GIORGIA MELONI, TUTTE LE OMISSIONI DI UN’AUTOBIOGRAFIA
GLI AFFARI MILIONARI DELLA MADRE, I LEGAMI CON SOCIETA’ OFFSHORE, LA TESTIMONIANZA DELLE SORELLE “NASCOSTE”
Underdog è un termine anglosassone di uso sportivo, che la politica ha preso in prestito. Definisce lo sfavorito al cospetto di chi, sulla carta, ha il vento del pronostico nelle vele. Per forza, per censo, o per senso comune. L’underdog suscita di per sé empatia. Perché è la condizione di svantaggio in cui ciascun essere umano, almeno una volta nella vita, o, spesso, per tutta la vita, è più o meno convinto di essere. Si tifa consciamente o inconsciamente per l’underdog per la stessa ragione per cui si è istintivamente con Davide e non con Golia. Perché, sovvertendo il pronostico, l’underdog provoca – è ancora la lingua inglese a venire in soccorso – un upset. Uno sconvolgimento del quadro dato. Qualcosa di più di una vittoria. Una piccola rivoluzione.
È su questo termine che Giorgia Meloni ha costruito la sua immagine di leader e quella del drappello di nostalgici della fiamma che fondarono Fratelli d’Italia, consapevoli della carica populista che il ruolo di “sovvertitori del pronostico” e del quadro dato avrebbe consentito e del pieno di consensi che avrebbe garantito.
A maggior ragione, se a valle di una stagione politica trascorsa in solitaria opposizione al governo Draghi di unità nazionale. È questo termine – underdog – che la premier ha speso nel suo discorso di insediamento alle Camere.
E tuttavia, un underdog, per definirsi tale, ha bisogno di una storia, di un passato che aderisca come un guanto al sentimento di cui lo sfavorito è simbolo e catalizzatore.
Quella storia, Giorgia Meloni, l’ha definita, limata, confezionata, in un’autobiografia di successo: “Io sono Giorgia”, diventata pietra angolare della sua luna di miele con la maggioranza del Paese. È per questa ragione, che ha a che fare con la politica e con un suo racconto libero dallo spin della propaganda, che Repubblica in quella storia ha deciso di guardare con estrema attenzione.
Scoprendo – come leggerete in queste pagine frutto di un’inchiesta durata sette mesi – che l’underdog cresciuta alla Garbatella, quartiere popolare a sud-ovest di Roma, prima borgata voluta dai piemontesi all’indomani dell’unità d’Italia, è, o quanto meno appare, assai meno underdog di quanto abbia raccontato.
Lo documentano centinaia di pagine di atti notarili, visure camerali e ispezioni ipotecarie raccolte da Repubblica, nonché i dossier su società offshore a Panama e Lussemburgo, e le testimonianze inedite delle due sorelle “nascoste” della premier, Barbara e Simona, e della sorella del padre, Gemma Meloni.
Interpellata da Repubblica, nel febbraio scorso, durante il lavoro di inchiesta, la premier ha ritenuto di non rispondere alle nostre domande.
“Io sono Giorgia”
“In fondo, credo che un personaggio pubblico non possa mentire. Alla lunga non puoi nascondere chi sei, nel bene e nel male. E non è neanche giusto farlo. Le persone devono credere in te per chi sei davvero, non per chi fingi di essere. E comunque il bluff, prima o poi, viene sempre scoperto. Ne ho visti di politici costruiti a tavolino, con una faccia e un’anima in pubblico che poi si deformano appena si spegne il riflettore. Non sono mai durati”.
Esattamente due anni fa, l’11 maggio del 2021, quando il consenso elettorale di Fratelli d’Italia oscilla intorno al 15%, Giorgia Meloni decide di raccontarsi con una fortunata autobiografia dal titolo “Io sono Giorgia”.
Un libro che, con sapienza, intreccia il piano della sua vicenda personale e familiare, con quello della sua formazione politica. In quelle pagine, il privato, anche e soprattutto nei suoi passaggi più dolorosi, si fa improvvisamente pubblico. Apparentemente, cade ogni diaframma.
La donna che si candida alla guida del Paese invita a entrare nel suo passato familiare e politico per dimostrare che la sua vita è stata ed è una casa di vetro. E questo perché, come la futura premier avrebbe spiegato in numerose apparizioni televisive (da “Verissimo” a “Mezz’ora in +”) e ripetuto a Vittorio Feltri, presentando il volume a Milano, l’operazione le consente di aggredire il pensiero “mainstream” del Paese e i luoghi comuni di cui lo alimenterebbero l’egemonia culturale della sinistra e, genericamente, il giornalismo italiano.
“Questo libro – dice in quel maggio 2021 – ha fatto impazzire il mainstream perché loro non avevano il filtro. Loro di fronte a questo libro non possono più filtrare chi sei, non possono distorcere la realtà. Tu salti l’intermediario. E l’intermediario è impazzito”.
L’operazione avrebbe funzionato: l’autobiografia diventa rapidamente un best seller che in qualche modo apre e accompagna il cammino trionfale di FdI verso la vittoria nelle elezioni politiche di settembre del 2022. Ne diventa il manifesto. Costruisce e definisce, in assenza di contraddittorio, senza “mediazione”, la storia e il profilo della leader. È un format – oggi lo sappiamo – che Meloni riproporrà nel costruire la sua narrativa di premier. Una donna coraggiosa al comando, circondata, per lo più, da figuranti.
Repubblica ha sottoposto a una verifica alcuni dei passaggi cruciali del racconto dichiaratamente “intimo” con cui Giorgia Meloni ha portato il suo privato nella dimensione pubblica, facendone un elemento identitario. O, se preferite, una “narrazione”.
Che, come si diceva, si può riassumere così: Giorgia Meloni è un underdog di successo che ha scelto politicamente dove stare e come starci anche in ragione della sua storia. Una ragazza che cresce in una borgata di Roma, la Garbatella, dove è costretta a vivere in una casa dagli spazi angusti e dove si fatica a pagare le bollette e a mettere insieme il pranzo con la cena, privata e tradita dall’amore paterno e ancorata a una figura materna forte e tenace che regala un futuro alle figlie – Giorgia e sua sorella Arianna – grazie a mille sacrifici.
Ebbene, il lavoro di verifica, costruito attraverso documenti e decine di testimonianze inedite, svela come nell’autobiografia di Giorgia Meloni siano presenti significative omissioni.
Necessarie a eliminare ogni incongruenza o dissonanza rispetto alla narrazione identitaria di cui l’autobiografia doveva essere fondamenta. Omissioni – si è detto – che Repubblica ha sottoposto alla premier durante la sua inchiesta per ottenerne una qualche spiegazione, ma a cui la premier ha ritenuto di non dover in alcun modo rispondere.
Roma Nord
Al 237 di viale Cortina d’Ampezzo, un’elegante strada residenziale nel quadrante della Camilluccia, a Roma Nord, tra raffinati negozi e sedi di ambasciate, c’è una palazzina in mattoncini rossi che ha segnato profondamente la vita di Giorgia Meloni.
L’edificio di cinque piani, con ampie terrazze e un prato sempre verde, è circondato da palme, alberi e un manto erboso meticolosamente curato dai giardinieri che lavorano per un condominio abitato da avvocati, artisti, ingegneri e qualche straniero.
La casa in cui la premier ha trascorso la sua infanzia è al piano rialzato. È il famoso appartamento della Camilluccia. “A quella casa sono legate due vicende che hanno lasciato un segno sulla mia vita”, scrive Giorgia Meloni in “Io sono Giorgia”. L’aggressione subita da uno dei suoi due cani a causa dell’intervento delle guardie del corpo di un condomino definito “un pezzo grosso della politica di quei tempi”. E l’incendio che lei e la sorella Arianna appiccano involontariamente da bambine all’abitazione, costringendo la madre Anna Paratore a spostare la famiglia altrove. Lontano dai quartieri in cui risiede la buona borghesia delle professioni e dove loro sono nate.
“Ci siamo ritrovate, di punto in bianco, per strada, sole, senza più un tetto”, scrive la Meloni. “Mia madre ha dovuto ricominciare letteralmente da zero…Un’impresa pazzesca”. Un passaggio esistenziale che diventa epifania politica, presagio di un destino. “Qualche volta ci ripenso – scrive la premier a proposito dell’incendio alla Camilluccia – e, scherzando, mi dico che forse è per questo che ho trovato il coraggio, molti anni dopo, di rifondare una casa politica quando la nostra era andata in fumo. In fondo lo avevo già visto fare a 4 anni, perché non potevo riuscirci a 35?”.
Secondo i documenti ottenuti da Repubblica, l’appartamento – di circa 70 metri quadrati e con giardino privato – viene acquistato poche settimane prima del terzo compleanno di Giorgia Meloni.
Anna Paratore, che all’epoca ha 26 anni e due figlie, lo compra per 47 milioni di lire. Una cifra notevole se si considera che, secondo i dati della Banca d’Italia, il reddito medio individuale in quell’anno è di 5.4 milioni.
Il contesto familiare di Paratore rende in qualche modo l’impresa ancora più complicata. Suo padre, il nonno di Giorgia, quando arriva a Roma dalla Sicilia riesce a comprare con sacrificio un appartamento di appena 47 metri quadri nel popolare quartiere della Garbatella.
Per giunta, la mamma della premier, è la narrazione, non può contare sul sostegno del compagno, poiché Francesco Meloni Incrocci, padre della premier, è già partito per la Spagna abbandonando lei e le sue due piccole figlie.
“A Giorgia è costato solo lacrime (…) Mai avuto il sollievo di una carezza o di un bacio, per non dire un piatto di minestra”, dirà Paratore del suo ex compagno quando la figlia sarà già primo ministro.
È un fatto che la donna riesca ugualmente a comprare una casa appena costruita in una delle zone più prestigiose della Capitale. Un immobile che non molto tempo dopo, nonostante l’incendio che “si è preso tutto l’appartamento”, scrive la Meloni, verrà venduto con una notevole plusvalenza.
Per altro, non sarà l’unica volta che Paratore si misurerà con il business dell’edilizia. Mostrando un’attitudine e dei trascorsi da imprenditrice che – lo vedremo – vengono chirurgicamente espunti da quel diario di una vita che è “Io sono Giorgia”.
Ma torniamo al civico 237 di viale Cortina d’Ampezzo. Oggi, in quella palazzina, vivono alcune persone che la abitavano già nei primi anni Ottanta, quando ospitava anche Giorgia Meloni, la madre e la sorella Arianna. In pochi hanno voglia di parlare. Diversi però raccontano a Repubblica di non ricordare alcun grave incendio nel palazzo, né il nome di Anna Paratore. Il portiere, un signore siciliano sulla sessantina, è lo stesso di allora, ma non ha piacere a condividere i suoi ricordi: “La fermo subito. Non mi faccia domande che io non do risposte”, dice. Poi, però, quando gli si pone la domanda sul racconto che la Meloni fa della sua vita in quell’appartamento, si lascia andare: “Sono cose che non esistono proprio. Secondo me sono pura fantasia”. Salvo poi congedarsi in fretta: “Per la professione che faccio, non posso dire niente”.
“Cavallo pazzo”
Per capire meglio come sia stata acquistata la casa di Roma Nord si arriva a Francesco Meloni.
È importante capire chi fosse il padre della attuale premier, perché, come scrive la giornalista dell’Espresso Susanna Turco, autrice del libro Re Giorgia, Francesco Meloni è persona fondamentale e funzionale alla narrativa della underdog che Giorgia Meloni offre di sé; lui è, scrive Turco, “l’evento chiave da cui far partire tutta la scena, se la vita di Giorgia fosse un film”. È rilevante anche perché Anna Paratore ha vissuto per alcuni anni – e quando Giorgia Meloni era in rapida ascesa nella sua carriera politica – una vita da imprenditrice che, come vedremo, la collocava molto vicina alla famiglia dell’ex marito.
Giorgia Meloni dedica poche righe al padre, e quei pochi flash servono soprattutto a criticarlo con estrema durezza.
Lo descrive come un uomo egoista e distaccato, che abbandona la compagna e le figlie per iniziare una nuova vita altrove. Repubblica ha intervistato decine di fonti, tra cui l’unica sorella in vita di Francesco Meloni, Gemma Meloni, nonché le altre due sorelle dell’attuale premier, Barbara e Simona.
Sono figlie della relazione che Francesco Meloni ha avuto con una donna conosciuta prima di incontrare Anna Paratore, Maria Grazia Marchello. Anche se della loro esistenza, nonostante i legami affettivi e familiari che ci sono stati per anni, “Io sono Giorgia” non faccia alcuna menzione.
Francesco Meloni è nato a Roma il 10 novembre 1941 da una famiglia di artisti. Suo padre, Giovanni Meloni, detto Nino, è un regista radiofonico che dirige romanzi sceneggiati e radiodrammi, che muore nel 1960. Sua madre è Zoe Incrocci, un’importante attrice radiofonica, teatrale, televisiva e cinematografica. Una stella che brilla a partire dagli anni Cinquanta vincendo poi, nel 1991, il David di Donatello e il Nastro d’argento come migliore attrice non protagonista nel film Verso sera.
La sua carriera, in cui si distingue anche come doppiatrice, diventando la voce italiana di Marilyn Monroe in Eva contro Eva e di vari personaggi Disney, è all’origine di un certo benessere della famiglia.
In “Io sono Giorgia” non c’è un solo riferimento alla nonna paterna, ma il primo capitolo è curiosamente intitolato Piccole donne, come la pellicola in cui esordì Zoe Incrocci, una miniserie televisiva trasmessa dalla Rai nel 1955. Nell’autobiografia non si fa cenno neppure agli zii paterni, neanche a quelli che hanno fatto carriera nel mondo del cinema o della televisione. Come Raffaele Meloni, regista. O sua figlia Chiara, la cugina del premier, morta nel 2022. Proprio quest’ultima, pochi giorni dopo la pubblicazione di “Io sono Giorgia”, in risposta a un post pubblicato dalla giornalista Selvaggia Lucarelli che sottolineava le “bugie nel libro di Giorgia Meloni”, scrisse su Twitter: “Molte di più di quanto tu possa immaginare. Davvero molte, non è un libro. È uno strumento funzionale ad uno scavalco politico”.
Un altro zio era Mario Meloni, giornalista Rai morto nel 2019 e ricordato dai colleghi come un uomo che ha “davvero contribuito alla difesa della libertà di informazione” e ha “onorato sino all’ultimo giorno di vita la Costituzione antifascista e antirazzista”.
Parlando con Repubblica, l’unica sorella in vita del padre di Giorgia Meloni ricorda di una famiglia, la sua e di Francesco, di sinistra e antifascista. Si chiama Gemma Meloni ed è una donna matura che vive con la famiglia e un piccolo cagnolino in un sobrio appartamento di Roma Nord, circondata dai suoi libri e dai ricordi di una vita. Non ama parlarne, ma apre ugualmente la sua porta e con educazione invita a entrare nel salone della sua casa, che si apre oltre la libreria che sovrasta l’anticamera. Circondata da volumi sulla seconda guerra mondiale, Gemma Meloni declina le risposte a molte domande, spiegando di voler proteggere la sua famiglia. Ma è proprio per questo senso di protezione e dignità che accetta di spiegare chi fosse “veramente” suo fratello. Nel suo racconto, Francesco è un uomo poliedrico. Commercialista irrequieto e idealista, ama la vela, la lettura e gli affari.
“Una persona solare che faceva amicizia ovunque. Diciamo pure un pazzo furibondo”, spiega la sorella.
All’età di 26 anni diventa papà di Barbara e, poco dopo, nasce anche Simona, che oggi vive al sesto piano di un palazzone a Palma di Maiorca, dove Repubblica l’ha rintracciata e intervistata.
Barbara e Simona sono nate dalla relazione sentimentale con Maria Grazia Marchello, fidanzata storica di Francesco che in seguito sposerà. E da cui si allontanerà dopo aver incontrato Anna Paratore, la giovane segretaria del suo studio professionale. Rimarrà comunque in buoni rapporti con la sua prima moglie.
Quando si avvicina ai 40 anni, dopo la nascita di Arianna e Giorgia, Francesco Meloni torna a mettere a soqquadro la sua vita. “Era deluso del lavoro e da chi aveva accanto, che in quel momento era Anna Paratore – dice sua sorella – A me ha detto: ‘lavoro solo per mantenere tutta questa famiglia; ho bisogno di partire’.
È partito da solo ed era in un momento di crisi”. È in questo periodo che Francesco Meloni libera le cime di ormeggio della sua barca, dal nome evocativo “Cavallo Pazzo”, e, navigando per il mondo, si ferma a La Gomera, una piccola isola delle Canarie di cui lo affascina la natura selvaggia. Qui, incontra Maria Teresa, la sua terza compagna, e i figli che la donna aveva avuto da una precedente relazione, Axel e Luis.
Maria Teresa, di cui Francesco “s’innamora perdutamente”, racconta ancora Gemma Meloni, diventerà anche una partner in affari. In pochi anni, secondo i documenti ottenuti da Repubblica, Francesco acquista quattro proprietà di grande valore, tra cui una bella casa del XVIII secolo che restaura e che oggi ospita il Museo Archeologico de La Gomera. Quindi apre un elegante ristorante, El Marqués de Oristán, e la prima discoteca dell’isola, il Fin Fan.
In quegli anni la relazione già difficile con Anna Paratore viene messa a dura prova. “I miei discussero a lungo, e aspramente”, scrive la premier rievocando un viaggio insieme alla sorella in cui le due bambine si perdono all’aeroporto di Madrid. Ma nonostante le tensioni e la lontananza, Arianna e Giorgia continuano a coltivare il rapporto con il padre e trascorrono con lui gran parte dell’estate. “Quelle settimane”, secondo la narrazione di “Io sono Giorgia”, permettono alla premier “di crescere bilingue”.
A La Gomera, oltre a coltivare la sua naturale inclinazione per le lingue straniere, Giorgia si avvicina alle sorelle Barbara e Simona Meloni, che pure lei cancellerà dalla sua autobiografia, e che oggi ricordano quelle estati indimenticabili e la complicità familiare. “Io alle mie sorelle voglio un gran bene”, dice Barbara, la maggiore, che ricorda con nostalgia alcuni riti familiari, come i pranzi alle due del pomeriggio, “tutti insieme, perché ad alcune cose mio padre ci teneva molto e non potevi mancare”. “Io ero quella che le controllava sempre, mi occupavo di loro e mi preoccupavo. Poi, siccome ero la più grande, andavo a divertirmi la sera, a ballare nelle piazze. Loro rimanevano a letto, arrabbiate”, racconta sorridendo. “Quando ero piccola – dice Simona, l’altra sorella – i ricordi sono tutti belli. Poi i rapporti si sono persi, si sono diluiti”.
Tutto precipita nel 1988. Tra Francesco e Giorgia accade qualcosa, il rapporto si incrina, per sempre. Nel racconto di Giorgia Meloni, quest’ultimo incontro avviene a La Gomera; in quello della Paratore, nel giardino romano di Villa Borghese. In ogni caso, quel litigio è l’inizio della fine – “la pietra tombale”, si legge in “Io sono Giorgia” – del legame padre e figlia. Una scelta di lei.
Simona, che come Barbara non entra nel merito della vicenda, tiene a precisare: “Il padre è stato lo stesso per tutte noi quattro. Non era un padre tradizionale, ma aveva molte cose buone. Probabilmente la relazione sarebbe stata differente se la madre fosse stata differente?” “Mio padre non era una persona facile”, ammette Barbara, l’altra sorella. “Ma dietro ai figli ci sono i genitori, ci sono delle mamme. Io ho avuto una mamma, e Giorgia un’altra”, dice con amarezza.
La rottura con Giorgia tormenta Francesco Meloni per molti anni. Lettere e visite romane non gli permettono di rimediare agli errori del passato. E così segue la carriera della figlia solo attraverso i racconti della stampa.
Non ha più un rapporto con la figlia piccola quando iniziano i problemi finanziari. Gli affari alla Gomera non vanno più bene e negli anni Novanta si trasferisce a Palma di Maiorca. Nel settembre 1995 viene arrestato e poi condannato a nove anni di carcere per traffico di stupefacenti dal Marocco. Insieme a lui vengono processati Axel e Luis, i due figli di Maria Teresa, e un’altra persona, un ragazzo romano che aveva sposato Barbara. Tutti sconteranno pene nel penitenziario di Palma, città dove Francesco morirà, dopo una lunga e straziante malattia, nel 2012.
I 1.500 chili di hashish che la barca a vela trasportava quando è stata sequestrata sulla vicina isola di Minorca erano destinati al litorale romano, o almeno è questo che rivela Francesco alle autorità spagnole. Negando di essere un narcotrafficante e scagionando gli altri tre membri dell’equipaggio, spiega che l’affare illecito sarebbe dovuto servire a ripianare i suoi debiti. Gli investigatori spagnoli dell’epoca, raggiunti e ascoltati da Repubblica, lo confermano: “All’epoca, i gruppi criminali utilizzavano uomini d’affari in difficoltà finanziarie e con esperienza nella navigazione per trasportare la droga”, afferma un alto funzionario. Una fonte che ha accesso al dossier di Francesco Meloni rivela che la “soffiata” da cui è partita l’indagine è arrivata dalla Guardia di Finanza italiana. “Sospettavano dei proprietari della barca, non di Francesco Meloni”, dice, spiegando di aver seguito l’imbarcazione fin da quando è stata noleggiata a Marsiglia.
È il 1979 quando Anna Paratore acquista un appartamento a Roma Nord. Ha soli 26 anni e lo compra per 47 milioni di lire. Lo rivenderà dopo quattro anni a 160 milioni di lire
Una casa e 100 milioni di lire a 32 anni
Nell’epica delle tre donne che affrontano da sole ogni avversità, Anna Paratore è lo scoglio nella tempesta. Una donna forte che, come lei stessa racconta, regala un futuro alle due figlie lavorando come “ragioniera”, “promoter nei supermercati”, artigiana di ghirlande e altri oggetti da vendere nei mercatini di Natale. Si ingegna scrivendo “almeno 137 romanzi rosa” con il nom de plume di Josie Bell e Amanda King. “Avevo due ragazzine da mandare a scuola e da crescere. Eravamo sole. Ricordo le docce gelate perché non c’erano soldi per cambiare la vecchia caldaia, i mesi al buio tappate in casa, perché non potevamo aprire le persiane pericolanti”, narra la madre di Giorgia Meloni.
Una versione che combacia perfettamente con i ricordi della premier: “Mia madre lavorava sempre, inventandosi mestieri ogni volta diversi, tanto che a un certo punto si mise a fare la scrittrice ed è finito che ha scritto circa centoquaranta romanzi rosa. La sua straordinaria intelligenza l’ha resa eclettica. Però è sempre stata un po’ sfortunata, e di soldi non ce n’erano mai abbastanza”. A lei, scrive Giorgia Meloni, “devo tutto”.
Conviene allora tornare al civico 237 dell’elegante palazzo della Camilluccia. Nel dicembre 1979, “Anna Paratore – si legge nell’atto notarile – impiegata”, acquista l’appartamento dalla società edile romana che lo ha costruito. A 26 anni ha le capacità finanziarie per versare 17 milioni di vecchie lire e stipulare un mutuo di 30 milioni di lire. Spende dunque per l’acquisto dell’appartamento 47 milioni di lire.
Tuttavia, chi conosce bene Francesco Meloni ritiene che, fino a quando la fortuna lo ha accompagnato, l’uomo non si è completamente disinteressato delle due famiglie che ha costruito in Italia, aiutandole finanziariamente finché questo è stato possibile. Le stesse fonti sostengono persino che, prima di partire per la Spagna, sia stato lui a comprare l’appartamento a Roma Nord.
“Certo, quella casa l’ha comprata mio padre”, dice Barbara. Secondo la famiglia di Francesco Meloni, lui l’avrebbe intestata ad Arianna e Giorgia, all’epoca minorenne, e avrebbe concordato con Paratore una sorta di usufrutto. “Voleva tutelare le figlie più che la madre”, spiega Gemma Meloni, la sorella di Francesco. I documenti notarili non fanno però alcun riferimento a Francesco. Ma rivelano che il trasferimento dalla Camilluccia alla Garbatella – un altro passaggio apprezzabile di quella che Turco definisce “un’attenta costruzione del personaggio [ndr, di Giorgia Meloni], una costruzione a volte anche piuttosto arbitraria” – ha permesso alla Paratore di guadagnare una somma considerevole.
Nel 1983, nonostante l’incendio della casa descritto in “Io sono Giorgia“, la donna vende infatti l’appartamento per 160 milioni di lire, a un prezzo quattro volte superiore rispetto a quello per cui lo ha acquistato solo quattro anni prima. Subito dopo, la mamma di Giorgia Meloni investe circa 60 milioni di lire per comprare un altro appartamento, nella rossa e popolare Garbatella, a due passi da dove vivevano i suoi genitori.
I ricordi di quel tempo annotati in “Io sono Giorgia” riguardano soltanto le difficoltà economiche, le avversità e anche gli spazi angusti nella casa dei nonni. Giorgia Meloni ricorda così quel periodo: “Da bambina, insomma, ho passato tante notti in un corridoio con i piedi di mia sorella spalmati sulla faccia. Quando poi siamo cresciute ho avuto, in premio, una brandina in cucina, tutta per me. È stata una bella conquista”.
Dagli atti notarili emerge altro. La nuova casa dove la famiglia si trasferisce dopo aver venduto l’appartamento di Roma Nord è un cinque vani, cantina inclusa, ai piani bassi di un palazzo che affaccia su un cortile condominiale verde e silenzioso.
E oltre a quello che dalle carte appare un dignitoso tetto sulla testa, l’affare permette alla Paratore di avere un ricavato nella differenze tra vendita e acquisto di una nuova casa di circa 100 milioni di lire. Una cifra non irrisoria in quel 1983 quando, secondo la Banca d’Italia, il reddito individuale medio annuo degli italiani è di 11 milioni di lire.
Affari e plusvalenze
L’immobiliare sembra del resto una costante che ricorre nella vita di Anna Paratore e di un’azienda di cui sarà socia, la Lazio Consulting srl. Anche questa, cancellata dall’autobiografia familiare “Io sono Giorgia”.
È un percorso quello dell’immobiliare che Anna Paratore inizia nel 1998, in coincidenza con il primo successo politico di sua figlia, che nel dicembre di quell’anno approda a palazzo Valentini al seguito del neopresidente della provincia di Roma, Silvano Moffa. Al suo fianco c’è il cognato, il marito di Arianna Meloni, Francesco Lollobrigida, attuale ministro dell’Agricoltura. Entrambi vengono eletti consiglieri provinciali
Bisogna però attendere un paio di anni, prima di assistere al primo affare rilevante di una delle quattro aziende di cui la Paratore sarà socia. Siamo a Lunghezza, una zona dell’agro romano colonizzata nel suo recente passato da giganteschi centri commerciali. È il 2001, a Roma si costruisce tanto e la Lazio Consulting decide di gettarsi nella mischia.
Il 15 gennaio di quell’anno l’Istituto Delle Suore Figlie della Divina Provvidenza, una comunità religiosa cattolica, presenta una domanda per “l’ottenimento del certificato di destinazione urbanistica” alla XV Ripartizione del Comune di Roma per un terreno a Lunghezza di sua proprietà che si estende per 40 mila metri quadri. All’epoca era una zona di pascoli e agricoltura. Oggi lì vicino c’è il Centro Commerciale di Roma Est, uno dei più grandi d’Italia.
Appena un mese dopo la presentazione della richiesta, il 19 febbraio, la Lazio Consulting acquista all’Istituto Delle Suore Figlie della Divina Provvidenza quel terreno. Paga poco più di 4 miliardi di lire, ovvero 2,1 milioni di euro. L’area durerà poco nelle mani dell’azienda: la Lazio Consuting Srl lo rivende dopo 48 ore ad una società veneta, la Finagen, realizzando una plusvalenza di circa 6 milioni di euro. Lo schema è intricato: a stretto giro la Lazio Consulting affitta in leasing il terreno appena venduto e poi sigla un contratto di compravendita con la Società Italiana Bricolage che intende costruire un Leroy Merlin che alla fine non si farà. Poco importa, perché la super plusvalenza era già stata realizzata, secondo gli atti notarili. All’epoca, secondo i documenti, Anna Paratore era quotista della Lazio Consulting con il 10%.
Se può risultare sorprendente il beneficio economico incassato in appena 48 ore, più singolare risulta essere il resto della composizione societaria dell’azienda, cioè, i soci di Anna Paratore nella Lazio Consulting. Ma andiamo con ordine perché questa è una storia molto complessa.
Le avventure imprenditoriali della mamma di Giorgia Meloni iniziano nel marzo 1988, quando fonda la Compagnia del gelato insieme a Raffaele Matano e Giuseppe Statuto§
La Compagnia del gelato
La Lazio Consulting era stata originalmente fondata il 10 marzo del 1998 con il nome di Compagnia del Gelato srl. L’archetipo del business era “il vecchio gelataio in biciletta”, rivela a Repubblica il primo amministratore. Un’idea mai messa in pratica. Del resto, la natura delle persone presenti quel giorno di primavera nello studio notarile di Prati, dove la società viene costituita, fa intuire la propensione per mattone e cemento, più che la passione i ghiaccioli.
Al momento della costituzione, seduti intorno al tavolo del notaio ci sono Paratore, Giuseppe Statuto e Raffaele Matano. A 31 anni Statuto è già un ricco imprenditore casertano che ha ereditato l’azienda di famiglia. Anni dopo si guadagnerà il soprannome di “mister mille miliardi”, prima di finire nelle inchieste sulle spericolate operazioni finanziarie e immobiliari dei “furbetti del quartierino” insieme a Stefano Ricucci e Danilo Coppola, o nelle indagini sulla costruzione di quello che doveva essere lo stadio della Roma a Tor di Valle.
La terza persona presente nello studio del notaio – Raffaele Matano – è un geometra di 53 anni che a quell’epoca è molto legato alla Paratore. Matano ricopre ruoli o ha incarichi nelle tre società partecipate dalla madre dell’attuale presidente del Consiglio: la Lazio Consulting, la Mr Partners srl e il Gruppo Immobiliare Romano Srl.
Curiosamente Matano è anche, in quel periodo, socio del papà di Giorgia Meloni, Francesco, nell’azienda spagnola Nofumomas S.L., che offre soluzioni per smettere di fumare. Matano farà anche affari con la prima moglie di Francesco, Maria Grazia Marchello, e con le loro figlie, Simona e Barbara. Con quest’ultima Matano condivide avventure professionali, un matrimonio e i guai con la giustizia.
Matano, lo scorso anno, è stato condannato in primo grado a scontare 4 anni e 6 mesi di carcere. Barbara Meloni, invece, ha patteggiato una pena per gli stessi fatti. Non è dato sapere se Matano abbia appellato la sentenza di condanna.
Ma torniamo agli affari che riguardano la madre di Giorgia Meloni. Ciò che sappiamo è che l’ex geometra, quel giorno di marzo del 1998, veste i panni del rappresentante della Consulting & Trading, che prenderà il 40% della Compagnia del Gelato. La Consulting & Trading è un’azienda fondata anni prima sotto il nome di Tuscia Romana dall’ingegnere romano Francesco Saverio Buzi e da Luca Maria Apollonj Ghetti, che sarà, nel 2016, nella lista di FdI per Giorgia Meloni sindaco di Roma, e poi, nel 2018, per le elezioni regionali del Lazio. Anche lui, come le circa cento fonti interpellate da Repubblica per questa inchiesta, dice “di non avere ricordi di quegli anni”.
E anche la memoria della Paratore si rivela debole. “Io non mi ricordo (della presenza di Statuto ndr), può darsi che fosse qualcuno che conosceva Matano – dice a Repubblica – ma io non mi ricordo neanche di questa società (…) Ricordo che c’era l’idea di aprire dei corner di gelati ma non se ne è fatto nulla”.
La donna non ha ricordi neanche della seconda azienda in cui ha partecipazioni in quegli anni, la Mr Partnets srl: “Io non ho avuto una società che si chiama Mr Partners, mi ci hanno messo dentro”, è la versione della Paratore quando le si chiedono i dettagli dell’acquisto dello 0,5% dell’azienda che tempo dopo controllerà, in un singolare gioco di scatole cinesi, la Lazio Consulting.
Gli atti societari rivelano che il socio di maggioranza di Paratore nella Mr Partners è una compagnia, l‘Amphora Fiduciaria e di Revisione Srl, che poi diventerà l’obiettivo dei pm romani che indagano su alcune vicende di distrazione di denaro pubblico e su un giro di soldi che arriva fino a San Marino. “Non so neanche che cosa sia”, spiega la madre della premier riguardo l’Amphora.
Altra compagine rilevante è il Gruppo Immobiliare Romano: costituito nel maggio del 2001 con il nome Lazio Consulting Holding Spa, verrà coinvolta in scandali legali solo dopo l’allontanamento di Anna Paratore, che anche in questa azienda ha avuto una piccola quota.
Dall’inchiesta di Repubblica risulta che le aziende finalizzano almeno tre importanti business nel periodo in cui nell’assetto societario compare il nome dalla madre di Giorgia Meloni. Il primo è la plusvalenza di 6 milioni di euro realizzata nel febbraio 2001 grazie al terreno un tempo appartenuto alle suore. Sei mesi dopo la Mr Partners acquista a 7,7 milioni di euro un complesso immobiliare di 7.000 mq in via Collatina, sempre a est di Roma. A vendere è la Collatina Immobiliare 2001 srl, un’azienda che poco dopo sarà amministrata da Barbara Meloni e, successivamente, da Maria Grazia Marchello.
La Collatina Immobiliare 2001 aveva acquistato quel terreno appena una settimana prima per 6.3 milioni. Questo complesso immobiliare durerà poco nelle mani della Mr Partners: il giorno dopo averlo comprato lo rivende, per l’identico prezzo, alla Finagen. L’azienda veneta oggi è stata cancellata e gli ex vertici preferiscono non parlare dei vecchi affari e delle plusvalenze.
Ci sarà un’altra importante occasione che viene fiutata dalle aziende partecipate dalla Paratore. Ma per questo bisogna andare dall’altra parte di Roma, vicino al litorale di Ostia.
Dal terreno delle suore all’Infernetto
Un’antinomia a circa 50 chilometri di distanza conduce dalla spoglia collina di Lunghezza, dove sarebbe dovuto nascere Leroy Merlin, all’Infernetto, una zona a due passi dal mare che deve il suo nome alle colonne di fumo che una volta si liberavano dalle grosse carbonaie. Sebbene in passato quell’immagine ricordasse un piccolo inferno, nel 2002 l’Infernetto è per la Lazio Consulting di Anna Paratore e Raffaele Matano la via al paradiso. È su questo territorio, infatti, che l’azienda decide di puntare più in alto. In ballo ci sono circa 90 milioni di euro.
Siamo alle porte di Ostia, un territorio martoriato da una “tangentopoli all’amatriciana” che la assedia da un paio di lustri, una serie di fatti di malaffare che riguardano appalti pubblici e concessioni. Una zona che nonostante gli arresti dei colletti bianchi non si è ancora liberata dai suoi tormenti. È ad esempio il feudo di Paolo Frau, “occhi di ghiaccio”, il Paoletto della Banda della Magliana, ucciso nel 2002 nella stessa frazione in cui aveva allungato i suoi tentacoli, a Ostia.
Fiumicino, Ostia e l’Infernetto sono pronti a scrollarsi definitivamente di dosso le suggestioni pasoliniane e ad avvicinarsi alla città che da sempre aveva relegato quelle zone a luoghi per le vacanze di borgata. Il piano viene messo nero su bianco in un patto territoriale, un accordo tra Regione Lazio, Comune di Roma e altri Enti per promuovere lo sviluppo locale. E così, le aziende presentano 162 proposte, di cui 6 la Lazio Consulting: prevedono un investimento complessivo di circa 90 milioni di euro. Si va da un paio di hotel con annesse aree sportive fino a interi complessi alberghieri composti da 5 edifici, passando per residence per le vacanze o centri commerciali. La punta di diamante è il “9D”: un centro commerciale che si estende per un’area complessiva di 24 mila metri quadri. Investimento previsto: 56 milioni di euro. Un affare monumentale per un’azienda con un capitale sociale di 10.000 euro e costituita quattro anni prima per vendere gelati
È lunga la via del Mare dove la Lazio Consulting cerca di realizzare un centro commerciale dal valore di 56 milioni di euro
Viene proposto di costruirlo in un terreno paludoso dove i comitati di quartiere denunciano da anni un rischio idrogeologico. Quello scorcio di campagna romana, dove pini marittimi alti come edifici accompagnano verso il litorale, lungo la via del Mare percorsa da migliaia di romani che in estate si affrontano per ore nel traffico, deve essere sembrato un posto ideale, ben in vista. L’affare a Ostia è importante, il business sembra essere alle porte, e forse è per questo che dietro le quinte la trama societaria di cui la Paratore e Matano fanno parte si intreccia. Enormemente.
Per comprenderlo occorre scomodare decine di professionisti sfuggenti e con poca memoria, quindi affidarsi agli atti custoditi nelle sedi delle Camere di commercio d’Inghilterra, Lussemburgo e Panama.
Il 30 novembre del 2000 alcuni personaggi finiti successivamente negli scandali dei paradisi fiscali creano un’azienda, la Fayson Trading, a Panama. Questa s.a. controlla l’azienda britannica D Construction Limited, fondata a Londra alcune settimane dopo. Nel 2002, quando l’affare dell’Infernetto promette bene, la D Construction rileva sia il 10% (51 mila euro) delle quote che Anna Paratore aveva nella Lazio Consulting, sia il 90% restante, che in quel momento era in mano alla Mr Partners, che qualche mese dopo verrà amministrata dalla prima moglie di Francesco Meloni.
Nel frattempo, in Lussemburgo, un altro paese con regime fiscale privilegiato, viene architettato un altro complesso schema societario. Il 10 luglio 2002 viene fondata nel gran ducato una società, la Polired s.a, che due settimane dopo controllerà la neonata azienda romana Lunghezza Immobiliare srl. È quest’ultima compagine che con 10 mila euro “sostituisce Lazio Consulting srl nella partecipazione alle gare, anche se queste sono state sottoscritte con la presentazione di atti e/o documentazione”, rilevano gli atti.
Tra Londra, Panama e il Lussemburgo si perdono le tracce degli affari milionari e di quelli mai andati in porto, come quello per il centro commerciale all’Infernetto.
“Non ricordavo che [io ndr] fossi il procuratore della D Construction“, dice l’avvocato Giovanni Petrillo, ex procuratore speciale della D Costruction e uomo che conclude la compravendita di quote con la Paratore.
“In realtà, non credo che abbia nulla da nascondere… Sono passati 20 anni e se ho commesso qualcosa consapevolmente o meno, c’è la prescrizione”, continua l’avvocato, nonostante nessuno abbia sollevato questioni legali, ma solo il singolarissimo schema societario.
“Io sono una privata cittadina e sono affari miei quello che ho fatto venticinque anni fa”, spiega al telefono Anna Paratore. “Tutto quello che mi riguarda è limpido e pulito – prosegue – Poi, quello che altre persone hanno fatto di quelle società non lo so dire e non mi riguarda”.
Repubblica ha tentato, senza successo, di chiarire con la Paratore anche i suoi legami societari con Milka di Nunzio, la migliore amica di Giorgia Meloni.
Di Nunzio, un passato nella Croce Rossa italiana, è stata la mandataria elettorale di Meloni nell’elezioni comunali del 2016. Tra il 2011 e il 2016, la Paratore e di Nunzio sono state quotiste della Raffaello Eventi, una srl romana gestita da due ristoratori che finirà, dopo notevoli perdite nei bilanci, in mano di cittadini stranieri senza fissa di mora.
Una ragazza fortunata
Durante l’intervento di insediamento da presidente del Consiglio alla Camera, Giorgia Meloni dice: “Rappresento ciò che gli inglesi chiamerebbero l’underdog“. “Lo sfavorito – precisa, traducendo il termine – che per affermarsi deve stravolgere tutti i pronostici”.
È la chiusura del cerchio. L’apice di una narrazione che l’autobiografia “Io sono Giorgia” ha definito. E che, tuttavia, resta vulnerabile, come abbiamo visto, a un approfondito “fact checking”, un lavoro di verifica della stampa che nelle grandi democrazie come gli Stati Uniti o la Germania è prassi consolidata che mette alla prova la credibilità dei capi di Stato e di governo.
Vulnerabile persino lì dove il racconto della premier non affonda in tempi lontani. Come l’acquisto della sua prima casa, nel 2009. “Quando ero ragazza fantasticavo spesso sul fatto di poter avere una casa mia, ed ero convinta che sarebbe stato molto difficile riuscirci. Era il tempo in cui arrivavo a fare anche cinque lavori contemporaneamente per guadagnare 1000 euro al mese. E così la domanda era sempre la stessa: avrò mai i soldi per accendere un mutuo?”, scrive in “Io sono Giorgia”. “Sono riuscita a realizzare il sogno di avere una casa tutta mia dopo i 30 anni…. quaranta metri quadri, a ridosso della Garbatella, pagati forse più del loro valore”.
In realtà – come documentano le ispezioni ipotecarie – si tratta di un appartamento di circa 70 metri quadri acquistato insieme a una cantina e a un box auto. “Il prezzo della vendita – si legge negli atti – è convenuto in complessivi 370.000 euro”. Meloni, che nel 2008 è stata eletta deputata per il Pdl e viene nominata da Berlusconi ministra per la gioventù, paga una parte dell’immobile con i suoi risparmi e un’altra accendendo un mutuo che, sommando capitale ed interessi, ammonta a 303.000 euro. Lo estingue in cinque anni. Nel 2017, dopo aver venduto l’anno precedente questa sua prima casa, acquisterà un nuovo appartamento di otto vani, più cantina e box al prezzo di 505 mila euro più imposte e commissioni immobiliari. E questa volta senza bisogno di un mutuo.
“Posso dirmi fortunata rispetto a tanti della mia generazione”, scriverà. E per una volta l’affermazione regge al fact checking.
(da La Repubblica)
Leave a Reply