I FINIANI “NON VOGLIONO MORIRE LEGHISTI”, MA L’ERRORE DI FINI E’ STATO ENTRARE NEL PDL
I DESTINI DELLA NAZIONE SI DECIDONO ORMAI AD ARCORE TRA UN PREMIER INTERESSATO SOLO ALLA GIUSTIZIA E UN CONDANNATO DA TANGENTOPOLI CHE SI PORTA DIETRO IL FIGLIO DISOCCUPATO… L’ITALIA DIVENTERA’ UNA “ESPRESSIONE GEOGRAFICA” A TUTTO VANTAGGIO DELLE FAMELICHE TRUPPE PADANE INTERESSATE SOLO AL CORTILE DI CASA E AI QUATTRINI…DOV’E’ FINITA LA VERA DESTRA?
Probabilmente quando Berlusconi decise di allearsi con Bossi (ai tempi, per capirci, in cui il senatur si era trovato anche la casa pignorata, dopo la condanna a risarcire il magistrato Papalia per 400 milioni di lire), pensava di farlo da una posizione dominante: credeva di aver stipulato forse un atto d’acquisto di una ditta in fallimento.
A distanza di anni si trova invece ad essere l’azionista di minoranza, ricattato ogni giorno dall’avidità leghista, persino nella sostituzione di un ministro dell’agricoltura.
L’accordo infatti prevedeva Galan al posto di Zaia, ma i leghisti, nonostante l’elezione anche di Cota, non intendevano mollare il ministero dove hanno fatto più marchette di una vecchia prostituta di strada.
Che Berlusconi non si fidi troppo del “fraterno amico” Bossi, lo dimostra peraltro la notizia che esisterebbe addirittura un atto notarile con l’impegno, firmato da Bossi, di cedere il ministero al Pdl, in caso della scontata vittoria di Zaia in Veneto.
E al rispetto della firma, più che alla lealtà alla parola data, ha dovuto appellarsi il premier l’altra sera, alla cena del caminetto ad Arcore, per averla vinta.
Bossi è una vita che ricorre all’arte dell’imbroglio, di cui si è dimostrato maestro in passato, tra ribaltoni e controribaltoni.
Da uno che usciva di casa, secondo la testimonianza della prima moglie, dicendo che andava a lavorare in ospedale, senza essere neanche medico, c’è da aspettarsi di tutto.
Ma che i destini di una nazione debbano essere decisi ad Arcore, invece che in Parlamento, durante le cene del lunedì in cui Bossi si presenta con la quinta colonna Tremonti, il dotto Calderoli, il fighetto Cota e ora pure col figlio ex disoccupato, ci pare troppo.
Anche per un premier a cui di riforme ne interessa solo una: quella che lo tolga dai guai con la giustizia, del resto sai che gliene frega.
Presidenzialismo alla francese o all’inglese, modello tedesco o americano, per lui va tutto bene: che gli altri facciano come gli pare, l’importante è trovare il modo di non presentarsi in tribunale e magari spianarsi la strada per un settennato al Quirinale che è sempre meglio del palazzo di Giustizia di Milano.
L’importante, dicono tutti, sono le riforme.
Non quelle che eliminino la corruzione nella pubblica amministrazione, non quelle antievasione, non la riduzione delle tasse, non la ristrutturazione degli ammortizzatori sociali, non riforme che diano fiato al’occupazione e una casa ai giovani, ma “il federalismo” e il “presidenzialismo”.
Due aspetti a cui all’italiano medio non frega ua mazza.
Il primo perchè finirà per far aumentare i balzelli locali, invece che razionalizzare la spesa, il secondo perchè non è certo un problema per cui l’italiano medio non dorme la notte.
Berlusconi tratta, media, firma accordi, trova intese “do ut des”, con un occhio di riguardo ai suoi interessi privati e giudiziari, la Lega pensa solo ad acquistare potere e poltrone.
Gli unici che lanciano l’allarme sono i finiani, a giorni alterni.
Un giorno avallano in silenzio, l’altro ricordano “che non vogliono morire leghisti”, ricevendo il rimbrotto da un uomo corente del Pdl: Sandro Bondi, ex comunista.
Pensate se Fini non avesse fatto la cazzata, dettata dalla sua presunzione, di voler cambiare il Pdl dall’interno e di fondersi.
Pensate se An, invece che farlo diventare un partito morto, senza congressi e dibattito interno, in mano a tre caporalucci di giornata più che colonnelli, avesse continuato a fare politica sul territorio, sull’impostazione che ora Fini esprime da qualche mese.
Sarebbe un punto di riferimento vivo, militante, battagliero, in grado di contrastare, sul terreno culturale e politico, le mandrie leghiste.
Bilancerebbe il centrodestra, sarebbe per il Pdl una garanzia per non cedere all’arroganza della Lega, avendo un altro partito di uguale o maggiore consistenza che tira dall’altra parte.
Ne avrebbe giovato la coalizione e il Pdl stesso.
Invece è stato sciolto per calcolo politico e persino localmente ora la sua classe dirigente viene estromessa dagli enti locali grazie al maggior peso nelle preferenze da parte dei forzaitalioti.
Ora che il danno è stato fatto, ora che i caporali di giornata hanno trovato il loro stipendio, emerge solo un dato: la destra vera, sociale, solidale, nazionale e popolare non c’è più.
E di questo Fini portera sulla coscienza la responsabilità .
Ha un solo modo per riscattarsi: impedire che l’Italia, come diceva Metternich e come vorrebbe la Lega, diventi una mera espressione geografica, senza consistenza reale, istituzionale, politica ed economica.
Con un Sud abbandonato a se stesso e un nord in balia degli egoismi e del razzismo dei predatori padani.
Che ha a che fare una destra che ha sempre avuto come riferimento l’unità nazionale, la legalità , la giustizia, l’ordine, la socialità , il rispetto delle regole, la solidarietà tra nord e sud del Paese, i valori etici, con questo comitato di affari senza anima e cuore, senza passione e umanità ?
Dove si spaccia meritocrazia ma poi si sistemano i figli disoccupati, si invoca rigore morale e poi non si tagliano le inutili Province, si buttano a mare i profughi ma si ricevono a palazzo le escort?
Se Fini vuole davvero una svolta, non si perda con certi compagni di merende.
Saremo cresciuti a pane e marmellata, non saremo abituati ai salotti buoni, ma interpretiamo un vasto popolo di destra che non ha più punti di riferimento e che si è rotto i coglioni.
E siamo tanti a pensarla cosi.
L’Italia merita un destra vera e moderna.
O sapranno interpretarla o saranno travolti.
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