“GUARDA LA TUA ISOLA”: UNA STRAGE PER GIOCO
QUASI UNA BURLA ALL’ORIGINE DELLA TRAGEDIA DEL GIGLIO… IN PLANCIA UN CAPO CAMERIERE ORIGINARIO DELL’ISOLA CHE AVVISO’: ATTENTI, SIAMO TROPPO VICINI”
Alle 16.30 riemergono i sommozzatori e va in apnea la speranza.
Fino a quel momento era persino sembrata una domenica come tante, con il sole, i traghetti che al posto dei turisti scaricavano sul molo giornalisti giunti da tutto il mondo, con la Costa Concordia ormai diventata parte integrante del paesaggio, e chissà per quanto tempo ancora lo sarà .
Le operazioni di soccorso vivono anche di stati d’animo, si nutrono di buone notizie come le auto di benzina.
Il salvataggio di un altro superstite, il ritrovamento a Roma di due turisti giapponesi inseriti nella lista dei dispersi avevano aiutato l’Isola del Giglio e i suoi occupanti a tenere lontano, anche solo per un attimo, i cattivi pensieri, a coltivare l’illusione.
«Abbiamo il sospetto che ce ne possano essere altri» dicono i sommozzatori, e non usano la parola certezza per riguardo, per fedeltà alle consegne dei superiori che hanno l’obbligo dell’ottimismo nei confronti delle ultime diciassette persone che ancora mancano all’appello.
Quelle montagne di mobili ammassati uno sull’altro nascondono altre vittime, che non riportano solo a una realtà cupa, sono anche sacrifici umani a una leggerezza che confina con la stupidità .
Corrono voci, sull’Isola del Giglio.
C’è sempre un momento, tra il compiersi della tragedia e la presa di coscienza della sua enormità , nel quale gli attori si sentono liberi di parlare.
Rivelano dettagli che poi diventeranno notizie d’inchiesta, illuminano una verità sempre più sconcertante. È stato così per le comunicazioni tra la Costa Concordia e la capitaneria allarmata, respinta al mittente con un «tutto bene».
È così anche sui veri motivi della folle manovra di avvicinamento fatta dal comandante Schettino e dai suoi ufficiali.
«Tutto questo per un favore» dicevano le donne sulla panchina il mattino dopo il naufragio.
Adesso si capisce cosa intendevano con quella frase. La Procura è arrivata in fretta alle loro stesse conclusioni. Non è stato neppure un gesto di riguardo per i passeggeri, loro non c’entravano nulla, dagli altoparlanti non è uscito un solo annuncio sul Giglio. È stato un gesto autoreferenziale, l’applicazione di un codice di cortesia interno all’equipaggio.
L’imperdonabile leggerezza del comandante, la definizione è di Francesco Varusio, procuratore capo di Grosseto, voleva essere al tempo stesso un omaggio a Mario Palombo, una leggenda tra i comandanti della Costa crociere, e un favore all’unico gigliese a bordo, il capo maitre Antonello Tievoli. «Mai avrei immaginato di sbarcare a casa mia» ha detto ai suoi compaesani che lo hanno soccorso a riva.
Ci sono brave persone che diventano vittime inconsapevoli della stupidità degli altri. Venerdì sera: Tievoli, figlio del vecchio parrucchiere del Giglio, ex ristoratore e gestore di un camping, imbarcato dodici anni fa, viene chiamato sul ponte di comando da Schettino e dai suoi attendenti. «Antonello vieni a vedere, che stiamo sopra al tuo Giglio» gli hanno detto.
Forse era anche una presa in giro amichevole, perchè il capo dei camerieri doveva «scendere» dalla nave la settimana precedente, ma non era arrivato il rimpiazzo ed era dovuto restare a bordo.
Lui si è affacciato, ha guardato, ha visto. Non ha ruoli in macchina o in coperta, ma ha gli occhi per guardare. «Attenti, che siamo vicinissimi alla riva» ha detto al comandante.
Troppo tardi.
Adesso il maitre del Giglio è chiuso in casa, abita lontano dall’isola, e chi ha parlato con lui racconta di un uomo tormentato dai sensi di colpa, per quel gioco non voluto e neppure richiesto che lo ha trasformato in un protagonista a sua insaputa di uno dei più grandi naufragi della storia d’Italia.
È già stato sentito dagli ufficiali della Guardia costiera su delega dei pubblici ministeri che conducono l’indagine, dovrà ripetere la sua versione anche ai carabinieri.
È un destino e una rabbia che deve condividere con Palombo, l’uomo che fu punto di riferimento per ogni gigliese entrato in Costa crociere. In gergo marinaresco si chiama «inchino», l’avvicinamento a un luogo per fare un piacere o un omaggio a un membro dell’equipaggio
Il vecchio comandante era uno specialista, dicono lo facesse anche quando si avvicinava a Camogli, seppur consapevole del minor trasporto dei liguri per queste cose.
Mai nessuno come i gigliesi, ripeteva. «Ma io concordavo sempre il passaggio con la Capitaneria di porto», urla al telefono.
Non ci sta, a essere citato in una storia disgraziata come questa. In pensione, ma sempre uomo di mare, orgoglioso della propria storia professionale. Fu costretto a lasciare nel 2006.
L’infarto lo colpì a bordo, al porto di Napoli un’ambulanza lo portò a sirene spiegate in ospedale per l’intervento al cuore.
Non nega la sua amicizia con Tievoli, ma qui si ferma. «Non capisco come sia potuto succedere, cosa è passato per la testa del mio collega. Il permesso della Capitaneria non è necessario. Il comandante fa la rotta che vuole, a bordo è lui il sovrano: ma non accetto di essere tirato in ballo, per nessuna ragione. E lo scriva, la prego: i miei genitori erano del Giglio, ma io sono savonese di nascita».
Lo dice con voce strozzata dalla rabbia.
Lo dice dalla sua casa di Grosseto, dove trascorre le stagioni fredde.
Il destinatario dell’omaggio non era neppure sul posto, il maitre ripete in continuazione che se gliel’avessero detto avrebbe fatto volentieri a meno di quell’inchino.
La stupidità umana è come il mare, quando si scatena travolge tutto e tutti.
Marco Imarisio
(da “Il Corriere della Sera”)
Leave a Reply