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AL CAMPIDOGLIO TELEFONI MUTI, RAGGI LATITANTE DOPO LE CARICHE DELLA POLIZIA CONTRO I POVERI

SALTA LA FINTA PACE ROMANA, IL COMUNE NON HA SOLUZIONI PERCORRIBILI E GLI SFOLLATI HANNO IL DIRITTO DI VIVERE

Le loro cose rimaste per terra, alla fine, le porteranno via i netturbini. Materassi, coperte, vestiti, scarpe e anche qualche pupazzo di peluche, tutto ramazzato via, gettato nei bidoni della municipalizzata dei rifiuti.
Nel primo pomeriggio piazza Indipendenza sarà  in gran parte ripulita, poche e rade tracce di quel che è successo all’alba.
Quando il piazzale antistante lo stabile di via Curtatone, occupato da diverse centinaia di migranti – in gran parte eritrei ed etiopi e rifugiati, sgomberati a più riprese nei giorni scorsi, è stato teatro di una vera e propria guerriglia urbana, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo.
Foto e video durissimi, con la polizia tornata per mandare via i circa cento rifugiti politici, che ancora vivevano nella zona dopo vari interventi di sgombero dell’edificio di proprietà  privata, da quattro anni occupato abusivamente, iniziati sabato 19 agosto, e loro, gli ex occupanti, rimasti a dormire sui marciapiedi e nei giardinetti lì vicino, che hanno cercato di opporsi.
Donne, bambini, uomini, disabili. La polizia, blindati, caschi e scudi antisommossa, ha utilizzato anche l’idrante e al termine della mattinata il bilancio di Medici senza frontiere, che definirà  “violento lo sgombero attuato”, conterà  almeno tredici feriti tra i rifugiati.
Il coordinatore medico dell’Organizzazione, Francesco Di Donna, presente a piazza Indipendenza, racconterà  anche di “fratture e lacerazioni causate da metodi coercitivi utilizzati dalle forze dell’ordine”.
E Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, di “bambini terrorizzati. Questi bambini, dopo aver assistito a scene di guerriglia urbana, sono stati caricati sui pullman delle forze dell’ordine e portati in Questura – scriverà  in una nota – continuavano a gridare e battere le mani sui vetri durante il tragitto, in preda al terrore”.
E intanto, subito dopo lo sgombero, alcune donne rimaste a piazza Indipendenza, mentre già  si era diffusa la notizia di sassi, bottiglie e bombole lanciati contro gli agenti, piangevano.
Guardavano le loro cose raccolte in borsoni e valige e piangevano.
Alcuni, nel pomeriggio torneranno per cercare di recuperare le loro case lasciate nel palazzo. Due donne, una eritrea e una etiope – ha riportato l’Ansa – hanno mostrato i documenti ai funzionari di polizia presenti, chiedendo di rientrare nello stabile.
“Oggi non si può – ha risposto il poliziotto – tornate domani alle 9 e vedremo di farvi entrare”.
Ma in mattinata, subito dopo l’intervento della,polizia, le lacrime erano incontenibili. E la rabbia.
Piange Freweini, eritrea di 27 anni, seduta sulla soglia di quello stabile che, sia pure occupato illegalmente, per tre anni è stato la sua casa. Si asciuga le lacrime e, prima ancora che il cronista inizi a fare domande, sventola il passaporto e sottolinea col dito “titolare dello stato di rifugiato”.
È sola, non ha figli, e ribadisce che non vuole stare per forza in Italia.
“Ma quando metti “finger” (in riferimento alle impronte digitali, ndr) in un Paese, devi rimanerci. Non è che posso stare da un’altra parte, mi rimandano qua. È la legge che lo dice”, sbuffa e guarda la sua vicina, i capelli raccolti in un enorme fazzoletto, la bocca serrata in una smorfia di dolore.
Si chiama Asefa De Besu, ha trentatrè anni e lo stato di “protezione sussidiaria”. “Perchè in Italia accettate i rifugiati, se poi dovete trattarci così?”, chiede.
La rabbia sale, c’è chi accusa i giornalisti di “scrivere solo, fate tante domande e dite cose non vere – sbotta una ragazza, gli occhi gonfi nascosti dietro occhialini scuri – in televisione avete detto che il palazzo è occupato da tredici anni e non è vero. Sono quattro anni”.
Un ragazzo che dice di essere eritreo e deve avere poco più di vent’anni, aggiunge: “Vengo da una guerra e ho trovato un’altra guerra”.
Liquida con una manata per aria la richiesta del nome e si allontana insieme ad altri, diretti verso la stazione Termini, dove si sta concentrando il gruppo dei rifugiati sgomberato all’alba.
Volontari e attivisti di diverse associazioni – Baobab Experience, Intersos, Movimento per il diritto all’abitare, per citarne alcune – sono al loro fianco, ma, loro malgrado, non possono dare una risposta alla domanda che, anche se non formulata espressamente, continua a rimbalzare da un capannello all’altro e rende più amare le lacrime di queste donne e questi uomini, alcuni ancora con gli abiti bagnati dall’acqua dell’idrante che li ha strappati al sonno all’alba.
La domanda è: dove andare? “Nessuno ci ha detto niente – urla una donna etiope, nel palazzo di via Curtatone da quasi due anni – il mio nome, scrivilo, è “africana schiava” perchè così mi state trattando voi italiani. Eppure Dio non è italiano, non è africano ed è lo stesso per tutti noi. Invece ci considerate schiavi e dopo averci accolto ci lasciate in mezzo a una strada. Dove andiamo noi adesso?”.
L’interrogativo rende ancora più assordante il pressochè totale silenzio del Campidoglio su un intervento che, sia pure volto senz’altro a ripristinare una situazione di legalità  a fronte di una occupazione abusiva, avrebbe potuto e dovuto essere concertato in modo da evitare incidenti e garantire ai rifugiati di via Curtatone una sistemazione più rispettosa e dignitosa.
Soprattutto in un momento in cui in Italia si sta alzando un forte vento di dissenso nei confronti dei migranti, come oggi ha dimostrato anche la protesta di alcuni abitanti di Breno, in provincia di Piacenza, per impedire l’arrivo di quindici profughi minorenni in una struttura della zona.
Un clima di ostilità  che si respirava anche a Roma, a piazza Indipendenza e dintorni, coi migranti sgomberati che sfilavano nei pressi della stazione Termini e qualche passante che a mezza bocca si augurava “che li sbattano fuori tutti” o diverse donne rom, ferme a guardare la polizia mentre disperdeva il corteo verso via Cavour – e il funzionario che diceva: “Devono sparire, se tirano qualcosa spaccategli un braccio – che applaudivano annuendo: “Hanno fatto bene”.
Un clima che spetterebbe anche alla politica stemperare. Senonchè, sui fatti di piazza Indipendenza le voci della politica sono state flebili e fino ad ora nè la sindaca Virginia Raggi nè l’assessore Laura Baldassarre sono intervenute direttamente. L’HuffPost ha provato per tutta la giornata a contattare la delegata alle Politiche sociali, senza successo: il telefono risultava irraggiungibile. Dal suo staff ci hanno fatto sapere che l’assessore è “fuori per questioni personali”.
Nel pomeriggio dal Campidoglio è arrivato un comunicato stampa, attraverso il quale l’amministrazione ha fatto sapere di essersi “attivata immediatamente per erogare assistenza e supporto a tutte le persone coinvolte”.
Il riferimento alle soluzioni proposte – si è parlato di qualche casa a Rieti o di un centro di accoglienza da un’altra parte della città  – riporta alla mente il ragionamento di Tareke Brhane, mediatore culturale eritreo, accorso a piazza Indipendenza per aiutare “questi miei fratelli, tanti sono miei connazionali”:
“Le soluzioni sono solo parziali e non possono essere accettate da famiglie con bambini che vanno a scuola qui. La situazione è politica e serve una precisa volontà , politica per l’appunto, di affrontare la questione costruendo un progetto a lungo termine. Qui si tratta di rifugiati, il Governo riceve incentivi dall’Unione europea per l’immigrazione. E tratta queste persone in questo modo? Questo è abuso di potere”.
E torna la domanda: dove andranno i rifugiati sgomberati stamane da piazza Indipendenza? Per ora, molti sono rimasti in zona.
“Da qua non ci muoviamo, noi non lasciamo la piazza. Non vogliamo litigare con nessuno, ma noi stiamo chiedendo i nostri diritti” ha assicurato Kibrom, eritreo di 35 anni, otto in Italia e quattro nel palazzo di via Curtatone.
Megafono alla mano, ha lanciato un j’accuse durissimo: “Guardate, siamo in prigione. Il mondo deve vedere che noi stiamo combattendo per i nostri diritti. Ma non avete figli a casa, voi? Non vi vergognate? Questa è la terra di Dio”.
Gli occhi rivolti al cielo, il megafono verso la cortina di poliziotti. Oltre la quale i netturbini dell’Ama stavano buttando nei bidoni molto di quel che era rimasto delle loro ultime notti passate all’aperto, davanti al palazzo dove hanno abitato negli ultimi anni. Magari, chissà , sognando una casa.

(da “Huffingtonpost”)

This entry was posted on venerdì, Agosto 25th, 2017 at 11:53 and is filed under denuncia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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