BERLUSCONI ORA MINACCIA ANCHE FINI: “O UNA LEGGE PER TUTELARMI O SI VA AL VOTO”
DOPO ESSERE ANDATO IN ABRUZZO A INAUGURARE BEN 16 CASE, IL PREMIER ACCUSA FINI DI METTERGLI I BASTONI TRA LE RUOTE SULLA GIUSTIZIA….”NON LO RICANDIDO PIU'”: COME SE FINI AVESSE BISOGNO DEL SUO PERMESSO… NELLA LEGA GUERRA TRA MARONI E CALDEROLI, MENTRE TREMONTI NON SCUCE UN EURO
“Voglio un accordo scritto sulla giustizia o salta tutto, non è possibile che Fini si metta sempre di traverso, o si cambia o si va al voto, non voglio più galleggiare. E se si va alle urne, non lo ricandido nemmeno più”.
Ieri è saltato il previsto incontro tra il premier, Fini e Bossi, ufficialmente perchè Berlusconi era impegnato in Abruzzo (già si sapeva peraltro da giorni) nell’ inaugurare “ben” 16 appartamenti ( ma non dovevano esserne consegnati 300 a settimana?).
Finita la passerella uso telecamere, il premier in realtà avrebbe potuto rientrare in tempo per parlare con gli alleati, ma l’incontro che avrebbe dovuto fissare le candidature per le regionali è slittato per ben altri motivi.
Diciamo per l’irritazione del premier nei confronti del presidente della Camera, reo di non appoggiare le sue soluzioni sui (suoi) problemi con la giustizia. Berlusconi notoriamente vuole bloccare la ripresa dei suoi processi, ma teme anche gli sviluppi del processo per mafia a Dell’Utri.
Inoltre cerca una soluzione sul contenzioso fiscale della Mondadori che deve pagare arretrati e multe per 250 milioni di euro.
Quale sarebbe la colpa del Presidente della Camera?
Quella di opporsi, tramite Giulia Buongiorno, a tutte le soluzioni escogitate da Nicolò Ghedini per sabotare i tre processi di Milano.
Quella di rifutare una soluzione pasticciata, ovvero il rischio di mandare al macero centinaia di migliaia di processi per far saltare quelli che riguardano il premier.
A Berlusconi non va bene nulla: la sentenza sul lodo Alfano, i processi che riprendono, le divisioni nella maggioranza, “la campagna di fango contro di me”, la Lega che vuole troppe poltrone, Fini che non fa quello che dice lui, e arriva fino ad auspicare un accordo con Casini per ridimensionare gli altri. Come si possa pretendere di piegare le norme, a seconda delle proprie esigenze personali, per molti è ancora un mistero.
Siamo in pieno delirio di onnipotenza ormai.
L’ultima manovra è stata quella di cercare di utilizzare un decreto che recepisce diversi obblighi comunitari Ue per una doppia operazione sull’arretrato giudiziario.
Nel decreto sarebbero dovute rientrare sia le nuove regole del processo penale breve ( ridotto a sei anni e saltano i processi del premier), sia la transazione del 5% per i processi tributari vecchi di almeno 10 anni ( e invece che 250 milioni, la Mondadori pagherebbe solo il 5%).
Fini e Napolitano hanno bloccato l’emendamento del Pdl per la manifesta eterogeneità ( ovvero non c’entrano nulla) rispetto al decreto.
Come si fa a proporre un emendamento come questo che dice “le nuove norme sul processo breve si applicano ai processi in corso fino al dibattimento di primo grado”, che sembra calzato su misura per i processi del premier e sperare che passi liscio?
Ovvio che Fini debba tutelare il rispetto delle norme, non siamo in quella che ha definito “una monarchia”.
Quanto al fatto che il premier non ripresenterebbe Fini in caso di nuove elezione, non sappiamo che titoli avrebbe il premier per solo ipotizzarlo. Come se poi Fini non potesse presentarsi da solo e avesse bisogno della sua autorizzazione.
Mah, siamo alla follia politica.
Anche perchè a quel punto il Pdl ritornerebbe ad essere Forza Italia e ben sotto il 30% dei voti, nella migliore delle ipotesi, e magari neanche più il primo partito italiano.
Il premier poi è pure seccato con il suo compagno di merende del lunedì ad Arcore, il senatur, reo di non chiedere più Veneto e Piemonte, ma la Lombardia, in vista delle regionali di marzo.
Formigoni sarebbe anche disposto a cedere la presidenza del Pirellone, ma vuole il ministero degli Interni.
Maroni ovviamente non lo molla, vuole continuare a fare brutte figure.
E qui si innesca la lite tra Maroni, che ora chiede fondi per la sicurezza (dopo averli tagliati) e Calderoli, in linea con Tremonti nel non scucire un euro a nessuno.
Con Bossi che alla fine è intervenuto con finezza sostenendo che “Maroni farà quello che decido io”.
Una grande famiglia unita e coesa, insomma.
E il popolo italiano aspetta che qualcuno parli dei problemi reali del Paese.
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