BERLUSCONI E IL QUIRINALE? FARA’ LA FINE DI DJOKOVIC
RESTERA’ UN MIRAGGIO
Il Quirinale per Silvio Berlusconi? La sensazione è che sarà quello che sono stati questi Australian Open per Novak Djokovic: un miraggio. E la sensazione è anche che le previsioni di Gianni Letta si dimostreranno più che giuste: caro Silvio rischi la figuraccia, rischi che ti rispediscano a casa.
Attenzione, questo non significa che Berlusconi non sia un “campione” della politica italiana e che, soprattutto, il suo sogno di partecipare al torneo quirinalizio sia quantomeno giustificabile.
Ma il problema, forse, è proprio l’essenza di una sfida che Berlusconi vive con un furore agonistico che poco o niente dovrebbe avere a che fare con il ruolo di garanzia di chi siede nel colle più alto. Qui non si tratta di vincere una coppa, di mettersi una medaglia al collo. Si tratta invece di accollarsi una responsabilità enorme, la responsabilità di essere simbolo concreto di unità del paese nei prossimi sette anni.
La verità? Berlusconi porta in sé il virus di un bipolarismo muscolare di cui ha per decenni voluto rappresentare in tutto e per tutto l’essenza tattica, strategica ed ideologica.
È il fatto stesso che Berlusconi abbia “inventato il centrodestra” – come gli ha detto Salvini – che lo rende inadatto a conquistare il grande slam della politica italiana: leader di partito, signore e padrone di una coalizione, premier per anni e infine presidenza della Repubblica. Decisamente un po’ troppo. Come spiega Aldo Cazzullo Silvio Berlusconi non ha più la forza di tornare al potere ma ha ancora quella di impedire la nascita di qualcosa di nuovo, a destra.
Berlusconi è l’essenza stessa di una politica divisoria. Ed è questa sua caratteristica che porta Gaetano Quagliariello a dire, anche se a mezza bocca, la verità che nessuno oggi sembra avere il coraggio di dire: “Siamo consapevoli che la candidatura di Berlusconi rischia di rallentare, o addirittura di vanificare, la costruzione di un grande partito liberale europeo, l’obiettivo a cui teniamo e che per noi va anche oltre il Quirinale”.
Prima traduzione: la candidatura di Berlusconi non c’entra proprio nulla con una politica fondata sulla sacralità del dialogo, sulla possibilità di alleanze alternative. Insomma, con una politica finalmente e sanamente liberale in cui le categorie amico/nemico siano finalmente messe in soffitta.
Seconda e definitiva traduzione: Berlusconi sogna di diventare protagonista del post berlusconismo con metodi tutti “berlusconiani”, dalla caccia al voto, ai patti di ferro, alla fedeltà, alle telefonate, ai regali, alle promesse… Ma per fare il presidente della Repubblica il primo vaccino che serve è proprio quello contro il berlusconismo.
E quello Berlusconi proprio non lo ha voluto fare. Nonostante il suo medico personale: Gianni Letta.
(da Huffingtonpost)
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