DONALD & ELON NON FANNO FINIRE LE GUERRE, CE LE ACCOLLANO
SONO AMICI DEI DITTATORI E LASCERANNO CHE CONTINUINO A FARE I LORO SPORCHI INTERESSI
Una quota maggioritaria dell’elettorato americano ha reagito al disagio economico e all’insicurezza con il medesimo spirito che ha fatto degli Stati Uniti la società con la più alta diffusione di armi da fuoco personali. Cioè ricorrendo alla guida dell’“uomo forte” che ha già dimostrato, facendo leva sulla “volontà popolare”, di saper forzare le regole della democrazia e intende stravolgerle a proprio vantaggio.
Solo degli ingenui possono credere che una potenza imperiale declinante, con tassi di violenza e conflittualità senza precedenti, il cui blocco militare industriale viene privatizzato nelle mani di nuovi monopolisti senza scrupoli, troverà nella presidenza isolazionista di Trump – o meglio nel binomio Trump&Musk – la via d’uscita dalle guerre in cui i suoi predecessori l’hanno incastrata.
Trump energumeno in grado di chiudere i conflitti planetari in cui l’America è impelagata? Suvvia.
Qualcosa del genere si diceva anche del suo piccolo grande partner Netanyahu: il premier israeliano talmente forte da non aver mai avuto bisogno di scendere in guerra aperta coi suoi nemici. Poi sappiamo com’è andata. Per l’appunto, il caso di scuola del “pacifismo” di Trump restano gli accordi di Abramo, da lui patrocinati (sulla pelle dei palestinesi) fra lo Stato ebraico e le ricche petro-monarchie del Golfo.
La guerra che infiamma il Medio Oriente dal 7 ottobre 2023 è la variabile che dall’alto dei loro soldi e del loro potere costoro neanche concepivano. Con la stessa disinvoltura Trump aveva calpestato l’autonomismo dei curdi, per non parlare di come predispose la ritirata dall’Afghanistan.
Ora la grande tentazione è assecondare Israele (con che tempismo Netanyahu s’è liberato del suo ministro della Difesa troppo legato all’Amministrazione Biden!) nel tentativo di rovesciare il regime degli ayatollah in Iran. Così da “lasciargli finire il lavoro” iniziato a Gaza, in Cisgiordania e in Libano, come cinicamente Trump va ripetendo nel mentre promette d’imporre la fine della guerra d’Ucraina, grazie ai buoni rapporti con Putin.
Disimpegno in Europa in contemporanea con l’avventuristico ridisegno armato degli equilibri mediorientali? Come se in quell’area due presidenti Usa (per inciso: padre e figlio Bush, entrambi repubblicani) non avessero già guidato altrettante guerre sanguinose ma fallimentari, senza contare quella che Reagan (altro repubblicano) commissionò a Saddam Hussein nel 1980 contro l’Iran.
Anziché illuderci che Trump sia in grado di mantenere la promessa ripetuta la sera della vittoria –“con me niente più guerre”, lui che predilige le guerre commerciali e la guerra agli immigrati – sarà meglio prepararci: a difendere gli interessi americani tenterà di mandare in prima linea altri, pagati o costretti, con le buone e con le cattive, europei compresi.
Esultano per la vittoria della coppia Trump&Musk un buon numero di tiranni e di leader sovranisti sparsi per il mondo. Vedono reimpossessarsi della superpotenza americana chi applica la regola aurea con cui anch’essi hanno sedotto i propri elettori: gli interessi della nazione devono sempre prevalere su qualsiasi regola comunitaria voglia subordinarli a vincoli esterni.
Tipico quel che sta succedendo fra Italia e Corte di Giustizia europea sui migranti. Tra chi festeggia il ritorno di Trump ci sono anche degli europeisti improvvisati dell’ultima ora che sostengono: finalmente l’Ue sarà costretta a diventare maggiorenne, rendendosi autonoma nel finanziamento dei suoi apparati militari. Sono frottole dette in malafede da chi sta già litigandosi un rapporto privilegiato con un capitalista in grado di asservire gli Stati qual è Elon Musk. Dovremmo averlo imparato: la proliferazione dei nazionalismi divide e contrappone i popoli, minaccia la pace e la democrazia.
(da ilfattoquotidiano.it)
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