I 12 MIGRANTI TORNATI DALL’ALBANIA SONO “IMPAURITI E SOTTO SHOCK”: IL MISTERO DEI CELLULARI SCOMPARSI. NEL CENTRO DI RIMPATRIO DI GJADER SAREBBE STATO IMPEDITO LORO DI TELEFONARE, UN EVIDENTE ABUSO
“DA 16 GIORNI, DA QUANDO SIAMO PARTITI, NON SENTIAMO I NOSTRI PARENTI. NON SANNO SE SIAMO VIVI O MORTI”… L’AVVOCATO DI UNO DEI MIGRANTI: “È MOLTO GRAVE CHE NON ABBIANO I CELLULARI, COSI’ NON POSSIAMO ORGANIZZARE LA DIFESA”
Nonostante le promesse espresse venerdì sera alla delegazione parlamentare in visita al centro di Gjader in Albania, i 12 migranti rientrati in Italia non hanno ancora i cellulari.
È piena di stranezze la sperimentazione che ha portato per la prima volta un gruppo di bengalesi ed egiziani a essere messi a bordo della nave militare Libra lunedì 14 ottobre e, dopo quasi due giorni di navigazione, ad arrivare al porto di Shengjin. «È molto grave che non abbiano i cellulari – afferma Gennaro Santoro, legale di uno dei 12 migranti un egiziano di 28 anni.
Nella istanza inviata alle 14.49 di ieri al ministero dell’Interno, alla Prefettura e alla Questura denuncia che il suo assistito è «impossibilitato a comunicare con la presente difesa» e che «appare necessario e urgente» prendere contatto con il giovane per predisporre un’adeguata difesa «anche alla luce dei termini ristretti per la predisposizione del ricorso».
L’avvocato sottolinea di avere «il diritto-dovere di mettersi in contatto» con il suo assistito, chiede di sapere in quale struttura si trova il giovane e il numero di telefono per poter parlare con lui e diffida gli enti competenti a «perpetrare ogni ulteriore prolungamento della soggezione del mio assistito a misure restrittive della libertà personale sine titulo.
Al termine della seconda traversata dell’Adriatico nel giro di quattro giorni sono «impauriti e sotto choc». Temono che, qualsiasi cosa dicano, possa compromettere la permanenza in Italia. Vengono trasferiti nel Cara di Bari Palese, il terzo centro dove entrano nel giro di quattro giorni. Si chiedono se saranno spostati ancora, se dovranno affrontare un altro viaggio in mare. Intanto, sono assistiti da un’equipe multidisciplinare. Raccontano che, da 16 giorni, hanno perso i contatti con i familiari, rimasti nei Paesi d’origine. «Da quando siamo partiti, non li sentiamo e non sanno se siamo vivi o morti». E si trovano costretti a chiedere in prestito dei cellulari agli altri ospiti del Centro di accoglienza richiedenti asilo per chiamare. In Albania – spiegano – gli sarebbe stato impedito di uscire e telefonare.
E loro non possono permettersi di perdere altro tempo senza poter telefonare. Venerdì hanno ricevuto la notifica del rigetto della richiesta di asilo, da quel momento hanno 14 giorni per presentare ricorso ma il ricorso va preparato. È un lavoro lungo e complesso già in condizioni normali perché bisogna ricostruire la storia del migrante e le motivazioni per cui chiede l’asilo ma è ancora più complicato in questo caso perché e sono trascorsi già due giorni senza poter parlare con gli avvocati e i legali non hanno ricevuto ancora il verbale dell’audizione. Insieme al ricorso sarà presentata un’istanza al tribunale di Roma per chiedere la sospensiva dell’ordine di allontanamento contenuto nel rigetto della richiesta di asilo.
(da la Stampa )
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