LA PADANIA HA CHIUSO, MA E’ COSTATA 61 MILIONI ALLO STATO ITALIANO PER INSULTARE IL TRICOLORE
PER 17 ANNI IL QUOTIDIANO DELLA LEGA HA INCASSATO I FONDI RISERVATI AGLI ORGANI DEI PARTITI: 300.000 EURO AL MESE A UN GIORNALE “STRANIERO” CHE INNEGGIAVA ALLA SECESSIONE
Ha chiuso i battenti per problemi finanziari lo scorso novembre.
Eppure in 17 anni, da quando è stata mandata in edicola dalla Editoriale Nord scarl per volontà dell’allora padre padrone della Lega Umberto Bossi.
“La Padania”, organo politico del Carroccio, ha incassato dallo Stato italiano oltre 60 milioni di euro.
Niente male per un giornale che sotto la testata, tra i tanti motti che ha portato stampati, ne ha avuto uno che recitava “La Voce del Nord”. Voce del Nord, ma con i soldi di “Roma ladrona”.
Soldi erogati ogni anno, a partire dal 1997, in base alla legge sul finanziamento pubblico dei giornali organi di forze politiche e commisurati alle tirature e ai costi dichiarati.
E con puntualità svizzera versati dal dipartimento per l’Editoria della presidenza del Consiglio dei ministri.
Che, comprendendo gli ultimi dati disponibili per il 2013, risulta avere per la precisione versato al quotidiano leghista la bellezza di 61 milioni 226 mila 442 euro.
Come dire, 3 milioni 600 mila euro all’anno, cioè 300 mila euro al mese, 10 mila euro al giorno.
Performance davvero ragguardevole quella del quotidiano leghista, la cui tiratura media ufficiale nel periodo d’oro del leghismo si aggirava intorno alla 60mila copie.
Quanto alle vendite, difficile fare cifre precise, anche per le incertezze che hanno sempre avvolto i dati reali di tutti gli organi di partito.
Correva l’anno 1997 quando, l’8 gennaio, la “Padania” sbarcò nelle edicole sotto la direzione di Gianluca Marchi e, con titoli in prima pagina che erano già tutto un programma (“Ministeri a delinquere”), cominciò a gettare le premesse per il primo, ricco contributo pubblico: 3 milioni 398 mila euro.
Da allora, guidata da direttori come Giuseppe Baiocchi, Gigi Moncalvo, Gianluigi Paragone e Aurora Lussana, il giornale ha puntualmente incassato contributi che, nell’arco di un decennio e fino al 2007, hanno superato anche i 4 milioni di euro l’anno. Un bottino ricchissimo che ha consentito al giornale di seguire e sostenere l’intera parabola della politica leghista.
Chi non ricorda i tempi in cui sparava bordate contro Berlusconi accusandolo, senza mezzi termini, di essere mafioso?
Salvo poi tornare ad incensarlo quando Lega e Forza Italia decisero di tornare insieme al governo.
E come dimenticare le campagne condotte all’insegna di titoli come “La favola di Finocchio”, dedicato alla svolta del premier spagnolo Zapatero sulle unioni omosessuali; oppure “Crolla Prodi Hussein”, con tanto di immagine in stile statua del rais, per salutare la caduta del governo ulivista?
Per non parlare dei più prosaici e non meno inquietanti “Il Nord s’incazza” o “Facciamo presepi, non moschee”, pensati allo scopo di segnare il territorio contro l’arrivo degli immigrati.
Solo che i tempi delle vacche grasse elettorali hanno cominciato a sbiadire.
E insieme al declino politico si sono assottigliati anche i contributi pubblici, passati dai 3 milioni 900 mila euro del 2008 al milione 300 mila del 2013.
E i bilanci hanno cominciato presto a risentirne con perdite annuali di svariati milioni. Fino alla crisi finale dello scorso anno quando, stretta tra la scarsa redditività aziendale, gli scandali legati alla gestione economica del partito e il progressivo prosciugamento dei finanziamenti pubblici, anche “La Padania” ha chiuso i battenti.
Accorato il requiem intonato dal segretario del Carroccio Matteo Salvini: “La Lega è al risparmio su tutto e quindi non ha rinnovato il proprio contributo all’editoriale”, ha spiegato: “Ma in questo caso si tratta anche dell’ennesimo bavaglio calato dal governo Renzi che riduce i contributi per l’editoria che esistevano da anni”.
Vero, forse troppi anni.
Primo Di Nicola e Francesco Giurato
(da “il Fatto Quotidiano”)
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