ADDIO AL GRANDE MAESTRO FRANCO ZEFFIRELLI, ORGOGLIO DELL’ITALIA NEL MONDO
SI E’ SPENTO A 96 ANNI, LUNEDI’ LA CAMERA ARDENTE IN CAMPIDOGLIO
È morto nella sua casa a Roma Franco Zeffirelli. Sceneggiatore, attore, regista, aveva 96 anni.
“Ciao maestro” si legge sul sito della fondazione che porta il suo nome: “Si è spento serenamente pochi minuti fa Franco Zeffirelli. Era nato a Firenze 96 anni fa. La scomparsa è avvenuta alla fine di una lunga malattia. Il maestro riposerà nel cimitero delle Porte Sante di Firenze”.
La camera ardente si terrà lunedì il Campidoglio: lo fanno sapere i figli Pippo e Luciano.
L’ultimo lavoro del regista, un sogno coltivato per oltre dieci anni, è stata la regia di una nuova Traviata che aprirà la stagione del Festival lirico all’Arena di Verona la prossima settimana, il 21 giugno. Ma il Maestro guardava già avanti, al nuovo progetto: un Rigoletto il cui debutto era previsto per il 17 settembre 2020 in Oman alla Royal Opera House di Muscat.
Il sodalizio con Visconti e quel rotolo sotto il braccio
Nato a Firenze il 12 febbraio 1923, il bambino Gianfranco Corsi Zeffirelli perse subito il padre, che non lo riconobbe, e la madre, che morì, quando aveva solo sei anni. Allevato da una coppia che lui chiamava zii ma che in realtà erano cugini del padre, il giovanissimo Franco ebbe una figura paterna nel suo istitutore, Giorgio La Pira, futuro padre della Costituente e amatissimo sindaco di Firenze negli anni 50.
Dopo un periodo in un istituto Zeffirelli frequentò l’Istituto delle Belle Arti fino a debuttare a teatro per Luchino Visconti. Il primo incontro con il grande regista lo ricordava così: “Venne a Firenze con la sua compagnia, mettevano in scena La via del tabacco, andai a partecipare a dei provini come attore, ma Visconti mi scartò per il mio accento toscano. Fu incuriosito però da un rotolo di miei disegni che mi portavo sempre appresso, mi chiese di vederli e mi assunse come assistente scenografo perchè lui non sapeva neppure tenere un pennello in mano”. Il primo grande lavoro che firmò furono le scenografie per la prima italiana di Un tram che si chiama desiderio di Tennesee Williams
Dal teatro al cinema sul set di due grandi opposti
Fu Luchino Visconti ad avvicinarlo al cinema portandolo sul set di due film, La terra trema e Senso, “una sorta di università del cinema” la definirà poi Zeffirelli. Insieme a Francesco Rosi ne fu aiuto regista.
Negli anni Cinquanta curò la regia di numerose opere teatrali (molto Shakespeare), mentre al cinema come autore finì per debuttare nel 1957 con la commedia giovanile Camping, un titolo che con il passare degli anni Zeffirelli finì per disconoscere.
Per gli anni Cinquanta e quasi tutti i Sessanta si dedicò completamente al teatro mettendo in scena La Cenerentola di Rossini e L’elisir d’amore di Donizzetti per La Scala, iniziando poi a lavorare all’estero al Covent Garden di Londra, al King’s Theater di Edimburgo
Shakespeare in sala
Alla fine degli anni Sessanta si impose nel panorama cinematografico internazionale con due trasposizioni per il grande schermo di opere di Shakespeare: La bisbetica domata (1967) con Elizabeth Taylor e Richard Burton e Romeo e Giulietta (1968) con gli abiti di Danilo Donati e la fotografia di Peppino De Santis, premiati con l’Oscar.
Il film del ’67 fu girato negli studi romani Dinocittà di Dino De Laurentiis e fu un grande successo di botteghino soprattutto negli Stati Uniti. Per interpretare la coppia shakespeariana Zeffirelli avrebbe voluto Loren e Mastroianni, ma infine fu contento della chimica della coppia esplosiva americana che ricordava così: “Una fatalità li aveva uniti: lei era la stella, lui portava la cultura. Stare con loro sul set fu un grande divertimento per tutti perchè riuscimmo a smontare il meccanismo dei capricci, se facevano qualcosa per sbalordire la troupe noi reagivamo ridendo invece che prendendocela”.
Romeo e Giulietta, versione per il grande schermo della messinscena teatrale di Zeffirelli per l’Old Vic di Londra, segnò la prima versione cinematografica in cui gli attori principali erano molto vicini all’età dei personaggi originali; durante le riprese Leonard Whiting (Romeo) aveva diciassette anni, Olivia Hussey (Giulietta) sedici.
Tra i titoli più amati di Zeffirelli, il film fu un enorme successo di pubblico in tutto il mondo (quasi 40 milioni di dollari d’incasso nei soli Stati Uniti).
Uscito nell’anno delle rivolte studentesche il film, nonostante la sontuosa veste estetica, racconta molto del tempo in cui fu girato in particolare per quel che riguarda la lotta fra il mondo giovanile e quello adulto che vorrebbe imbrigliare i due amanti in obblighi familiari e convenzioni.
Una sequenza d’amore in cui viene svelato il seno nudo della giovane Giulietta fece scandalo e fu condannata dalla censura tanto che in Inghilterra persino la protagonista non potè entrare in sala a vedere il suo stesso film poichè non aveva la maggiore età .
I Settanta spirituali e gli Ottanta teatrali
Gli anni Settanta furono un decennio particolarmente legato alla spiritualità per Zeffirelli che nel 1971 firmò Fratello sole, Sorella Luna dedicato alla figura di San Francesco e Santa Chiara e poi nel 1977 il kolossal tv su Gesù di Nazareth che venne poi programmato anche al cinema.
Tra questi due titoli Zeffirelli curò anche la regia televisiva dell’apertura dell’Anno Santo nel 1974. Poi, mentre proseguiva l’attività teatrale tra La Scala, il Met e l’Opera di Parigi, negli anni Ottanta Zeffirelli diresse La Traviata, l’Otello realizzandone dei veri e propri film e non teatro filmato.
Per quel che riguarda l’opera verdiana Zeffirelli utilizzò un mezzo propriamente cinematografico, il flashback, per raccontare la storia di Violetta trasformando in vera attrice di cinema la cantante greco-canadese Teresa Stratas accanto al tenore Placido Domingo nel ruolo di Alfredo.
Gli anni Ottanta si chiusero con un biopic dedicato al giovane Toscanini, decisamente meno riuscitoGli anni Novanta: l’Amleto di Gibson e il tè con Mussolini rispetto alle due opere per il grande schermo, si raccontavano i primi passi del più grande direttore d’orchestra italiano affidato all’attore americano C. Thomas Howell. Tra le curiosità del film la presenza di Elizabeth Taylor, che mancava dal grande schermo da una decina di anni, nel ruolo del soprano russo Nadina Bulichoff.
Gli anni Novanta: l’Amleto di Gibson e il tè con Mussolini
Mentre Kenneth Branagh iniziava il suo lavoro su Shakespeare realizzando Enrico V Zeffirelli decise di tornare a portare al cinema l’opera del Bardo e in particolare l’Amleto prima “che lo facesse lui”, come avrebbe poi ammesso lo stesso regista anni dopo. Per il suo Amleto Zeffirelli scelse la star australiana Mel Gibson e arrivò a Los Angeles con un montaggio di sue interpretazioni che gli suggerivano certe qualità che cercava per il personaggio, l’agente di Gibson aveva messo in guardia Zeffirelli sul fatto che difficilmente avrebbe accettato invece Gibson accettò immediatamente.
La lavorazione fu però faticosissima perchè, come racconterà poi il regista, “fu tutto il tempo in lotta con me perchè era in lotta con se stesso”.
Seguì Storia di una capinera con cui Zeffirelli ritrovò Verga che aveva scoperto grazie a Visconti sul set di La terra trema e poi Jane Eyre da Charlotte Bronte con la ventiquattrenne Charlotte Gainsbourg.
Con la sua autobiografia cinematografica, Un tè con Mussolini, Zeffirelli mescolò ricordi personali, vicende inventate e qualche cenno storico della Firenze degli anni Trenta per un affresco visto dal punto di vista di un ragazzino alter ego del regista, figlio illegittimo come lui di un mercante di stoffe e allevato da un gruppo di signore inglesi (tra cui Joan Plowright, Judi Dench e Maggie Smith).
Un progetto che il regista aveva sognato fin dall’inizio della sua carriera cinematografica e che riuscì a realizzare praticamente solo alla fine ottenendo, come quasi sempre, un successo maggiore in Inghilterra e Stati Uniti che in Italia.
Il film sulla Callas e quello mai fatto su Francesco e gli arabi
Nel 2001 Zeffirelli firmò il suo ultimo titolo per il cinema, mentre a teatro ha continuato a produrre allestimenti tra cui i Pagliacci per il Teatro Filarmonico di Verona o La Bohème per il Met di New York, dedicato alla sua grande amica Maria Callas, Callas Forever con Fanny Ardant. “Era una donna molto divertente, insieme ridevamo come matti e poi era un vero e proprio genio, un talento: ogni cosa che toccava diventava meravigliosa, voleva solo la perfezione” la ricordava.
Anni dopo aveva poi sentenziato: “Quel film è stato un errore dal punto di vista delle regole che governano il cinema commerciale. Non puoi evocare un personaggio straordinario senza mostrarlo nel momento più alto, io invece l’ho mostrata alla fine, quando non aveva più voce. Il pubblico voleva vedere Callas trionfare e non ha amato il film”.
Avrebbe voluto realizzare ancora un titolo a cui aveva lavorato molto in realtà e che più di una volta sembrava dover arrivare sul set nel giro di pochi mesi. Si sarebbe intitolato Tre fratelli da un soggetto scritto con Suso Cecchi D’Amico, voleva essere una sorta di seguito di Fratello Sole e sorella Luna.
Avrebbe raccontato la predicazione di Francesco tra gli arabi, il titolo veniva da una frase di Francesco che spezzando il pane con il sultano Al Malik e con l’ebreo Nathan dice: “Siamo tre fratelli, nutriamo le nostre anime con lo stesso pane”. Un film che probabilmente sarebbe piaciuto a papa Francesco a cui Zeffirelli ha dedicato un libro fotografico dal set del film su San Francesco.
(da “La Repubblica”)
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