ALLARME UNICEF: “IL NUOVO CODICE PER LE ONG METTE IN PERICOLO I BAMBINI”
PREVISTO L’ATTRACCO A CATANIA DELLA NAVE DEI RAZZISTI, SI TEMONO INCIDENTI
«Il codice di condotta proposto per le Ong che eseguono missioni di ricerca e salvataggio potrebbe mettere a rischio molte vite, soprattutto quelle dei bambini».
A lanciare l’allarme è l’Unicef: il nuovo documento, illustrato dal ministro Minniti ai colleghi europei per contrastare la tratta e il traffico dei migranti, da un lato prevede un quadro legislativo più chiaro, dall’altro limita gli spostamenti e le operazioni delle navi delle Ong nel Mediterraneo.
«Dall’inizio della crisi migratoria, l’Italia ha compiuto degli sforzi incredibili per salvare i rifugiati e i migranti bloccati in mare e garantire supporto a tutte le persone messe in salvo dalle navi», ha dichiarato Justin Forsyth, vice direttore generale dell’Unicef. Secondo il codice a bordo delle navi dovrebbero essere presenti ufficiali di polizia e di sicurezza, cosa che potrebbe potenzialmente comprometterne l’indipendenza.
Secondo l’organizzazione internazionale, con l’applicazione del nuovo codice i bambini potrebbero essere esposti al rischio di essere rimandati in Libia senza misure di protezione. Quest’anno sono arrivati via mare in Italia quasi 90mila rifugiati e migranti, il 15% bambini e ragazzi. Nei primi sei mesi dell’anno le squadre supportate dall’Unicef sulle navi di salvataggio hanno identificato 2.343 bambini a rischio.
«L’Italia continua a farsi carico in percentuale sproporzionata della responsabilità della cura e del sostegno dei rifugiati e migranti in tutta l’Ue – continua Forsyth -. Ma restrizioni sui salvataggi in mare o rimandare i bambini rifugiati in Libia, non sono soluzioni. I Paesi europei e della comunità internazionale devono aumentare in modo deciso l’aiuto all’Italia, sostenendo le missioni di salvataggio, consentendo alle navi di sbarcare e operare nell’interesse dei bambini sradicati».
Nei recenti Meeting del G20 e del G7, l’Unicef ha invitato i governi a proteggere i bambini rifugiati e migranti nell’ambito del suo piano d’azione in sei punti:
1. Proteggere i bambini rifugiati e migranti, in particolare quelli non accompagnati, da sfruttamento e violenza.
2. Porre fine alla detenzione dei bambini richiedenti lo status di rifugiato o migranti, introducendo una serie di alternative pratiche
3. Tenere unite le famiglie, come migliore mezzo per proteggere i bambini e dare loro il riconoscimento di uno status legale
4. Consentire ai bambini rifugiati e migranti di studiare e dare loro accesso a servizi sanitari e di altro tipo, di qualità
5. Chiedere di intraprendere azioni sulle cause che spingono a movimenti di massa di migranti e rifugiati
6. Promuovere misure che combattano xenofobia, discriminazioni e marginalizzazione nei paesi di transito e di destinazione
Il caso della nave razzisti
Girerà il Mediterraneo per impedire i salvataggi dei profughi da parte delle imbarcazioni delle Ong. Lunga 40 metri, batte bandiera dello stato africano di Gibuti: è una nave noleggiata da un movimento che si definisce apartitico, ma è vicino all’estrema destra. L’obiettivo è impedire gli sbarchi dei migranti in Europa e il nome scelto della campagna in mare è appunto “Defend Europe”.
E ora c’è chi vuole fermare loro. Diverse associazioni – tra cui Rete Antirazzista Catanese, Comitato NoMuos/NoSigonella, Catania Bene Comune e altre – chiedono di non far attraccare la nave al porto di Catania, dove il gruppo estremista è diretto già martedì.
Per le associazioni «la sosta nel porto di Catania sarebbe funzionale all’imbarco delle provviste necessarie alla missione e all’imbarco di volontari arruolati nell’operazione paramilitare».
«Sarebbe assai grave – affermano le associazioni scese in campo – che si concedesse l’attracco e l’utilizzo delle infrastrutture pubbliche a organizzazioni che hanno l’intento di compiere azioni paramilitari nel Mar Mediterraneo, intercettando imbarcazioni di migranti e arrogandosi il diritto di intervenire, consegnando i naufraghi alla guardia costiera libica e violando di fatto l’obbligo di legge che vuole l’accompagnamento verso il porto più sicuro. Non certo quello libico».
(da “La Stampa”)
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