IL FEDERALISMO FISCALE IN ITALIA PORTERA’ SOLO AD UN AUMENTO DELLE TASSE LOCALI
IL PROBLEMA E’ LA CLASSE DIRIGENTE, NON IL METODO: ESISTONO STATI CENTRALISTI CHE FUNZIONANO E STATI FEDERALISTI CHE LANGUONO…LA RICERCA DI RISORSE DEGLI ENTI LOCALI AUMENTERA’ LA PRESSIONE FISCALE E CRESCERA’ IL GAP TRA NORD E SUD DEL PAESE…L’ESEMPIO DELLE REGIONI A STATUTO SPECIALE
Il federalismo è ormai un concetto al quale gli italiani, grazie all’opera dei media e della politica, ha fatto l’abitudine, anche se non ne conoscono in pratica ancora gli effetti, ma solo le vaghe promesse messianiche.
Fa parte ormai di quelle parole d’ordine che la classe politica porta spesso avanti per giustificare la propria permanenza al potere.
Il carico fiscale nel nostro Paese è eccessivo? Aspettate, ora con il federalismo risolveremo ogni vostro problema.
I servizi fanno schifo? Colpa dello Stato centralista, se i soldi rimanessero in loco avremmo servizi efficienti. E così via.
Come se il primo problema italiano da risolvere non fosse intanto il debito pubblico.
E’ trasferibile questo debito verso la periferia? Probabilmente no.
Come lo si riduce? Va affrontato a livello centrale, con robuste terapie di risanamento che non sono certo il federalismo.
Parlare quindi di “maggiore disponibilità finanziaria” in alcune regioni, vuol dire semplicemente tagliare risorse in altre, non si scappa, almeno nella situazione attuale.
Non a caso i “sacerdoti spretati” del federalismo italico sono i leghisti che vorrebbero più risorse al nord.
Un altro aspetto in premessa: non esiste uno Stato ideale, inteso in senso istituzionale o metodologico.
Tutte le forme possono andare bene o risultare negative, a seconda della capacità di chi tiene dritta o meno la barra del timone.
Vediamo Stati centralisti che funzionano e altri federali che boccheggiano e viceversa: è comodo per la nostra classe politica trincerarsi dietro il miraggio federalista per giustificare la propria inefficienza.
Cerchiamo di scendere nel dettaglio dell’analisi.
La legge 42/2009, che istituisce il federalismo, è una scatola vuota da rimpire con i previsti decreti attuativi.
Elementi chiave della riforma sarano il trasferimento di funzioni dello Stato agli enti locali, la loro autonomia finanziaria e la perequazione tra regioni per assicurare i servizi minimi garantiti.
La legge prevede costi unitari standard, aggiustati per qualità ed efficienza, per ogni servizio pubblico.
Intanto il costo dei servizi pubblici dipende da quello del personale e l’efficienza dall’organizzazione del lavoro.
I contratti nazionali di lavoro non consentono certo una riduzione, quindi dipenderanno sempre dal livello di crescita dei salari.
L’organizzazione del lavoro dipende invece dai dirigenti e dai politici, indipendentemente dalla forma statuale.
Secondo aspetto: trasferire funzioni significa trasferire risorse.
La legge prevede che non solo le regioni, ma anche province, comuni e Aree metropolitane avranno autonomia finanziaria, ovvero avranno diritto a una parte del gettito Iva e alle addizionali sulle imposte sui redditi personali, a tributi stabiliti dallo Stato e a tributi decisi in modo autonomo.
Il rischio (o la certezza) qual’è?
Che la ricerca di risorse degli enti locali porti ad un aumento del numero dei tributi locali e quindi ad un aumento della effettiva pressione fiscale.
Mentre lo Stato insomma farà bella figura, riducendo le aliquote di sua pertinenza, le amministrazioni locali fisseranno nuovi balzelli e alla fine il prodotto (se va bene) non cambierà .
Se guardiamo alle spese delle attuali regione a statuto speciale infatti si può già rilevare che sono notevolmente superiori a quelle ordinarie.
Esiste poi una tipica contraddizione italiana: nel mondo, uno stato federale nasce prima a livello istituzionale, dove un ramo del parlamento rappresenta gl interessi locali e l’altro quelli nazionali.
Da noi invece il processo sarà totalmente interno, gestito da ministeri e rappresentanti dgli enti locali nella cosidetta Conferenza.
Se la perequazione tra le varie regioni sarà basata sulla capacità contributiva degli abitanti, il rischio è chiaro: che le regioni con minore evasione fiscale e sommerso sussidino quelle a maggiore evasione e lavoro nero.
Senza considerare la perequazione pure tra province e comuni, che darà luogo a un mercato del bestiame.
Alla fine ne uscirà una struttura raffazzonata e a nulla vale il concetto: “se amministri male, il cittadino potrà mandarti a casa”.
Questo vale già adesso con lo stato centralista, e spesso anche chi amministra male è stato confermato: o perchè ha in mano i media e riesce a convincerti del contrario, o perchè nasconde il debito e lo ripresenta appena finite le elezioni.
Una vera, necessaria riforma in Italia sarebbe invece quella che elimina la corruzione negli enti locali (60 miliardi sottratti ogni anno, secondo la Corte dei Conti), per non parlare degli sprechi.
Ma pare sia una riforma che interessi a nessuno.
Anche se lo Stato si ritroverebbe decine di miliardi da spendere per le vere esigenze dei cittadini, si preferisce continuare ad agitare il vessillo federalista come panacea di ogni male.
Come nei migliori gialli, il colpevole ha sempre bisogno di un alibi.
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