IL SOLCO DELLA MERKEL SUL FUTURO DELL’EUROPA: O DI QUA O DI LA’
PER QUESTA FASE OCCORRONO PARTITI CHE CREDONO NELL’EUROPA, NEL MERCATO UNICO E NELL’EURO
Tra pochi giorni, la Germania assumerà la presidenza del semestre europeo. Per Angela Merkel sarà l’occasione di lasciare il segno nella Unione e di passare alla storia come la federatrice, la statista che ha contribuito a rendere l’Europa ancora più unita, imprimendo una svolta storica alla tradizionale posizione della sua Germania sul tema della mutualizzazione delle risorse finanziarie tra i vari Paesi membri.
Una posizione che, soltanto fino a pochi mesi fa, sembrava impossibile. “Nessun Eurobond finchè sarò viva”. Avendo già annunciato il suo ritiro dalla politica il prossimo anno, c’è da credere che, più che alle prossime elezioni, Merkel stia pensando di finire sui libri di storia come la degna erede del suo mentore, Helmut Kohl.
Rafforzamento del mercato unico e, quindi, dell’euro, sono i due pilastri principali sui quali la Ue ha puntato e che proprio Angela Merkel intende rafforzare, realizzando un altro pilastro, quello della solidarietà tra Paesi membri, quello che è stato chiamato “momento Hamilton”, nel momento più delicato che il Vecchio Continente sta affrontando dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.
Affinchè questo progetto si realizzi, però, occorre la piena e convinta collaborazione di tutti: dei cosiddetti paesi “frugali” (Austria, Olanda, Danimarca e Finlandia), e dei paesi “cicala” dall’altra, altrimenti detti del Club Med. I primi sono quelli che (con in testa la Germania) dall’euro hanno solo guadagnato (in termini di competitività relativa), grazie al fatto che la moneta unica, non rivalutandosi, ha permesso loro di ottenere surplus commerciali record, in barba al tetto massimo del 6,0% del Pil fissato dai trattati europei. Gli altri, tra i quali c’è l’Italia, sono quelli che non hanno colto l’opportunità di avere una valuta comune che ha fatto da scudo contro gli attacchi speculativi contro le loro valute deboli, per modernizzare le loro economie e renderle competitive per gareggiare in una economia globalizzata.
Sono anche quelli che hanno storicamente registrato deficit e debiti pubblici elevati, che hanno cominciato a ridurre solo per effetto delle regole europee sulla finanza pubblica. Regole, quelle su deficit e debito, che sono state però applicate in maniera asimmetrica, con più severità quelle su deficit e debito, con tolleranza quelle sul surplus eccessivo.
Dal punto di vista strategico, l’obiettivo della presidenza europea di Angela Merkel sarà quello di convincere i primi a rinunciare alle loro ostinate posizioni contrarie alla concessione di “grants” ai Paesi più in difficoltà , puntando sul fatto che il “recovery” di questi Paesi finisce per andare a vantaggio di tutti, frugali compresi.
Anche della Germania che, è giusto ricordarlo, dal mercato unico e dall’euro ha guadagnato parecchio, a partire dall’unificazione fino all’enorme surplus.
Per l’Italia e i “Paesi Med”, l’obiettivo della Merkel sarà quello di fare in modo che il nostro Paese si assicuri le risorse finanziarie necessarie per uscire dalla crisi economica nella quale è precipitato, attingendo ai quattro pilastri finanziari (Mes, Bei, Sure e Next Generation Fund) messi in campo dalla Commissione Europea.
Le risorse, tuttavia, non saranno affatto un pasto gratis.
Tutti i fondi saranno, infatti, condizionati o ad obblighi di spesa (Mes, Bei e Sure), o alla realizzazione di riforme strutturali.
È il caso del Next Generation EU Fund, il maxi piano da 750 miliardi di euro, suddiviso tra grants e loans, che all’Italia dovrebbe portare in dote circa 170 miliardi lordi. Come dimostra un allegato pubblicato dalla stessa Commissione, per poter aver accesso alle risorse del fondo, l’Italia dovrà presentare a Bruxelles un rigoroso e dettagliato piano di riforme che verrà poi valutato dalla stessa Commissione, secondo criteri ben definiti nei dettagli.
Tra le condizioni richieste e giustamente non negoziabili, vi è quella di attuare tutte le “raccomandazioni Paese” che la Commissione aveva inviato al Governo italiano nel 2019. Si tratta, per farla breve, della lista delle riforme strutturali che il nostro Paese è sempre stato incapace di realizzare: taglio della spesa pubblica inefficiente e improduttiva, privatizzazioni, liberalizzazioni, riforma del mercato del lavoro, della giustizia, del sistema bancario, riforma della pubblica amministrazione, digitalizzazione.
Ecco, condizione necessaria per avere le risorse del Next Generation Fund è quella di fare tutte queste riforme. Una condizionalità molto forte, molto superiore a quella che impone la linea speciale del Mes per le spese sanitarie dirette ed indirette.
Merkel vuole anche accelerare sui tempi: a luglio il piano dovrà essere approvato definitivamente. Per il Governo Conte, ciò significa avere soltanto poche settimane di tempo per rispondere sì o no al piano, con tutte le condizioni che impone. Prendere o lasciare. Altro che, come vorrebbe il presidente Conte, aspettare settembre.
È il momento della verità per tutti: per Conte, il suo Governo, il Movimento Cinque Stelle, il centrodestra. O di qua o di là . Chi sta con l’Europa e la modernizzazione che essa richiede e chi, invece, vuole fare da solo, tornando al passato.
Una grande occasione per il nostro Paese, anche di chiarezza politica. Non più tra destra e sinistra. Perchè chi si pone fuori da questo nuovo paradigma europeo, si pone fuori dall’Europa, dalle sue risorse per il Recovery, dal Quantitative Easing della Bce, in definitiva dalla modernità strategica, delle future politiche economiche e di investimento. Perchè chi è contro la scelta europea vuole rimanere ancorato ad un passato fatto di assistenzialismo, evasione fiscale, patti sociali perversi, con uno Stato inefficiente e iniquo, chiamando tutto questo “sovranità ”.
Ecco, questo è il discrimine, o di qua o di là .
(da “Huffingtonpost”)
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