LA GIORNATA DA VASO DI COCCIO DI DON ABBONDIO TRIA
STRETTO FRA LA STRONCATURA UE E L’ARROGANZA DI SALVINI E DI MAIO…CON UN DEF ANCORA DA SCRIVERE E LA PROPOSTA DI NUOVE CLAUSOLE
Sull’aereo che in tarda serata lo riporta con urgenza a Roma dopo la riunione dell’Eurogruppo a Lussemburgo, il ministro dell’Economia Giovanni Tria porta con sè il biglietto e un bagaglio.
È l’eredità , gravosa, di una giornata sotto pressione. Una giornata da vaso di coccio tra tensioni che hanno attraversato tre piani differenti: l’Europa – che ha stroncato la decisione di portare il deficit al 2,4% – i mercati, con lo spread schizzato a 282 punti, e le rivendicazioni di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che non mollano la presa sull’impianto della manovra per incassare il superamento della Fornero e il reddito di cittadinanza.
E lui, il ministro che un mese fa aveva promesso ai suoi colleghi di tenere i conti sotto controllo, punto di caduta di una fibrillazione crescente e con la preoccupazione di una Nota di aggiornamento tutta da scrivere perchè, ad oggi, ancora piena di spazi bianchi.
Un biglietto e un bagaglio si diceva.
Sul biglietto, Tria ha impresso la difesa della linea del 2,4 per cento. “Il deficit al 2,4% – ha detto al termine dell’Eurogruppo – è un numero che non corrisponde esattamente ad alcune regole europee ma fa parte della normale dinamica europea: è sempre accaduto a molti Paesi nel corso degli ultimi decenni, se andiamo a vedere il numero di Paesi che sono in regola con tutte le regole europee sono pochissimi”.
Il bagaglio ha invece una targhetta e la voce “destinatario” recita Salvini e Di Maio. Per Tria toccherà a loro – è il ragionamento ricostruito da alcune fonti di governo – lavorare a testa bassa per trovare la corrispondenza tra le misure pretese e i saldi della Nota di aggiornamento al Def.
Tria è arrivato a Lussemburgo con un bagaglio altrettanto pesante. Dentro c’era la forzatura del deficit imposta dai due vicepremier e una Nota di aggiornamento al Def di fatto senza numeri. Non solo.
I minuti che hanno accompagnato la sua entrata alla riunione dell’Eurogruppo sono stati gli stessi minuti che hanno registrato una scossa pesantissima sui mercati, con Piazza Affari in affanno e lo spread in rampa di lancio per sfondare quota 280, chiudendo poi a 282.
È metà pomeriggio ed è il momento più drammatico e debole di una giornata che si prospetta ancora lunga.
È qui che matura la decisione di rientrare prima in Italia, annullando la partecipazione all’Ecofin di domani: il lavoro da fare sul Def è ancora in alto mare, le opposizioni insorgono, gli investitori mostrano tutto il loro nervosismo per l’incertezza sui dettagli della manovra.
Lo spread a due anni sale di circa 30 punti. Meglio ritornare in Italia e provare a mettere i numeri in fila. Dall’Italia, inoltre, Di Maio e Salvini rilasciano dichiarazioni continue per ribadire che il 2,4% non si tocca.
Prima – ed è il cuore della sua missione – c’è però da spiegare all’Europa perchè un mese fa si era impegnato a portare il deficit al massimo all’1,6% e ora si vuole salire fino al 2,4%, tra l’altro per tre anni.
A margine dell’Eurogruppo, Tria incontra i due guardiani dei conti, il commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici e il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis.
Dopo lo strappo che si è consumato con la Nota di aggiornamento al Def, Tria ha dovuto costruire una motivazione che potesse reggere, quantomeno nelle intenzioni. L’ha spiegata ieri in un’intervista al Sole 24 ore con questo ragionamento e l’ha ribadita oggi: “La crescita tendenziale, a legislazione vigente, per l’anno prossimo sarebbe dello 0,9%, contro l’1,4% previsto prima. Questo porta il disavanzo 2019, sempre in termini tendenziali, all’1,2%. Questo deficit includeva un aumento dell’Iva da 12,5 miliardi, che il governo ha ribadito fin dall’inizio di voler bloccare. In altri termini già per 2019 l’eredità effettiva lasciata, nelle nuove condizioni economiche, era di un deficit già sostanzialmente vicino al 2 per cento”.
E considerando che lo 0,2% del Pil sarà riservato, nelle intenzioni del governo, agli investimenti, ecco che lo sforzo aggiuntivo chiesto all’Europa si riduce ad appena lo 0,2%, circa 3,5 miliardi.
A questo ragionamento, Tria ha aggiunto quello sulla crescita: se il meccanismo pensato dal governo non porterà a un rafforzamento del Pil allora entrerà in azione il piano di riserva, cioè contenere il rialzo del deficit con la revisione della spesa.
In altre parole con i tagli.
È il tentativo di normalizzare quello che va oltre le regole, cioè il 2,4%. Tria ha sulle spalle il peso del mediatore che deve difendere gli interessi nazionali.
Ma sul volo per Roma è il momento di tirare fuori il bagaglio.
È ingombrante e il peso è quello di una difficoltà che domani sarà ancora in scena dentro le stanze del governo.
(da “Huffingtonpost”)
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