FACCIAMO UNA LEGGE CONTRO IL LAVORO NERO?
UNO STUDIO DELL’UNIVERSITA’ BICOCCA RIVELA CHE A MILANO L’86% DEI 71.000 STRANIERI IRREGOLARI LAVORA ALLA LUCE DEL SOLE, MA IN NERO PER AZIENDE LOCALI, I CUI TITOLARI RISPARMIAMO COSI’ TASSE E CONTRIBUTI… PROPONIAMO L’AUMENTO DI UN TERZO DELLA PENA PER QUELLI NATI IN LOMBARDIA…
Nella polemica sulla espulsione degli immigrati clandestini, da due mesi ci sono fronti contrapposti, li definiremmo ideologici: chi vuole espellere tutti, dopo averli incarcerati e chi vorrebbe farli circolare liberamente in nome della “integrazione”, delinquenti compresi. Ma molti Italiani hanno compreso che tra provvedimenti proclama e concreta realtà dei fatti, c’è una terra di mezzo che va analizzata con obiettività , prima di procedere occorre sempre conoscere il problema nei dettagli.
Grazie a una indagine condotta dalla Fondazione Ismu dell’Università Bicocca di Milano, scopriamo oggi che, nella capitale del Nord produttivo, il lavoro c’è per tutti, anche per gli immigrati clandestini. Meglio, quasi tutti i clandestini per la legge, diventano per incanto lavoratori dipendenti per le aziende. La ricerca dice che ben l’80% dei 71mila stranieri irregolari presenti a MIlano e hinterland, non vive di espedienti o nascosto per non farsi identificare, ma è irregolarmente impiegato in un’azienda. Ci lavora da clandestino, in nero, alle dipendenze di datori di lavoro che aggirano allegramente la legge, lucrando il loro bel profitto ai fini fiscali.
§Non solo, questi lavoratori “neri” nella maggior parte svolgono un’attività a tempo pieno e alla luce del sole: alcuni nei cantieri che stanno costruendo la nuova Milano dell’Expo, altri nei laboratori artigiani della provincia, altri ancora nelle cucine dei ristoranti o negli esercizi commerciali.
Segno che il lavoro c’è, che le richieste di manodopera straniera superano ogni anno le quote fissate dal Governo. La loro condizione di clandestinità è determinata dalla scadenza del permesso di soggiorno e dai tempi lunghissimi di attesa per rinnovarlo, nonchè dalle estenuanti pratiche e lentezze burocratiche che rendono pazzesca l’assunzione di uno straniero, tra carte, timbri, bolli e code.
In questo contesto di illegalità , il lavoratore straniero rimane vittima del caporalato e di chi manovra il racket delle braccia. Qualche giorno fa a Milano la polizia ha scoperto una cinquantina tra albanesi, marocchini e romeni che lavoravano in una cooperativa di facchinaggio che forniva servizi alla Dhl. Venivano fatti entrare nell’azienda di notte, scavalcando la recinzione, come i chicanos di Ciudad Juarez, al confine tra Messico e Texas. Il Lambro al posto del Rio Grande, l’improbabile nuova frontiera del paradiso ambrosiano.
La ricerca dice che a questo 80% di impiegati, va aggiunto un altro 6% di lavoratori stranieri autonomi: idraulici, imbianchini, falegnami. La ricerca della Bicocca vale più di tanti allarmi che, il più delle volte, hanno altri scopi che non quello della sicurezza dei cittadini.
Se la clandestinità fosse reato e se a Milano l’86% dei clandestini lavora, vuol dire solo una cosa: che a delinquere sono in due, lo straniero e il datore di lavoro. Quest’ultimo doppiamente colpevole perchè nasconde un clandestino e sfrutta il lavoro nero, evade il fisco e le regole di sicurezza.
In base alla logica attuale del Governo, sarebbe da proporre un aumento della pena di un terzo per il datore di lavoro che sfrutta il clandestino, se è certificata la sua pura origine lombarda…oppure prendere le impronte digitali del caporale padano che indirizza al lavoro i clandestini nei vari cantieri.
Serve una stretta reale contro chi abusa del lavoro irregolare e una diversa normativa sui flussi, se il lavoro c’è si lasci lavorare regolarmente chi ha voglia di lavorare. Chi delinque va trovato ed espulso. Ma finiamola con le favole a senso unico, abbaiare alla luna non serve per una “grande politica”, è utile solo ai caporali di giornata e ai sergenti di complemento.
Leave a Reply