I VICE MELONI SGOMITANO PER UN POSTO AL SOLE
IL CDM “CONCEDE” A TAJANI LA RIORGANIZZAZIONE DELLA FARNESINA, SALVINI SI AGITA PER OTTENERE VISIBILITA’ SENZA GUADAGNARE MAI UN VOTO
La chiave per interpretare ogni cosa, infine, è quella elettorale. Per quante
rassicurazioni di circostanza vengano dispensate, al meeting di Rimini è stata inequivocabile la tensione nel tridente d’attacco del centrodestra. Giorgia Meloni ha voluto ribadire i rapporti di forza: lei statista osannata dalla platea cattolica che espone l’orizzonte di senso politico in cui si muove il governo. Un ruolo da superstar inscalfibile, anche se Matteo Salvini ci ha provato: a girovagare per gli stand lo stesso giorno, quasi a tentare di rubare la scena e tanto da sollevare un piccolo caso diplomatico visto che i due non si sono incrociati nemmeno per una fotografia al volo, accendendo le speculazioni sui rapporti tesi tra i due.
Le colombe dell’una e dell’altra parte hanno minimizzato, parlando poi di una telefonata, eppure non è sfuggito a nessuno quanto il leader della Lega stia lavorando per appropriarsi di uno spazio di manovra maggiore rispetto a quello che il ministero delle Infrastrutture gli consente. Dopo il veto per lui al Viminale, nella scommessa iniziale del governo: Salvini aveva scommesso sul ministero più danaroso grazie al Pnrr, lasciando ad Antonio Tajani il timone degli Esteri. Scommessa sbagliata, vista la centralità dei conflitti internazionali negli ultimi tre anni.
Tanto che – nell’impossibilità di contendere spazio mediatico alla premier – Salvini ha trascorso gli ultimi mesi a fare il controcanto proprio al suo collega vicepremier.
Ultima polemica da lui creata ad arte: quella con il presidente francese Emmanuel Macron, che ha prodotto un richiamo all’Eliseo dell’ambasciatore italiano e costretto Tajani all’ennesima dichiarazione stizzita de: «Di esteri mi occupo io». Sarà difficile però che il richiamo freni Salvini dal proseguire nella sua agenda più di lotta che di governo.
Il consiglio dei ministri
A tentare di restituire un ordine istituzionale è stato il consiglio dei ministri di ieri, il primo dopo il rientro dalla pausa estiva in cui i tre leader si sono incontrati formalmente. Alla conferenza stampa si è presentato in solitaria il ministro Tajani, che ha iniziato spiegando la riforma che renderà il ministero degli Esteri «bicapite, con una testa politica e una testa economica» a partire dal 2026 e ha annunciato anche la nomina come nuovo ambasciatore a Mosca di Stefano Beltrame, nome legato alla Lega come consigliere diplomatico di Salvini prima e attualmente del ministro Giancarlo Giorgetti.
Il vero cuore della conferenza stampa, però, è stato una puntualizzazione sui molti dossier aperti, a partire da quello sull’Ucraina su cui Salvini ha polemizzato con Macron.
Tajani ha ribadito che i soldati italiani non saranno in territorio ucraino se non, a guerra conclusa e «se ci sarà una richiesta specifica», per operazioni di sminamento. ma «siamo in una fase teorica» e «prima bisogna far finire la guerra». Sintesi della nota
di palazzo Chigi: «L’Italia non parteciperà a una eventuale forza multinazionale sul territorio». Poi Tajani si è inserito nel solco della premier, nell’insistere sull’ipotesi italiana di garantire la sicurezza dell’Ucraina «con un modello di mutua assistenza tipo quello dell’articolo 5 della Nato». In mattinata, infatti, si è tenuta una riunione per un punto di situazione sul possibile percorso negoziale a cui hanno preso parte Meloni, i due vicepremier e il ministro della Difesa Guido Crosetto.
Quanto alla situazione in Israele, stigmatizzata da Meloni a Rimini, – «vanno inasprite le sanzioni europee nei confronti dei coloni che aggrediscono i villaggi in Cisgiordania perché questo mina le fondamenta di un nuovo Stato palestinese. Siamo pronti a sanzionare i coloni violenti» ma «vediamo come procede il dibattito».
Evidente il diverso approccio dei due vicepremier: se Salvini punta a differenziarsi dalle posizioni della premier per solleticare l’elettorato più estremo, Tajani invece si mette in scia a Meloni, lavorando in sinergia con Meloni per incassare i dividendi politici della stabilità di governo.
Due strategie opposte, che sono destinate a incrociarsi al tavolo dei leader per decidere i candidati alle regionali. Anche di questo Tajani ha parlato, tra un «no a qualsiasi blitz di tipo fiscale contro banche» che strizza l’occhio alla famiglia Berlusconi e una professione di «difesa del ceto medio».
A chi gli ha chiesto dei candidati ancora mancanti, a partire da quello in Veneto, il vicepremier ha risposto che «c’è tempo» e che i nomi arriveranno. Ma non ha rinunciato alla stoccata a Salvini sulla situazione al nord: «Non è una questione di lottizzazione di partito: troviamo il miglior candidato possibile». Eppure, un incontro ancora non c’è stato e nemmeno è in
programma.
Una sintesi è lontana ma andrà trovata e non solo su questo. Secondo fonti di palazzo Chigi, il perenne controcanto di Salvini – più evidente con Tajani, più nascosto con Meloni – sta infastidendo la premier, soprattutto quando travalica i confini nazionali come è stato nel caso di Macron (con cui Meloni aveva appena finito di ricucire i rapporti dopo la pausa estiva). Del resto, è cosa nota e ripetuta anche a Rimini quanto lei tenga allo standing internazionale suo e del paese e non gradisca giochi tattici che interferiscano in questo campo. Tuttavia, è la convinzione dentro Fratelli d’Italia, i rapporti di forza verranno ancora una volta riequilibrati con i risultati delle regionali.
(da editorialedomani.it)
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