IL CAPODANNO DEGLI ALPINI IN AFGHANISTAN TRA RAZZI E TAGLI DEI NASTRI
IL FINE ANNO NEL BUNKER… LA VERA BATTAGLIA E’ QUELLA PER CONQUISTARE LE MENTI E I CUORI DELLA GENTE
Quando l’altoparlante dà avvio alla litania «rocket attack» solo i giornalisti pensano ad una burla.
I soldati del III° reggimento alpini ululano sarcastici alla volta della tenda che copre la mensa.
Poi, ordinatamente, si dirigono verso i bunker disseminati per la base.
I tavoli su cui mangiavano le squadre che di lì a poco sarebbero uscite per una operazione notturna rimangono ingombri di piatti fumanti.
Nello spazio centrale che avrebbe dovuto ospitare il buffet di fine anno rimangono sospese solo le bandiere delle nazioni presenti in base: Stati Uniti, Italia, Afghanistan. Nella fuga qualcuno ha afferrato uno spicchio di torta, o una lattina di coca cola. Sono le 19 del 31 dicembre 2012 nell’avamposto italiano di Shindand, provincia di Herat, Afghanistan.
LA CONQUISTA DEI CUORI –
Solo poche ore prima il capo della Shura del distretto, Abdul Amid Nur diceva: «Per conquistare la comunità è necessario continuare a lavorare in questa direzione. Ci vogliono scuole, strade, infrastrutture».
Anche l’omonimo governatore della provincia concorda sull’essenziale: «Per qualsiasi necessità dobbiamo far riferimento al nuovo esercito afghano, o alle forze di coalizione».
In mattinata un massiccio convoglio dell’esercito italiano ha varcato la fila di monti che separa la città di Shindand dalla Zeerko Valley, pianoro desertico nel quale l’insorgenza talebana e i trafficanti d’oppio hanno da tempo stabilito una delle maggiori enclavi dell’insorgenza.
Un pozzo costruito con fondi italiani è l’occasione della visita.
Darà acqua potabile alle oltre 500 persone che gravitano intorno al villaggio di Sanowghan. Mentre le autorità tagliano il nastro e i bambini smagriti si azzuffano per qualche biscotto una fila di uomini seduti osserva diffidente fra la polvere e le pozze di ghiaccio.
Un’immagine che riaffiora nell’oscurità del bunker, dove ora qualcuno si lamenta per il fumo delle sigarette, che scorre sul soffitto per spargersi nel terso cielo afghano. Fa freddo.
Qui le temperature durante la notte raggiungono i 15 gradi sotto zero.
Una figura nell’ombra distende le gambe sulla panca della parete opposta, quasi annoiato.
Poi prende a destreggiarsi fra i tasti di un videogioco portatile. Per il III° Reggimento questo è il quinto attacco della missione, cominciata a metà settembre. Mai nessun ferito.
MESSAGGIO
La «transizione» è anche questo, uno stillicidio di razzi e ordigni improvvisati.
Un messaggio per chi parte, la coalizione ISAF, e chi resta, il giovane e fragile esercito afghano.
Un ufficiale di collegamento del governo americano fa sfilare sullo smart phone la sua memoria di guerra. In un filmato del 2005 la base di Kabul è sotto attacco.
Gli americani passeggiano fra le pallottole come se nulla fosse. È la sesta volta che si chiude in un bunker. L’altoparlante proclama «alarm over» dopo un’ora e mezza. Il razzo è arrivato da una zona a circa 3 chilometri di distanza, schiantandosi nel settore nord della base.
Non ci sono feriti nè danni alle strutture.
Le forze di intervento rapido sono uscite per valutare sul terreno l’accaduto.
Sopra la base si alza in volo uno sciame di elicotteri. La mensa si ripopola. Arriva limpido il gracchiare di un karaoke stonato. Suona come una replica scaramantica.
Poi è il momento della lotteria. Si vincono barre di cioccolato, pacchi di dolciumi, piccole casse di ananas in barattolo.
A mezzanotte si balla su melodie leggere e un po’ fuori moda.
I superiori richiamano all’ordine i festeggianti. La mensa riacquista l’ordine di sempre.
Se non fosse per i 52 caduti italiani in Afghanistan quello di Shindand sarebbe quasi un deserto dei tartari.
Luca Foschi
(da “il Corriere della Sera“)
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