INTERVISTA A DON LUCA FAVARIN: “TOLGO GLI ULTIMI DALLA STRADA MA LA DIOCESI CACCIA ME E SALVA I PRETI CHE SNIFFANO E VANNO A PROSTITUTE”
IL SACERDOTE SOSPESO A DIVINIS: “IL VESCOVO VOLEVA METTERE LE MANI NEI NOSTRI BILANCI CHE SONO TRASPARENTI. ED E’ A DISAGIO QUANDO PARLO DI FINE VITA E DIRITTI LGBT”
Dopo più di 20 anni nell’accoglienza dei migranti, don Luca Favarin, il prete degli ultimi, capelli lunghi e sciarpa arcobaleno sempre al collo, è stato sospeso “a divinis” dalla Diocesi di Padova.
Significa che non potrà più celebrare messa, battezzare, confessare, sposare. Lui se ne va sbattendo la porta, dopo un confronto duro con il vescovo Claudio Cipolla, che non condivide la modalità di quel sistema di accoglienza.
Don Favarin ha aperto bar, tavole calde, mense, ristoranti, addirittura un villaggio per minori non accompagnati. Le sue idee hanno incontrato il favore dell’imprenditoria padovana e questo ha generato, negli anni, una realtà che si sostiene e funziona. Una realtà che produce utili. Ma la Diocesi padovana non transige: “Non possiamo essere coinvolti nelle sue attività a carattere imprenditoriale”. E quindi addio, ognuno per la propria strada.
Luca Favarin, qual è il motivo di questa frattura con la Diocesi di Padova?
“La Chiesa mi contesta sul piano metodologico: è il modo in cui si lavora con i poveri che non va. Noi pensiamo che i poveri non siano sono solo destinatari di attenzione e carità, ma sono anche artefici di qualità, con percorsi di autonomia. Per noi i migranti devono essere protagonisti dell’accoglienza”.
Ed è così diversa dall’accoglienza organizzata dalla Diocesi?
“Noi non possiamo aspettare l’elemosina della gente. La nostra attività deve essere solida, solo così si sostiene. Con cosa pago gli operatori? Con le Ave o Maria? Con cosa do da mangiare ai ragazzi? I nostri dipendenti sono tutti pagati con contratti nazionali, è tutto trasparente. È un’attività imprenditoriale? Sì, è un’attività imprenditoriale. Non è la sacrestia, ma credo sia comunque il cortile della chiesa”.
Generalmente la Chiesa tende a inglobare attività come la sua. Come mai stavolta è successo il contrario?
“Non c’è mai stato un confronto sul merito ma solo sulla parte economica. Loro volevano mettere mano sui nostri bilanci che sono trasparenti: li abbiamo affidati a Confcooperative proprio per non avere problemi con la gestione del denaro”.
Quante cooperative avete e con quale volume d’affari?
“Abbiamo Percorso Vita, Percorso Altro e Percorso Terra: il volume d’affari è di circa 1 milione e 700 mila euro l’anno. I soldi vengono reinvestiti nell’attività: non ci sono consulenti da pagare o gettoni di presenza, e nemmeno compensi per consiglieri del cda”.
Chi la paga?
“Ogni Comune che affida a noi un minore paga una retta. Ogni anno togliamo dalla strada 160 ragazzi. Arrivano che sono criminali, analfabeti, abusati. Noi lavoriamo con l’inserimento scolastico e poi lavorativo. Abbiamo aziende amiche che li assumono, che li testano. Alla fine del percorso vengono inseriti in società con un loro lavoro e una casa”.
Non pensa che la Diocesi sia a disagio per il fatto che lei lavora con imprenditori di sinistra?
“Certo, lavoro con imprenditori di sinistra e questo li mette a disagio. Come li mette a disagio quando parlo dei diritti della comunità Lgbt o del fine vita. Ma come posso essere testimone dell’inclusione e poi avere atteggiamenti escludenti?”.
Ha mai avuto modo di far vedere ai responsabili della Diocesi come lavorate?
“Il vescovo Claudio Cipolla non è mai venuto qua a vedere i minori che noi togliamo dalla strada. Non si è mai sporcato le scarpe. Abbiamo professionisti che lavorano giorno e notte: psicologi, educatori, perfino criminologi”.
Come mai ha deciso di fare il primo passo per l’uscita dallo stato clericale?
“Ormai mi avevano estromesso da tutto: dicevo solo una messa a settimana, la domenica. Altri preti sniffavano e andavano a puttane, e nei loro confronti hanno avuto molto più riguardo. Io faccio accoglienza e per questo sono stato allontanato. Mi sono stancato di sopportare.”.
Secondo lei papa Francesco è d’accordo con la linea intransigente della Diocesi di Padova?
“Mi dicono di andare a parlare con il Papa ma io non lo farò mai. Sono un pacifista. Non faccio la guerra, nemmeno al vescovo che mi vuole cacciare”.
(da La Repubblica)
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