. 22 luglio 1944» si cominciava a mettere in dubbio l’importanza di stabilire se si trattava di granata tedesca o americana. Ma perchè la verità  dei fatti non era più importante? Per il semplice motivo che la «vulgata» nascondeva un bluff durato 53 anni. Vediamo come. Prendiamo la testimonianza del 6 ottobre 1944 resa davanti alla Commissione comunale dal Maresciallo dei Carabinieri Conforti; questi dichiara di aver consegnato «al capitano americano Ruffo due schegge». L’ufficiale appartiene alla 91a divisione americana ed è colui che ha fatto il rapporto preliminare prima dell’insediamento della Commissione ufficiale d’inchiesta statunitense. La relazione fa parte degli atti investigativi da noi reperiti nel febbraio 1994 ai National Archives di Washington. Stranamente (o ovviamente) in questo rapporto non si fa cenno a reperti acquisiti. Possiamo presumere che l’ufficiale, rendendosi conto di avere in mano una spoletta americana, intuì immediatamente che quella era la prova provata della responsabilità  colposa degli artiglieri della sua divisione.
Per uscire da questa situazione quanto meno imbarazzante decise di non segnalare ai superiori il ritrovamento della spoletta ma non se la senti neppure di distruggerla. Al di là  di queste illazioni, è un fatto che due settimane dopo la segnalazione del maresciallo Conforti arrivava alla commissione comunale la «perizia» del tenente di fanteria americano Charles Jacobs. Il poverino per far quadrare il cerchio aveva dovuto inventarsi una granata tedesca assassina ed una innocua americana. A riprova della sua buona fede (e della sua ignoranza) forniva anche il DNA della bomba statunitense: spoletta «Fuse P. D. M43». Trattandosi di materia tecnica ci siamo rivolti a due generali, Sabino Malerba e Ignazio Spampinato e ad un colonnello, Massimo Cionci, tutti d’artiglieria, ma con specializzazioni diverse (balistica, esplosivi e munizionamento). Il responso dei tre è stato unanime, quella «spoletta Fuse a percussione (P. D.) avente il numero di modello 43 non è mai esistita». Inoltre, dice l’esperto di munizionamento, col. Cionci, «è impossibile che il proietto munito spoletta del tipo PD fosse un fumogeno». «La scritta punzonata sulla spoletta poteva essere soltanto “P. D. M48″».
L’equivoco
La spiegazione è semplice: con gli urti l’«8» era stato scambiato per un «3» e da qui era nato l’equivoco. Dunque la prova del DNA diceva che l’unica spoletta rinvenuta in chiesa apparteneva ad un proiettile «scoppiante» americano. Ma perchè si dovette inventare il fantomatico proiettile tedesco? Semplicemente perchè in quel giorni di guerra americani e italiani morivano combattendo contro l’occupante nazista. E nel 1944- 1945 quella verità  non si poteva dire. A nostro avviso con la «perizia» Jacobs i membri della commissione d’inchiesta italiana intuirono subito la verità  e cercarono in tutti i modi di venire incontro alla tesi americana, che contentava gli americani e, tutti i partiti politici dell’epoca. Il 21 settembre 1944, giorno dell’insediamento della commissione comunale d’inchiesta, questa all’unanimità  dava incarico all’ing. Aurelio Giglioli di presentare una descrizione dello stato attuale del fabbricato della Chiesa del duomo con relativa pianta». Il 10 ottobre lo stesso ingegnere veniva incaricato di prendere anche «delle foto all’interno e all’esterno del Duomo». Ma cinque giorni dopo arrivava la verità  confezionata dal tenente americano: gli schizzi e le foto dell’ingegnere socialista non servivano più, anzi diventavano estremamente pericolose. Si sarebbe potuto vedere quello che noi scopriremo 52 anni dopo nelle carte della Curia: l’intelaiatura in ferro che sostiene la vetrata del rosone e l’intelaiatura lignea della finestra da cui era entrato il supposto proiettile assassino tedesco, non presentavano segni di effrazione. Erano rimasti intatti, mentre quello da cui era entrato il proiettile americano abbisognò dell’intervento del fabbro!
Il fatto incontrovertibile è che l’ing. Giglioli non solo non consegna nè schizzi nè foto ma dal 21 ottobre abbandona i lavori della Commissione.
L’ing. Giglioli non è il solo a lasciare la commissione. Si dimette, questa volta ufficialmente, anche l’azionista Ermanno Taviani, l’assessore alla Cultura che ha ideato e fortemente voluto quella commissione amministrativa.
La commissione
E, guarda caso, presenta le dimissioni solo da membro della commissione, ma mantiene la carica di assessore all’Educazione e alla Cultura. Insomma più si scava e più vengono fuori misteri. Torniamo all’enigma delle foto richieste all’ing. Giglioli e mai consegnate: il 29 maggio 1945 la Giunta approvava l’acquisto di 62 foto di Cesare Barzacchi per la somma di 16.000 lire. Perchè spendere una cifra così spropositata (tra i 15 e i 20 milioni di oggi!) quando le stesse foto si potevano avere a prezzo di costo 8 mesi prima? Si doveva forse coprire la magagna che si stava formalizzando con la relazione Giannattasio? Il dubbio è che il Comune, conscio di aver imboccato una strada senza uscita, quella di sostenere un falso imposto dalla guerra appena finita, era costretto ad acquistare i negativi e a togliere dalla circolazione le altre possibili prove della responsabilità  americana.
Le prove
I misteri sulle foto Barzacchi non finiscono qui. Come mai nella primavera 1984 il Comune è costretto a riacquistare quelle foto che 39 anni prima aveva profumatamente pagato? Succede che quando l’amministrazione decide di celebrare il quarantennale dell’eccidio non trova più i negativi e deve pagare 5.726.000 lire alla foto-ottica Gallerini per 60 positivi. Nel 1996 le nostre ricerche ci hanno portato a ritrovare l’album originale con le fotografie firmate dal Barzacchi: due pagine risultano vuote. O meglio, due foto sono state evidentemente scollate. Secondo noi, distrutte quelle due foto compromettenti l’album perdeva qualunque interesse e così poteva anche uscire dall’archivio comunale. Per amore della verità  storica rispondiamo alla tesi dell’assessore Marianelli e dell’attuale sindaco Alfonso Lippi, che nel 50′ anniversario della strage, aveva dovuto metter da parte la «verità » del Giannattasio del 1945 del «colpo di mortaio di calibro medio», oggettivamente difficile da spiegare e da capire, e ripiegava sull’accusa più comprensibile e rappresentabile all’opinione pubblica del “colpevole concentramento della popolazione nel punto più esposto”; intanto non fu il Comando tedesco a decidere di concentrare la folla in Duomo, ma fu il vescovo Giubbi a offrire l’ospitalità  della Chiesa. Si veda la lettera inviata in Vaticano ed in copia alla Commissione d’inchiesta. «Il Vescovo -scrive in terza persona, ndr- fece osservare al capitano Tedesco: … che la popolazione non avrebbe potuto per le ore 8,00 essere tutta radunata in piazza dell’Impero. Allora l’ufficiale tedesco dispose che la radunata avvenisse, oltre che in quella piazza, anche nella piazza della Cattedrale e che, entro la Chiesa si fermassero soltanto i vecchi, i malati e i bambini. Gli altri rimanessero fuori». Se qualcuno avesse letto la deposizione resa il 14 agosto 1944, davanti alla Commissione Militare americana, da don Guido Rossi avrebbe capito che: «… a seguito delle richieste del Vescovo la folla entrò in chiesa». Il 31-10-1944 Armando Colombini ribadiva lo stesso concetto davanti alla commissione d’inchiesta comunale: «Successivamente il Vescovo disse che oltre ai bambini, alle donne aveva ottenuto il permesso di fare entrare in chiesa anche gli uomini».
Dunque i tedeschi volevano far sgombrare la popolazione verso la campagna, ma siccome i vecchi, le donne e i bambini avrebbero rallentato la marcia, ordinarono che fossero lasciati indietro. Ma il vescovo per non smembrare le famiglie ottenne che tutti fossero raccolti provvisoriamente tra le mura sicure del Duomo. L’ultimo baluardo di assessori e sindaci è questo: in ogni caso i tedeschi sono i responsabili perchè il Duomo era il luogo più esposto. In verità  il Duomo sarebbe stato «pericolosamente esposto» solo se a sparare fosse stato il cannone di un carro armato, che spara «con una traiettoria talmente tesa da potersi assumere come rettilinea», per usare le parole del gen. Malerba. Anzi, nonostante le apparenze, il Duomo si dimostrò luogo sicuro perchè le bombe cadute sul tetto e sulle cappelle non causarono morti e solo per un caso irripetibile un colpo centrò un rosone. Ed il fato volle che quel maledetto proiettile fosse a scoppio ritardato e che dopo due rimbalzi scoppiasse per aria, nel punto più affollato della cattedrale. E’ corretto allora il testo della stele, sistemata nel 1994 dall’amministrazione sul prato del Duomo, dove si legge: “A ricordo delle 55 (!) persone uccise dalla barbarie della guerra in questa cattedrale il 22 luglio 1944”. Un testo che non si concilia perciò con la faziosa lapide del 1954.

L’immagine e il testo della Nazione sono stati tratti da: http://www.noreporter.org/dossier/SanMiniato.htm

 

 

 

 

This entry was posted on giovedì, Marzo 27th, 2008 at 13:57 and is filed under San Miniato. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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