LA STAMPA NEL MIRINO: IL MODELLO SOVRANISTA CHE PIACE ALLA MELONI IN VISTA DELLE EUROPEE
NEL MIRINO LE TESTATE CHE DI PERMETTONO DI CRITICARLA
I giornalisti sgraditi come bersaglio. Modello Trump, che peraltro pare tornato in auge dall’altro lato dell’Oceano. Messaggi veicolati solo tramite social e televisioni (controllate, come la Rai, o certo non ostili, come il grosso dei talk di Rete4). A tutta disintermediazione, cioè parlando direttamente col suo “popolo”, senza passare per il vaglio della stampa. Tranne nelle occasioni obbligate, come la conferenza di fine anno. A Palazzo Chigi prende corpo la strategia della premier in vista delle Europee. Repubblica, attaccata frontalmente l’altro ieri in tv, è solo l’ultimo obiettivo. Il bersaglio grosso.
La strategia è stata messa a punto dal consigliere più ascoltato da Meloni. Giovanbattista Fazzolari, senatore, sottosegretario per l’Attuazione del programma e, sul finire dell’estate scorsa, promosso a coordinatore della comunicazione del governo e di FdI. È lui, il suggeritore che segue Meloni come un’ombra dai tempi in cui era solo la capa della giovanile di An, che da qualche mese autorizza o meno tutte le interviste o persino, ultimamente, le dichiarazioni dei peones alle testate che potrebbero strappare agli interessati battute non simmetriche con la posizione orchestrata a via della Scrofa. Naturalmente questa impostazione non tocca i giornali del gruppo Angelucci – Il Giornale, Libero, Il Tempo – che spesso fanno da megafono alle campagne della premier. A tutti i parlamentari, come per i berluscones del tempo che fu, all’inizio della giornata arriva un mattinale, che detta la linea. Si chiama “Ore 11”. E lo verga lui, Fazzolari. Segue il brogliaccio serale: “Ore 20”.
Sarebbe un errore considerare le sortite di Meloni contro la stampa come voci dal sen fuggite. È la premier che spesso cerca il corpo a corpo coi giornalisti. Replica, prende di petto i cronisti, anche citandoli per nome davanti a taccuini e telecamere (capitò di nuovo a Repubblica, sul finire di ottobre). Complicato fare un elenco esaustivo in poche righe. Ma si può ricordare che toccò a Lilli Gruber quando, commentando il femminicidio Cecchettin, aveva affermato che la destra non contrastava la cultura patriarcale. Meloni rispose con un affondo su Facebook (disintermediazione, appunto). Altro bersaglio, Report, oggetto di un’interrogazione da parte di FdI dopo le inchieste sui La Russa e sul padre della premier.
Dopo l’attacco della leader su Rete4, a via della Scrofa però non c’è molta voglia di commentare l’editoriale di risposta pubblicato ieri dal direttore di Repubblica, Maurizio Molinari. Non parla Giovanni Donzelli. Non parla Fazzolari, che a sera delega la pratica al vice-capogruppo alla Camera, Raffaele Speranzon. Il quale batte sullo stesso chiodo della premier. Il titolo di Repubblica che ha fatto inviperire Meloni, “L’Italia in vendita”, sarebbe «grottesco», perché, ripete Speranzon esattamente come Meloni, proviene dal quotidiano di proprietà del gruppo «che ha di fatto consegnato la Fiat al controllo francese».
«E non avete mai menzionato gli Elkann, la Fiat o la Francia!». La notizia delle privatizzazioni allo studio del governo però non è mai stata smentita dalla premier (dunque era vera). E Meloni, per replicare, ha preferito prendersela col giornale che l’ha pubblicata. «Ma anche voi siete schierati – riecco Speranzon – dunque ci sta che Meloni risponda, anche in modo piccato. Dovete accettarlo». Ma un capo di governo può indicare come nemico pubblico un quotidiano, e i suoi redattori e lettori? Non è da leader autocratici? «Autocratici? Ma Meloni è stata eletta dai cittadini democraticamente».
Tutta la maggioranza sembra accodarsi. Anche se gli alleati di FdI non si espongono. Per la Lega, il responsabile dell’Editoria, il sottosegretario Alessandro Morelli, comunica di non voler dichiarare sul caso. Anche FI formalmente, col responsabile della comunicazione, il deputato Paolo Emilio Russo, si trincera dietro a un «no comment». Ma il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, qualcosa dice: «Avete attaccato Meloni sul padre, sul nonno, sulla sorella. Lei potrà rispondere, no?». Ma quelle erano notizie, non smentite, qui ci troviamo davanti a un capo di governo che attacca il giornale che le pubblica. «Ma vale la regola della dinamica: a ogni azione corrisponde una reazione».
(da La Repubblica)
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