LA FORZA DEI MIGRANTI: L’11% DEL LAVORO E PRODUCONO IL 9% DEL PIL ITALIANO
FORZA LAVORO MAGGIORE CHE IN GERMANIA MA PAGANO IL PREZZO DELLA CRISI
Sono 2,7 milioni. Valgono 123 miliardi di Pil. Producono il 9% della ricchezza italiana. E rappresentano quasi l’11% della forza lavoro in Italia.
Si chiamano Mohammed, Vasile, Hanaa, Dimitru, Ioana. Nomi che oggi suonano familiari, col loro carico di storia, tradizioni e significati antichi.
Per vivere si logorano nei cantieri, si sfiancano nelle fabbriche, si affaticano nei negozi, si consumano nelle campagne.
Ma, soprattutto, lavorano – tanto – dentro le nostre case e accanto alle nostre famiglie: badanti, assistenti e collaboratori domestici. Sono i lavoratori stranieri dichiarati (regolari, s’intende) che rappresentano oltre la metà dei 5 milioni di immigrati attualmente residenti in Italia.
Ben 190 le differenti nazionalità presenti e spalmate lungo tutto il territorio.E mentre in queste settimane in Europa si cerca un’intesa sul piano di ricollocamento d’emergenza per 120mila profughi (da cui Gran Bretagna, Danimarca e buona parte dei Paesi dell’Est hanno deciso di restare fuori), l’esodo, con tanto di record di arrivi via mare, non si arresta.
Dimensioni di un fenomeno su cui gli economisti non hanno dubbi: troppo grandi – lo ha spiegato Maurizio Ricci su Repubblica – per liquidarle con gli aneddoti sui due ragazzi di colore fermi a non far niente sul marciapiede o sulla famiglia araba che abita nell’alloggio di edilizia popolare.
A dispetto della propaganda di alcune parti politiche, infatti, l’immigrazione conviene. Perchè chi arriva qui produce. E paga le tasse.
Nel Bel Paese, ad esempio, senza il contributo degli stranieri, il governo sarebbe a caccia di 7 miliardi per coprire la Finanziaria. Secondo i calcoli, per salvare le pensioni degli europei occorrono 250 milioni di rifugiati entro il 2060.
Da tempo, però, in Italia l’immigrazione è vissuta come “emergenza” e ancora poco si guarda al “giorno dopo”, a quello che accade quando i cittadini stranieri si inseriscono nel tessuto sociale locale. La sfida vera.
Attraverso i numeri è possibile monitorare l’andamento dell’integrazione lavorativa e scolastica degli stranieri giunti in Italia. Cifre alla mano, ecco qual è la situazione a oggi (fonti: Istat, Eurostat, Ocse, ministero del Lavoro, Miur).
Quanti sono.
La presenza straniera nel nostro Paese è costantemente in crescita.
Secondo i dati elaborati da Openpolis per Repubblica. it, dal 2002 in avanti la percentuale di stranieri residenti in Italia è quadruplicata, passando dal 2,4% all’8,1% del 2014.
La loro distribuzione territoriale, però, non è omogenea: la Sardegna ha un 2,5% di popolazione straniera residente mentre l’Emilia-Romagna raggiunge quota 12 per cento. In totale, tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, i residenti non italiani sfondano la soglia dei 5 milioni.
Nonostante la comunità più numerosa venga da un Paese europeo (oltre un milione i rumeni residenti in Italia), sono i cittadini non comunitari a rappresentare la sfida più grande: 3,9 milioni di cittadini extra Ue regolarmente soggiornanti in Italia con permesso di soggiorno, per lo più di lungo periodo (56,25 per cento).
Nel dettaglio, lo scorso anno in Italia la comunità rumena ha superato per la prima volta il milione di persone ed è di gran lunga la più numerosa sul nostro territorio: si tratta del 21,97% della popolazione straniera.
Molto più distanti le altre nazionalità , con i cittadini albanesi e marocchini – al secondo e terzo posto quanto a presenza – che non raggiungono neanche quota 500mila.
Quanto a distribuzione geografica, le differenze in Italia sono tante.
Se in 6 regioni oltre il 10% dei residenti è straniero, in alcune – come Basilicata, Puglia e Sardegna – hanno raggiunto solo negli ultimi anni la quota del 2 per cento: una fetta che l’Italia intera raggiungeva nel 2002.
A guidare la classifica c’è l’Emilia-Romagna con 12 residenti su 100 che sono stranieri, seguita da Lombardia (11,3) e Umbria (11,1).
Numeri più bassi per le regioni del sud, con percentuali che raggiungono al massimo, come nel caso della Calabria, il 4% di residenti stranieri: la metà della media nazionale.
Forza lavoro.
Nel 2014 in Italia la percentuale di forza lavoro straniera (regolare) ha sfiorato l’11% (10,8), ben oltre la media Ue (7,07%), e davanti alle altre potenze del Vecchio Continente: Regno Unito (9,7%), Germania (9,3%) e Francia (5,30 per cento).
In soli 10 anni la percentuale di lavoratori non italiani sul totale della forza lavoro è più che raddoppiata, con un dato iniziale nel 2004 che superava di poco il 4 per cento. Secondo i calcoli della Fondazione Leone Moressa, oggi i migranti valgono circa 123 miliardi di Pil e producono il 9% della ricchezza italiana.
Per quel che riguarda la distribuzione, sono molte le differenze a livello regionale, con una percentuale media che passa dal 5,3% del Mezzogiorno al 13% di Nord-Est e Centro.
Evidente anche la maggiore concentrazione in settori specifici.
La forza lavora straniera aumenta nell’agricoltura e nelle costruzioni, raggiungendo rispettivamente il 14,20% e il 16,67 per cento.
Storicamente il tasso di occupazione dei lavoratori stranieri extra-Ue è sempre stato superiore a quello degli italiani. Un divario che nel 2006 era di oltre 7 punti percentuali (58% degli italiani contro il quasi 66% degli stranieri), ma che lentamente si è assottigliato.
Ma come si spiega il gap attuale che è di soli 1,9 punti percentuali?
Le cause principali vanno cercate nella crisi economica, che ha particolarmente danneggiato gli stranieri, e nel cambiamento demografico: mentre la prima generazione era composta quasi solo da lavoratori, la seconda comprende anche studenti
E ancora: il tasso di occupazione dei cittadini non comunitari residenti in Italia (57,6%) è in linea con la media europea (57%).
Ma se oggi i dati rispecchiano quella che è la tendenza generale, va sottolineato come gli stranieri residenti in Italia abbiano sofferto più che altrove la crisi economica. Dal 2006 il tasso di occupazione dei nati extra Ue-28 è diminuito del 13% in Italia, e ” solo” dell’8% nel resto del continente.
Quanto guadagnano.
Un elemento che emerge con prepotenza è quello remunerativo.
L’80% dei dirigenti italiani guadagna più di 2mila euro al mese contro il 58% dei pari livello di origine extra europea.
A parità di lavoro non c’è quindi parità di compenso.
E ancora, se l’8,3% degli occupati italiani guadagna più di 2mila euro al mese, la percentuale scende ad appena lo 0,6% per i lavoratori extra-Ue.
Più nel dettaglio: l’80,8% dei cittadini extra-Ue guadagna un massimo di 1.200 euro al mese, quasi il doppio rispetto agli italiani (43,8%).
E mentre il 55,2% degli italiani guadagna oltre 1.200 euro, la percentuale scende al 19,2% per i cittadini extra-Ue.
Quali occupazioni.
Italiani e stranieri svolgono lavori molto diversi. Il 31,3% dei residenti extra-Ue si occupa di servizi collettivi e alle persone (è l’ambito principale) mentre solo il 5,2% degli italiani è impiegato in questo settore.
Al contrario, se il 16% degli italiani lavora nel settore ‘istruzione, sanità e servizi sociali’, soltanto il 3,7% dei residenti extra-Ue è impiegato in tale comparto.
Cifre molte vicine invece per l’industria, che dà lavoro al 20% degli italiani e al 19% dei cittadini extra-Ue.
E’ immigrata, lo si diceva, la maggior parte dei lavoratori domestici: si avvicinano a quota 600mila, sono colf, badanti o baby sitter e superano gli italiani che in questo settore lavorano in poco più di 200mila (dunque meno della metà ).
Fra i primi dieci settori in cui sono occupati gli immigrati, seguono la ristorazione, il commercio al dettaglio, le attività di costruzione e quelle agricole.
Nelle costruzioni la presenza dei lavoratori immigrati è strutturale e storica, soprattutto nel comparto dell’edilizia è straniero il 16,7% dell’intera forza lavoro: sono in tutto quasi 250mila lavoratori (50mila in meno del dato pre-crisi).
Scolarizzazione.
La presenza di una seconda generazione di immigrati impone uno sguardo attento sui dati legati all’istruzione. Al pari della forza lavoro, anche la percentuale di alunni stranieri iscritti alle scuole italiane risulta in costante crescita. Si è passati dal 4,8% dell’anno scolastico 2005-2006, al 9% del 2013-2014.
Numeri che contengono anche un altro elemento di novità . Nell’anno scolastico 2013-2014 è risultato nato in Italia il 51,72% degli oltre 802mila alunni stranieri iscritti agli istituti italiani.
E dunque, per la prima volta nella storia del nostro Paese, gli studenti stranieri nati in Italia hanno superato quelli nati all’estero.
Tuttavia, se anche crescono le percentuali, è vero che permangono le differenze con i colleghi italiani per quel che riguarda percorso e risultati.
L’11% degli alunni italiani è in ritardo sull’iter scolastico. Tale percentuale, però, è tre volte più alta per gli stranieri (36 per cento).
Il tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione è del 13% per gli italiani e del 34% per gli alunni extra-Ue.
Numeri, questi, che si riferiscono agli studenti iscritti alle scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado. Ma anche all’università le cose non vanno meglio.
L’Italia è il paese europeo con la percentuale più bassa di stranieri laureati (12,4%), in confronto a una media europea del 32,3%.
Inoltre la durata media del primo lavoro superiore a tre mesi per i figli di immigrati in Italia è la più breve fra i paesi Ocse: 11 mesi nel Bel Paese mentre in Francia, Germania e Regno Unito si raggiungono rispettivamente 18, 25 e 32 mesi
Giovani che non studiano e non lavorano.
Sono considerati Neet coloro che – di età compresa fra i 15 e i 24 anni – non sono iscritti a scuola nè all’università , non lavorano e non seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale.
Con la crisi, in Italia, la percentuale di Neet fra i 15 e i 24 anni è aumentata notevolmente, passando dal 16,8% del 2006 al 22,1% del 2014. Scorporando il dato, fra italiani e stranieri emergono notevoli differenze.
Nell’ultimo anno di rilevazione, infatti, i Neet italiani erano il 21,2%, gli stranieri il 31,3%.
Uno scarto di circa 10 punti percentuali che è rimasto invariato rispetto al 2006: italiani 16,30% e stranieri 26,50 per cento.
Michela Scacchioli
(da “La Repubblica”)
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