AUTO-ESCLUSA E UMILIATA DAI “VOLENTEROSI”, VENERDÌ POMERIGGIO GIORGIA MELONI HA ALZATO IL TELEFONO E HA IMPLORATO DONALD TRUMP DI INCLUDERLA NEI SUCCESSIVI “CONTATTI” SULL’UCRAINA
IL PRESIDENTE AMERICANO, CHE NEI GIORNI PRECEDENTI AVEVA IGNORATO LA DUCETTA, PREFERENDO PARLARE CON CHI CONTA QUALCOSA (MACRON, STARMER, MERZ), LA ACCONTENTA COME SI FA CON UN BAMBINO VIZIATO: CON UNO ZUCCHERINO PER FARLO STARE ZITTO. E COSÌ, IERI NOTTE, LA PREMIER È STATA INCLUSA NELLA TELEFONATA IN VISTA DEL COLLOQUIO CON PUTIN
Venerdì 16 maggio. Pomeriggio inoltrato a Washington, notte fonda a Roma. Giorgia Meloni entra finalmente in contatto con Donald Trump. E gli consegna una lamentela diplomatica che avrà degli effetti nei giorni a venire.
Spiega al presidente Usa che Emmanuel Macron sta giocando una partita politica a scapito dell’Italia. Che escluderla dai contatti tra europei e Casa Bianca significa indebolire la sponda conservatrice europea dei Maga.
«Hai la mia parola che non capiterà di nuovo – avrebbe risposto il repubblicano, secondo fonti italiane – la tua leadership ha il mio sostegno». È lo stesso che, senza battere ciglio, aveva “dimenticato” la premier per tre video-call nel giro di pochi giorni.
Il tycoon, comunque, si fa carico di parlare con il presidente francese. Rispolvera lo schema del Quint, in cui c’è Roma. E riporta in qualche modo
Meloni in gioco.
È l’ultimo tassello. Per capire però la portata dello scontro diplomatico che si è consumato dal 10 al 17 maggio, bisogna concentrarsi su un altro dettaglio che ha cambiato il corso di questa storia. Apparentemente minore, in realtà deflagrante.
Lunedì 12 maggio, per preparare il vertice di Istanbul, il segretario di Stato americano Marco Rubio telefona agli omologhi di Francia, Germania, Polonia, Regno Unito, Ucraina e Turchia. Non ad Antonio Tajani. Uno schiaffo, dopo quello del giorno prima a Kiev, quando Meloni era stata tenuta fuori dalla video-call tra Donald Trump e i “volenterosi” di Macron.
L’esclusione ufficializza un dato doloroso: l’amministrazione Usa – spinta o meno da Parigi, importa relativamente – sacrifica Roma al tavolo che conta. Il panico si diffonde. A Palazzo Chigi, ma anche alla Farnesina. Una preoccupazione che risale fino ai vertici istituzionali. Lambendo, trapela da fonti dell’esecutivo, il Colle. Urge una reazione.
Si attiva Tajani, si muove anche Meloni. I contatti con Ursula von der Leyen costruiscono il summit tra la presidente della Commissione e il vicepresidente Usa J.D. Vance. La tedesca, ai margini per volere trumpiano, sfrutta la mediazione della premier per tentare a sua volta di rientrare in partita.
Mentre Meloni ci lavora, succede però qualcos’altro: venerdì 16 maggio i Ventisette si riuniscono a Tirana. Sotto la regia di Macron, viene organizzata un’altra videochiamata tra i volenterosi e Trump. A dispetto delle previsioni italiane della vigilia, nuovamente senza Meloni.
La situazione diventa seria. Talmente difficile che poche ore dopo la presidente del Consiglio chiama il presidente Usa. A lui ricorda che l’Italia è un partner
strategico.
La premier preferirebbe tenere la telefonata riservata e dare centralità al vertice tra Ursula e Vance. Nelle intenzioni, è il suo schiaffo a Macron. La notizia del contatto con il tycoon, però, in qualche modo trapela (non da Palazzo Chigi, giurano).
L’effetto, sgradito, è che si torna a parlare della mediazione del presidente Usa, togliendo luce al vertice Usa-Ue. Poco dopo, nuovo colpo di scena: Meloni viene coinvolta dal tycoon anche nella call di domenica notte con i volenterosi. Non è un passaggio scontato, perché da Tirana aveva giurato: non faccio parte di questo formato perché non intendo mandare truppe italiane in Ucraina. In realtà, non di soldati discutono europei e Casa Bianca, ma di nuove sanzioni alla Russia.
Le altre cancellerie non gradiscono la mossa di Trump, ma non possono opporsi. Non Macron, ovviamente, che pure va sostenendo in privato da tempo come sia stata lei a tirarsi fuori da sola. E neanche Merz, che con un pizzico di malizia ha fatto dire ieri al suo portavoce: è Washington ad averle chiesto di partecipare.
(da La Repubblica)
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