INTERVISTA A CARLO COTTARELLI: “SBAGLIATA LA SCELTA DI GONFIARE LA SPESA CON LA MANOVRA, OCCORRE RIGORE”
“NON ERA IL CASO DI IMPOSTARE UNA LEGGE DI BILANCIO IN DEFICIT, NON SIAMO CREDIBILI IN EUROPA”
«Purtroppo è una delusione. Certo, non ha sbancato i conti ma non era il caso di impostare una manovra in deficit, oltretutto in un momento in cui bisogna dimostrare all’Europa di saper essere rigorosi».
Carlo Cottarelli, economista attento e obiettivo, analizza la Nadef e trae un giudizio negativo «con una parziale attenuante: il calo del Pil per quest’anno dall’1 allo 0,8%. Peraltro, non sono sicuro che si riesca a rispettare la previsione dell’1,2% nel 2024».
Il calo del Pil basta a giustificare l’esplosione del deficit?
«Il governo ha dovuto “gonfiare” il deficit per mantenere almeno qualche promessa come il taglio del cuneo. Ne risulta però aggravata la posizione relativa del Paese nel momento in cui è ultimo in Europa come spread e costo del debito. Sarebbe stato meglio iniziare a tempo dovuto un’attenta revisione della spesa, che avrebbe reso meno affannosa la rincorsa a caricare il disavanzo e un domani il debito, che per ora scende solo per l’inflazione. Una spending review triennale avrebbe cominciato già a dare frutti. Rispetto agli anni in cui ero commissario, esistono ancora sacche di improduttività da cui ricavare cifre superiori ai 300 milioni annunciati».
Pesante come un macigno, è decisiva la questione del superbonus?
«Due giorni fa Eurostat ha confermato per il 2023 la decisione presa all’inizio dell’anno: i debiti dei bonus vanno contabilizzati nell’anno di inizio dei lavori anziché spalmati lungo il periodo di ammortamento. Questo ha lavorato a nostro favore, consentendoci di alleggerire i deficit futuri appesantendo i bilanci ‘21 e ‘22. Anche il 2023 ha subito un pesante carico: ma per essere coerenti con gli obiettivi fissati da Draghi, rispondendo ai criteri di equità e rigore proclamati dal governo, si doveva stare entro il 3,7% anziché sforare tanto. Per l’anno prossimo c’era la possibilità di ridurre drasticamente il disavanzo, che invece è stato fissato ben sopra i limiti europei. I mercati fiutano l’aria di tensione e lo spread è in crescita».
Come finirà la partita del Patto di stabilità?
«Non ci presentiamo con le migliori credenziali. Sbaglia però chi dipinge un derby fra la posizione rigorista della Germania e quella flessibile della Commissione, una trattativa one-on-one per definire percorsi di rientro specifici per ogni Paese. Anche la Germania è pronta a un negoziato e si rende conto che non ha senso tornare all’antico dei numeri fissi e irrevocabili. Chiede solo che il negoziato per personalizzare il trattamento sia condotto entro certi binari, non una trattativa in libertà. Posizione ragionevole, a meno che i paletti siano troppo rigorosi».
C’è poi la discussione parallela sulle spese “deducibili”…
«Deve entrare nelle trattative. Piuttosto che avere un’esclusione di alcune spese direi che dev’essere tenuta in considerazione la qualità della spesa stessa per valutare il sentiero di riduzione del debito, sempre con precisi paletti. Se no si rischia di perdersi in una discussione su quali spese dedurre: serve una cornice entro cui muoversi».
Il Mes è un’arma negoziale?
«Non mi sembra opportuno impostare un do ut des di questo tipo. Sarebbe poi un’arma spuntata: la Germania non ha bisogno del Mes, una carta che avrebbe poco valore».
Si è parlato dell’ennesimo condono fiscale: che dobbiamo pensare
«Che andrebbe rivisto l’articolo 1 della Costituzione: l’Italia è una repubblica fondata non sul lavoro ma sui condoni. Sono trent’anni che combatto contro questo vizio malsano e forìero di evasione. Ma un po’ tutti i governi, con la sola eccezione a mia memoria dell’esecutivo Gentiloni, hanno fatto ampio ricorso ai condoni, chiamati nei modi più vari: scudo, sanatoria, pace fiscale».
(da agenzie)
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