ANGELUCCI VUOLE TUTTO: TRATTA CON ENI E CON ELKMANN
IL RE DELLE CLINICHE HA GIA’ TRE QUOTIDIANI (DOVE NASCONDE LE NOTIZIE SULL’EX SOCIO VERDINI), MA SI VUOLE ALLARGARE: RADIO CAPITAL, AGI E IL SOGNO REPUBBLICA
Era un portantino dell’ospedale San Camillo di Roma, è diventato il re delle cliniche private del Lazio e l’editore più potente della stampa di destra. Antonio Angelucci non si ferma più. Dopo aver messo le mani sul Tempo, su Libero e sul Giornale, dopo aver tentato invano la scalata alla Verità e mentre continua a spingere per l’acquisto di Radio Capital dal gruppo Gedi, il potente imprenditore – che a tempo perso è deputato leghista con record di assenze – sarebbe in trattativa per acquistare anche l’Agi, l’agenzia di stampa dell’Eni. Il cane a sei zampe se ne priverebbe senza drammi, visti i conti poco floridi e l’imminente conflitto con la redazione sul piano di risparmi e pensionamenti anticipati.
Sullo sfondo, c’è chi garantisce che Angelucci abbia anche avviato un discorso con la famiglia Elkann per comprare Repubblica. I tempi per un’operazione del genere – clamorosa per la storia del giornale fondato da Scalfari e per quella personale di Angelucci – sarebbero ovviamente più lunghi, ma se gli attuali proprietari decidessero di cedere, Angelucci non farebbe mancare il suo interesse. Repubblica è il colpo grosso, il tassello definitivo, un’utopia forse irrealizzabile: gli permetterebbe di controllare un network enorme e trasversale, da destra a sinistra (d’altra parte il primo giornale posseduto da Angelucci, insieme a Libero, fu il Riformista di Claudio Velardi, un foglio vicino ai Ds di Massimo D’Alema). Per ora sono solo discorsi rimbalzati tra i divanetti di Montecitorio.
Ma come funziona l’informazione sui giornali del re delle cliniche private, ennesimo rampollo dell’editoria impura italiana? In questi giorni ne abbiamo avuto una prova lampante: la notizia dell’arresto di Tommaso Verdini è stata nascosta con sapienza in tutti i suoi quotidiani. Cancellata dalle prime pagine, infilata in fondo alla foliazione, il meno in vista possibile, nei tagli bassi o laterali del giornale, incorniciata in titoli omissivi o da decifrare.
D’altra parte Antonio e papà Denis sono amici stretti, confidenti e collaboratori da anni. Angelucci, tra le altre cose, l’aveva piazzato alla presidenza del ramo editoria di Tosinvest, la finanziaria di famiglia, una carica che Denis ha occupato brevemente tra il 2018 e il 2019. Gli era venuto in soccorso già molti anni prima, con un generoso prestito da 10 milioni che a Verdini sarebbe servito per ripianare i debiti con il Credito cooperativo fiorentino (la banca a cui è legata una delle condanne definitive dell’ex tuttofare di Silvio Berlusconi). Angelucci, come dicevamo, è anche deputato della Lega, il partito di Matteo Salvini, fidanzato di Francesca Verdini, l’altra figlia di Denis. Un’intreccio notevole.
Chiariti brevemente i rapporti tra i protagonisti, ecco la rassegna stampa. Sul Giornale di venerdì, il giorno dopo la notizia dei suoi arresti domiciliari, Tommaso Verdini non è in prima pagina. Su di lui c’è una “sogliola”, un articolo breve in apertura di pagina 9, titolato laconicamente: “Caso Anas, nuovi guai per i Verdini”. Il catenaccio completa l’informazione: “Il figlio dell’ex senatore ai domiciliari per le commesse. Indagato anche il padre Denis”. La parola “corruzione” – l’ipotesi per cui Tommaso è finito ai domiciliari – è scritta piccola piccola nella didascalia della foto di Verdini jr (e compare alla 21esima riga dell’articolo).
Sul Tempo la notizia è ancora più laterale: è in un “boxone” nel taglio basso di pagina 8. Il titolo è a suo modo straordinario: “Commesse Anas, cinque ai domiciliari”. Forse cinque di passaggio. Viene in aiuto il catenaccio: “La procura di Roma ipotizza corruzione anche per Verdini junior”. Libero, infine, imbosca tutto in un colonnino ancora più piccolo, di nuovo in pagina 9: “Corruzione, indagato Verdini. Domiciliari al figlio”.
Per un’ulteriore conferma su Angelucci e l’uso “spregiudicato” della clava editoriale, chiedere ad Alessio D’Amato, ex assessore alla Sanità della Regione Lazio. Tra i numerosi incidenti giudiziari che hanno accompagnato l’ascesa imprenditoriale del re delle cliniche, c’è anche l’accusa di istigazione alla corruzione di D’Amato con la promessa di una presunta tangente da 250 mila euro. L’assessore rifiutò e corse a denunciare, Angelucci è ancora a processo. La mazzetta, secondo l’accusa, fu offerta durante un tavolo di trattativa tra l’imprenditore e la Regione Lazio nel 2017. Aveva l’obiettivo di sbloccare lo stallo sui crediti di uno dei suoi ospedali, il San Raffaele Velletri, a cui era stato revocato l’accesso presso il servizio sanitario regionale a causa di gravi irregolarità. D’Amato denunciò di essere stato contattato da persone legate ad Angelucci con telefonate, whatsapp e mail insistenti. Messaggi di questo tenore: “Cerchiamo di sistemare la faccenda di Velletri (…) è una cosa che gioverebbe a tutti”. “La guerra – scrivevano a D’Amato – non conviene, né a noi né a te. Tonino c’ha i giornali”.
“Tonino c’ha i giornali” è una frase che vale una biografia intera. Quella di Angelucci sembra un romanzo di formazione sugli spiriti animali del capitalismo: originario di Sante Marie, paesello di montagna sul lato abruzzese del confine col Lazio, è arrivato a Roma in giovane età con in tasca solo una licenza media inferiore. Il resto è leggenda: prima commesso in una farmacia, poi portantino – e sindacalista della Uil – nel più grande ospedale pubblico di Roma, il San Camillo, quindi l’apertura con altri soci di una casa di cura a Velletri. Il grande salto è agli inizi del 2000, quando acquista da Don Luigi Verzè la filiale capitolina dell’ospedale San Raffaele per 270 miliardi di lire. Pochi mesi dopo riesce a rivenderla al ministero della Salute per 320 miliardi.
Poco altro si sa sulle origini di un impero che oggi, secondo un’inchiesta del Corriere della Sera, registra questi numeri: la holding, Three, domiciliata in Lussemburgo, ha un patrimonio di 343 milioni (di cui 41 in opere d’arte) regolarmente contabilizzati anche grazie a un vecchio scudo fiscale. Produce 200 milioni di ricavi tra sanità, immobili, facility management ed editoria. Dentro Three ci sono la finanziaria Tosinvest e il Gruppo San Raffaele, quello delle cliniche private. Anche si si parla sempre di “famiglia Angelucci” – il più attivo è il figlio Giampaolo – il 100% delle quote di Three appartiene una persona sola: Antonio.
Il suo reddito personale lo colloca ovviamente ai vertici della classifica dei parlamentari più ricchi: manca ancora quella del 2023, ma la sua ultima dichiarazione segnava 4 milioni e 581mila euro. Meno floride le sue statistiche sul posto di lavoro: Angelucci occupa il seggio alla Camera senza interruzioni dal 2008, eletto prima con Forza Italia e ora con la Lega, ma coltiva con zelo il record negativo di presenze in aula; in tutti questi anni ha partecipato a meno del 4% delle votazioni. Come un giornale in perdita, anche il posto alla Camera può tornare utile anche se lasciato vuoto.
Nella home page del sito di Tosinvest, la finanziaria di Angelucci, campeggia una citazione folgorante, attribuita a Paul Samuelson, economista e Premio Nobel americano: “Investire dovrebbe essere piuttosto come guardare la vernice che si asciuga o l’erba che cresce. Se volete invece eccitazione, prendete 800 dollari e andate a Las Vegas”. Angelucci – che ha attraversato le temperie di una lunga serie di scandali e inchieste, da cui finora è uscito sostanzialmente indenne, con l’eccezione di una condanna in primo grado a 1 anno e 4 mesi per falso e tentata truffa, legata ai contributi pubblici erogati a Libero – continua a seminare, con la pazienza di un contadino che guarda l’erba crescere. I semi sono i giornali italiani. Nel 2024 scopriremo quanto può diventare grande il giardino di Angelucci nell’editoria italiana.
(da ilfattoquotidiano.it)
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