Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile
“NESSUNA SOLUZIONE DEL COMUNE DOPO GLI SGOMBERI”: ASSEDIO AL TEATRO FLAIANO
I movimenti per la casa protestano contro Virginia Raggi e Beppe Grillo a via del Gesù, a pochi passi dal teatro Flaiano dove oggi il comico è atteso al debutto del suo show “Insomnia”.
Uno schieramento di forze di polizia blocca l’accesso alla piazza.
Duecento persone dei movimenti per la casa sono radunati in via San Nicola de’ Cesarini (largo di Torre Argentina) e hanno annunciato una protesta contro la sindaca di Roma Virginia Raggi in occasione dello spettacolo teatrale di Grillo.
“L’insonnia è quella nostra, di chi non ha un tetto e non sa come arrivare a fine mese”, hanno scandito i manifestanti alle 16.00 di pomeriggio.
“L’unica soluzione proposta dall’amministrazione Raggi dopo gli sgomberi di via Quintavalle e di via Curtatone? Spendere un milione per dei container di plastica Ikea: baracche. Soluzione per un anno, poi chissà ?”, dicono i manifestanti.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 4th, 2017 Riccardo Fucile
I NUMERI DELLE REALI ASSEGNAZIONI: SOLO IL 7% DELLE CASE POPOLARI E’ ASSEGNATO A EXTRACOMUNITARI, ESATTAMENTE 142.000 SU 2 MILIONI… E RESTANO 7 MILIONI DI ALLOGGI PRIVATI SFITTI
Il fenomeno migratorio è ovunque accompagnato da timori sulla equa distribuzione dei servizi di welfare.
In Italia uno dei più sentiti riguarda l’assegnazione delle case popolari, sia per la forte visibilità a livello locale, sia perchè il patrimonio immobiliare pubblico del nostro paese è scarso.
Le assegnazioni sono di competenza dei singoli comuni e si basano soprattutto su criteri di reddito, prendendo però in considerazione anche gli eventuali elementi di disagio sociale nei nuclei familiari (come presenza di anziani, disabili, genitori separati con figli). È una realtà frammentata che rende difficile ottenere dati complessivi a livello nazionale. Dati ufficiali di Federcasa (2014) indicano 770mila alloggi in locazione, più 50mila a riscatto e 108mila alloggi non residenziali in locazione.
Nelle città medio-grandi la presenza degli stranieri nelle case popolari si concentra in alcuni quartieri e dà luogo a contenziosi condominiali legati anche a diversi stili di vita. Nell’opinione pubblica si è così radicato l’assioma secondo cui la presenza degli immigrati nelle case popolari è sovradimensionata, penalizzando le fasce più povere della popolazione italiana.
Questa convinzione ha portato molti comuni a introdurre tra i criteri di assegnazione la residenza da alcuni anni (in alcuni casi è condizione indispensabile), che penalizza pure gli italiani provenienti da comuni limitrofi.
Sono intervenute anche alcune regioni, con normative che in genere si attestano sui cinque anni di residenza (coincide con il permesso di soggiorno di lunga durata previsto dalla normativa europea).
La Lombardia chiede inoltre di dimostrare di non essere proprietari di casa nel paese d’origine, elemento non sempre facile da provare (specie per i titolari di protezione internazionale, che non possono fare richiesta alle autorità del proprio paese).
Numerosi piccoli comuni, soprattutto in Veneto, hanno adottato regolamenti che richiedono più di dieci anni di residenza.
Si tratta di timori giustificati? E quali provvedimenti si possono adottare per evitare l’ennesimo conflitto tra poveri?
In realtà , il confronto tra stranieri residenti e presenze nelle case pubbliche trascura (spesso volutamente) il contesto di partenza, almeno per tre elementi chiave.
Prima di tutto, la differenza di reddito. Dai dati relativi alle dichiarazioni 2016, si ricava che mediamente un contribuente straniero dichiara 13.629 euro annui, contro i 21.386 degli italiani: una differenza di quasi 8mila euro medi, con picchi di 10mila euro in alcune regioni, specie al Nord.
In secondo luogo, gli stranieri spesso non dispongono della rete familiare e di conoscenze che per gli italiani rappresenta un’ancora di salvezza nei periodi di difficoltà (basti pensare al ruolo di garante nell’accesso al mutuo).
Il terzo elemento, riguarda la proprietà della casa: secondo un’indagine della Banca d’Italia (2014), tra gli stranieri solo il 23,4 per cento è proprietario dell’abitazione principale, contro il 78,6 per cento degli italiani.
Ecco dunque spiegato perchè la partecipazione degli stranieri ai bandi per l’assegnazione di case popolari è molto più alta, avvicinandosi spesso alla metà del totale.
Alcuni anni fa, il comune di Bologna aveva calcolato che mediamente presenta la domanda per un alloggio pubblico una famiglia straniera su cinque, contro una sola famiglia italiana su cinquanta.
I criteri legati al reddito fanno sì che nelle graduatorie le famiglie straniere risultino spesso ai primi posti, con percentuali che al Nord arrivano attorno al 30 per cento degli alloggi disponibili.
In realtà , se consideriamo le reali assegnazioni agli stranieri le percentuali risultano alquanto ridimensionate, principalmente per il fatto che gli alloggi residenziali pubblici sono quasi sempre di piccole dimensioni, mentre le famiglie straniere sono di norma numerose.
Si aggiunge poi il problema dello scarso ricambio, per cui molti beneficiari (e a volte i loro figli e nipoti) mantengono la casa popolare anche una volta persi i requisiti, penalizzando i nuovi richiedenti.
La ricerca Federcasa ha calcolato la presenza di 142mila stranieri “extracomunitari” su due milioni di inquilini totali (7 per cento), mentre sono 413mila gli anziani sopra i 65 anni e 145mila i disabili.
Anche aggiungendo un 20 per cento in più di possibili presenze rumene (paese comunitario), il totale degli stranieri si attesta sull’8,5 per cento del totale, di fatto in linea con l’incidenza degli stranieri residenti oggi in Italia (8,3 per cento).
L’allarme sulle presenze straniere nelle case pubbliche appare quindi fortemente esagerato, con chiare motivazioni politiche.
Allo stesso modo, l’ipotesi di graduatorie separate è irrealizzabile per evidenti presupposti di incostituzionalità .
Anche la regola dei cinque anni di residenza ha dato risultati parziali e ne darà sempre meno perchè ormai la maggioranza dei cittadini stranieri possiede il requisito.
In un paese con circa 7 milioni di alloggi sfitti (Istat, censimento 2011) la soluzione non può essere quella di nuove costruzioni, ma va ricercata in accordi tra Anci, singoli comuni e associazioni di costruttori per permettere di ampliare il patrimonio di alloggi popolari, a costi non proibitivi, partendo da quelli già esistenti e ampliando le agevolazioni fiscali per i contratti a canone concordato, che in alcune città sono già la maggioranza.
(da “la Voce.info”)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
L’ODISSEA DI STEFANIA A ROMA, TRA MINACCE E INSULTI RAZZISTI
Stefania, studentessa all’istituto alberghiero, ha 18 anni e vive a Roma con i due fratellini di 5 e 6 anni e la madre, di origini nigeriane ma in Italia da oltre 30 anni.
Sette anni fa la mamma, disoccupata, fa richiesta di una casa popolare.
Il 9 novembre del 2016 arriva la bella notizia: l’assegnazione di un alloggio Ater, l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica del comune di Roma. L’assegnazione però non va a buon fine, perchè al momento della consegna, in presenza dei funzionari Ater, la famiglia trova l’alloggio già occupato.
Nell’arco degli ultimi 11 mesi la storia si è ripetuta per altre 5 volte in alloggi sempre diversi ma con le stesse modalità , costringendo la famiglia a trovare sistemazioni di fortuna o a chiedere ospitalità da amici.
In più di una occasione inoltre, durante la consegna delle abitazioni, la famiglia ha subìto minacce e insulti razzisti da parte degli occupanti abusivi e dei loro familiari.
A dimostrazione che la legalità nella gestione delle case popolari non esiste e lo Stato abdica al suo ruolo, permettendo che gruppi delinquenziali gesriscano di fatto il racket degli alloggi popolari.
E la sedicente destra ovviamente non sta dalla parte della legalità , ma fa da guadiaspalla agli abusivi e ai mafiosi che gli stanno dietro.
(da aagenzie)
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Settembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
SI TROVANO NELLE REGIONI A MAGGIORE VOCAZIONE TURISTICA O NELLE AREE INTERNE DELLE REGIONI MERIDIONALI CHE HANNO SUBITO SPOPOLAMENTO
In Italia sono sette milioni le case vuote.
Si trovano nelle regioni a maggiore vocazione turistica (come Valle d’Aosta e Liguria) o nelle aree interne delle regioni meridionali che nel corso degli anni hanno subito i più forti fenomeni di spopolamento (Calabria, Molise, Abruzzo). Ravenna, Reggio Calabria, Catania, Modena e Messina sono i cinque comuni più grandi con più abitazioni non occupate (a Ravenna sono il 28%) mentre nel Lazio arrivano al 17,62% dell’intero patrimonio immobiliare.
Spiega oggi La Stampa in un articolo di Paolo Baroni che gli immobili «a disposizione» sono 6 milioni e 623 mila e corrispondono al 10,4% del totale, le abitazioni non utilizzate di proprietà di persone fisiche sono invece 5,71 milioni (17,9% del totale), praticamente il doppio di quelle affittate (8,8 per cento).
Ma poi, tra case non dichiarate (694 mila) e alloggi di cui non è stato possibile ricostruire l’utilizzo (283.432), ce n’è quasi un altro milione che resta nel limbo.
Dove sono presenti le aree metropolitane più estese si registrano i livelli più alti di occupazione delle case cui corrispondono quote di immobili sfitti ben sotto la media nazionale: a Milano si tocca infatti il 10,8% (16,6% in centro), a Roma il 9% (14% in centro) e a Napoli l’8,6% (13,4 nel centro antico).
Due giorni fa una circolare del ministero dell’Interno ha approntato un censimento degli immobili pubblici e privati vuoti o sfitti con il varo di un piano nazionale per il riuso a fini abitativi. Ma visto che non è possibile espropriare gli immobili per l’accoglienza, viene il dubbio: che cosa è stato ordinato a fare?
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2017 Riccardo Fucile
811 INTERVENTI A GALLIPOLI, RISCONTRATE 450 VIOLAZIONI… MI RACCOMANDO, MANTENETE QUESTI “VALORI IDENTITARI” DELL’ITALIA
Vere e proprie ‘case pollaio’, abitazioni senza i minimi requisiti igienico-sanitari e riempite all’inverosimile.
È quanto ha scoperto la Guardia di finanza in Salento, nell’ambito dei controlli avviati dal 1 luglio sui proprietari di seconde e terze case che affittano nelle località di vacanza più in voga.
Delle 811 verifiche effettuate dai finanzieri in tutta Italia una su due è risultata irregolare, con 450 violazioni riscontrate.
Di queste, 370 hanno riguardato affitti in nero.
La maggior parte delle case fuori da ogni regola è stata scoperta a Gallipoli, una delle mete più gettonate in tutta Italia e tra le località balneari più in voga tra i giovani, attratti dalle discoteche sulle spiagge, dai locali e dal mare cristallino.
In 27 appartamenti sottoposti a controlli nel territorio di Gallipoli, nel Salento, nelle aree balneari di ‘Baia Verde’ e ‘Lido San Giovanni’, i militari della Guardia di finanza hanno trovato 181 giovani turisti, 15 dei quali minorenni, provenienti da ogni regione. In 24 dei 27 appartamenti controllati a Gallipoli, è stata accertata la violazione all’ordinanza comunale riguardante il divieto di sovraffollamento (rapporto tra numero di inquilini e superficie abitabile).
La sanzione è stata pari a 350,00 euro per ogni persona in eccedenza, oltre all’emanazione di un’ordinanza comunale di sgombero, anche coattivo, dei locali risultati sovraffollati.
Dal primo luglio scorso le Fiamme Gialle hanno ispezionato complessivamente a Gallipoli 84 appartamenti (il numero comprende anche le 27 abitazioni in cui sono stati trovati 181 giovani), identificato 496 turisti (57 dei quali minorenni), hanno riscontrato 66 violazioni e hanno accertato 177 persone in eccedenza rispetto all’ordinanza di sovraffollamento con l’irrogazione di sanzioni amministrative per 62.000 euro.
(da agenzie)
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Agosto 13th, 2017 Riccardo Fucile
COME LA POLITICA AGGIRA LE NORME PER AGGIUSTARE GLI ABUSI EDILIZI
La foglia di fico è sempre la stessa, e quando la mettono si aspettano persino l’applauso: “Contenere il consumo del suolo”.
C’è scritto questo nella sanatoria delle mansarde, che la Regione Lazio sta prorogando da otto anni a questa parte, e c’è scritto questo pure nella sanatoria delle cantine, fresca di pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione Abruzzo.
Avete capito bene: le cantine.
Chi non sottoscriverebbe una legge regionale sul “Contenimento del consumo del suolo attraverso il recupero dei vani e locali del patrimonio edilizio esistente”? Leggendo il titolo si potrebbe immaginare un provvedimento per favorire il riuso degli immobili abbandonati, spesso così belli da lasciare senza fiato, dei quali l’Italia è piena.
Prima però di aver scorso il testo, scoprendo che delimita invece quel recupero ai “vani e locali seminterrati ” da destinare “a uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale “.
Ma non religioso: sia chiaro. Perchè la sanatoria delle cantine decretata dalla Regione Abruzzo esclude invece espressamente, all’articolo 3, la possibilità di cambiare la destinazione d’uso dei seminterrati “per la trasformazione in luoghi di culto”. Insomma, fateci tutto, anche un bed & breakfast (non è forse attività residenziale?). Tranne che una moschea.
Certo, per ottenere questo curioso condono (termine che di sicuro i proponenti rigetteranno sdegnati) bisognerà pagare gli “oneri concessori”.
Se però l’intervento riguarda la prima casa è previsto uno sconto del 30 per cento.
Va pure da sè che i locali debbano avere determinate caratteristiche. Per farci abitare gli esseri umani sono necessari impianti di “aero-illuminazione” (testuale nella legge) e l’altezza dei locali non può essere inferiore a due metri e quaranta. Ma a trovarle, cantine così alte… Niente paura.
Anche in questo caso la legge della Regione Abruzzo offre una elegante scappatoia. Eccola: “Ai fini del raggiungimento dell’altezza minima è consentito effettuare la rimozione di eventuali controsoffittature, l’abbassamento del pavimento o l’innalzamento del solaio sovrastante “.
Il vostro scantinato tocca a malapena uno e novanta? Niente paura: scavate un altro mezzo metro o alzate il solaio di cinquanta centimetri. Sempre rispettando “le norme antisismiche “, però. Dopo quello che è successo in Abruzzo, è il minimo. Già …
Ma colpisce che nemmeno il terremoto sia stato capace di frenare lo stillicidio delle sanatorie. Anzi.
Qualche mese fa c’è stato chi ha rivelato che i contributi pubblici per il sisma non avrebbero discriminato le case abusive. Suscitando la reazione risentita delle strutture commissariali, anche se nessuna smentita ha potuto cambiare la realtà dei fatti: per ottenere i denari statali è sufficiente autocertificare che l’abitazione andata distrutta non era interamente abusiva. E poi presentare domanda di sanatoria.
La prova, se ce ne fosse ancora il bisogno, che abusivismo e condoni se ne infischiano anche delle scosse telluriche del settimo grado.
Il vecchio caro condono edilizio ha così pian piano cambiato pelle. Sbarrata la strada in Parlamento, si è aperto la via nelle pieghe delle leggi regionali assumendo le forme più subdole e creative.
Non soltanto per i sottotetti, come nel Lazio e in Lombardia (Regione che ha deliberato anch’essa il salvataggio delle mansarde), o per le cantine, come in Abruzzo. Emblematico è il caso della Campania, dove il Consiglio regionale ha appena sfornato una legge per l’adozione di “linee guida per supportare gli enti locali che intendono azionare misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi”.
Tradotto dal burocratese, sono le direttive alle quali si devono attenere i Comuni per evitare di buttare giù le costruzioni illegali. Per esempio, si deve valutare “il prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione”.
Come pure tenere debitamente conto dei “criteri per la valutazione del non contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico “.
E che dire dei “criteri di determinazione del requisito soggettivo di ‘occupante per necessità “?
Ecco dunque gli abusivi per bisogno, quella figura mitica capace di spazzare via ogni tabù ambientale con relativo senso di colpa. In Campania sono il corpo elettorale fra i più consistenti e la tentazione di grattargli la pancia, tipica di certa destra, ha ormai fatto breccia anche presso certa sinistra.
I Verdi hanno adesso chiesto al governo di Paolo Gentiloni di impugnare la legge votata dalla Regione governata dal suo compagno di partito Vincenzo De Luca e di stroncare insieme anche la sanatoria delle cantine che ha fatto breccia nel cuore dell’Abruzzo presieduto da un altro dem: Luciano D’Alfonso.
Arduo prevedere con quali speranze di successo. Probabilmente non più di quante ne abbiano gli oppositori di una recentissima leggina della Regione Sardegna, ora governata dal centrosinistra di Francesco Pigliaru, per bloccare la possibile invasione delle coste dell’isola con bungalow e casette di legno.
Nel provvedimento sul turismo è spuntata infatti la possibilità per i camping isolani di piazzare costruzioni mobili (ma nella versione iniziale erano ammesse anche nella versione non amovibile) al fine di “soddisfare esigenze di carattere turistico”.
Le quali, precisa il disegno di legge, “non costituiscono attività rilevante ai fini urbanistici ed edilizi”. Sono quindi case vere e proprie, ma è come se non lo fossero. Bisogna ricordare che questa non è una novità assoluta.
Anche in precedenza le leggi regionali consentivano di impiantare strutture del genere nei camping. Ma all’inizio non si poteva superare il 25 per cento della capacità ricettiva di un campeggio. Poi si è saliti al 40. E ora al 45.
Arrivare al 100, di questo passo, sarà uno scherzo…
Sergio Rizzo
(da “La Repubblica”)
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Agosto 2nd, 2016 Riccardo Fucile
“CI HA RICEVUTO E IL GIORNO DOPO HANNO SGOMBERATO UNO STABILE, A LEI NON INTERESSA”
Inaugurata l’era Raggi, si riparte con le proteste sotto il Campidoglio.
Oggi i movimenti per la casa protestano contro la neo-sindaca per l’emergenza abitativa, nel giorno della presentazione in consiglio delle linee programmatiche. “Anche con il M5s gli sgomberi continuano in base alla delibera Tronca, si disattende una delibera regionale che assegna fondi e alloggi a chi non ha un tetto sulla testa, qualche giorno fa abbiamo avuto un incontro con lei, ma il giorno seguente si è sgomberato uno stabile.”
“La sindaca non sembra minimamente interessata all’emergenza casa, lo dimostra il fatto che non c’è un assessore o qualcuno a cui ha assegnato tali deleghe – spiegano i manifestanti – “Vogliamo che esca almeno l’assessore alla casa visto che la Raggi ci dice che non ha il tempo nè la voglia di occuparsene. Vogliamo delle risposte e non faremo passare un altro agosto con sgomberi”.
I manifestanti si sono poi spostati davanti l’ingresso principale di palazzo Senatorio, dove hanno anche srotolato alcuni striscioni tra cui uno che recita “la legittimità delle lotte contro l legalità dei poteri forti”.
Durante il percorso, uno dei manifestanti ha sottolineato al megafono che bisogna far “sentire la nostra voce sotto le finestre di questo Comune immobile che sta lasciando l’iniziativa alla questura”.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2016 Riccardo Fucile
SONO 23.000 LE FAMIGLIE IN LISTA D’ATTESA MA OGNI ANNO VENGONO RIASSEGNATI SOLO UN CENTINAIO DI IMMOBILI SU MILLE LIBERATI.. L’ATER DELLA REGIONE GESTISCE 50.000 APPARTAMENTI, IL COMUNE 16.000
Ventitremila famiglie in lista d’attesa. Mille appartamenti di proprietà pubblica liberati ogni anno di cui appena un centinaio riassegnati agli aventi diritto.
Ma soprattutto una gestione delle case popolari che fa acqua da tutte le parti pesando sulle tasche dei cittadini a causa della scarsa trasparenza nel sistema di assegnazione degli alloggi, della mancanza di controlli e dell’assenza di una strategia di recupero delle morosità .
Il risultato? “Gli alloggi assegnati oggi sono relativi a richieste presentate nel 2012. E’ un lasso di tempo lunghissimo che viene usato quasi come un alibi per le occupazioni di chi è in stato di necessità ”, denuncia Daniele Barbieri, segretario generale del sindacato unitario degli inquilini Sunia. Come se non bastasse, poi, Comune e Regione si rimpallano le responsabilità politiche di un sistema che non funziona e che periodicamente torna alla ribalta per le case assegnate a prezzi stracciati a chi non ne ha diritto.
È con questi presupposti che l’emergenza abitativa della Capitale si prospetta uno dei temi più spinosi per il prossimo inquilino del Campidoglio che, da un lato, dovrà rispondere alla domanda di edilizia sociale e di manutenzione degli immobili nella Capitale e dall’altra far quadrare i conti intervenendo per eliminare gli abusi.
La partita è decisamente delicata. Anche perchè in ballo ci sono i delicati equilibri di potere fra Comune e Regione: se, infatti, al Campidoglio appartengono circa 16mila alloggi nella città di Roma, alla Regione fa capo invece l’Ater, l’azienda romana che si occupa di gestire poco meno di 50mila appartamenti ex Iacp di cui 499 di proprietà del Comune.
I rapporti fra i due enti sono però assai tesi come testimonia il fatto che, il 7 aprile scorso, il Comune ha chiesto e ottenuto il pignoramento dei conti dell’Ater dopo che Equitalia ha accertato 72 milioni di cartelle esattoriali per mancati pagamenti della tassa sulla casa sin dagli anni ’90.
Per evitare il collasso dell’Ater, il Comune, la Regione e l’azienda hanno avviato una negoziazione per definire un rientro a tappe forzate sulla falsariga di quanto previsto nel piano finanziario Ater 2016.
Il problema è che però l’Ater vive solo degli incassi degli affitti e non produce utili. Inoltre è sotto pressione per via della morosità degli inquilini.
Senza contare che per legge è obbligata ad ammodernare gli impianti (ascensori inclusi, negli immobili con anziani e portatori di handicap) con investimenti spesso rimandati a danno degli inquilini che minacciano ritorsioni legali.
Difficile quindi immaginare che l’Ater possa facilmente restituire il dovuto al comune, verso il quale vanta a sua volta un centinaio di milioni di crediti.
Se si esclude un apporto di risorse da parte della Regione, per l’azienda guidata dal commissario straordinario Giovanni Tamburino c’è una sola soluzione: quella del taglio dei costi per realizzare economie da destinare al pagamento del debito con il Campidoglio.
L’operazione non è contabilmente impossibile: come risulta dalla nota integrativa al bilancio di previsione 2016, l’Ater realizza circa 132 milioni di ricavi, ma spende poco meno di 26 milioni per i dipendenti e ben 62,7 milioni per i servizi.
Una voce, quest’ultima, in cui confluiscono i costi di gestione dei condomini come spese di acqua, energia elettrica e riscaldamento (rispettivamente 10, 6 e 18,299 milioni), ma anche 1,182 milioni di compensi per professionisti, 1,6 milioni di spese postali, circa 200mila euro di emolumenti cda e collegio dei revisori, 50mila euro di assicurazioni autovetture.
“In assenza di ulteriori risorse esterne, si potranno solo ridurre i costi del servizio, già ai minimi storici, tagliare i costi interni o vendere il patrimonio immobiliare per sistemare il bilancio senza risolvere realmente i problemi dell’Ater e più in generale quelli del meccanismo di funzionamento delle case popolari e di tutti gli incentivi pubblici stanziati per contrastare il disagio abitativo” spiega a ilfattoquotidiano.it Emiliano Guarneri, responsabile su Roma del sindacato degli inquilini Sunia.
Se questa è la situazione degli immobili gestiti a Roma dall’Ater, le cose non sono molto diverse per gli alloggi che fanno parte del patrimonio abitativo del Campidoglio come testimonia la ricognizione depositata alla Corte dei Conti dal commissario Francesco Paolo Tronca.
“In questa fase il Patrimonio e l’Avvocatura stanno continuando le verifiche sui titoli e l’eventuale aggiornamento dei canoni — spiegano dallo staff del commissario Tronca — Per quanto riguarda gli alloggi popolari (Erp) la stima degli sgomberi si attesa sui 5 a settimana con la puntuale riassegnazione degli immobili agli aventi diritto. Dall’inizio del mandato di Tronca sono stati assegnati oltre 260 alloggi, di gran lunga più di quanto si sia fatto nelle passate gestioni”.
Nonostante l’impegno del Comune, le procedure però restano lunghe, lente e ripetitive: per beneficiare di un bonus casa o fare richiesta di un alloggio pubblico o ancora domandare un contributo per le spese bisogna compilare moduli diversi che, fra l’altro, creano differenti graduatorie per l’area metropolitana romana senza peraltro confluire in un’unica banca dati.
Così accade che le liste di attesa si moltiplicano e i tempi si allungano: per ottenere l’agevolazione richiesta da Comune o Ater ci vogliono ormai più di quattro anni dal momento della presentazione della domanda.
“Gli alloggi in assegnazione oggi sono relativi a richieste presentate nel 2012. E’ un lasso di tempo lunghissimo che viene usato quasi come un alibi per le occupazioni di chi è in stato di necessità . Cambiando le regole del gioco le cose possono sensibilmente migliorare — spiega il segretario generale Sunia, Daniele Barbieri — Oggi più che mai, in condizioni di risorse scarse, riteniamo indispensabile il miglioramento della gestione del patrimonio di edilizia pubblica”.
In che modo? Con un bando unico che consenta la creazione di una sola graduatoria sempre aperta e aggiornata che incrocerà i dati degli immobili e delle agevolazioni disponibili assegnando subito il dovuto a chi ne ha diritto.
“In questo modo si velocizzeranno le pratiche, si conoscerà il fabbisogno della popolazione in tempo reale e si conterrà il fenomeno delle occupazioni abusive” conclude Barbieri ricordando che l’operazione andrebbe accompagnata da una seria strategia di recupero delle morosità .
Al prossimo inquilino del Campidoglio andrà insomma il compito di avviare una vera rivoluzione nel sistema di assegnazione delle case popolari.
Sempre che il futuro primo cittadino voglia davvero smantellare un sistema opaco troppo spesso utilizzato come serbatoio di voti dalla politica comunale e regionale.
Fiorina Capozzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 29th, 2016 Riccardo Fucile
RICERCA NOMISMA: 758.000 ALLOGGI IN GESTIONE: 86% ASSEGNATO, 14% SFITTA O OCCUPATA ABUSIVAMENTE… SONO QUESTI I PROBLEMI VERI DELL’ITALIA
L’edilizia residenziale pubblica è un salvagente troppo piccolo per dare sollievo a tutte le persone che avrebbero bisogno di una casa.
I dati di Nomisma, in un rapporto con Federcasa, parlano chiaro: soltanto 700mila famiglie riescono a usufruire degli alloggi pubblici, soltanto un terzo di chi vive una siutazione di disagio abitativo.
Ecco perchè il tema della casa si conferma uno dei più importanti da affrontare, come dimostra anche il dibattito intorno alle primarie del centro-sinistra a Milano.
“Al di fuori dell’edilizia residenziale pubblica esiste un disagio economico che ha coinvolto 1,7 milioni di nuclei familiari in affitto nel 2014”, si legge nella nota di Nomisma. Si tratta di famiglie che devono pagare d’affito più del 30% del loro stipendio, e quindi corrono sul filo della morosità e di una “possibile marginalizzazione sociale”.
La ricerca precisa che “si tratta perlopiù di cittadini italiani (circa il 65%), distribuiti sul territorio nazionale in maniera più omogenea rispetto a quanto le recenti manifestazioni spingerebbero a far pensare. Se non vi sono dubbi che il fenomeno risulti più accentuato nei grandi centri, dall’analisi non sembrano emergere zone franche, con una diffusione che interessa anche capoluoghi di medie dimensioni e centri minori”.
Se questo è il bacino sul quale intervenire, i mezzi del pubblico sono spuntati: consentono di “salvaguardare poco più di 700.000 nuclei familiari, vale a dire un terzo di quelli che versano in una situazione problematica.
Rispetto al totale degli alloggi gestiti in locazione (circa 758 mila), nel 2013 risulta regolarmente assegnato l’86% degli alloggi su tutto il territorio nazionale (circa 652mila alloggi), mentre la restante quota del 14% risulta non assegnata o perchè sfitta o perchè occupata abusivamente”.
L’indagine, realizzata nella seconda metà del 2015, dimostra che anziani a basso reddito sono le persone più fragili: “L’età della persona di riferimento del nucleo familiare è tendenzialmente alta (il 28,3% supera i 75 anni, il 19,6% è compreso tra 65 e 75 anni) e ha un reddito molto basso (il 44,4% guadagna in un anno meno di 10.000 euro). I tempi di permanenza negli alloggi di edilizia pubblica sono abbastanza alti: il 49% vive lì da oltre 20 anni, il 28% da oltre 30 anni”.
Per Luca Dondi, direttore generale di Nomisma, “una risposta seria, convincente e necessariamente pubblica al tema del disagio abitativo dovrebbe rappresentare un obiettivo ineludibile di un’azione di governo effettivamente riformatrice”.
(da “La Repubblica”)
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