JOBS ACT, INTESA PD: L’ART.18 CAMBIA ANCORA, RENZI CEDE ALLA MINORANZA
TORNA IL REINTEGRO PER I LICENZIAMENTI DISCIPLINARI
Nessun voto di fiducia, modifiche in commissione e l’articolo 18 che cambia di nuovo con il diritto al reintegro che torna anche per i licenziamenti ingiustificati di natura disciplinare.
Il nuovo colpo di scena per la riforma del lavoro è arrivato dopo una riunione del Pd alla quale hanno partecipato tra gli altri il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, il responsabile economia del partito Filippo Taddei e il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio Cesare Damiano.
“Abbiamo deciso di fare modifiche rilevanti — dice Speranza — Non ci sarà la fiducia sul testo uscito dal Senato ma ci sarà un lavoro in commissione. Si riprenderà l’ordine del giorno approvato in direzione. Sono molto soddisfatto. Il Parlamento non è un passacarte e abbiamo dimostrato che incide”.
Torna dunque il diritto al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, come prevedeva l’ordine del giorno della direzione del Pd sul Jobs act.
Una questione alla quale governo e Pd tengono molto perchè slittano i tempi dell’esame in commissione Bilancio della legge di stabilità .
Le operazioni di voto dovrebbero iniziare a metà della prossima settimana, mercoledì o giovedì della prossima settimana.
Ma ora si apre un problema politico nel governo: “se il testo è quello descritto dalle agenzie non è accettabile. Ribadisco urgente riunione di maggioranza. Altrimenti si rompe coalizione”dice il capogruppo del Nuovo Centrodestra al Senato Maurizio Sacconi.
Il fatto che sia stata un’operazione che ha coinvolto anche i vertici del Pd è dimostrato dall’intervento del vicesegretario Lorenzo Guerini: chi voleva “aprire fronti nel Pd — afferma — ha avuto una buona risposta. Il partito dentro la sua espressione della commissione Lavoro ha saputo svolgere un lavoro serio, un confronto di merito” andando a “un punto condiviso che responsabilmente impegna tutti”.
Guerini tuttavia non esclude il voto di fiducia in Aula.
Il presidente Matteo Orfini parla di “accordo larghissimo” il cui “punto politico è l’articolo 18″.
Nella delega sarà recepito il testo della direzione Pd sul reintegro su alcuni tipi di licenziamenti, il cui elenco arriverà coi decreti delegati.
“Escono sconfitti gli oltranzisti di destra e di sinistra — dice il deputato bersaniano Danilo Leva — che non credevano nel confronto di merito sulla questione. Abbiamo dimostrato, ancora una volta, che il Parlamento non può avere un ruolo secondario e che le ideologizzazioni non fanno bene al Partito Democratico”.
Per il renziano Andrea Marcucci “l’accordo raggiunto alla Camera sul jobs act è in linea con le dichiarazioni fatte dal ministro Poletti in Senato. Nessun cambiamento sostanziale ma semplicemente il rispetto integrale del testo approvato dalla direzione Pd”.
Ma la mediazione provoca naturalmente già qualche malumore all’interno della maggioranza di governo.
Il punto delicato ancora una volta è l’articolo 18: “Vogliamo — prosegue Sacconi — che diventi possibile licenziare un assenteista o un ladro, in modo che l’imprenditore abbia finalmente il pieno governo dell’efficienza dell’impresa. Vogliamo che la disciplina sia semplice e certa in modo da non dare spazio alla giustizia creativa e ideologizzata”.
La conclusione è significativa perchè fa pesare ancora una volta il peso dell’Ncd nella maggioranza: “Ricordo al Presidente del Consiglio che egli stesso, quando nei giorni scorsi mi sono dimesso per un incidente nella Commissione giustizia del Senato, ha condiviso non debbano essere consentite maggioranze spurie”.
La capogruppo alla Camera Nunzia De Girolamo la spiega meglio: “Il Parlamento non è il luogo della ratifica degli accordi nel Pd”.
Ma il ministro Maria Elena Boschi, al termine della Conferenza dei capigruppo di Montecitorio, taglia corto sulle richieste degli alfaniani: “Stiamo discutendo con tutti i partner della maggioranza. Non sono necessari vertici, è sufficiente il lavoro parlamentare”.
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