FEDELISSIMI E MODERATI: LE NUOVE CORRENTI DEI 5 STELLE
TRA UTRA-ORTODOSSI E FAVOREVOLI AL DIALOGO, IL NUOVO CORSO FAVORISCE IL “MEDIATORE” DI MAIO
Correnti e discussioni. E alla fine, ancora la voce di Beppe Grillo.
Il leader del Movimento Cinque Stelle – intercettato sulla spiaggia di Porto Cervo – dribbla i cronisti e annuncia: «No, niente domande, non rispondo su nulla. Martedì o mercoledì sarò a Roma, vedremo…».
Una presenza, la sua, reclamata dai parlamentari per dare sostegno alle iniziative dei pentastellati contro la riforma del Senato (probabilmente martedì, con un intervento – come rivelano alcune fonti – «sobrio, di contenuto perchè non vogliamo una Camera alta di nominati»).
Ma Grillo farà anche da collante in Parlamento tra le diverse anime dei Cinque Stelle.
Il Movimento sta attraversando in queste settimane uno dei momenti di transizione più complessi della sua storia: la delusione per il voto alle Europee, la rivoluzione nella comunicazione e l’apertura per le riforme con il Pd sono tre passaggi chiave che hanno ridisegnato la struttura e le gerarchie interne al gruppo. Creando malumori.
Ai dissidenti – ma non solo – non sono piaciute le «scelte calate dall’alto» da parte dei due leader e molti tra deputati e senatori hanno chiesto delucidazioni sulla svolta politica.
La doppia riunione dei parlamentari di questa settimana da un lato è servita per ricucire alcuni degli strappi sul metodo adottato, rafforzando la legittimazione alla trattativa con il Pd, dall’altra però ha reso evidenti anche le differenze tra le posizioni dei pentastellati.
Punti di vista frastagliati, divergenti, anche tra chi non oserebbe mettere in discussione le scelte del Movimento.
Così, per esempio, i fedelissimi si sono ritrovati spaccati.
Da una parte ci sono gli ultraortodossi come Laura Castelli, Riccardo Nuti (che ieri ha sottolineato la decisione el M5S, sulla questione riforma del enato, di adottare «una linea di opposizione durissima»), Giorgio Sorial e una parte del gruppo siciliano tutti inclini quella modalità di comunicazione el «o noi o loro» e che mal digeriscono l’idea di un cambio di strategia, dall’altra quei fedelissimi «in sonno», esponenti anche di spicco, che accettano con qualche riserva e un po’ di pragmatismo l’evoluzione degli avvenimenti politici.
A contribuire al mutamento degli equilibri anche i nuovi assetti del gruppo-comunicazione (ieri a Milano per un summit alla Casaleggio associati), che hanno spazzato via le polemiche degli ultimi mesi (rumors indicano un ruolo sempre più di primo piano della consulente Silvia Virgulti).
Si cercano strade inedite (qualcuno giovedì ha anche proposto il coinvolgimento degli intellettuali vicini ai Cinque Stelle nelle prossime iniziative), si affermano anche volti nuovi: i «moderati». Vanno in questa direzione proprio le ultime votazioni in seno a deputati e senatori per eleggere il vice-capogruppo a Montecitorio, Andrea Cecconi, e il capogruppo a Palazzo Madama, Vito Petrocelli.
A dare il segno della svolta, basta un aneddoto.
Un anno fa, quando ci fu la spaccatura sul ballottaggio per la presidenza del Senato tra Renato Schifani e Pietro Grasso, Petrocelli dichiarò: «Io ho votato scheda bianca, ma sono contrario alle espulsioni», tutelando chi si era espresso in modo indipendente.
Nel puzzle, complicatissimo a dire il vero, mancano gli outsider, come Simone Valente, molto attivo nell’assemblea dei deputati di inizio settimana.
E i gruppi a connotazione regionale, come quello dell’Emilia-Romagna, molto coeso sul caso Pizzarotti, un po’ meno sulle posizioni di dialogo con i democratici.
I dissidenti, invece – come Tommaso Currò –, hanno apprezzato l’apertura del tavolo, lamentandosi del metodo.
A fare da ago della bilancia, tra critiche e tensioni, Luigi Di Maio, che dopo le discussioni interne sembra uscito rafforzato nel suo ruolo di leader «istituzionale» per la trattativa.
Intanto, In Europa, continua a far discutere l’esclusione del gruppo Efdd dalle nomine per le commissioni. «Il cordone sanitario non è certo pensato contro gli italiani, ma contro Farage.
Non si può favorire chi si fa eleggere in Parlamento europeo per distruggere lo stesso Parlamento europeo», ha detto il capo della delegazione francese del Ppe a Strasburgo, Alain Lamassoure.
Emanuele Buzzi
(da “il Corriere della Sera”)
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